1) Iniziamo con un po' di dati anagrafici: quando e dove è nata?
R.:"Il 18 aprile 1940 a Bogliuno."
2) Che si trova dove?
R.:"Provincia di Pola. Però è vicino, non so se ha visto sulla cartina Pazin, Pisino dov'è."
3) Si, so dov'è...
R.:"Ecco, lungo la ferrovia per andare a Trieste, è però vicino a Pisino, saranno dieci chilometri, o dodici. Quindi è proprio un paesino piccolissimo e mio padre lavorava lì, aveva in gestione la stazione. Però per un paio di anni, e poi siamo andati ad abitare a Pisino, Pazin, quando io avevo due anni."
4) E può della sua famiglia? Cioè, quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori...
R.:"Allora, mio papà era capostazione, mia madre era casalinga. E noi allora eravamo in tre, si. Perché io son del '40, poi ho un fratello del '39, e un altro del '49. E poi mia sorella è nata qui a Torino, è del '55."
5) Lei riesce a descrivermi Pisino, cioè che tipo di città era, quali erano le maggiori attività economiche, la distribuzione della popolazione...
R.:"Ma, era un paese abbastanza agricolo, cioè nel circondario c'erano tantissimi contadini: ognuno aveva la propria casetta, due mucche, insomma, cioè, proprio il contadino non ricco, cioè persone che lavoravano tanto e vivevano a malapena, pur avendo del terreno eccetera. Invece la città era di circa 5.000 abitanti. Adesso è diventata orribile! C'è il centro storico che è bello, che noi avevamo una casa e l'abbiam venduta l'anno scorso perché non ci andava nessuno, e quindi...Ora [ci sono] silos, fabbriche, poi tutte belle in vista, un'autostrada che taglia per la collina, cioè, proprio [brutta]."
6) Comunque era un paese agricolo...
R.:"Si, agricolo, però c'erano anche professionisti, [c'era] il ginnasio [che] l'han costruito ancora con l'Austria, quindi il ginnasio c'era. Però c'era per i seminaristi, perché non mi risulta che lo frequentassero anche gli studenti, [loro] andavano a Pola o a Rovigno."
7) E invece da un punto di vista della popolazione e della sua distribuzione com'era il discorso?
R.:"La popolazione...Io mi ricordo quello, che per esempio durante la guerra, io mi ricordo i miei che li sentivo parlare tra di loro e anche con le altre persone che nel circondario parlavano solamente il croato e qualcosa di italiano, anche questi contadini dei quali le parlavo prima, mentre a Pisino parlavano tutti l'italiano. Dopo la guerra, invece, c'erano le scuole croate e qualcosa anche di italiano. Io frequentavo le elementari in italiano, e studiavamo anche il croato, però qualche ora alla settimana."
8) E posso chiederle com'erano i rapporti tra la componente italiana e quella croata?
R.:"Allora...Io mi ricordo, anche perché ho delle amiche per cui avevo imparato anche il croato abbastanza, anche con i parenti, quelli che parlavano soprattutto il croato - io adesso l'ho dimenticato- , dialetto croato, c'era un buon rapporto, sicuramente. Invece poi durante la guerra anche mia madre ha visto delle cose dovute alla guerra: impiccati lungo la strada, poi c'erano i fascisti, i partigiani jugoslavi, c'erano i tedeschi e quindi, a quel punto lì, i rapporti, chiaramente, erano molto tesi. Però, per tutto il tempo che siamo stati lì...Cioè, noi siamo stati bene. Anzi, mio padre non voleva venire in Italia. Mio papà era calabrese: lui è stato trasferito nel '38, e c'era l'Italia lì nel '38, e poi si è sposato con mia madre che era di là, e lui non sarebbe venuto via, perché lui faceva il capostazione, ed era ben voluto da tutti: andava a caccia, faceva una vita [bella]. Si, certo, aveva due figli, [diventati] tre dopo, e quindi si faceva un po' fatica perché lavorava solo lui, comunque in un paesino piccolo, la vita allora era diversa. Invece mia madre, lei ha insistito parecchio per andare [via], perché lei non si trovava: parlava sempre dell'Italia. Per cui è mia madre che ha voluto venire, perché diceva [che] non ci sarà avvenire per i figli, noi avevamo dodici anni."
9) Secondo lei i rapporti tra le due componenti non erano dunque tesi. Glielo chiedo perché, altrre interviste hanno invece rivelato dei contatti molto duri tra la componente italiana e quella slava, spesso identificata con un preciso termine dialettale, s'ciavo...
R.:"Si, certo. Io mi ricordo anche qui a Lucento mia madre...Mia madre sapeva anche bene il dialetto, il croato, lo slavo, e mi diceva: sai, ho incontrato tal signora e ho parlato in slavo. E lei mi ha risposto: ma io non capisco! E invece mia madre era sicurissima che lei lo sapeva, perché sapeva dove abitava già lì in Istria, chi frequentava, e quindi non volevano parlare in croato. Ed erano diverse persone, hanno negato...E in fondo sapere una lingua è tutto un guadagno, ecco!"
10) Prima mi parlava di sua madre che ha vissuto durante il periodo fascista. A proposito di questa fase storica, vorrei chiederle se ricorda o se le hanno raccontato qualcosa della politica adoattata dal regime nei territori dell'Istria. Una politica fondata su una spinta italianizzatrice forte e penso, ad esempio, al cambiamento dei cognomi, al divieto di parlare in lingua slava. Ecco lei ha dei ricordi legati a queste vicende?
R.:"Si. Comunque, per quanto riguarda la lingua quello dei contadini si, lo ricordo. Che venivano anche picchiati se li trovavano: cioè non so, magari in un negozio loro entravano e parlavano in croato, e se c'era qualche fascista o qualcuno picchiavano. Di questo mi ricordo che se ne parlava. Loro, gli adulti, noi [bambini] sentivamo. Invece l'unico ricordo che io ho è che sono stata ventiquattro ore in carcere! Con mia nonna, mio nonno, mio papà, mia mamma e mio fratello, perché allora eravamo solo noi due piccoli che avevamo pochi anni. Perché [siamo finiti in carcere]? Perché qualcuno probabilmente avrà fatto qualche spiata o qualcosa, perché poi in effetti non era vero. Avevan detto che mia nonna faceva del contrabbando e che l'avevano vista portare qualcosa in casa. Allora sono venuti [in casa], ci hanno portato via in carcere al paese, hanno guardato dappertutto, anche nell'orto e nel giardino se c'era qualche buca o qualcosa, poi però non hanno trovato niente e ci hanno rilasciato. Però questo mi p rimasto in mente, perché avrò avuto, non so, quattro anni, cinque anni, quell'età lì."
11) E della guerra lei ricorda qualcosa?
