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Intervista a Giuliano K. del 23/04/2010

1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?

R.: "Sono nato a Fiume il 30 - 6 [giugno] - 1941. Sono un cancro!"

2) Mi parla della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: "Non posso. Non posso perché i miei erano nati sotto l'impero austro-ungarico. Vengo fuori da una madre mezza italiana, perché lei è nata su vicino a Tarvisio, [mentre] mio padre è nato a Vienna da nonni cecoslovacchi e ungheresi... La mittel Europa, adesso la chiamamo Comunità Europea, ma c'era già nell'Impero austro-ungarico."

3) Suo padre che mestiere faceva?

R.: "Mio padre era un meccanico, faceva i siluri al silurificio Whitehead, che era un silurificio che durante il tempo di guerra forniva siluri non solo agli italiani ma anche agli stranieri, vendeva i siluri a tutti, perché i nostri siluri affondavano le navi, i siluri che facevano a Napoli affondava il siluro! Principalmente perché nell'esplosivo mettevano acqua minerale, non mettevano acqua di mare. Mia madre [invece] era casalinga. [I miei genitori erano] persone che non per capacità intellettiva, parlavano cinque lingue, perché erano abituati -[come] quasi tutti i vecchi- a parlare italiano, ungherese, croato eccetera. Cioè [era] gente che aveva una cultura molto avanzata, perché era il sistema che ti portava ad essere così."

4) Aveva dei fratelli?

R.: "Io sono figlio unico, cioè ero figlio unico là [a Fiume], e adesso ho un fratello che è nato qui a Novara, [è stato] uno dei primi nati al Villaggio Dalmazia, le case che ci han fatto dopo la Caserma Perrone."

5) Mi parli un po' di Fiume. Che città era da un punto di vista economico, sociale, dove lavorava la popolazione... Lei come la ricorda?

R.: "Io da ragazzino me la ricordo... Cioè i primi anni del fascio non li ricordo perché ero troppo piccolo, ma mi ricordo di Tito, perché sono andato via che avevo dieci anni, e mi ricordo la fame nera che c'era e il sistema. E anzi, consiglierei di andare i nostri, a Santoro e a quella gente lì, consiglierei a loro di andare, perché si stava veramente bene! Cioè mi farebbe piacere che andassero lì a ripercorrere la strada vera, non quella qua del paradiso! Qui è un paradiso... Poi abbiamo lasciato tutto: le case, i terreni come Eligio [si riferisce a Eligio Pastrovicchio, mediatore]."

6) Tornando a parlare di Fiume, non si sbaglia a dire che era una città industriale...

R.: "Era una città industriale, perché anche la Safe, la raffineria, è un'emanazione della raffineria che c'era a Fiume [la R.O.M.S.A.]. E poi c'è un foglio dove c'è scritto che già nel 1902 o nel 1903, pensavano di fare a Fiume il crematorio dei rifiuti. Era una zona molto industriale, era il porto dell'Impero austro-ungarico Fiume, c'era il mare... Era allora una città di 60-70.000 abitanti, adesso è diventa tata [diversa]... Io ci sono andato fin quando c'era mio padre [ancora vivo], ma a me non è mai piaciuta: io ho girato il mondo, ma la mia terra adesso è Novara. Cioè lì abbiam lasciato tutto, non ho più parenti lì, non ho neinte."

7) Dal punto di vista demografico, cioè della distribuzione della popolazione qual era la situazione?

R.: "Dopo la guerra '15-'18 , c'era il governatorato, lo sai questo. C'era il fiume, Sussak, che era diviso dalla Croazia, era la linea di confine con la Croazia. E Fiume era per metà italiana e l'altro pezzo, che era Sussak, era sotto il controllo della Croazia."

8) Posso chiederle com'era il rapporto tra la componente italiana e quella croata?

R.: "Ah no, no... Vedi, io sono andato via che avevo dieci anni, sono andato pochissime volte e non mi piaceva tornare lì. Non mi piaceva il sistema, il regime che regnava e come si stava, perché c'è sempre stata la miseria nera, sotto Tito, dopo Tito, c'è sempre stata una miseria nera!"

9) Quindi la fame...

