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L'arrivo raccontato dai testimoni

I brani raccolti riportano le testimonianze dei profughi al loro arrivo nei luoghi che li ospitarono descrivendo quando e quale accoglienza ricevettero se di esclusione od integrazione, se trovarono assistenza nelle difficili fasi della ricostruzione di una vita. Ci è sembrato inoltre interessante indagare sul lavoro svolto, in modo da consegnare al lettore un quadro il più possibile realistico degli avvenimenti.

Testimonianze

Quando

Io sono partita da Dignano nel ’47, e sono arrivata in campo profughi a Padova, ci ho dormito una ... [Leggi tutto]
Io sono partita da Dignano nel ’47, e sono arrivata in campo profughi a Padova, ci ho dormito una notte con mio papà. Poi avevamo delle amiche a Padova e siccome loro affittavano a studenti - perché lì c’era l’Università -, siamo andati da loro. E in quell’anno mio papà ha trovato un maresciallo che era militare là da noi, che ci ha detto: venite a casa mia. E siamo andati in provincia di Padova, tra Padova e Venezia, a Moriago. E siam stati là, poi è arrivata mia mamma, che è arrivata per ultima. Poi abbiamo fatto una casetta alla malcontenta, e siam rimasti là. Poi io mi son sposata, è nata mia figlia e poi via, siamo arrivati ad Asti. Perché quando siamo arrivati là [a Moriamo] abbiamo fatto la casa con un pezzo di terreno, ho conosciuto mio marito ma cosa facevamo lì? E allora poi siamo venuti ad Asti. Sarà stato il ’50. [Siamo arrivati qua] perché c’era questo maresciallo che ci ha detto: guardi che c’è un locale lì ad Asti, che [il gestore] ha la moglie ammalata, e se volete prenderlo lì... Ci siam rimboccati le maniche e l’abbiamo preso. Siamo andati lì - era di un avvocato questo locale - e abbiam fatto tanti anni là dentro.
Maria D.
Dunque: io sono del ’46, e son venuto via che avevo otto mesi, nel ’47. Erano i primi di novembre ... [Leggi tutto]
Dunque: io sono del ’46, e son venuto via che avevo otto mesi, nel ’47. Erano i primi di novembre del 1947. Che siamo andati a finire al campo profughi di Trieste, che non mi ricordo più se era a Opicina. Siamo andati a finire lì e siamo stati nelle baracche. Poi siam partiti e siamo andati a Civitavecchia, lì vicino al mare, sempre perché mio padre potesse andare a lavorare in mare. La faccenda era tutta lì. Nell’attesa che mia mamma avesse un trasferimento in sta Fabbrica Tabacchi, praticamente. Ma lì siamo stati pochissimo, proprio poco, poco, poco. Da lì siamo andati a Vibo Valenzia, sempre sul mare. Lì siam stati poco anche lì. Poi da lì siamo andati a finire a Cava de’ Tirreni, che nel frattempo era arrivato il trasferimento di mia mamma che poteva andare a lavorare in Fabbrica Tabacchi di Cava dei Tirreni. Manifattura Tabacchi la chiamavano: facevano le sigarette e i sigari allora. E allora da lì siamo andati a finire a Cava dei Tirreni e siam rimasti lì, era sempre nel ’47. Diciassette anni siam rimasti