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Intervista a Ilario B. del 28/06/2008

1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?

R.: "Sono nato a Fiume, il 2 del 5 del 1938."

2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: " Noi eravamo tre fratelli più un fratellastro. Praticamente mio padre, buonanima, era veneto, di Padova. La mamma invece non era per niente italiana: la mamma c'aveva il nonno che era austriaco, la nonna ungherese, il bisnonno era russo e la bisnonna era inglese. Pensi lei che mischiata che c'era! Poi si son sposati lì a Fiume. Poi c'era il periodo che mio padre era militare, e sono arrivati poi a Graglia, un paese qui su, dove son nati due fratelli più vecchi. Poi c'era la crisi qui in Italia, e allora [mio padre] è andato giù di là, ha fatto una ditta, ha fatto fortuna e siamo nati io e l'altro mio fratello, buonanima che è morto, nel '38 e nel '35."

3) Quindi suo padre era un imprenditore?

R.: "Si, era praticamente un muratore che aveva una ditta. E mia mamma era casalinga".

4) Lei riesce a descrivermi Fiume?

R.: "Eh, vado ancora adesso... Fiume è una città che praticamente ha sempre qualcosa di bello! E' la più bella città che ci fosse. C'era un grande porto, un grande smistamento. Poi c'era il ponte di Sussak, che si chiamava ponte di Sussak ed era lungo ottanta metri, e divideva la Dalmazia insieme a Fiume; c'era proprio solo un fiume che divideva. Praticamente c'era il confine e lì si confinava insieme alla Dalmazia, insieme alla Bosnia, insieme all'Erzegovina e a tutta quella roba lì. E praticamente commerciavano e tutto, era più un commercio. Poi c'era il Silurificio che facevano le navi, poi c'era tante altre cose: zuccherificio, raffineria. E quando è successa la guerra, papà - buonanima insieme ai due fratelli più vecchi e alla sorella più vecchia - perché l'altro era gia Graglia, era nato qui ed è rimasto qui insieme alla nonna che sarebbe la madre di mio padre -, sono venuti nel '45, appena liberati, e io mia mamma siamo rimasti lì, perché ci tenevano perché potesse tornare il papà, e siamo arrivati di scappare."

5) Da un punto di vista della popolazione Fiume com'era?

R.: "Fiume era cento per cento italiana, perché D'Annunzio l'ha conquistata dal '18, lo sai che l'ha conquistata dal '18, no? Poi da noi praticamente il duce ci ha fatto delle cose, come ha fatto in Italia, perché ha fatto del bene dappertutto, non ha fatto del male. Da noi vicino c'è Abbazia, e non so se ne hai sentito parlare, e lui diceva che era il giardino del mondo, perché aveva fatto le reti, che lì da noi c'era tanti pescicani che venivano dietro alle navi, e aveva messo le reti e ci sono ancora. Poi i più belli alberghi sono lì, [c'è] poco da fare, tutta roba da signoroni!"

6) E i croati invece dov'erano?

R.: "C'era solo quel ponte che divideva e, praticamente, di là era Dalmazia e di qua c'era Fiume."

7) Posso chiederle com'erano i rapporti tra l'elemento italiano e quello croato?

R.: "Ah, erano tutti d'accordo, praticamente. Si, c'era quei lì che diciamo ancora adesso anche noi i terroni, cioè c'era un po' di disaccordo, praticamente. E anche le donne, quando si sposavano, il padre non voleva che sposasse italiani. Come mia mamma, che il padre l'ha sbattuta fuori di casa come ha saputo che sposava un italiano. Avevano quella mentalità lì."

8) Questo, dunque, per quanto riguarda i croati. E invece nei confronti dell'elementi slavo, gli italiani come si comportavano?