R.: "La fame me la ricordo, perché quando sono venuto a Venezia, che avevo una zio che era capitano di marina, avevo visto dei mandarini sui tavoli, e mi son preso un mandarino, che io neanche sapevo cos'erano i mandarini! E noi stavamo già bene, eh! Perché mio padre si ingegnava, era molto bravo. Io a livello personale la fame non l'ho subita, perché mio padre come meccanico faceva un sacco di cose belle e aveva idee. Perché noi siamo passati da paradiso all'inferno, perché Fiume era una città libera, era un porto franco e perciò gli operai lavoravano. Ci chiamavano i signori, ma non eravamo dei signori, eravamo gente che viveva come vivono adesso [quelli che lavorano] in aeroporto: avevi il tuo stipendio e la roba costava la metà, e quindi avevi una condizione di vita molto bella, fino a quando c'è stata la seconda guerra mondiale. Perché poi [da quel punto lì] -e tu sai la storia- a noi ci han preso per comunisti, fascisti e compagni bella. Ma quelli che son venuti via dopo il '45, i profughi giuliano-dalmati, non erano fascisti, perché i fascisti son scappati prima della fine della guerra, se no Tito li accoppava tutti, son rimasti solo gli operai. La nostra gente ha sofferto ad abbandonare tutto: abbandonare i terreni, i possessi..."

10) Lei parlava prima della Jugoslavia e delle condizioni di vita. Cosa ricorda di quel periodo?

R.: "Io non mi ricordo niente, perché non ho mai fatto una scuola croata. Ho fatto fino alla quarta [elementare] lì [a Fiume], poi ho fatto la quarta italiana. Ho vissuto le traversie e la robe che c'era, ma nulla più."

11) E la propaganda di Tito la ricorda?

R.: "Era tutta propaganda! Non potevi far niente... Non so a livello personale, lo so per sentito dire..."

12) Mi racconti...

R.: "Non potevi parlare, non potevi dire niente, se chiamavi qualcuno ti denunciavano, era un sistema di vita. Lì viveva solo ed è sempre vissuto chi ha lavorato. Gli operai non sono mai stati toccati. Quello che lavorava e non faceva politica non lo hanno toccato per niente, né i tedeschi, né i fascisti né i comunisti. Mio padre faceva quel lavoro lì: lavorava, tornava a casa, il silurificio era pieno di roba da mangiare ma lui non ha mai portato via niente perché si autodenunciavano e ti facevano poi la pelle!"

13) Della guerra ha dei ricordi?

R.: "Io mi ricordo... Perché Fiume era una città che volevano bombardare per il cantiere navale, e non potevi andare dal mare, perché avevi la montagna: su c'era la montagna e sotto avevi il cantiere e il silurificio per bombardarlo. Perciò tutti i giorni c'era un raid aereo. [Ma nella montagna] c'erano i migliori rifugi, perché era tutta roccia, erano i migliori rifugi che avevamo noi perché era tutto interrato nella roccia e come suonava l'allarme [si andava là dentro]. Difatti la nostra casa era proprio sopra il cantiere navale e sopra il silurificio e serviva da mirino: gli ultimi giorni di guerra gli inglesi l'han fatta saltare! L'han fatta saltare: mio padre si è salvato perché lavorava, e noi perché eravamo in rifugio."

14) E' una città, Fiume, che è stata bombardata parecchio...

R.: "E'stata bombardata continuamente, era una città molto importante, poi vai a documentarti! C'erano tante cose: il cantiere navale, la raffineria, il silurificio Whithead che è uno dei migliori in assoluto al mondo... Era una città che viveva, e poi dopo col comunismo non è vissuta più, perché se a Monfalcone ci mettevano tre mesi a fare una nave, lì ci mettevano tre anni: dicevano lavoro per tutti, ma nessuno lavorava! E poi c'è [anche] questo fatto: gli operai e i tecnici -Tito non era scemo- quando sono andati via i fascisti, son rimasti i lavoratori. E a Tito gli veniva gente dall'interno, gente che arrivava dalla campagna e dalla montagna che non aveva l'istruzione per il lavoro, e di conseguenza gli operai e i tecnici se li son tenuti ben stretti, dovevano prima aiutare a ricreare loro, ma giustamente!"

15) Infatti mi risulta che l'opzione non la concedessero a tutti...

R.: "L'opzione l'abbiam fatta subito quando c'è stata, ma non accettavano immediatamente, l'accettavano in base alle loro esigenze. Mio padre [ad esempio], so che a lui gli facevano ponti d'oro per rimanere, perché era personale in gamba. Lui ad esempio ha fatto cinque anni di guerra con gli aerosiluranti con il nostro governo. Lui era con Buscaglia, medaglia d'oro, di Novara: lui gli metteva su i siluri e Buscaglia andava poi a silurare."

16) Parlando sempre del periodo della guerra, si ricorda se a Fiume ci fosse la borsa nera?