lì: diciassette anni a Cava dei Tirreni. E lì mia mamma è andata a lavorare in Fabbrica Tabacchi, e mio papà andava a fare il pescatore a Salerno, a piedi, perché soldi non c’e n’erano e andava a piedi. Eh, si cominciava a tirare avanti, ma la fame era sempre tanta! A Civitavecchia e a Vibo siamo stati in campo profughi, a Cava dei Tirreni abbiamo trovato una casetta. Siamo andati in un paesino sopra ala Castello, che si chiamava Annunziata. [Era] fuori, proprio sopra Cava dei Tirreni, e siamo stati tanti anni lì. Poi, nel frattempo, mio papà è diventato dipendente comunale, e ha avuto il trasferimento qui ad Asti, perché si era sposata mia sorella. Mia sorella è venuta su con sto ragazzo e diceva: venite su, venite su, venite su, e nel frattempo, ha fatto la spola a mio papà che l’han trasferito qui, in piazza Statuto ad Asti che c’era l’Ufficio Imposte. E mia mamma continuava a lavorare sempre a Cava dei Tirreni. Poi mia mamma, gira e rigira, tramite mio papà, è riuscita ad avere il trasferimento [in Manifattura Tabacchi] a Regio Parco, qui a Torino, ed è andata a lavorare lì. E praticamente io l’ultimo anno di [istituto] professionale a scuola l’ho finito da solo a Cava dei Tirreni, e poi mi son trasferito anche io nel 1964. Che mia mamma è arrivata nel ’63 e mio papà un anno prima.
Giuseppe S.
Siamo partiti nel maggio del ’50. Al centro profughi di Udine non so bene come sia successo, come ... [Leggi tutto]
Siamo partiti nel maggio del ’50. Al centro profughi di Udine non so bene come sia successo, come sia andata a finire, che siamo poi andati a Noche, una frazione di Castelnuovo Calcea. Perché ? Perché mio papà nel ’39 ha fatto il militare qui; lui era militare nell’aviazione, e l’ha fatto qui al Castello di Annone. Agosto del ’39 lui era qui a fare il militare. E allora si ricordava di un maresciallo R. di Castello di Annone. E non so come sono venuti in contatto - se per lettera, perché il telefono non c’era -, ma so che mio papà mi diceva che siamo andati a Noche perché questo qui era un compagno che aveva fatto il militare con lui, e gli ha detto: vieni pure qui, che noi siamo in campagna - in un’abitazione di campagna -, le stanze sopra sono vuote e ti sistemi qui. Siamo stati lì qualche mese. Poi [siamo] passati da Noche, da questa frazioncina, a Castelnuovo Calcea in un paesino lì vicino, e siamo stati lì per tredici anni anni, dal ’50 fino al ’63. Infatti io le elementari le ho fatte lì, però le superiori le ho fatte qui [ad Asti], e prendevo il treno tutti i giorni per andare da Catelnuovo ad Asti e viaggiavo. Nel ’63 siamo poi riusciti a trovare un alloggio qui [ad Asti] in corso Milano, siamo poi venuti ad abitare qua. [Ad Asti una struttura dove venivano ospitati i giuliani] non c’era, non c’è mai stata. A Noche [di giuliani] non ce n’era nessuno. Qui ad Asti si, mio papà aveva trovato uno. Qui ad Asti ci saranno, però saranno un po’ sparsi e ognuno sta nel suo.
Elvio N.