R.:"Io mi ricordo i bombardamenti, che scappavamo nei rifugi, che i rifugi erano un ponte, e avevano chiuso i due ingressi con delle tavole, delle piante, dei rami. E poi noi passavamo le notti, soprattutto le notti: avevamo delle candele, cioè non candele quelle cose tipo spiritiera che si usavano una volta per la luce, e si usavano quelle di notte, all'interno, perché erano chiuse le due entrate. Per cui si poteva anche accendere, tante volte anche di giorno. E io mi ricordo anche che mio padre aveva scavato una specie di rifugio...Noi eravamo vicini alla collina, che c'era una pineta, e mio padre di giorno quando terminava il lavoro andava a scavare. Però ci siamo andati poche volte, perché era troppo piccolo! Potevamo stare solo noi come famiglia, e poi non c'era una chiusura, non c'era nulla. Era solo un buco scavato, per cui siamo andati una volta o due e poi non siamo più andati. E invece lì sotto al ponte era pieno di persone."
12) Perché a Pisino hanno bombardato parecchio?
R.:"Si, si, si. Fino a pochi anni fa c'erano ancora [i segni+. Poi i tedeschi hanno bruciato, i tedeschi. Io poi ho avuto tre zie ad Auschwitz, che son tornate tutte e tre, comunque. Che una ha avuto il marito ucciso vicino al cimitero: lei era coi bambini e il marito, e hanno ucciso il marito con altri. Di fronte ai bambini. I tedeschi, questo. Ma c'era una lotta! Cioè, c'erano i partigiani, i tedeschi, i fascisti, c'era proprio una mescolanza!"
13) Lei ad esempio dei tedeschi cosa ricorda, ammesso che li abbia visti...
R.:"No, io li ricordo, perché passavano con i treni. Per esempio noi avevamo un amico che era tedesco, cioè il rapporto con alcuni era buono. Probabilmente, forse anche la mia famiglia era...Cioè di politica non si occupava, mio padre non si occupava di politica, né prima, cioè né col fascismo, e né dopo. Lui era amico di tutti, nessuno poteva pensare che lui fosse partigiano o fosse fascista, perché lui lavorava e faceva la vita di casa: la famiglia, gli amici, il bar, giocare a bocce e a caccia. Lui quando andava a caccia andava in giro, arrivava da qualche contadino, faceva amicizia e magari erano proprio poveri, poveri e lui una volta ha costruito un panchetto e [lo ha dato a una famiglia contadina] e ancora adesso quando siamo andati con mio marito, cioè dopo più di cinquant'anni, quella famiglia il panchetto lo aveva ancora."
14) E dei partigiani, cioè di chi era in bosco, lei ha dei ricordi?
R.:"No, io non me li ricordo, però sapevo di alcune persone che erano partigiani, perché sentivo parlare in famiglia, anche tra i miei parenti lì a Saleza che l'hanno anche bruciato abbastanza, probabilmente per qualche soffiata. Io ho sempre sentito dire questo, cioè che qualcuno ha fatto la spia, poi erano venuti i tedeschi, li hanno messi al muro e hanno anche bruciato diverse case."
15) E mi diceva prima che alcune sue zie sono state deportate...
R.:"Si due abitavano lì in questo paese, e una invece abitava a Pisino."
16) Deportate politiche?
R.:"Politiche, per me si, tutte e tre. Perché facevano attività partigiana, bravissime persone. Una è ancora viva, le altre due è invece pochi anni che sono morte."
17) Prima lei mi ha detto di essere stata in carcere per accuse di contrabbando. Ne deduco che soprattutto durante la guerra doveva esserci un po' di borsa nera. Lei ricorda come funzionava?
R.:"So che i contadini andavano a vendere a Pola e a Rovigno i loro prodotti. Andavano a venderli perché a Pisino non riuscivano a venderli, non era numerosa la città, e andavano spesso in treno. Però come contrabbando non so, l'ho sentito in generale, come anche qui l'ho sentito degli abitanti di Torino, come anche in meridione. Un po' dappertutto [c'era] il contrabbando. Però il contrabbando lì non so, cioè forse c'era, però della mia famiglia ho solo sentito il fatto che siamo stati portati [in prigione]."
18) Lei prima mi parlava dei partigiani. Ricorda l'ingresso dei titini a Pisino?
R.:"Non mi ricordo il giorno, però mi ricordo. Ad esempio anche quando io facevo la prima elementare, quando andavo a scuola, noi quando arrivava Tito eravamo contanti, perché si festeggiava, facevano dei regali. Se lui arrivava a Pola tutta la scuola andava in treno a Pola, aspettavamo che ci fosse la manifestazione, facevamo la ginnastica, come i fascisti! Coi fascisti io non l'ho fatta perché ero piccola, ma con Tito si! Quindi ai ragazzi piaceva."
19) C'era dunque molta propaganda...
R.:"Si, certo. Però, ad esempio, appena finita la guerra, alcuni fascisti, anche giovani, erano stati mandati a lavorare in ferrovia. Cioè stavano costruendo una ferrovia a Monte Maggiore, e io mi ricordo, anche tra i miei parenti, che molti [per] tre mesi, quattro mesi, sei mesi, li prendevano e li portavano lì, senza essere pagati e senza nulla, solo il mangiare avevano. E si lamentavano che era duro quel lavoro lì, perché lavoravano parecchie ore. Io non so esattamente per quale motivo [li portassero lì] , non avevo mai parlato con i miei anche di questi qua che lavoravano lì, so solo che questo fatto era successo, soprattutto giovani."
20) Abbiamo parlato della propaganda titina. Si ricorda alcuni esempi in proposito?
R.:"Nelle scuole, per esempio, quando c'era una festa ci si riuniva la teatro , e poi c'era musica, che eravamo tutti in divisa, no? Eravamo tutti in divisa per andare alle manifestazioni."
21) E com'era la divisa?
R.:"Mi pare la camicia bianca, la gonna blu e il fazzoletto rosso. La bandiera, la bandiera jugoslava! E per esempio ci davano del latte e qualcosa a merenda, a scuola questo. E invece quando c'era il teatro, c'era qualche spettacolo, tutto impostato su Tito e su quello che faceva, sul bene che faceva. E venivano anche i genitori. Mia mamma veniva, mio padre no, perché era anche meno libero. Mia madre veniva sempre, con i bambini, venivano le mamma soprattutto. Poi ci facevano anche qualche regalino. Mia mamma, ed è una cosa che ricordo bene, già verso il '49-'50, lei faceva tutta la notte di coda davanti al negozio per comperare una pentolina; poi magari non riusciva a prenderla perché ce n'erano poche, però ne ho ancora un paio io. Mi ricordo mia madre che andava con le amiche, ci avvisava a noi e mio papà: guardate che vado a far la coda lì. Oppure anche per i medicinale, però i medicinali diciamo che i miei son sempre stati beni, però è capitato [di andare] per una zia, per qualcuno che non stava bene, e anche lì bisognava fare la notte per avere qualche medicinale, se si riusciva a prenderlo. Perché c'era poco: e infatti mia madre è anche per quello che ha deciso di partire, era troppo faticoso."
