Nel 1947 l'Ente Comunale di Assistenza di Alessandria, compila un elenco contenente i nominativi di tutti i suoi assistiti alla data del 31 dicembre 1947 (Tabella 1). Tra di essi si nota la presenza di profughi giuliano-dalmati: 56 persone (33 uomini e 23 donne) per le quali sono indicati, oltre ai nominativi, anche il luogo di provenienza e, in alcuni casi, la data di arrivo in città. Analizzando i dati, si nota come il nucleo più rappresentativo sia costituito dai profughi di Pola (25 persone, 13 maschi e 12 femmine), giunti ad Alessandria tra il marzo e il maggio del 1947. Oltre ai polesani, è segnalata la presenza di profughi provenienti dalla zona di Fiume (12 persone, 11 da Fiume e uno da Cherso), da Capodistria (1), da Valle d'Istria (1) e da altre località dell'Istria non ben precisate (17 persone) indicate nel documento stesso (alla voce luogo di provenienza) con la più generica denominazione di profugo giuliano. Pur contenendo elementi interessanti, il documento presenta però alcune importanti lacune, prima tra tutte la mancanza di indicazioni precise che permettano di distinguere, tra gli assistiti, gli individui isolati e i capifamiglia la cui presenza implicherebbe l'esistenza di familiari a carico con un conseguente aumento del numero dei profughi rispetto a quelli censiti nell'elenco.
L'ipotesi di un numero più elevato di giuliano-dalmati residenti ad Alessandria, sembra essere confermata dai dati relativi alla loro presenza nell'estate del 1948. Si tratta di informazioni contenute in una corrispondenza intercorsa il 1° giugno 1948 tra il direttore dell'Ente Comunale di Assistenza di Alessandria e il direttore dell'Ufficio Provinciale di Assistenza Post-Bellica di Alessandria contenente "il riepilogo dei pacchi gratuiti UNRRA" [ASAl, Fondo ECA], ovvero l'elenco delle persone residenti in città che hanno usufruito dei pacchi. Tra di esse sono indicati 137 (41 uomini, 59 donne, 10 ragazze, 14 ragazzi e 13 bambini) profughi provenienti "dalla Venezia Giulia e da Zara" [ASAl, Fondo ECA], per i quali non è purtroppo segnalata nello specifico la località di provenienza e la data di arrivo in città.
A partire dalla prima metà degli anni Cinquanta, il numero dei profughi giuliano-dalmati assistiti dall'ECA tende a diminuire notevolmente rispetto agli anni precedenti, lasciando ipotizzare il superamento delle iniziali difficoltà e un loro progressivo inserimento nella realtà economica e sociale cittadina. Gli unici dati cui poter fare riferimento sono contenuti, ancora una volta, all'interno del fondo dell'Ente Comunale di Assistenza, e riguardano gli elenchi nominativi degli assistiti, tra cui si trovano, nel 1952, 25 profughi giuliano-dalmati, scesi a 19 unità nel 1955, anno in cui l'ECA sembra essere deciso a sospendere ogni tipo di assistenza nei loro confronti come si nota in una lettera datata 13 luglio 1955 nella quale il presidente dell'ente comunica alla prefettura di Alessandria che a suo giudizio "nessuna delle persone indicate si trova nelle condizioni di dover ancora beneficiare del sussidio giornaliero" [ASAl, Fondo ECA].