Accoglienza

Qui ad Asti penso [che gli esuli siano stati accolti] in modo indifferente, perché [sono] troppo ... [Leggi tutto]
Qui ad Asti penso [che gli esuli siano stati accolti] in modo indifferente, perché [sono] troppo pochi, e quindi l’hanno passata liscia, perché insomma, se sei in pochi... Quando arrivavano invece in gruppi la gente tende sempre a difendersi, a reagire. Io ho letto un libro di un autore, un romanzo... Di Tomizza, ecco. Che mi ha fatto vedere bene l’idea di questi fratelli che vanno via, e mi ha dato l’idea di come poteva essere dura. Poi in questi momenti tutti gli stronzi, tutti i vigliacconi vengono fuori e ti tengono per il bavero. Io poi ho letto un po’ di storia, ma non ho delle conoscenze dirette, perché mio padre è venuto via prima. Però lui mi diceva: la troveranno lunga. E infatti è andata un po’ così. C’è stata un po’ di vigliaccheria da parte di tutti, un po’ di realismo politico che ha nascosto. Adesso però viene fuori tutto, ma credo che li abbiano trattati abbastanza male.
Giorgio G.
Io sono venuto qui ad Asti che mio papà e mia mamma lavoravano. Son venuto qui, ho finito le ... [Leggi tutto]
Io sono venuto qui ad Asti che mio papà e mia mamma lavoravano. Son venuto qui, ho finito le scuole, ho trovato lavoro subito e mi sono trovato bene, non posso dire [niente]. Però io arrivavo dal meridione, specificavo che ero un profugo, ma [per loro] ero un napuli. Eh, significa che sei un terun! Sei mal visto, sembra che gli porti via la roba dalla bocca alla gente. Cosa che non è vero, anzi bisogna ringraziare Dio che son venuti su anche i napuli qui. No, perché poi oltretutto quando siamo venuti quassù lo sapevano tutti che eravamo dei profughi giuliani, quindi anche io nelle scuole che avevo fatto laggiù avevo le tasse non pagate: io son sempre stato esentato dalla tasse scolastiche, sempre. Cioè, ci han preso anche come gente che eravamo dei privilegiati.
Giuseppe S.
Qui ad Asti non lo so, [ma] a Castelnuovo siamo stati accolti bene. Però ci dicevano poi anche una ... [Leggi tutto]
Qui ad Asti non lo so, [ma] a Castelnuovo siamo stati accolti bene. Però ci dicevano poi anche una cosa caratteristica per dire che venivamo da via. Ma non dispregiativa, tutt’altro. Comunque ci hanno accolti bene, per quello si. Io mi ricordo che ho fatto le elementari lì, conosco ancora adesso il prete, conosco ancora amici - uno ha fatto addirittura il sindaco. Non ci sono mai stati atteggiamenti [discriminatori]. Eh, ma qui parliamo del ’50, del ’51, siamo stati lì fino al ’63. All’epoca non c’era neanche ancora l’immigrazione dei meridionali e di conseguenza...Qualche veneto era capitato, però... Ah, [ecco]: istriani ci chiamavano, ci dicevano ah, istriani, o giuliani, non ricordo. Ma non era una cosa cattiva, solo proprio per identificarci. Mentre so che quando poi han cominciato a venire i meridionali [gli dicevano] terun. Però questo lo dicevano già in maniera cattiva, che poi era gente come mio papà che lavorava, non era gente che veniva e diceva adesso io sono qui e cosa... Si tiravano su le maniche e si davano da fare.
Elvio N.
Dopo un po’ che abbiamo questo bar, arriva un vigile - ma non in divisa, era in borghese -, e dice ... [Leggi tutto]
Dopo un po’ che abbiamo questo bar, arriva un vigile - ma non in divisa, era in borghese -, e dice a mia mamma: ah, voi siete venuti a mangiare il nostro pane! Mia mamma esce dal banco, si toglie il grembiule e gli dice: guardi che il pane ce lo guadagniamo noi, ha capito? E lui se n’è andato. Mia madre non le mandava a dire! Si, qualcuno era un po’ geloso per via di sto bar, poi invece ci hanno accolto bene, avevamo poi anche una buona clientela. Da dove venite [ci chiedevano]? Dall’Istria. Ah, dalla Jugoslavia. No, dall’Italia, non dalla Jugoslavia, ma dall’Italia, che l’Istria era italiana.
Maria D.
Mio papà non ha avuto niente, mai preso niente. Difatti lui, mio papà, ha sempre detto: io son ... [Leggi tutto]
Mio papà non ha avuto niente, mai preso niente. Difatti lui, mio papà, ha sempre detto: io son falegname... Mio papà invece faceva il falegname e ha fatto il falegname, ma non ci hanno mai dato niente. Si, si, sui documenti fuori c’era scritto profugo giuliano, ma non è che andavi da una parte e dicevano ah si, tu sei profugo e questo invece di costare così costa così, no, mai. E neanche è mai arrivato un pacco dono da qualcuno, tanto per dirti questo è un regalo. Io, a casa mia, che mi ricordo io non c’è mai stato. Ma neanche non so, scuole, libri e quelle robe lì: abbiamo sempre pagato quello che c’era da pagare, ma non abbiamo mai [avuto niente]. Almeno, per quel che ricordo io non ci è mai stato fatto nessun regalo da parte di qualche ente pubblico in quella maniera lì. Poi magari a Torino avran fatto un’associazione e allora quelli saran riusciti anche ad avere qualche cosa, ma qui, forse proprio perché non eravamo uniti ed eri solo uno qui uno lì e uno là, e ognuno si faceva i cavoli suoi [non abbiamo mai ricevuto niente]. E caso mai avevi anche paura a domandare. Perché poi lì dipende anche dalle persone.
Elvio N.