22) Parliamo ora di una pagina triste della storia dell'Istria. Mi riferisco alla foibe. Vorrei sapere se voi ne avevate la percezione, oppure se è una cosa che avete saputo dopo.
R.:"Si, l'avevamo. Si, perché io, chiaramente non le ho mai viste, però sentivo dire di qualcuno che era stato buttato nella foiba. Dai miei parenti, proprio. Da mio padre, da mia madre, perché loro lo venivano poi anche a sapere. Anche perché poi il paese è piccolo: lei lo faceva a piedi in un quarto d'ora. Poi una volta mia mamma raccontava di alcuni impiccati, però quelli erano partigiani. Noi abitavamo un po' più su [in collina] e lei [un giorno] andava a fare la spesa giù in paese. [C'era un viale], e mentre scendeva per la pineta, lungo la strada c'erano sette o otto impiccati, partigiani, ma allora era abbastanza normale. E così si sentiva dei fascisti nelle foibe. E poi mi ricordo anche una cosa Andando a Trieste. Perché noi, una volta al mese, avevamo la possibilità di andare a Trieste, e andavamo mia madre e io, noi due andavamo. Mi ricordo che andavamo anche al cinema con delle zie - io avevo delle zie a Trieste - , e al cinema vedevamo sempre quei documentari brevi, tipo Incom ma non si chiamava Incom. E facevano vedere mucchi di morti, mucchi di vestiti, e forse si riferivano già ad Auschwitz. Perché c'erano mucchi di abiti in mezzo a un cortile, per esempio, oppure alcune persone che però si riferivano alla guerra: non so, ad esempio la madre e il bambino accanto a un cespuglio uccisi. E queste cose...Io mi ricordo che per tanto tempo sognavo sempre la guerra, per parecchi anni. Quando ero piccola, ma poi anche dopo nel '51, quando venimmo qua, a me capitava di sognare la guerra."
23) Ritornando a parlare delle foibe, lei ne aveva dunque la percezione. In che termini?
R.:"Si, ad esempio anche un amico di mio papà era sparito, e poi dopo si è saputo che lo avevano buttato nella foiba. Però, esattamente, non glielo so dire."
24) Posso chiederle secondo lei cosa stava dietro alle foibe?
R.:"Ma secondo me vendette si, vendette senz'altro. E poi si sa che durante la guerra, o quando sta per finire tra le varie parti succedono delle cose strane,. Come anche qui [in Piemonte]. Si, si, non posso dire che non sia vero, però non ho visto, ho solo sentito dire, se ne parlava."
25) Parliamo ora dell'esodo. Lei mi ha detto di essere partita più tardi rispetto alla prima ondata...
R.:"Nel '51, e sentivo dire che era molto tardi già. Ed i miei chiedevano a qualcuno: mai voi venite? No, non veniamo. C'era qualcuno indeciso ancora. E siam partiti quasi soli, c'era solo qualche famiglia con noi. Era già un bel po' che aspettavamo quel visto, si chiamava così allora. Poi è arrivato, e allora ci siam messi d'accordo con queste due o tre famiglie, si son messi d'accordo i miei, e siam partiti al mattino presto. Abbiamo - in realtà hanno [i miei genitori]- venduto dei mobili , che io ho poi ritrovato [quando] sono andata a trovare delle persone nel '65, '68."
26) E della sua famiglia sono partiti tutti?
R.:"No, tutti i miei parenti son rimasti, solo noi quattro siamo partiti."
27) Voi siete quindi partiti dopo, ma della prima grande ondata, quella a ridosso del '47, ha dei ricordi?
R.:"Eh, sentivamo sempre, sentivamo sempre. Però mio padre non era deciso assolutamente, mia madre probabilmente non insisteva, forse lei sperava. Si sperava sempre di stare meglio, di questo anche mi ricordo. Dicevano: eh, ma vedrai, si starà meglio, ci sarà il lavoro, anche per i bambini, e invece poi si peggiorava, le cose peggioravano dopo la guerra questo, con Tito."
28) Ma in che senso peggioravano?
R.:"Peggiorava tutto: non c'era lavoro, non c'era da acquistare, chi poteva...Ecco, lì in quel periodo c'era anche il contrabbando con Trieste, per esempio. Si andava a Trieste, oppure si passava il confine, si corrompeva qualcuno, non i miei, perché noi non avevamo soldi, non avevamo denaro! Ma chi aveva la campagna, oppure aveva denaro - perché c'era qualcuno che aveva denaro - corrompeva. Ma anche ultimamente, anche gli ultimi anni, anni Cinquanta eccetera. Me lo raccontavano ancora i miei parenti che sono rimasti lì."
29) Cioè si corrompeva qualcuno alla dogana...
R.:"Si, [si corrompeva] alla dogana e si poteva portare dentro qualsiasi cosa da Trieste. O portavano dei prosciutti, quelli istriani, che erano e sono rinomati anche adesso, oppure si portavano altre cose che i doganieri lasciavano passare sia all'andata che al ritorno. E quindi si andava sia a vendere che a comprare, uno scambio."
30) Ritornando all'esodo, vorrei solo sapere se Pisino era una città che durante la pri ma ondata di partenze si era già svuotata...
R.:"Si, parecchi erano andati via, tutti i ricchi! Ci sono case [i] R., i M., di origine anche tedesca i cognomi, G., tutti nomi famosi che poi sono venuti anche qui in Italia. U., i parenti di U. U.. No, no, parecchi...Tutti hanno lasciato le case, ma dei palazzi. Palazzi nel senso di case belle dell'Ottocento."
31) Quindi secondo lei nella prima ondata a partire è stata la gente che stava economicamente meglio?
R.:"Si, la più abbiente, perché temevano che Tito confiscasse tutto e che non potessero lavorare più come avevano lavorato. A vendere, comprare, negozi, di tutto un po'."
32) A Pola nei giorni dell'esodo si respira un'atmosfera che vede gli abitanti inchiodare casse e smontrare case prima di andare via. A Pisino l'atmosfera era la stessa oppure i toni erano più soffusi?
R.:"No, molto più soffusi. Si, anche mio padre aveva fatto qualche cassa, aveva acquistato [dei bauli] per mettere dentro le pentole e tutte quelle cose che potevano servire subito, aveva portato anche il fucile da caccia, poi però l'aveva venduto. Comunque si, queste casse contenevano però soltanto cose piccole."
33) Lei, vista anche la sua età, si è trovata, per forza di cose a seguire i suoi genitori nella decisione di partire. Ecco, posso chiederle, secondo lei, quali sono stati i motivi che hanno spinto i suoi genitori a prendere questa decisione?