Fin dal loro arrivo ad Alessandria, l'assistenza dei profughi giuliano-dalmati è affidata all'Ente Comunale di Assistenza, che si occupa di corrispondere loro un sussidio in denaro, capi di vestiario e generi di prima necessità. All'interno dei documenti consultati, le prime tracce dell'attività assistenziale svolta dall'ECA alessandrino in favore dei profughi giuliano dalmati risalgono all'inverno del 1947 quando, come si legge in una letterainviata il 20 febbraio 1947 dal Comitato di Assistenza per la Venezia Giulia e Dalmazia di Alessandria all'Ufficio Provinciale di Assistenza Post-Bellica, l'Ente Comunale di Assistenza dona a 24 profughi giuliano-dalmati "quattro cappotti, sei maglioni, trenta calze, sei coperte, dodici lenzuola, due paia di scarpe e una camicia" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza]. Qualche giorno più tardi, ai profughi vengono assegnati altri quantitativi di vestiario: si tratta di tessuti donati dall'UNRRA e distribuiti dall'ECA al totale dei suoi assistiti che, nella sola provincia di Alessandria ammontano, come si legge in una lettera inviata dal presidente dell'Ente al sindaco di Alessandria il 28 febbraio del 1947, "a 6.708 persone così divise: 2.874 uomini, 2.449 donne, 612 ragazzi, 563 ragazze e 210 bambini." Tra essi, continua il documento, vi sono anche i profughi giuliano-dalmati che rientrano nella "categoria di individui bisognosi assistiti dal ministero dell'Assistenza post-bellica", ai quali è assegnata una determinata quantità di tessuto in base al sesso. Secondo i dati riportati nella lettera del presidente dell'ECA, gli uomini hanno diritto a "2, 50 metri di tela per pantaloni, e 4,25 metri. di tela per camicie", mentre alle donne sono assegnati "3,80 metri di tela per vestiti e a 2,50 metri di tela per biancheria". Dai benefici non sono esclusi nemmeno i bambini con età compresa tra uno a tre anni e i ragazzi dai quattro a quindici anni: ai primi l'ECA distribuisce "7,50 metri di flanelletta", mentre ai secondi sono corrisposti "4,50 metri di tela per camicie" ai maschi e "2,90 metri di tela per vestiti e 1,90 metri di tela per biancheria" alle femmine. Una pratica, quella della concessione di indumenti in favore dei profughi giuliano dalmati residenti in città, che sembra continuare anche negli anni successivi, come dimostra ad esempio una lettera che il 23 febbraio del 1952, il direttore dell'ECA invia all'Ufficio Provinciale di Assistenza Post Bellica, nella quale è contenuto l'elenco delle domande per la "concessione di indumenti da parte dell'Ufficio di Assistenza Post-Bellica" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza]. Il documento segnala, tra i beneficiari, la presenza di 23 profughi istriani.
L'attività assistenziale svolta dall'ECA in favore dei profughi giuliano-dalmati affianca alla distribuzione di vestiario ed indumenti, anche la corresponsione di un sussidio giornaliero in denaro. Una pratica coinvolgente, come si legge in una lettera che il presidente dell'ECA invia il 12 marzo 1947 al presidente dell'Ufficio Provinciale di Assistenza Post-Bellica, oltre ai giuliano-dalmati, anche "sinistrati, sfollati, reduci, invalidi civili e caduti militari" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza]. Alla data del 12 marzo 1947, il totale degli assistiti residenti ad Alessandria che ricevono dall'ECA un sussidio in denaro ammonta a 680 individui (301 uomini, 180 donne, 35 bambini, 35 ragazzi e 46 ragazze). Nella categoria profughi rientrano 70 persone (20 uomini, 35 donne, 5 bambini, 5 ragazze e 5 ragazzi) e, come si legge nei verbali della Commissione dell'Ente Comunale di Assistenza, 21 di esse (16 maschi e 5 donne) provengono da Pola.
Tra le varie forme di assistenza si deve infine citare la Giornata del Bambino Profugo giuliano-dalmata, organizzata ad Alessandria, così come in molte altre città italiane, con l'intento di raccogliere fondi in favore dei bambini profughi. Le carte conservate nell'Archivio di Stato di Alessandria, si riferiscono alla celebrazione del 1950, in occasione della quale, come afferma una nota informativa inviata dal prefetto di Alessandria al presidente dell'ECA, sono state raccolte "355.911 Lire" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza]. Una cifra dalla quale, continua il documento, vanno detratte "le spese occorse per il materiale di propaganda, ammontanti a Lire 19.641, nonché l'importo del 25% sul netto da versarsi all'Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati, ammontante a Lire 84.067" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza]. Restano quindi disponibili 252.202 Lire, che saranno utilizzate per la distribuzione di un "buono viveri da Lire 800" (della cui distribuzione si occupa l'ECA), di cui godranno 29 bambini giuliano-dalmati, e per la creazione di un fondo di accantonamento di Lire 51.042 "per la concessione di eventuali sussidi straordinari" [ASAl, Fondo Ente Comunale di Assistenza].
