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Montanaro, Montanaro

Il 21 aprile 1947 l’Ente Comunale di Assistenza di Torino, invia alla prefettura del capoluogo piemontese l’elenco nominativo dei 1.150 profughi giuliano-dalmati arrivati in città alla data del 31 marzo 1947 [ASCT, Fondo ECA]. Il documento permette di seguire da vicino il percorso tracciato dalle famiglie dei profughi sul territorio cittadino: la gran parte di esse sarà accolta tra i padiglioni del Centro Raccolta Profughi di Borgo San Paolo, mentre altri nuclei familiari saranno invece smistati in alcuni centri della provincia torinese. Tra questi vi è anche il piccolo comune di Montanaro, ubicato a circa trenta chilometri da Torino, dove nel febbraio del 1947 prenderanno residenza, come scrive il primo cittadino, “circa 30 profughi provenienti da Pola” [Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA]. I dati diramati dalla prefettura di Torino smentiscono, seppur di poco, le stime del primo cittadino, dal momento che parlano di “quindici profughi giuliano - dalmati, nove uomini e sei donne” stabilitisi a Montanaro nel febbraio del 1947 [ASCT, Fondo ECA] .

Le carte conservate presso l’Archivio Storico Comunale di Montanaro evidenziano la messa in moto da parte delle autorità comunali di un apparato organizzativo tale da garantire ai nuovi arrivati assistenza e ospitalità.

Il primo punto sul quale concentrare l’attenzione sembra essere quello dell’assistenza. Infatti il 12 febbraio 1947 il sindaco invia una lettera alla Prefettura di Torino, facendo presente di non aver ricevuto “né fondi, né disposizioni” relativamente alle norme da attuare nei confronti dei nuovi arrivati, pregando quindi il prefetto di “fornirgli spiegazioni al riguardo” [Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA]. La proposta del primo cittadino è quella di fornire ai profughi residenti nel suo comune un “sussidio giornaliero di 200 Lire”, somma che però “in considerazione delle condizioni di cassa in cui si trova il locale Ente Comunale di Assistenza” non può essere fronteggiata dalle casse comunali “qualora non siano inviati anticipi dalla prefettura stessa” [Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA].

Oltre al sussidio, una pratica che continua ad essere attuata per lo meno fino al 1951 quando, come rivela l’analisi dei documenti, il Comitato Provinciale di Assistenza Post-Bellica di Torino, stanzia la somma di Lire 9.500 “per i profughi giuliani residenti a Montanaro”, i profughi giuliano-dalmati godono di altre pratiche assistenziali, prima tra tutte la concessione di pacchi viveri, delle cui distribuzione si occupa direttamente il locale Ente Comunale di Assistenza, che nell’ottobre 1947 conta circa “cento assistiti: quaranta donne, quaranta uomini e venti ragazzi di ambo i sessi.”[ Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA]. A ogni famiglia, come integrazione del sussidio ricevuto, è dunque assegnato un pacco contente viveri. Si tratta, come si legge in una lettera inviata il 20 maggio 1947 dal locale Ente Comunale di Assistenza al direttore dell'Alto Comitato per l'alimentazione della sezione provinciale di Torino, di materiale “messo gratuitamente a disposizione dalla missione italiana dell’UNRRA”, suddiviso in due tipi di pacchi: il pacco di tipo A, contenente “verdura essiccata (grammi 250), zuppa in polvere (grammi 1000), zucchero (grammi 300), riso (grammi 500), carne o pesce (due scatolette)” e il pacco di tipo B, contenente “verdura essiccata grammi 250, zuppa in polvere grammi 1.000, zucchero, grammi 500, pasta grammi1000 grassi (olio e grassi vegetali) grammi 500”. [Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA].