R.:"Eh, come le ho detto mio padre non voleva. Mia madre, invece, non ce la faceva più, continuamente discuteva con mio papà perché lei voleva venirsene via per i figli. Per i figli, perché non 'era possibilità di [crescita]. Si, studiavano, perché per esempio tutti i miei parenti son tutti laureati; si son tutti laureati e lavorano, tutti. Son già un po' più giovani, son quelli del '50, sono nati intorno agli anni Cinquanta. [Mia mamma] non vedeva nessuna possibilità , [non vedeva] un futuro per i figli. E poi mia madre, nonostante non abbia mai avuto nessun motivo, con gli slavi ce l'aveva, diceva sempre: sti comunisti...Ecco, [diceva] sti comunisti! Peccato che dopo della famiglia [siamo] tutti di sinistra! I nipoti, i figli..."
34) Questa è stata una scelta. Dunque nel suoi caso la motivazione della paura, che tanta spinta diede nel '47, non sembra esserci...
R.:"No, almeno nella famiglia o cose anche di altri no. Infatti io quando leggo su qualche articolo, o anche sui libri di queste paure della gente che partiva di notte con le masserizie che scappavano, io non mi [ritrovo]. Non so, o [era] tutta gente benestante che aveva paura che venisse loro confiscato tutto, oppure paura dei partigiani...Ma dopo no, dopo no."
35) Le ho chiesto questo, perché secondo me l'esodo e le cause che lo inducono, non possono essere esclusivamente ricondotte alla paura. Pensi ad esempio, ma questa è una mia personale opinione, ai contadini, spinti secondo me a partire in gran parte dei casi dal nuovo sistema agricolo delle cooperative introdotto dalla Jugoslavia. D'altronde l'ipotesi mi sembra emergere anche in alcuni passi di Tomizza...
R.:"Si, però contadini non piccoli!Scusi, sopra casa nostra qui a Lucento, dove abitavo anche io, una signora aveva una panetteria grandissima ad Orsera - non so se l'ha sentita A., parente di A. - ecco, loro erano ricchi, proprio. Infatti, ancora qui chiamava mia madre e le diceva: venga su, venga a vedere che lenzuola che avevamo, di lino, asciugamani tutti ricamati, Cioè, noi non ce l'avevamo, eravamo una famiglia modesta, ma non avevamo tutto quello che avevano loro. Loro anche i piatti avevano portato, anche i mobili, anche i mobili erano belli, cioè, era gente ricca. E poi c'erano anche dei contadini lì vicino a mia madre che possedevano tante terre. E anche quelli son venuti via. Per cui non c'era soltanto la paura. C'era senz'altro la paura di non possedere più."
36) Quindi, spostando il discorso a livello generale, se le chiedessi quali son stati i motivi che hanno influito sulla decisone di partire lei cosa risponderebbe?
R.:"Ma, secondo me il denaro [e] la perdita dei beni ha influito molto, senz'altro."
37) E ribaltandole la domanda. Cioè, tanta gente è andata via, ma qualcuno - in aprte minore - è anche rimasto. Secondo lei cosa c'è alla base di questa scelta?
R.:"Nella gente rimasta...Cioè la gente rimasta ha fatto molta fatica i primi anni dopo che noi siamo andati via. Perché noi ci tenevamo in contatto con i miei zii, facevano molta fatica, continuavano ad andare a Trieste anche loro a fare contrabbando in un certo senso, quasi tutti. Stavano bene, però molte volte...Ad esempio, mio zio era ispettore al comune e lui stava abbastanza bene. Poi un altro mio zio faceva il decoratore e stava bene, non da ricco, ma da potersi fare una casa, comprare una casa... Però sulla scelta di restare c'è stata anche una componente politica, si secondo me si. Di tutte queste mie zie una sola è partita, abitava a Trieste. Quando è tornata da Auschwitz è andata a viver a Trieste. Ha sposato uno del paese ed è andata a vivere a Trieste. Però si, qualcuno si...Cioè, ce n'erano di patiti! Fnatici ce n'erano, anche le donne, eh!"
28) Ah si. Cioè?
R.:"Si. Io sapevo che...Ad esempio, anche tra mio papà e mia mamma, perché i miei giocavano tutte le sere a carte, quindi venivano sempre degli amici, o i vicini o altri. E quindi sentivo che dicevano: sai, ma quella lì è sempre al partito. Parlavano di persone che andavano alle riunioni. Poi a un certo punto era anche obbligatorio: a un certo punto non si doveva neppure andare in chiesa, frequentare la chiesa. Si frequentava di nascosto. Mi ricordo mia zia Lina che lo diceva. Io non lo ricordo personalmente, perché noi non frequentavamo, non eravamo tipi [di chiesa], anche i miei. Si, qualche volta noi ragazzi andavamo a messa la domenica perché dovevamo andare: ci dicevano andate, andate che tutti vanno. [Lo dicevano] i miei. Però mio papà e mia mamma non erano frequentatori di chiesa."
29) Questa cosa della chiesa è vera, nel senso che vengono abolite anche alcune feste, mi sembra, tra cui anche il natale...
R.:"Si, si, fino a pochi anni fa. Non si poteva [celebrare], però lo facevamo di nascosto, la messa si faceva, andavano lo stesso, però senza pubblicizzare."
30) Suo padre faceva il ferroviere, ma quando c'è stato il passaggio dall'Italia alla Jugoslavia, cosa ha fatto?
R.:"Niente, è passato, ha mantenuto la stessa stazione del paese, ha continuato a fare il ferroviere. Per quello dico: mio papà è rimasto sempre neutrale, anche se sotto il fascismo lui mi aveva detto - e questo me lo ricordo perché io gli avevo chiesto - che io avevo sentito che sotto il fascismo se non avevi la tessera non avevi il lavoro. E in effetti lui, quando è stato mandato dalla Calabria lì [in Istria], aveva ventotto anni, così, e lui aveva la tessera, aveva la tessera. Però, appunto...E quindi lui poi si è sposato, ha avuto i figli e...A parte che poi c'è stata la guerra, quindi...Nel '40."
31) E lui la guerra l'ha fatta?
R.:"E' stato richiamato per un sei mesi: è andato a Trieste ed era in un ufficio però, è stato in un ufficio. E' stato in un ufficio e poi è tornato, sei mesi circa."
32) Vorrei ancora chiederle una cosa sulla Jugoslavia. Lei ha vissuto il passaggio da uno stato, l'Italia, a un altro, appunto la Jugoslavia. Ecco, cosa cambia in questo passaggio? Cioè, subentra, credo un mondo nuovo, portando con se un cambiamento tangibile...