R.: "Ma, guardi, finché non è successo quel patatrac lì che sono arrivati i titini e poi ci sono arrivati i tedeschi, perché i tedeschi a noi ci hanno fatto del bene, perché non li abbiamo mai toccati: loro dicevano non toccate noi, e noi non vi tocchiamo. Poi c'è arrivati gli ustasa e i domobranci, e allora lì c'è stato un po' di disaccordo, un po' di invidia, e non c'era più quell'affiatamento che c'era prima. Io c'ho ancora dei cugini lì, che son nati lì e che sono di madre e padre dalmati e fiumani, però loro non vengono in Italia perché dicono che stiamo troppo bene noi di qua. Poi un'altra cosa, e cioè che da noi era diverso che in Istria: in Istria era tutta un'altra cosa, e poi fiumani e istriani non andavano d'accordo, neanche coi polesani, non c'era niente da fare. I fiumani era una parte da sola, e bel è fait! Io ho studiato, perché poi sono venuto via che avevo sette anni, e prima si studiava l'italiano, e poi si studiava il croato. Studiavamo due lingue, praticamente."

9) Quindi mi sembra di capire che avevate rapporti molto frequenti coi croati...

R.: "Eh, si, perbacco!"

10) Ho capito. Lei, ne parlava anche se tra le linee prima, cosa ricorda del periodo della guerra?

R.: "Uh, c'ho ancora i ricordi io, guarda qui. Vedi questa qua? [mi mostra una ferita sulla gamba] Questa qua è una scheggia degli Spitfire quando venivano a mitragliarci, perché noi dormivamo dentro negli ultimi siluri che venivano a raccogliere i tedeschi. Dormivamo in mezzo, in mezzo alla corsia e nei fianchi c'era un siluro di qua e uno di là, rimaneva lo spazio in mezzo appena, appena, e noi dormivamo lì per terra."

11) Ma perché scappavate da casa?

R.: "Uh, perbacco, suonava l'allarme e scappavamo nei rifugi, che li hanno bombardati per trentasei giorni per disfarli ma non ce la facevano, perché era roccia viva. E allora chiudevano il portone davanti di acciaio e li bombardavano continuamente, ma non potevano fare niente. E tutta la gente eravamo lì, ma non potevamo né lavarci né niente, andavamo solo in spiaggia, che dal rifugio alla spiaggia c'era come da qui a quella casa là, [era vicino]. E allora abbiamo preso i pidocchi, abbiamo preso la scabbia e allora i tedeschi ci hanno spogliato tutti nudi e ci davano come DDT, e andavamo al mare a lavarci. E poi in quei momenti arrivavano gli Spitfire e non guardavano se c'era gente o non gente, mitragliavano e via che andiamo! A me mi ha salvato un vecchietto, perché se no a quest'ora qui non la raccontavo."

12) Quindi Fiume è stata bombardata tantissimo...

R.: "Uh, per carità, tantissimo! E poi c'era anche il campo dove che bruciavano gli ebrei, c'era tutto praticamente."

13) Ma dove, a Fiume?

R.: "Si, si chiamava il Campo Marte, ed era dove bruciavano gli ebrei: li portavano lì, li bruciavano e fatto. C'era un campo anche lì. Poi quando è stata la liberazione ci son state, non so se hai sentito, le foibe."

14) Certo, ma se non le spiace ne parliamo dopo. Lei prima mi parlava dei tedeschi, se lo ricorda il loro arrivo in città?

R.: "Uh, perbacco! Erano alleati insieme agli italiani, il duce aveva insieme il Giappone e tutto, avevano l'asse, l'Asse Roma-Berlino. E praticamente quando sono entrati era come se fossero gli italiani che entrassero, perché abbiam fatto festa, erano ben accettati. Loro ci hanno detto: non toccateci. E noi non li tocchiamo. Noi i tedeschi possiamo dire che ci hanno salvato, perché io mi ricordo che c'era una fame che non finiva più, e io andavo a rubarci le patate dei cavalli che mangiavano i sacchi di patate mezze cotte e mezze crude, e allora andavo là. Ci hanno preso e ci hanno picchiato, poi ci hanno dato un permesso e andavano a prendere il mangiare dentro la mensa ufficiale, gli avanzi o quello che c'era. E poi andavamo a casa e mangiavamo."