L’ultima questione da affrontare è quella relativa alla sistemazione. A tale riguardo, la documentazione archivistica fornisce informazioni frammentarie che, integrate con le testimonianze raccolte, consentono comunque una ricostruzione piuttosto dettagliata. All’ospitalità dei profughi sembra inizialmente provvedere la Pontificia Commissione di Assistenza di Torino che indirizza i nuclei familiari presso alcuni edifici nei quali alloggia un gruppo di suore. Una sistemazione provvisoria visto che, come si legge in una lettera inviata dall’Associazione Fra Giuliani di Torino al sindaco di Montanaro il 9 giugno 1947, “le famiglie sono state messe alla porta con tutte le loro masserizie”[ Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA]. Due giorni più tardi arriva, puntuale, la risposta del sindaco, che informa come un gruppo di famiglie abbia trovato sistemazione “in locali di proprietà del comune, per diretto interessamento di questa amministrazione". La lettera fornisce al primo cittadino l’occasione per esprimere il suo “personale rammarico” per l’opera, definita nel documento “quanto mai dannosa” svolta “dalla Commissione Pontificia di Assistenza e dalle suore locali, fiancheggiate da elementi locali per aver raccontato un mucchio di panzane ai profughi, e cioè che a Montanaro avrebbero trovato sistemazione e lavoro”. Affermazioni, prosegue il sindaco, “dette ai profughi esclusivamente a loro danno”, che da un lato sembrano essere emblematiche delle facili promesse con cui spesso, in molte altre località italiane, sono stati abbagliati i profughi giuliano-dalmati, e dall’altro non sembrano tenere conto della difficile situazione in cui si trova Montanaro nei primi anni del dopoguerra, e cioè quella di un paese “agricolo, che offre scarsissime possibilità di lavoro ed è senza alloggi disponibili". [Archivio Storico di Montanaro, Fondo ECA].