Il 24 agosto 1955 in una nota inviata al Ministero degli Interni, il sindaco di Tortona, riferendosi alla presenza giuliano-dalmata sul territorio cittadino, mette in luce come essa abbia portato all'acutizzarsi di alcuni problemi, primo tra tutti quello legato alla disoccupazione locale, che appare "innegabilmente aumentata" a causa "della logica concorrenza di mano d'opera disponibile che, spesso, accetta per essere assunta, un salario minore di quello stabilito dalle regolari tariffe". [Archivio Storico Città di Tortona]. Un disagio che, nelle parole del primo cittadino, può essere ovviato direttamente dai vertici governativi attraverso l'assegnazione nell'area tortonese di "una fabbrica o un'industria che possa assorbire tutta la massa dei profughi" come "contropartita al grande servizio che il [locale] centro raccolta profughi ha fatto allo stato nell'accogliere e sistemare una massa così cospicua, in relazione alla popolazione, di connazionali rientrati in patri privi di ogni cosa". Un'operazione in realtà mai realizzata, ma che nelle intenzioni del sindaco dovrebbe servire "ad evitare il malumore della popolazione locale", che potrà così trovare nuove opportunità professionali in un mercato lavorativo connotato da elevati livelli di stagnazione, all'interno del quale la forza lavoro tortonese "ha più volte dovuto segnare il passo, per dare la precedenza ai profughi". [Archivio Storico Città di Tortona]
Le parole del primo cittadino, che definisce i profughi come "persone degne di stima e della massima considerazione per aver dolorosamente sofferto" [Archivio Storico Città di Tortona], sembrano saldarsi a pieno con una delle principali motivazioni facenti da sfondo alle dinamiche di esclusione che accompagnano l'arrivo dei giuliano-dalmati, portandoli ad essere considerati, a Tortona così come in molte altre realtà italiane, degli scomodi concorrenti ai pochi posti di lavoro disponibili in un momento segnato da un elevato tasso di disoccupazione interna.
L'inserimento lavorativo dei giuliano-dalmati nella realtà produttiva tortonese, sembra seguire un iter composito e variegato che li vede impegnati nei diversi comparti produttivi presenti sul territorio tortonese. Se una parte di essi non si dimostra insensibile al richiamo di grandi realtà industriali come la Fiat e l'Ilva intraprendendo così un percorso che li condurrà verso Torino e Novi Ligure, altri sono invece assorbiti come manodopera nei locali stabilimenti come la Liebig, la Orsi, le fabbriche metalmeccaniche di piccole e medie dimensioni o il deposito di tabacchi greggi meglio conosciuto come Alfa.
Accanto al settore industriale vi è poi quello agricolo che annovera al suo interno un buon numero di profughi impegnati in raccolte stagionali o come manovali nelle cascine. Un altro campo nel quale si registra la presenza di profughi è quello dell'edilizia: infatti molti di essi partecipano alla costruzione di grandi infrastrutture architettoniche e di nuove arterie stradali, come ad esempio il nuovo stadio comunale, "l'ampliamento della nuova strada per Rho, la realizzazione della rete fognaria della stessa frazione e il riassetto delle strade cittadine" [P. Porta, 1996]. Infine la presenza dei profughi si registra anche in una delle tipiche occupazioni dequalificate, da sempre appannaggio del sottoproletariato urbano tortonese, e cioè quella degli spalaneve che armati di pale e badili faticano per poche lire al giorno rimuovendo la neve e il ghiaccio dai bordi delle strade e dalle rotaie della stazione. E' infine interessante notare come il sindaco di Tortona affermi in una nota inviata al Ministero degli Interni in data 24 agosto 1955, che la presenza giuliano-dalmata sul territorio cittadino, abbia portato all'acutizzarsi di alcuni problemi, primo tra tutti quello della disoccupazione locale che, secondo il giudizio del primo cittadino, appare "innegabilmente aumentata per la logica concorrenza di mano d'opera disponibile che, spesso accetta, per essere assunta, un salario minore di quello stabilito dalle regolari tariffe".