15) Perché si faceva un po' di fame immagino...

R.: "Eh! C'era la fame, non che non c'era."

16) E c'era anche borsa nera?

R.: "Si, mia madre buonanima, la faceva. Partiva da Fiume e andava su per Belluno, per Treviso e per Udine e contrabbandava. Noi c'avevamo tanto zucchero e caffè, e loro ci davano fagioli, patate e quella roba lì, e portavano a casa."

17) Quindi uno scambio...

R.: "Si, praticamente si."

18) Perché a me han raccontato che i soldi non li voleva più nessuno...

R.: "No, no c'era soltanto roba da mangiare. Poi c'era qualcuno che dava roba da vestire, ma roba da vestire non c'era tanto, c'era più il mangiare. Allora lei andava su di lì e contrabbandava: lei dava il caffè , dava zucchero - che noi ce n'avevamo di zucchero finché volevamo - e loro ci davano patate, fagioli, lardo, salami e quelle cose lì. "

19) E invece l'ingresso dei titini a Fiume lo ricorda?

R.: "Porca puttana se me lo ricordo! Lì quando sono arrivati, praticamente c'erano tutte le strade bombardate e tutto. Allora hanno preso i tedeschi e li mettevano a lavorare. E quelli che erano malati o che non avevano voglia di mettersi lì a lavorare, con il moschetto bum, una bella botta qui sul muso e dentro nelle foibe, li buttavano giù e bel e fait! Perché le foibe si aprivano di giorno e la notte si chiudevano, anzi il giorno si aprivano appena appena, e la notte si spalancavano e si sentiva i lamenti da sotto di tutti quelli che erano ancora vivi."

20) E come sono stati accolti dalla popolazione?

R.: "C'era, come ho detto prima, il quantitativo più croato che italiano che gli hanno accolti bene, [mentre] quelli italiani come mio padre, e certi d'uni sono scappati. Perché tanti d'uni li hanno presi e gli hanno fatto fare la fine che hanno fatto fare ai tedeschi."
21) Cioè?

R.: "I carabinieri non li toccavano, però quelli che erano nei fascisti o tutto quanto, li prendevano e gli facevano fare la fine dei tedeschi: o li buttavano dentro, o lavoravano o li deportavano via."

22) Lei mi ha parlato delle foibe. Vorrei chiederle se ne conoscevate l'esistenza o se è una cosa che avete saputo dopo...

R.: "Uh, perbacco, le conoscevamo. Dovevamo fare attenzione quando non so, si andava in collina, perché si aprivano di scatto quella roba lì. Erano proprio dei crepacci che si aprivano con il raschiamento del mare, con la forza del mare. Si aprivano... Cioè il giorno si aprivano poco, ma la notte si spalancavano e si sentiva tutto."

23) Voi eravate anche a conoscenza dell'uso che ne veniva fatto?

R.: "Eh, l'ho vista coi miei occhi quella roba lì!"

24) Cosa ha visto?

R.: "E, come ho detto prima, li portavano... Se c'erano quei lì che avevano fatto del male o una cosa o l'altra, o puramente che non avevano voglia di lavorare o puramente che erano malati, li legavano lì col filo spinato e poi bum, una botta col moschetto e li buttavano dentro. A centinaia ne buttavano dentro. Io c'ho ancora la fotografia di una ragazza che è andata in Germania - che gliel'ho spedita ma non ho mai ricevuto risposta - che il padre lo han buttato così, e aveva detto di dirle che era morto. Aveva il portafoglio con dentro la fotografia: io ho raccolto la fotografia, mentre il portafoglio se lo sono preso gli altri, ma la fotografia è volata via e me la son presa io."

25) Quindi c'era tanta gente che è finita dentro li a Fiume?

R.: "Uh, per carità! Migliaia di persone son finite lì. E quelle che son finite lì è andata ancora bene, quelli che andavano in Russia invece era peggio ancora!".