R.: "Oh ma scherzi! Imperava la borsa nera! E prima della guerra, essendo noi una zona franca, tutte le nostre mamme e le nostre mogli, facevano contrabbando! Cioè contrabbando... [Ad esempio] in Italia non c'erano i confetti e allora prendevano i confetti salivano sulle navi e li portavano a quelli che si sposavano. Per quel motivo lì che avevi il prodotto a basso a prezzo e poi tu potevi venderlo, si arrangiavano tutti. Io la borsa nera non l'ho mai fatta, ero troppo piccolo. Però chi la faceva la faceva per arrotondare, e dopo la guerra non c'è stata più. Finita la guerra non c'era più borsa nera. [Durante la guerra] dovevi andare nelle campagne e lì la gente di Fiume si è mangiata quel poco che aveva tra oro eccetera per prendere patate, fagioli e tutte quelle menate lì. Noi avevamo dei cugini di mia nonna in Slovenia -e mia nonna era maestra ed essendo maestra veniva fuori da una famiglia che era già benestante- e andavamo da sti parenti e loro ci macellavano la roba lì e riuscivamo [ a cavarcela]. Io fame non l'ho mai fatta, né là ne qua, né là né qua."

17) Quindi durante la guerra per procurarsi il cibo si doveva dare oro, lenzuola e cose del genere...

R.: "Si sono privati di quello che avevano per andare a barattare con il cibo, come succedeva anche in Italia, perché io ho conosciuto gente che è stata bombardata a Cassino e compagni bella, che [mi hanno detto]: Giuliano, voi avevate fame, ma anche qui c'era fame nera! Non era che eravamo solo noi, dove son stati bombardati che c'era guerra, erano tutti in quelle condizioni."

18) Sulla guerra le chiedo ancora una cosa: li ricorda i tedeschi a Fiume?

R.: "No, dei tedeschi non ho nessun ricordo. Mia madre lavorava da una zia in albergo, e lei era di lingua tedesca, perché mia mamma è nata a Borghetto, vicino a Tarvisio, e alla fine della guerra -suo nonno era ferroviere delle ferrovie italiane- hanno avuto la possibilità di andare in Austria, ed hanno optato per andare in Austria e loro son andati di là. Cioè mia nonna e mia zia sono andata da abitare a Vienna, pur essendo cittadini italiani. E allora c'era molta gente bilingue. I soldati tedeschi non li ricordo, ero troppo ragazzino, nel '41 avevo quattro anni. Mi ricordo le bombe e i rifugi che eri sempre lì dentro, ma il resto come fai a ricordartelo? Mi ricordo che quando son nato mi chiamavano il principino, ma poi dopo si è passato da un benessere alla disperazione."

19) Perché non c'era niente...

R.: "Non c'era niente, non c'era assolutamente niente, pur lavorando. E quello è il problema che non dipende... Cioè tutte le zone dove c'era guerra e che son state bombardate han passato la miseria. Solo che poi lasciare la tua casa, venire via dal mare e arrivare alla Caserma Perrone... Ieri sera S. se avevo un fucile lo ammazzavo, perché ieri sera parlava dei bambini di Adrom, che non gli dava da mangiare. A noi quando siam venuti ci chiudevano nei vagoni e non gli davano ai bambini neanche da mangiare e bere, e non gli davano neanche l'acqua a Bologna! I compagni... Qui a Novara, e c'è una dichiarazione di Panic, l'olimpionico, che c'è sul giornale, dove dice [che le mamme] dicevano ai figli: vi porteremo a farvi mangiare alla Caserma Perrone! E non c'era tanta differenza da adesso, perché è un procedimento che abbiamo passato prima noi come profughi, poi i veneti, poi son passati i meridionali e adesso ci sono gli extracomunitari. Perciò questa è la storia che si ripete, no? Ognuno poi la interpreta alla sua maniera, ma son passati tutti... Che dicono ah, ma quello lì è morto... Ma quando andavano nelle grandi fabbriche a Torino, i meridionali li buttavano oltre la rete! Perciò è tutto un passaggio della vita quello, purtroppo la vita è fatta di questi passaggi qua, ma poi sopravvivi. Che per noi la Caserma Perrone è stata un divertimento, eravamo piccoli, eravamo felici, però i nostri genitori sapesse quanto hanno sofferto, son morti di disperazione! Cioè noi avevamo una camera grande come questa, divisa con le coperte e con due famiglie, una parte di qua e una di là."

20) Parliamo ora della foibe. Lei quando ne ha sentito parlare per la prima volta e in che termini?

R.: "Ah... Io delle foibe non ho mai voluto sentir parlare e non ho fatto neanche il minuto di silenzio per le foibe e ne ho sentito parlare per la prima volta [da un mio amico], che andandosi a documentare nelle varie cose mi ha detto: chi ha cominciato? "

21) Ho capito. Di suo però non ne aveva mai sentito parlare?