R.:"Ma senz'altro, però io non ne ho risentito. Per esempio a me piaceva molto il fatto...Cioè, io mi ricordo che io frequentavo una classe mista, prima non c'erano le classi miste, almeno lì, sotto l'Italia. E questo me lo dicevano i miei parenti. Qui a Torino in corso Svizzera c'è ancora una scuola, non so se lei la conosce, che hanno lasciato la scritta esterna...In corso Svizzera, dove c'è il PAM, all'angolo c'è una scuola con la scritta [classe] maschile e femminile. E tanti me lo dicevano. Invece noi eravamo nella [classe] mista. E questo, pensandoci dopo, era già una differenza. E poi c'erano gli insegnanti...C'erano pochissime maestre, perché molte erano andate via, e bastava che una avesse una terza media, e insegnava per diversi anni. Subito dopo la guerra, nei primi anni, c'erano tutte insegnanti non diplomate. E questo me lo ricordo bene, perché mia mamma aveva due amiche che insegnavano. Però mi ricordo bene [anche] questo fatto qui, che tante volte alcuni venivano anche criticati, perché c'erano anche persone che non avevano neanche una preparazione minima e venivano incaricate dell'insegnamento."
33) Torniamo a parlare dell'esodo e del suo viaggio. Lei è partita nel 1951...
R.:"Nel 1951. Non so quanti giorni prima dell'alluvione [del Polesine], perché noi arrivati a Udine avevano detto che non si poteva più passare. Quindi non so quando. Quando è stata l'alluvione? Mi sembra il 4 novembre...E forse ci hanno fatto andare perché dovevamo partire: c'era il visto, c'era già un termine per cui noi dovevamo partire. E poi però ci hanno fermato lì perché non si poteva passare. E di questo particolare mi ricordo, che non si poteva passare con il treno. Invece al mio paese mi ricordo i miei parenti, qualche amico...Però io ero felice, ma non perché andavo via da casa mia, ma perché andavo in un posto nuovo. Anche adesso mi piace girare moltissimo dappertutto, quindi mi ricordo che dicevo alle mie amiche: io vado in Italia, vado in Italia! Invece, quando siamo arrivati qui mia madre piangeva tutti i giorni, veramente! Quando eravamo al campo profughi, sia a Servigliano, sia a Torino [mia madre piangeva]. Perché noi lì avevamo un bell'alloggio in una palazzina signorile...Non era nostro, eravamo in affitto e questi [i proprietari] erano andati in Italia. Ed era [una casa] bella, cioè mari, le scale in marmo, con i bagni all'interno. E quindi mia madre pensava a tutto quello che aveva lasciato, a un certo punto. I parenti...Lei cuciva, ma non faceva la sarta, aveva imparato da sarta, ma cuciva gratis, quasi, nel senso che non chiedeva mai i soldi, mai, mai, mai. E allora anche quelli che abitavano in campagna che facevano mettere il collo a una camicia, che allora si cambiava, o facevano aggiustare qualcosa per i bambini...E le persone le davano sempre qualcosa: o sei uova, o due chili di farina, e quindi, anche per quello, noi non avevamo problemi per quanto riguarda [il cibo], perché c'erano persone che avevano problemi anche per quanto riguardasse il cibo."
34) Quando siete partiti, c'erano delle limitazioni? Nel senso che siete riusciti a portare con voi ciò che volevate oppure avete dovuto abbandonare qualcosa?
R.:"Ma, quando siamo partiti noi penso che i mobili non so se [potevamo portarli]. Noi... I miei volevano venderli, perché solo pensare di partire così con tutti i mobili come sono partiti i primi...Che [i mobili] sono ancora lì a Trieste, e c'erano anche mobili belli, tutti ricchi erano! Comunque penso che li abbiano venduti, ma forse non potevamo neanche tenerli."
35) Quindi voi avete fatto in treno da Pisino a Udine...
R.:"Da Pisino a Udine. Poi lì ci siamo fermati in una caserma militare."
36) Ecco, e lei se la ricorda questa caserma?
R.:"Si, sono andata un po' di anni fa...Come zona e come tutto a me sembrava fosse ancora quella."
37) E com'era?
R.:"Ma, era una caserma piano terra e primo piano, come edificio. Non c'erano le casermette lì dove eravamo noi. E poi mi ricordo che subito ci hanno separati: i maschi di qua e le mamme coi figli dall'altra parte. E noi ci chiedevamo: ma perché, io voglio andare con mio papà! Invece non si poteva. E poi facevano da mangiare loro, ci davano da mangiare e si dormiva in tanti, negli stanzoni. Questo lì, invece nei campi [si dormiva] anche in una stanza."
38) Perché poi da Udine si veniva trasferiti...
R.:"Eh si, ti davano un posto e andavi."
39) E si poteva scegliere?
R.:"Io non mi ricordo che si scegliesse. Dopo mio papà ha scelto Torino, ha chiesto [di andare] a Torino, perché non c'era lavoro lì [a Servigliano]."
40) Quindi voi da Udine siete andati...
R.:"Siamo andati a Servigliano e siamo stati lì due anni. E di lavoro mio papà aiutava un ufficio lì al campo, aiutava le pratiche per i profughi, però senza essere pagato, chiaramente. E anche lì cucinavano, però noi non abbiamo mai mangiato alla mensa, diciamo, perché non ci piaceva. Anche mia madre non riusciva a mangiare, e allora lei comprava qualcosa: ci davano, allora, 100 Lire, ma io non mi ricordo se era a persona o tutti insieme. E allora noi con quello mangiavamo: andavamo a prendere il latte e mia madre cucinava."
41) E il campo di Servigliano com'era? Riesce a descrivermelo?
R.:"Era un campo militare, con tutte casermette [padiglioni] come quelle di [borgo] San Paolo, ma solo più piccole, solo un po' più piccole. Io adesso quest'anno siamo andati per la seconda volta, e abbiamo incontrato una persona che non conoscevamo, ma ci ha parlato qualcosa, ci ha detto qualcosa [sul campo]. Il campo...ci sono ancora delle mura attorno, però una parte minima, perché si vedeva dentro, all'interno, passando dalla strada. Tre casermette sono rimaste, le hanno vendute a qualche famiglia e le hanno ristrutturate, l famiglie. Esternamente sono uguali, come allora, ci sono [ancora le] tre scalette per scendere, però sono belle, hanno il giardinetto intorno e sono carine come case, ecco. E allora le hanno vendute, dopo che lo hanno chiuso. E lì mi ricordo questo, che in una stanza stavamo in due famiglie, e avevano steso delle coperte per dividere una famiglia dall'altra, e [lo abbiamo] fatto anche qui a Torino, appena arrivati, la stessa cosa. E dopo un certo periodo i nostri vicini se ne sono andati e abbiamo poi avuto tutta la stanza."
42) Non le chiedo la cifra esatta, però a Servigliano, a grandi linee, eravate in tanti?
R.:"Un centinaio, non di più. Giuliani e dalmati."
43) Non c'erano quindi altre categorie di profughi?
R.:"No, no. Di Fiume, di Pola, un po' dappertutto."