Lavoro

C’era un bar e un ristorante, che il proprietario aveva la moglie malata, era con la figlia. E sta ... [Leggi tutto]
C’era un bar e un ristorante, che il proprietario aveva la moglie malata, era con la figlia. E sta moglie aveva un tumore. E allora ci han detto c’è un locale lì ad Asti, che [il gestore] ha la moglie ammalata, e se volete prenderlo ... Ci siam rimboccati le maniche e l’abbiamo preso. Ci alzavamo la mattina alle cinque, perché c’erano gli operai - allora c’erano gli operai che andavano a lavorare - l’unico bar che era aperto eravamo noi, e allora si lavorava e mio padre diceva: al mattino presto si riempie il cassetto, e aveva ragione! Poi stava fino all’una. Poi avevamo anche il ballo e il ristorante, che mia mamma era brava a fare da mangiare. E arrivavano sempre dei francesi, tutti gli anni arrivavano gli stessi francesi perché li trattavamo bene. Poi avevamo il ballo: sabato e domenica. E la sera si ballava, c’era i tavolini con le luci, c’era i camerieri, ma avevamo una strega, che aveva il terrazzo proprio che comunicava con il nostro. E tutte le volte, guardi... Una volta che erano passati cinque minuti dopo l’una chiamava la polizia. E una volta ci ha fatto anche chiudere per una settimana! Diceva che davamo fastidio: non so, era una domenica, e il cantante forse aveva cantato una canzone in più dopo l’una. Guardi, tanta cattiveria.
Maria D.
Io mi ero rotto dove lavoravo prima perché pagava poco. E mio papà mi diceva sempre: se vuoi andare ... [Leggi tutto]
Io mi ero rotto dove lavoravo prima perché pagava poco. E mio papà mi diceva sempre: se vuoi andare in Way Assauto devi solo dirmelo, io ti faccio entrare subito. Allora mi sono stufato e un giorno ho detto: papà, fammi la domanda. Dopo tre mesi sono entrato, e da lì ho fatto trentacinque anni di Way Assauto, non sono mai più andato in altri posti. Io sono entrato il 9 settembre del ’66, me lo ricordo come adesso. Mi ha fatto un po’ di effetto -ero fresco di scuola- , ma non mi ha fatto niente, anche perché ho avuto subito un lavoro qualificante - cioè non è che mi han messo la carretta e tiri - , mi han subito messo in controllo qualità, e quindi son rimasto lì: trentacinque anni di controllo qualità. Che adesso lo chiamano controllo qualità, ma una volta era collaudo RIV. Collaudo RIV dicevano, e quindi, praticamente, non ho mai lavorato a cottimo - diciamo la sincera verità - , ho sempre guardato la qualità. Poi a noi [profughi] ci han preso anche come gente che eravamo dei privilegiati ,e difatti io sono entrato in Way-Assauto anche tramite quello, e ho avuto delle agevolazioni. Sono entrato per quello e poi anche mio papà è andato a lavorare all’Ufficio Imposte.
Giuseppe S.
[Mio padre] tramite [una] persona è riuscito ad andare a lavorare in una falegnameria qui [vicino], ... [Leggi tutto]
[Mio padre] tramite [una] persona è riuscito ad andare a lavorare in una falegnameria qui [vicino], da Cerrato Mobili. Nel ’63 mio papà non lavorava più da falegname, perché la famiglia era aumentata ed eravamo già in sette, ed è andato poi a lavorare alla Fiat a Torino. Perché ? Perché Cerrato Mobili probabilmente gli dava poco, eran tempi duri e via dicendo e allora lui ha trovato... Forse la soluzione migliore era quella di andare in Fiat. Comunque lui lavorava sempre nel settore, faceva roba col legno.
Elvio N.