Testimonianze

Il tempo libero di Montanaro... Era un paesino e giocavi con le bande di rione, c’erano le bande, ... [Leggi tutto]
Il tempo libero di Montanaro... Era un paesino e giocavi con le bande di rione, c’erano le bande, le compagnie, i gruppi. Rione contro rione, quelle giocate. Poi si andava a scuola, e la scuola era diversa, la scuola ti univa, c’erano degli intrallazzi: io sono più bravo in questo, perciò ti faccio questo ma tu mi dai un pezzo di salame perché il contadino aveva sempre più da mangiare. E c’erano questi scambi di ragazzini... La solita vita che fanno tutti i ragazzini: non eri messo da parte perché eri rosso, giallo o nero, no. Eri additato all’inizio, però poi i bambini dimenticano molto in fretta. Invece i grandi hanno più rancore.
Franco V.
Mio papà era l’uomo di fatica che andava a lavorare al monastero delle suore in cambio di un pezzo ... [Leggi tutto]
Mio papà era l’uomo di fatica che andava a lavorare al monastero delle suore in cambio di un pezzo di pane o di un po’ di verdura per mangiare. Ha lavorato i primi due anni o tre un po’ per il comune, per i contadini, faceva il pane a un panettiere... Sa, nel dopoguerra facevi un po’ quel che potevi. Poi c’erano delle officine meccaniche qui a Chivasso e andava un po’ lì e poi è andato alla Fiat. Mi sembra che sia andato alla Fiat nel ’49 o nel ’50: lavorava a Mirafiori, e andava a lavorare in bicicletta, che c’era il vecchio messo comunale di Montanaro che le prestava una bicicletta, e andava in bicicletta da qua a Mirafiori.
Franco V.
[Arrivati a Montanaro] c’era la neve, ed era bellissimo! Siamo stati accolti dalla Casa Madre di ... [Leggi tutto]
[Arrivati a Montanaro] c’era la neve, ed era bellissimo! Siamo stati accolti dalla Casa Madre di Montanaro, dalle suore. La popolazione [invece], beh, insomma, ci guardavano... Io non voglio dire che non ci hanno accolto bene, perché sa, cosa vuole. Si, qualcuno magari avrà detto [qualcosa]. Perché per esempio, io quando ero a Montanaro c’era anche una donna di Napoli. E quando abbiamo fatto, non so, cento passi a piedi, c’erano due o tre camion che caricavano della roba e ci dicevano: Montanaro calabrese o Montanaro napoletano. Insomma, volevano un po’ farci capire che siamo profughe, capisce?
Gina R.
Subito ci chiamavano zingari, e questo è durato un bell’annetto. Perché a Montanaro noi eravamo la ... [Leggi tutto]
Subito ci chiamavano zingari, e questo è durato un bell’annetto. Perché a Montanaro noi eravamo la prima famiglia, anzi le prime due famiglie, non piemontesi, non di Montanaro. Qua di non piemontesi non ce n’era proprio. E noi eravamo come zingari, cioè ci chiamavano zingari perché arrivavamo da là, perché non eravamo italiani e poi perché allora c’era il discorso dei partigiani e allora noi eravamo fascisti, ma questo era il tetto del paese: tu arrivavi da una zona che il giornale italiano o la radio italiana [indicava come quella] dove i fascisti hanno fatto più danni, perciò tutta la feccia era lì, secondo loro. Poi, certo, dipende sempre da chi spinge la cosa. [E poi] come siamo arrivati, c’era il manifesto in comune per dire chi eravamo, che arrivavamo e il perché e il per come. Entriamo anche nella mentalità del montanarese, del piemontese e specialmente di Montanaro, quindi di un paese che aveva una collettività molto chiusa, ognuno per sé . Io penso che abbiano sofferto più i miei che io e mia sorella, perché noi eravamo bambini. Io mi ricordo comunque che quando siamo arrivati qua - io avevo quattro anni e mezzo - siamo andati all’asilo prima di andare a scuola. E l’asilo a Montanaro era gestito dalle suore. E so che mia mamma ci teneva sempre ben vestiti nel senso che ci rivoltava il tessuto avanti e indietro per essere [ordinati]. E per quello la gente a Montanaro diceva: ecco, i figli di Marici - perché mia mamma la chiamavano così - son sempre a posto! E allora siamo andati a questo asilo io e mio cugino, che abbiamo la stessa età, abbiamo dieci giorni di differenza, e siamo andati a questo asilo alle otto o alle nove del mattino, e dopo un’ora eravamo già a casa. Le suore ci avevano già portato a casa. Ci avevano portato a casa perché avevano detto a mia mamma: guardi, signora, noi non possiamo tenere questi ragazzi, perché sono maleducati e parlano male. E mia mamma è caduta un po' dalle nuvole, no? Fa, ma cosa è successo? Eh, sa, cominciano a insultare tutti i ragazzini, perché agli altri bambini le dicono picio e picia, e sa, non sono cose belle. E noi [invece] eravamo di dialetto. Perché bambino e bambina in Istria si dice picio e picia. E qua c’era ancora quella mentalità, d’altronde torniamo indietro di sessant’anni, ragazzi! E mamma ha accettato tutto, e siamo stati poi bene accettati anche qui a Montanaro, dove siamo stati fino al ’56 - mi sembra - e poi siamo andati ad abitare a Settimo. Specialmente mamma, dopo il primo mese che eravamo qua, con certe famiglie ha cominciato a legare, e ancora adesso, quando è morta, gente di Montanaro son venuti ai funerali e ancora adesso parlano dei miei. Cioè, hanno seminato bene, perché di ceppo eravamo onesti, eravamo chiari, eravamo sinceri.