R.: "No, noi avevamo una foiba lì vicino per andare a Cantrida, che sarebbe la parte bassa [di Fiume] mentre noi stavamo sopra. C'era una foiba, però non se ne parlava. Anche perché noi siamo vissuti sempre tra italiani, ho frequentato la scuola italiana e non ho sofferto la propaganda, non ho sofferto assolutamente nulla quei quattro o cinque anni in cui c'è stato Tito. Quelle cose lì riguardano più l'Istria."

22) Quindi ne ha sentito parlare tardi...

R.: "Si, però mi son fatto un'idea, [e cioè che] molti son stati innocenti, ma qualcuno è stato toccato perché aveva delle appartenenze, perché questo mio amico mi diceva che all'inizio gli italiani hanno infoibato i croati, e poi c'è stato un seguito, si sono contraccambiati! E poi gente che militava ed è rimasta là ci ha rimesso la pelle."

23) Pensiamo ad esempio ai monfalceonesi...

R.: "La storia di monfalconesi, ma anche a Fiume la Finanza, gli insegnanti erano tutti italiani che andavano ad insegnare come si va adesso ad insegnare a Palermo, Napoli o Domodossola. E poi dopo Tito quando è passato con gli americani, tutti quelli che son venuti lì che son poi stati sostituiti da professori comunisti che sono andati da Tito per insegnare nelle scuole, e quelli poi son stati messi nell'Isola [Calva]. Questa è storia, eh!"

24) A Fiume ad esempio sono arrivati molti monfalconesi nei cantieri navali...

R.: "Sono andati tanti ma poi dopo molti scappavano e qualcuno è rimasto, però quel sistema lì era tutto per tutti ma nessuno lavorava, questo è il fatto. Il problema è diverso... E io li manderei lì [tutti quelli che oggi rimpiangono il comunismo], perché io avendo provato le due cose -e non sono né comunista né fascista- invece noi a seconda delle loro convenienze ci mettevano da una parte o dall'altra, e questo è stato il guaio. Però si son ricordati dei nostri dopo sessant'anni. Io sono uscito dall'aula [del consiglio comunale] quando han fatto il minuto di silenzio per le foibe, per l'affare [la legge] Tremaglia. Sono uscito dicendo che per me - pur apprezzando quello che han fatto - dopo sessant'anni, dopo che i nostri son morti... E difatti i miei mi ammazzavano...Poi dopo anche il sindaco di Genova, che lui è polesano, mi ha iniziato a scrivere dicendo ah, non capisci un cazzo! Cioè, lì la gente che lavorava... Noi abbiamo lasciato la casa lì e va ben, ma i contadini, gente che lavorava e aveva la terra, a loro è stato confiscato tutto, è stato abbandonato tutto, ma il regime era così."

25) Parliamo ora dell'esodo: quando parte da Fiume?

R.: "Nel '50. Veniamo messi su sti treni, poi siamo andati a Udine, al campo di smistamento, dal campo di smistamento ci hanno portato a Cremona, abbiam fatto un anno a Cremona e poi siamo arrivati a Novara."

26) Ho capito. Se non le spiace questo lo vediamo dopo. Parlando dell'esodo, vorrei sapere se riesce a darmi una descrizione di Fiume in quei giorni. Che atmosfera si respirava, era una città che continuava a svuotarsi o il grosso degli abitanti era già andato via?

R.: "Noi forse abbiamo sofferto meno, perché proprio i battelli e le navi son partiti più dall'Istria. Perché poi molti son scappati, anche quelli che avevano problemi, ma io quelle cose lì non le ho passate."

27) Voi come siete andati via?

R.: "Col treno. Una valigia, sul treno. Ci hanno caricato sul treno e ci hanno portato a Udine che c'era un campo di smistamento."

28) Ha dei ricordi del campo di Udine?

R.: "Era una caserma militare così come quella di Novara, che adesso è diventata Università, han fatto le aule ed è diventata anche molto bella. Ho detto questo anche per [farti] rendere conto di quanto ho avuto io da Novara, perché io non ho mai avuto la voglia di tornare lì [a Fiume] perché Novara mi ha dato tutto. Cioè mi ha dato anche l'incidente sul lavoro che mi ha fatto diventare così come mi vedi [sulla sedia a rotelle], però cittadino novarese dell'anno, ho avuto tanti di quei riconoscimenti a livello cittadino che la metà basta!"

29) Tornando a parlare del viaggio, mi diceva che da Fiume va in treno fino a Udine, portando via cosa?

R.: "Eh, solo quella roba che potevi mettere nella valigia."

30) Perché c'erano delle limitazioni...