44) Posso chiederle com'erano invece i rapporti con al popolazione locale a Servigliano?
R.:"Io non mi ricordo proprio delle amicizie, [parlo] dei miei [genitori], perché mia madre [ad esempio] si trovava sempre con le altre donne a lavorare a magia fuori dalla baracca. E sinceramente non mi ricordo questo fatto qui. So che partecipavamo alle feste, quando c'erano le feste del paese, le feste di paese proprio, e allora si andava tutti. Si, a parte il pesce in piazza, che a me piaceva anche - e piace ancora adesso!- , ma anche far rotolare il formaggio lungo le strade, e questo tutti gli anni si faceva, lo facevano quelli del paese, e noi andavamo. Oppure, c'è ancora il fiume lì, il Lemme, e mio papà andava spesso a pesca, pescava qualcosa. Però come divertimento era quello."
45) Ho capito. Non avete dunque avuto episodi di discriminazione?
R.:"No, no. Mia madre non si è mai lamentata, perché era soprattutto lei quella che si lamentava, se c'era da lamentarsi...No, no, questa cosa qui no. Poi i marchigiani io li ho trovati molto gentili, anche adesso. Sono molto gentili e sono molto cordiali anche adesso, e penso [lo fossero] anche allora. Difatti qualcuno si è sposato con delle persone di lì: ragazze con ragazzi dell'interno, e viceversa. E adesso sono a Torino, lì a Lucento."
46) A Servigliano, mi diceva, suo padre lavorava nel campo. Vorrei chiederle se a Servigliano ci fossero opportunità lavorative...
R.:"No, no, niente. Non ho mai visto andare a lavorare mio papà. Invece qui a Torino, i primi tempi si."
47) E a Servigliano, all'interno del campo, c'erano, come a Torino delle scuole, un'infermeria, insomma, dei servizi?
R.:"No, no, andavamo al paese. Io ho fatto la quinta e poi due anni di professionali, tipo avviamento, che poi ho continuato qui. Che della scuola ho un ricordo splendido, perché c'era il professore di matematica e di scienze naturali che ci portava sempre in campagna a scoprire tutto. Non so, prendevamo le radici del grano e ci faceva appiccicare a l quaderno e scrivevamo che cos'era. Era fantastico questo professore. Ci declamava le poesie di Trilussa...Cioè era proprio bravo. Ma insegnava anche, eh...Facevamo anche matematica, e le scienze, come faceva bello andavamo per i campi, tutta la classe nostra, perché lui faceva così, gli altri non lo so."
48) A Servigliano avevate qualche forma di assistenza? Non so, ad esempio, oltre al sussidio ricevevate anche dei pacchi dono o cose simili?
R.:"No, io i pacchi me li ricordo in Croazia, quando abitavamo lì [a Pisino], che ricevevamo dei pacchi dell'UNRRA. E lì, per esempio, io ero stata in colonia a Porto San Giorgio. E lì in colonia mi ricordo che c'era qualcosa dell'UNRRA perché c'era il marchio, forse gli scatoloni. E poi c'erano prodotti dell'Opera Pontificia, ecco. [Ci davano] delle gallette dure, e comunque noi mangiavamo parecchie cose dell'Opera Pontificia, invece prima dell'UNRRA."
49) Dopo Servigliano voi arrivate dunque qui a Torino. In che anno?
R.:"Nel 1953".
50) E come mai a Torino?
R.:"Perché, probabilmente, mio papà sentiva che a Torino si trovava il lavoro. Però mio papà non l'ha trovato, perché mio papà, in fondo, non aveva mai fatto lavori di fatica, cioè non era abituato, non li sapeva neanche fare. Cioè si , faceva delle cosine così tipo lo sgabello che ha fatto, ma non era un lavoro. Comunque è stato parecchi mesi senza lavorare. Poi lì [alle Casermette] ci davano anche qualche cosa al giorno, perché neppure lì noi mangiavamo alla mensa, e quindi qualcosa ci davano, ma proprio un minimo, solo per mangiare. E mia madre sapeva cucire, per cui noi andavamo ancora abbastanza bene. Parecchi mesi è stato senza lavorare, e poi lui a forza di chiedere di qua e di là ha trovato un lavoro che non si adattava a lui, probabilmente io me lo immagino, però lui è andato. E' andato a fare lo stradino, a lavorare lungo le strade, [come per esempio] al Sangone, e qualche volta lui ci portava e poi noi magari facevamo il bagno al Sangone, con mia madre sempre, e lui si metteva a lavorare con gli altri. E penso che quegli anni siano pesati molto a mio papà, però, diversamente, non c'è stato nulla, per parecchio ancora, e alla fine ha fatto la domanda alla Fiat ed è entrato alla Fiat come operaio, ed ha fatto una decina di anni, dodici anni, dal '56 fino al [1968]. Perché abitavamo già di qua [a Lucento] che mio papà ha iniziato alla Fiat. Per dodici anni ha lavorato alla Fiat, Fiat Mirafiori, che io mi ricordo che andava in bicicletta per non spendere, anche d'inverno. Da Lucento fino a Mirafiori andava."
51) Nella ricerca del lavoro, c'erano dei canali privilegiati da seguire?
R.:"C'erano, c'erano..."
52) Non so, mi viene in mente, ad esempio, Don Macario...
R.:"Don Macario? Allora se mio padre ha fatto la domanda e poi sia andato da don Macario non credo, forse ha trovato qualche altra strada, e per me è stata la stessa cosa. Quando io poi ho iniziato a lavorare, mia mamma mi diceva: guarda che ho sentito dire che Don Macario ha lì una lista di tanti nomi e vanno tutti: lei va, lei l'ha data, [insomma] tutti quanti andavano a dare il [nominativo]. Ma io pensavo che fosse una cosa che la fabbrica tramite il prete [lo richiedesse]; non pensavo a chissà cosa, non ero maliziosa, non pensavo che fosse una cosa già collaudata. E quindi una volta sono andata e ho lasciato il mio nome. Ad un certo punto ne hanno chiamate una ventina di ragazze, però io non sono stata chiamata, perché noi non frequentavamo [la chiesa]. E ogni tanto mia madre mi diceva: ma perché non vai a vedere? E io le dicevo: no mamma, io ho dato il mio nome ma non vado! Son sempre stata così io per queste cose. Non sono più andata, e io non ho mai avuto un lavoro da loro, mai. Poi avevo degli amici, anche loro istriani, e uno lavorava alla motorizzazione, e un giorno mi fa: Adriana - perché eravamo amici - guarda che da noi cercano, se vuoi venire a provare...Sono andata il giorno dopo, ho fatto una prova e mi hanno assunta. Però, allora, mi hanno assunta come cottimista, anche se non era una fabbrica, e lavoravamo per 30.000 Lire al mese. Questo nel '61. Per tre anni - anzi no, fino al 1965 - io ho lavorato con questo compenso, e poi invece ci hanno sistemato, abbiamo fatto un esame e siamo passati. Eravamo diversi, diversi eravamo. Invece gli altri alle poste erano andati, tanti [sono andati] alle poste."