Franco V.
[Alle Casermette] c’era Giuliana Labor, la figlia di un dottore [di Pola]: lei usciva quando io ... [Leggi tutto]
[Alle Casermette] c’era Giuliana Labor, la figlia di un dottore [di Pola]: lei usciva quando io sono arrivata. [Era] una signora che veniva a farci catechismo in Siana e io l’ho poi ritrovata alle Casermette. E questa signora mi diceva: guarda, per adesso cerchè de star, cerchè de accontentarve, poi dopo cercheremo qualche posto dove mandare questi profughi. E un giorno mi dice: ti andria a Montanaro, ti andrebbe a Montanaro? Guardi signora, io non so neanche dov’è Montanaro, le ho detto! [E] la signora mi ha mandato a Montanaro perché aveva un’amica a Montanaro, [la famiglia] C., che sono i padroni di una villa. Ma io non ero a casa loro, no, per carità Io andavo in chiesa e vedevo questa signora C. Io stavo invece in via Caffaro, pagavo l’affitto. I primi giorni che sono arrivata a Montanaro mi hanno messo vicino alla stazione, che la proprietaria [della casa] era una signora che aveva il tabacchino, e ho pagato anche la luce in quei giorni, perché non c’era niente dentro, però gentilmente [c’era] qualche persona dell’Azione Cattolica che si prendeva cura di queste persone [profughe]. Un pochino cura, perché ci mettevano lì e ci dicevano: voi potete stare qui. Era una cascina vuota, e siamo stati lì, senza bicchieri e senza posate. E ci facevamo anche il caffè con una tola di latta, tanto per dirle. E’ rimasto il ricordo...
Gina R.
Ci han dato il posto [la sistemazione] in comune. Però in comune c’era il posto solo per una ... [Leggi tutto]
Ci han dato il posto [la sistemazione] in comune. Però in comune c’era il posto solo per una famiglia, e allora la prima settimana - quindici giorni, noi siamo andati ad abitare - guardi il destino- nella cascina della nonna di mia moglie che era oltre la ferrovia. E poi siamo andati ad abitare in comune e abbiamo fatto tutta la nostra bella trafila. Cioè [siamo andati ad abitare] dove c’è il comune adesso: all’ultimo piano c’erano delle stanze vuote e ci avevano messo lì. E siamo stati lì noi come profughi, e poi c’erano degli sfollati di Torino anche. Lì al comune [eravamo due famiglie giuliane], la nostra e quella di mio zio. Poi a Montanaro c’era i Di B., c’era i C., e poi c’erano i R.. Quelle sono le cinque famiglie di Montanaro. Nella cascina c’eravamo solo noi come famiglia, c’era una camera e stavamo lì, gli altri erano invece distribuiti un po’ qua e un po’ là.
Franco V.
Se non sbaglio noi siamo arrivati ad Ancona, poi siamo stati da qualche parte e poi mi ricordo bene ... [Leggi tutto]
Se non sbaglio noi siamo arrivati ad Ancona, poi siamo stati da qualche parte e poi mi ricordo bene le Casermette, perché c’erano un mucchio di bambini. C’erano questi cameroni con le coperte stese che facevano le stanze: tanti bambini e delle coperte, e poi [ricordo] che c’era tanto rumore. Solo quello ricordo, sa, da ragazzino giocavi... E poi mi ricordo che è arrivata una richiesta, un’ordinanza o una disponibilità per delle famiglie in un paese che si chiamava Montanaro, e mi ricordo che mamma diceva, in dialetto: piuttosto che stare qua coi pedoci, ‘ndemo via! Perché allora la pulizia era quella che era, i tempi erano quelli che erano e siamo venuti in questo paese [a Montanaro], che non sapevamo dov’era: abbiamo preso questo camion, siamo venuti a Montanaro. Siamo arrivati, penso, nella primavera, a inizio primavera.
Franco V.

Riferimenti archivistici

 Archivio Storico di Montanaro, Categoria II. Opere Pie e beneficenza, Classe I. ECA e altre opere pie, Fascicolo 218, Profughi 1947-1953.
 Archivio Storico di Montanaro, Categoria II. Opere Pie e beneficenza, Classe I. ECA e altre opere pie, Fascicolo 612, Rapporti con le opere pie. Assistenza e beneficenza. Atti, 1938-1969.
 Archivio Storico di Montanaro, Categoria II. Opere Pie e beneficenza, Classe I. ECA e altre opere pie, Fascicolo 613, UNRRA Tessili. Amministrazione aiuti internazionali. Profughi. Assistenza post bellica, 1938-1951.
 Archivio Storico di Montanaro, Categoria II. Opere Pie e beneficenza, Classe I. ECA e altre opere pie, Fascicolo 613, Cartella II/1, Assegnazione viveri.
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1074, Fascicolo 2, Assistenza Post-bellica delegata dallo Stato. Corrispondenza, 1945-1947.

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