R.: "Eh si, dovevi lasciare lì tutto, non potevi portare via quello che volevi. Qualcuno che aveva la possibilità do soldi ha contrabbandato, ma [in generale] chi aveva soldi se li era mangiati prima: se avevi dei soldi te li mangiavi durante la guerra per mangiare, e dopo la guerra per vivere, per sostenerti. Non c'era la ricchezza, nessuno ha portato via ricchezza. Hanno portato via le ricchezze quelli che son scappati prima. Io ho degli amici, anche figli di un conte polesano... Noi eravamo in caserma ma loro che son scappati via [cioè] i fascisti, gli insegnanti e compagnia bella, son stati trattati con i ponti d'oro, come i nostri quando sono andati là. Cioè, chi regna vive e chi no la prende nel sedere, è la regola!"

31) Posso chiederle quali sono stati i motivi che hanno spinto la sua famiglia ad andare via?

R.: "Soprattutto perché non avevamo lì nessuno, non avevamo parenti: mio zio era capitano di marina ed è andato a Venezia, l'altro zio faceva il vigile a Treviso -e loro son venuti via prima- cioè non avevamo nessun legame, non abbiamo lì morti noi. Perché mio padre è nato via nel '10, ma nell'11 è andato a Fiume ed è sempre stato a Fiume, poi quando [Fiume] è diventata italiana, è sempre stato cittadino italiano. Non ha neanche cambiato cognome: sai che eri obbligato a cambiare cognome, ma lui ha detto: io ho il cognome di mio padre, mio padre è morto in guerra nel '15-'18, non lo ricordo neanche e figuratevi se cambio il cognome! E difatti quando l'ho portato in Russia -parlo di tanti anni fa- ha fatto come il papa, si è inchinato e ha baciato la terra. Gli ho detto: cosa fai? Eh, è morto mio padre qua e si può dire che io non l'ho neanche mai visto, cioè tutte quelle cose lì."

32) Ho capito. Però, il fatto di andare via da cosa è dipeso?

R.: "E' stata una scelta, perché non potevi vivere con quel sistema lì, era un sistema di paura, di fifa, di terrore. Poi la gente nostra è stata mescolata con la gente che veniva [dall'interno], anche brava gente, ma che venivano giù dalle montagne o dall'interno della Croazia a cercare lavoro sulla costa perché c'era fame nera. Giustamente eh, perché tutti cercavano di migliorare la propria condizione."

33) Un'integrazione difficile dunque con queste persone forse quasi estranee al contesto in cui arrivano...

R.: "Eh si, non potevi integrarti, allora non potevi integrarti. Adesso han fatto passaggi di integrazione eccetera, ma allora no. Anche perché le case vuote son poi state praticamente prese da loro. Ad esempio un mio amico ha lì una casa di sessant'anni fa, ma come fai a mandare via chi sta là dentro?"

34) Le ribalto ora la domanda. Anche a Fiume una parte, seppur minima di italiani, ha deciso di restare. Secondo lei come mai?

R.: "Han fatto una scelta, una scelta."

35) Secondo lei per motivi politici?

R.: "Ma no, non credo che sia stato per motivi politici. [Ci sono stati] motivi di affezione: pescatori, gente che aveva le barche, capito? Non è stata [politica]. Quelli che sono andati via, così come quelli che son rimasti, è stata motivazione personale. I fascisti sono scappati perché se no li accoppavano, [mentre] loro son rimasti lì perché han fatto una scelta. Non sapendo dove andare, o che fine fare, o perché erano anziani, o [per] cose diverse, son rimasti. Poi ti facevano dei ponti d'oro per rimanere: delle persone importanti loro ci tenevano che rimanessero giù. I tecnici volevano che rimanessero, perché se no come facevi ad andare avanti col lavoro?"

36) Ho capito...Parliamo di nuovo del viaggio. Mi diceva che da Udine arriva poi a Cremona. Ricorda il campo di Cremona?

R.: "Cremona non lo ricordo per niente, perché mi hanno preso ed essendoci la fame nera, mi hanno mandato in un collegio a Pesaro: ho fatto la quinta elementare a Pesaro nel collegio Riccardo Zandonai che sto prete ha fatto sto collegio per gli orfani di guerra e compagnia bella. E lì era terribile: un posto bellissimo lungo il mare, ma terribile. Tanto per dirtene una: quando mia madre veniva a trovarmi mi lasciavano pagare l'uovo, cioè andavamo in cucina, mangiavo l'uovo e gli altri venivano a vedere che mangiavo l'uovo. Poi andavamo a messa, mangiavo la sera alle 6,00, alla mattina andavi a messa ed eravamo tutti in sto salone in fila così quando finiva uno finiva tutta la fila, come al domino, tutti per terra! Poi dopo da là ci hanno mandato a Novara."