53) Le ho parlato di don Macario perché molti dei testimoni intervistati mi hanno detto che lui era il tramite diretto con la fabbrica...
R.:"Si, si doveva passare dai preti, praticamente! E' così, si, si. Io frequentavo, però io andavo all'oratorio, perché lì si giocava. Anche alle Casermette io andavo sempre all'oratorio, però non frequentavo [la chiesa] e anche dopo non ho più frequentato."
54) Delle Casermette abbiamo parlato prima. Posso chiederle se riesce a descrivermele? Come se le ricorda?
R.:"Ma lei le ha viste?"
55) Si, si, certo.
R.:"Adesso ci sono i militari, c'è la polizia. Comunque, c'erano due campi: uno [era] arrivando da Torino a destra, e quello a destra aveva due palazzine, proprio all'ingresso,e lì stavano gli impiegati. E noi eravamo tutti in fila uno dietro l'altro: c'erano i gabinetti al fondo, proprio come i militari! Poi c'era una parte dove cucinavano, un'altra parte però, non dentro lì alla Casermette. Sempre dentro al campo, però da un lato: c'era un'altra costruzione, un edificio dove c'erano delle cuoche che cucinavano, c'erano delle docce dove andavamo a fare la doccia lì quando volevamo. E poi [c'era] l'oratorio nell'altro campo e noi andavamo sempre perché, appunto, ci divertivamo, perché c'era di tutto: patini, calcio balilla. Al calcio balilla io ho sempre giocato, poi i pattini! No, per quello mi piaceva, come tutti i ragazzini, eh! Forse solo mio fratello non veniva, forse i maschi un po' meno. Mio fratello ha un anno in più, però io me lo ricordo poco [all'oratorio]. Forse [veniva] quando si facevano qualche partita [di calcio] o qualcosa."
56) Partendo dalle Casermette le chiedo in realtà una cosa più generale. E cioè che secondo me la vita nei campi non ha pesato molto per i bambini che, al limite si divertivano anche, ma soprattutto sugli adulti. E' ovviamente una mia opinione, posso chiederle l sua?
R.:"Si, senz'altro. I genitori, papà e mamma [hanno patito di più]. Perché papà ha cercato il lavoro, e la mamma doveva tirare avanti una famiglia. Io avevo tredici o quattordici anni e sono stata alle Casermette fino a quindici anni."
57) Dopo le Casermette lei si trasferisce a Lucento. Che ricordi ha del quartiere subito dopo il vostro arrivo?
R.:"Per noi ragazzi era sempre la stessa [cosa]: si continuava ad andare all'oratorio, poi andavamo, in agosto, alle giostre lì a Lucento. No, io non mi ricordo qualcosa di particolare...Si, c'erano le persone che andavano sempre in chiesa, questo si. Le vedevamo, le conoscevamo, però ognuno è libero di vivere come vuole".
58) Da un punto di vista della struttura architettonica, il borgo come si presentava all'epoca? Ho idea che ci fosse ben poche oltre alle case costruite per i giuliano-.dalmati...
R.:"Intorno non c'era niente, c'era solo [le case] quelle cosiddette dei torinesi, erano di fronte. E si andava al cinema Lucento -anche al cinema [si andava] tutte e domeniche - perché all'oratorio ci davano il biglietto per il cinema e noi andavamo al cinema col biglietto gratuito. Anche perché mio papà - era già il '55 - aveva quattro figli allora, e non è che mi potesse dare tanti soldi per i divertimenti."
59) A questo proposito, posso chiederle come passava a Torino il suo tempo libero? Non so, oltre al cinema andava magari a ballare?
R.:"No, no, a parte che non mi è mai piaciuto. Ah, poi ricordo che mia madre mi dava 195 Lire per comprarmi un paio di calze, nylon! Facevo le superiori, e allora mi ricordo che quasi sempre le rompevo il lunedì, e tutta la settimana portavo le calze rotte, perché non avevo il coraggio di chiedere [altri soldi]. Io sapevo le condizioni della famiglia, e non avevo il coraggio di chiedere altri soldi. Io portavo le calze sfilate [smagliate], quando partivano i treni, si diceva allora!"
60) Lei dopo le Casermette si trasferisce a Lucento. Posso chiederle che effetto le ha fatto passare dal campo profughi a una casa vera e propria?
R.:"Eravamo contenti, si, si. Però mi ricordo sempre le discussioni tra i miei e gli altri. [Per costruire quelle case] avevano stanziato una somma enorme, e poi le case, in effetti...Si, si, adesso sono delle buone case, però per allora era tutto abbastanza brutto, e dicevano: ma chi ha mangiato questi soldi? Dove son finiti tutti i soldi che gli americani avevano stanziato? E poi gli alloggi! Eravamo tutte famiglie grosse - anche noi quando è arrivata Mirella, nel '55, eravamo in sei- e lì avevano costruito tutto camera e cucina.E allora, a quel punto lì, qualcuno ha accettato due alloggi, due alloggi da camera e cucina. Invece i miei hanno preferito prendere l'alloggio con due stanze e cucina. E c'era anche chi aveva due cucine, perché un alloggio l'ha diviso in due: un alloggio di due stanze. E allora, chi aveva due alloggi, aveva due ingressi, due bagni - i doppi servizi - e due cucine, per esempio. Due cucine e una camera da letto. L'altro aveva l'altra camera da letto dell'altro alloggio, aveva il contrario. E dico: ma non sapevano quanti eravamo prima di fare queste cose qui? Ma per il resto poi le hanno sistemate, negli anni Sessanta, anche i tetti... E adesso sono discrete."
61) Le chiedo ancora una cosa. Parliamo dell'accoglienza che avete ricevuto qui a Torino: com'àè stata?
R.:"Con i torinesi? Mah, non c'erano proprio rapporti. Forse chi lavorava...Ma, mio papà per esempio mi parlava sempre dei meridionali, ci parlava sempre dei meridionali: Salvatore, e tutti quei nomi meridionali, forse perché anche lui era meridionale, e quindi legava di più. Sa, c'erano i meridionali alla Fiat, tantissimi! Dei piemontesi no, non diceva tanto. Però mi ricordo che li chiamava ...Com'è il contadino in piemontese? Ah si, barotti. E allora diceva: ah, quel barot non capiva niente, gli continuavo a spiegare e non capiva niente! Così, magari poi gli spiegava qualcosa del lavoro..."
62) Quindi voi non avete avuto episodi di discriminazione come ad esempio è accaduto ai primi giuliano-dalmati che sono arrivati qui?
R.:"Non so le prime prime al campo profughi..."