37) A Novara...

R.: "Si, e lì cercavano di vedere anche, non in tutti i casi, le attitudini lavorative che aveva una persona. Per cui, non so, molti li han mandati in Sardegna perché c'erano i pescatori... In base alle capacità lavorative..."

38) Quindi suo padre che era meccanico lo han mandato qui a Novara...

R.: "Lo han mandato qui perché c'erano possibilità di lavoro, e difatti si sono inseriti. Prima andavano in giro ai mercati, a scaricare cassette e compagnia bella, però subito dopo han trovato anche tutti lavoro."

39) Parliamo della Caserma Perrone e della quotidianità al suo interno. Com'era la vita?

R.: "Era per i nostri vecchi grama... Per noi i'era la scuola, il mangiare e i divertimenti, perché era come vivere adesso in campeggio! C'era sto campo enorme, [giocavamo a] pallone tutto il giorno! Andavamo dai salesiani a giocare a pallone, con quelli dei salesiani: chi aveva il tiro più forte buttava il pallone oltre muro, rubavamo il pallone e fin quando il pallone resisteva giocavamo in caserma! Per noi era un posto di divertimento."

40) E invece per i vostri genitori?

R.: "Per i nostri vecchi può immaginare... Come quello che lascia il meridione e viene qua, o viceversa, o come quello che emigra... Può immaginare, per chi lascia la propria terra è sempre dolore."

41) Ma anche per le condizioni che trovavano qui a Novara?

R.: "Non ci accettavano. Non eravamo accettati, allora perché eravamo profughi, ma come non erano accettati i veneti che erano tutti rasconi, quelli [che sono arrivati] col Polesine, con l'alluvione del Po, e come i meridionali dopo e come adesso gli extracomunitari."
42) Secondo lei perché non eravate accettati?

R.: "Perché a secondai come andava eravamo o tutti democristiani o tutti comunisti o tutti fascisti. Questa era la denominazione che ci davano. Pensavano che noi eravamo venuti a mangiare il loro pane, ma il pane era anche nostro, perché eravamo tutti cittadini italiani, non eravamo tunisini, marocchini o egiziani."

43) Un'accoglienza non buona che tocca da vicino anche le ragazze istriane, forse più emancipate...

R.: "Non è che erano più emancipate, erano molto più belle! Erano molto più belle, ed era il loro modo di vivere. Erano ragazze che andavano in spiaggia a fare il bagno... A Trieste c'è stata la prima spiaggia solo per donne. Cioè era gente che vivevano in una maniera diversa, [che aveva] una cultura diversa. Se pensi che mia madre parlava quattro lingue, neanche uno adesso parla quattro lingue! Io e mio fratello siamo due imbecilli, parliamo solo l'italiano. Croato non lo parliamo perché non abbiam fatto le scuole croate, ma mia nipote che fa l'ultimo anno di liceo linguistico, ha preso il dono dei nonni, lei impara, parla quattro o cinque lingue come niente."

44) Tornando a parlare della Caserma Perrone, riesce a descrivermi le stanze?

R.: "Erano divise da coperte, c'erano le docce dei militari, i bagni e i lavandini in comune e avevi il tuo spazio, il tuo fornello che ti facevi da mangiare. Immagina allora com'era: io andavo a fare la prima avviamento al Bellini e al Bellini venivano i ragazzi del Don Minioni che era una struttura di orfani a Novara e noi gli portavamo... Cioè a noi ci mandavano del formaggio giallo americano, che noi non riuscivamo a mangiarlo e loro mangiavano anche quello perché avevano ancora meno di noi! E dovevano andare indietro - vestiti di nero- a tutti i funerali che c'erano sti ragazzi, sotto la pioggia, la neve e il vento... Perciò la miseria non è che era solo per noi, era anche per i novaresi in molti casi. Poi noi con chi abbiamo avuto problemi, abbiamo sempre avuto problemi coi compagni: coi comunisti abbiamo sempre avuto problemi."

45) In che senso avete avuto problemi con i comunisti?

R.: "Nel senso che ti ho detto...Tu senti le dichiarazioni, non le mie, ma quelle di Panich, che sono scritte su tutti i giornali: vi manderemo alla Caserma Perrone a farvi mangiare dei profughi. Questo era detto allora in quegli anni lì, e quelli che erano allora così adesso sono ancora così, quelli che son rimasti, perché non è che han cambiato, chi era fascista è rimasto fascista, chi era comunista era comunista. [E per alcuni] noi eravamo venuti qui, pur essendo cittadini italiani, a mangiare il loro pane e ad usurpare le loro robe. Poi da noi, essendo di sangue misto, c'erano pochi disabili, e quando salivamo sul pullman, tutti noi ragazzi avevamo la testa fuori dal ferro, cioè tutti ragazzi di un metro e ottanta, un metro e novanta. Ma non dovuto alla nostra capacità e alla nostra bellezza, ma al miscuglio di razze. Come adesso, i milanesi, ma anche a Torino, la razza è migliore, perché cambiando il sangue tra i torinesi, i milanesi e meridionali, è venuta fuori una gioventù che è bellissime! E lì c'era anche... Cioè te prendi una famiglia e in tre generazioni hai toccato tutta l'Europa: Ungheria, Cecoslovacchia...I miei nonni erano cecoslovacchi, che mio padre è stato battezzato in Cecoslovacchia..."

46) A proposito di battesimi. Alcune interviste evidenziano come sotto la Jugoslavia di Tito frequentare la chiesa fosse difficoltoso...

R.: "Ma vah! Io son nato sotto il fascio, non posso dirtelo, perché io son nato quando c'era Mussolini, che poi Mussolini... Fiume non è stata liberata da eroi eh! E' stata liberata da banditi usciti dalle carceri che son venuti con D'Annunzio e che poi son rimasti lì e si son sposati. Infatti da noi ci sono [cognomi come] Barone e tutti [altri] nomi meridionali."

47) All'interno della Caserma Perrone c'erano delle strutture come scuole, asili, eccetera?

R.: "Le scuole le ho fatte fuori. L'asilo non lo so perché non l'ho fatto, [però] c'era l'infermeria, c'era la chiesa, c'era il medico, morto poco tempo fa, il dottor Neri."

48) E, almeno a vedere dalle fotografie, c'erano anche molte squadre di calcio...

R.: "Uh la Madonna! Avevamo una squadra di calcio che era fortissima, con tantissimi giocatori [bravi]. Solo che poi gli piaceva mangiare e bere, soprattutto bere. C'è stato uno che doveva andare a fare il provino per la Sampdoria e prima di andare è passato a trovare suo fratello, e ha preso la ciucca prima dio andare a fare il provino, ma era un fenomeno! Cioè tanti bei giocatori son venuti fuori. Vedi Udovicich, che ha fatto il centro mediano nel Novara, che è fiumano anche lui e ha fatto cinquecento e rotte partite nel Novara!"

49) Mi ha detto che in campo ogni camera aveva il proprio fornello, quindi deduco che ognuno si cucinasse per sé...

R.: "Si, quando son venuto io si...Prima da quel che ho sentito io c'era la cucina comune, c'era una cucina comune, ma quando son venuto io, già in quegli anni là la gente si faceva da mangiare con i fornelli, quelli a due becchi."

50) Si ricorda se ci fossero dei sussidi, dei pacchi doni o dei vestiti?

R.: "Si, qualcosa c'è stato, ma prima, almeno a sentire gli altri. Ti davano qualche pacco UNRRA, come li chiamavano. C'era come ti ho detto, il formaggio americano, quello giallo. Poi nel campo all'inizio c'era anche la polizia dentro, c'era il posto della polizia. Tu immagina che al Villaggio Dalmazia prima che arrivassero i meridionali, cioè gli altri che non erano fiumani, non c'è mai stato uno in galera, perché mangiavano e bevevano, poi facevano a cazzotti ma c'erano solo cazzotti, non c'erano né coltelli né pistole. [Mi ricordo che] han fatto la finale per andare in prima categoria o seconda categoria di calcio e c'era un migliaio di persone e nessuno che aveva un coltellino che serviva all'arbitro per legare la rete! E poi venivano fuori le baruffe perché i'era dei bei ragazzi e delle belle ragazze. Molte ragazze ce le han portate via perché han sposato dei novaresi, perché erano veramente della belle gente, una bella razza!"

51) La Caserma Perrone, oltre a voi giuliani, accoglieva anche altri profughi...

R.: "Si si c'era anche da altre parti. Negli anni prima [di quando sono arrivato io] c'era anche guerra [liti], poi dopo no. E poi ci han fatto ste cavolo di case..."

52) Parliamone di queste case...

R.: "Io resto alla Perrone fino al 1956-1957, poi vado al Villaggio Dalmazia".

53) Com'era il Villaggio Dalmazia all'epoca ?

R.: "Tu pensa, dovresti vederla, la mia casa era un buco di 47 metri [quadrati], per tre o quattro figli, uno sopra all'altro. C'era un corridoio, una cucina, una camera da letto e un soggiorno. Quelli che erano in tanti avevano due camere."

54) Era un posto isolato, credo...