63) Non so, ad esempio c'era questo diffuso stereotipo, ovviamente sbagliato, che l'istriano fosse fascista...
R.:"Eh, ma era vero, era vero!"
64) Era vero in che senso?
R.:"Era vero che eran fascisti!"
65) Insomma, mica tutti...
R.:"Molti! Molti, non ho detto tutti, non credo!Però molti si, ancora adesso.Si, ma tanto nell'intervista non cambia niente!"
66) Volevo solo capire se anche voi avevate trovato questo clima...
R.:"No, no. Io, guardi, anche in ufficio ad esempio avevo molti colleghi meridionali, e meridionali intendo anche di Roma, [dell'Italia] centrale. E piemontesi ce n'erano pochissimi, perché i concorsi li vincevano tutti i meridionali, è vero! Va beh, ma io non ce l'ho coi meridionali! Però io dico, io frequentavo anche tutti i miei amici e mie amiche, ed erano tutti meridionali. Cioè, era difficile legare con i piemontesi, anche adesso. Adesso abbiamo degli amici, ma qui [a Rivoletto] abbiamo pochissimi amici piemontesi. Abbiamo tanti amici, ma pochi piemontesi, di piemontesi proprio pochissimi, invece di meridionali si, di più: abruzzesi, siciliani..."
67) Prima di iniziare la nostra chiacchierata, mi diceva che prima avevate fatto domanda per andare in sud America?
R.:"In Argentina. Forse la domanda l'avevamo già fatta a Servigliano, perché eravamo già a Torino quando è arrivata la risposta. Forse, questo però non lo so. I miei già avevano fatto la domanda a Servigliano, però mi ricordo che la risposta [era arrivata] a Torino. Però [noi abitavamo] non negli alloggi ma alle Casermette. Però i miei avevano rinunciato, ma forse più per non allontanarsi troppo. Avevamo tanti parenti: i nonni, i cugini, avevamo tanti parenti, anche in campagna, ed eravamo legati a tutti. Che pensi mio papà, quando gli chiedevano: tu di dove sei? [Lui rispondeva]: sono veneto. Di dove? Istriano. Pensi! Era inserito, mio papà si trovava benissimo."
68) Quindi a lui è dispiaciuto molto andare via...
R.."Si, lui, come dicevo prima, proprio non sarebbe voluto [andare via]. Poi parlava benissimo il croato, poi sa che una volta nei paesi la gente importante era il capostazione, il farmacista, il medico e il prete. E tantissime persone gli chiedevano se gli facevano una domanda da presentare...Una volta si usava molto. Lei è giovanissimo, però si usava molto allora: si andava da uno che sapeva leggere e scrivere."
69) Le chiedo ancora un'ultima cosa. Nel corso dei miei lavori ho potuto notare come quella degli esuli sia una memoria molto viva che custodisce il ricordo delle vicende delle terre giuliane. Una memoria che spesso viene trasmessa anche alle nuove generazioni. Lei con i suoi figli ha fatto altrettanto?
R.:"Io, soprattutto, diciamo che mi piace molto cucinare quello che faceva mia madre: i crauti, gli gnocchi fatti in una certa maniera, gli gnocchi con la marmellata, i dolci, anche il pane fatto in casa...Quindi tante cose della cucina. Ma infatti tutte e due [le mie figlie] lo fanno."
70) Lei è tanto che non torna in Istria?
R.:"Beh, prima andavamo più spesso, facevamo le vacanze lì. Adesso andavamo a trovare i parenti, ma adesso, purtroppo, di parenti c'è ancora una zia, quella là che è stata ad Auschwitz, e poi ci sono ancora i M., dei miei cugini figli di un'altra zia. E con quella che c'è al paese si, quando andiamo andiamo a trovarla, che è ha i figli giovani, è più giovane di me, e gli altri parenti [invece] pian piano son morti tutti. Le zie e gli anziani dei paesi vicini...E in effetti non siamo più attirati."
71) Lei ha nostalgia di Pisino?
R.:"No. Comunque mi è sempre piaciuto il mare di là, eccetera, ma [non ho nostalgia] non perché ci sono i croati. Non è motivo quello, però non ho più nessuno. Anche la casa che era di mia nonna, nessuno più la guardava, l'abbiamo tenuta per tanti anni, abbiamo fatto delle riparazioni, andavamo tutti gli anni lì, ma poi i miei fratelli o per le possibilità o per le altre cose, o per i figli...I primi anni anche loro ci andavano, andavano in vacanza lì e stavamo nella casa, e poi quando mia mamma è mancata l'abbiamo venduta. Mia mamma è mancata tre anni fa, ma forse anche perché tutte le persone con cui legavamo di più sono mancate. Ma a me è spiaciuto molto vendere la casa, però i miei fratelli non potevano, noi non potevamo prenderla tutta, perché è abbastanza grossa, e poi anche le figlie adesso hanno ventotto - trent'anni e quindi dovevamo anche pensare che se dovevamo investire dei soldi non possiamo investirli lì. E qui? Qui se abbiamo qualche lira no...Anche per le figlie...Questo, per dirle anche i nostri affari."
72) Le chiedo solo più questo. Mi ha molto impressionato la sua affermazione precedente nella quale sosteneva che tutti gli istriani fossero fascisti. Da cosa deriva questa sua convinzione?
R.:"Molti, non tutti! Se ho detto tutti mi son sbagliata!"
73) Ma perché?
R.:"Perché sono anti comunisti, ed è per quello che erano fascisti, secondo me. Non so, odiavano i comunisti: i partigiani, i comunisti, Tito. Odiavano tutto. Forse perché, i primi anni, mi ricordo che mettevano molte tasse, e allora mi ricordo che si lamentavano che si pagavano molte tasse. Non so se il motivo è quello...Non certo per la gente, non per le persone, non credo. Era, secondo me, iù sul'ideale. Ma d'altra parte era Italia, eh! Era Italia. Ma non in campagna; erano quelli delle città più grandi come Rovino, Pola, Parenzo e Orsera."
74) Anche se Rovino e Pola hanno grandi tradizioni socialiste. Rovino, ad esempio, la chiamavano Rovino la rossa...
R.:"Anche, si, si."
75) E dunque secondo lei la componente politica sta anche alla base della scelta di partire...
R.:"Ah si, secondo me si. Si, si, decisamente, decisamente. E infatti li chiamavano sempre slavi, i croati, loro, i fascisti. Cioè queste persone di una certa tendenza, chiamavano i croati sempre slavi, anche schiavi. Schiavi, s'ciavi, ecco."
76) Prima mi parlava delle foibe come delle vendette personali...
R.:"Legate alla politica? Si, secondo me si. Poi qualcuna ci sarà stata non della politica, però secondo me si."
77) Una sorta di clima di resa dei conti?
R.:"Si, anche da quello che si sentiva dire e parlare era così."