R.: "Lì era terreno che il Bottacchi, che era uno che faceva mattoni, ha regalato al Comune per fare le case. E sullo stesso terreno son poi state costruite altre case."

55) Un luogo isolato dal resto della città...

R.: "Eh si, com'era allora tutta la periferia, che tutta la periferia era tutta campagna! Era isolato, però noi andavamo in bicicletta sia a scuola che a lavorare e non avevamo problemi. Poi c'era i marciapiedi con tutti il fango, che ci han messo degli anni a far le cose, era tutto disastrato, Ed erano convinti di averci dato chissà che cosa, poi quando son venuti dopo tanti anni a veder le case hanno poi capito!"

56) Prima parlando dell'accoglienza mi ha detto che non sempre è stata positiva. Poi però è avvenuta: un processo lungo e difficile credo, ma come è avvenuto?

R.: "E' stato un processo lungo e difficile, però a me Novara a livello personale, soprattutto dopo l'incidente mi ha dato tutto. Perché se tu vedi il mio curriculum è una cosa fantastica: io a Novara sarò una delle quattro o cinque persone più conosciute per quello che faccio. Perché io ho fatto sport, ma faccio anche il sociale: ho circa centonovanta ragazzi che fanno attività e ho fatto delle cose veramente belle. Ma con delle idee... Che son sempre roba mia eh, perché ho girato il mondo, prima per lavoro poi facendo le Olimpiadi, e vedevo le altre nazioni cosa facevano a favore della disabilità."

57) Quali sono stati però i canali che hanno contribuito all'integrazione?

R.: "Io non mi sono integrato per niente, perché a sedici anni ho incominciato ad andare in giro a lavorare: finita la terza media, ho fatto un anno alla Falconi, poi ho incominciato ad andare in giro a montare ascensori per la Falconi, quindi non ho neanche vissuto poi a Novara. Si, venivo ogni mese o due a portare il cambio di biancheria, non so... Ma ero sempre in giro finché non mi son fatto male. Dopo che mi son fatto male, nel 1965, a ventiquattro anni, ho incominciato a girare il mondo per attività sportiva."

58) Ritorna a Fiume?

R.: "Quando c'era mio padre lui ci teneva ad andare ogni tanto, ma non mi piaceva. Per me non mi dice niente, non ho reminescenze, non ho la nostalgia. Ho la nostalgia del mare, però vedo tre mesi a Jesolo, quando ho voglia vado a farmi un viaggio...C'è qualcuno che fa un olimpiade in una vita, io ne ho fatte sei! Poi a un bel punto, se ho due lire vado a farmi un viaggio. Adesso sto invecchiando, faccio settant'anni, ma prima guai, sono andato dappertutto."

59) Di Fiume quindi non ha nostalgia...

R.: "No, non ne ho perché non ho nessun legale. Cioè, se hai una morosa vai a Palermo, io non ho nessun affetto. Vado tre mesi a Jesolo, quando mi va prendo il vaporetto e vado a Rovigno a mangiare il pesce, ma non mi va, non mi attira. Non ho niente di niente di niente. Molti sai ricordano, ricordano, ricordano, ma le cose brutte è meglio non ricordarle, è meglio ricordare le belle."

60) Ho dimenticato di chiederle una cosa sul Villaggio: dopo tanti anni di campo, che effetto le ha fatto avere finalmente una casa?

R.: "Sembrava di avere il paradiso, sembrava di avere il paradiso! Che poi quelle case lì ce le hanno rinfacciate per tutta la vita, ma le han fatte col piano Marshall."

61) In che senso ve le hanno rinfacciate?

R.: "E perché sembrava che noi andavamo ad abitare nelle case popolari che erano per loro, per i novaresi. Poi dopo quando due profughi sono andati in pensione han fatto vedere le cose come stavano, han visto com'è la storia e abbiam riscattato le case a tre lire perché abbiam riscattato gli affitti che abbiam pagato. A noi la casa ci è costata una cavolata, perché ci hanno defalcato tutti gli affitti che abbiam pagato in quegli anni che non dovevamo pagarli. Perché le nostre non erano case popolari, erano diverse, le han fatte in tutta Italia il piano Marshall, non solo a Novara."

62) Le chiedo solo più una cosa: dal punto vista lavorativo, i giuliano dalmati a Novara dove e come si sono inseriti?

R.: "Dappertutto. E noi fiumani -che eravamo i più intelligenti!- siamo andati a lavorare nelle ditte private, invece gli istriani sono andati in ferrovia, all'Enel e in tutti i posti statali, che poi son stati molto più considerati di noi, son stati sempre più in gamba. Difatti noi di gente che lavorano per lo stato ce ne sono stati pochi."