26) Parliamo ora della sua partenza. Lei quando va via da Fiume?

R.: "Io son partito il 23 dicembre [1945]. Siamo partiti io e mia madre e siamo arrivati fino a Sappiana, che c'era ancora la resistenza dei tedeschi che mitragliavano il treno e siamo rimasti fermi. Che da Sappiana ad andare a Trieste ci sono ancora trenta chilometri, trentacinque, e mia madre con quaranta centimetri di neve mi ha portato in spalla. Mi ha portato in spalla fino a Trieste. Che io avevo le scarpette di tennis, perché se dicevamo che andavamo via succedeva... Perché lei aveva chiesto il permesso per andare solo fino a Trieste, e invece poi da Trieste siamo venuti qui. Siamo andati alla Post-bellica di Trieste, hanno fatto il visto, e siamo venuti qui [a Graglia] che mio papà aveva già preparato la casa."

27) Quando voi andavate via, c'era già gente che partiva da Fiume?

R.: "Oh, i primi che hanno sentito che c'era il ribaltone, per modo di dire, son scappati via tutti, specialmente quei che erano gerarchi e quei che avevano i soldi. Sono scappati nel 1943, nel 1944 e nel 1945. Quando hanno visto che stava per iniziare, che Tito oramai si avvicinava, scappavano via tutti, lasciavano tutto. Difatti abbiamo lasciato anche la casa, io ho ancora la casa là a Fiume, ma oramai non è più mia. Fiume si stava svuotando, e come siam scappati, son scappati tutti. Poi dopo hanno dato anche la scelta, anche i permessi: chi vuole restare e chi viole andare. Come i miei cugini e i miei parenti - come ho detto prima - son rimasti. Tanti d'uni son venuti di qua, ma tanti son rimasti. Poi tanti son venuti qua e poi soin ritornati giù, perché anche qui non han trovato chissà che roba, e allora son partiti e sono andati di nuovo giù."

28) Lei parte nel 1945. Si ricorda il viaggio?

R.: "Siamo partiti in treno per andare fino a Trieste, ma a Sappiana hanno mitragliato e hanno bucato l'affare della ciminiera. I tedeschi, erano gli ultimi che c'erano ancora, che erano arretrati, erano gli ultimi che avevano cercato di scappare. E allora han visto il treno, hanno mitragliato e fait. Poi dopo hanno fatto fuori anche quelli. Poi han mandato subito un latro treno, ma noi invece siamo andati a piedi, abbiamo fatto una camminata come da qua ad andare, per modo di dire, a Santhià. Poi siamo arrivati su a Trieste, e da Trieste siamo arrivati qui a Biella [in realtà arriva a Graglia], il 24 dicembre del 1945. Me lo ricorderò sempre, era vigilia di Natale, e c'erano ottanta centimetri di neve qui a Graglia, e dormivamo in paglia, perché non c'era né letti, né niente, non avevamo niente, non era riuscito a trovare niente mio padre."

29) Perché suo padre era venuto qui prima...

R.: "Eh, papà è scappato prima, perché non voleva stare sotto il regime comunista."

30) E voi perché non siete andati via con lui?

R.: "Non potevamo andare via tutti insieme, perché sapevano che non ritornavamo più. E allora ci han tenuto a mia madre che era nativa di là e di provenienza di là, e han tenuto anche me che ero il più piccolo. E gli altri due [fratelli], son venuti via insieme a mio padre mentre il terzo era già qua."

31) Voi vi siete portati via tante cose?

R.: "Niente, niente del tutto. Perché se sapevano che portavamo via qualcosa e sapevano che non ritornavamo più, ci sequestravano anche da noi e bell'è fatto. E allora si scappava via: qualcuno scappava la notte, qualcheduno attraversavano il mare - come fanno adesso i clandestini - e arrivavano a Trieste col motoscafo a motore."

32) Posso chiederle quali sono stati i motivi che hanno spinto la sua famiglia a partire?

R.: "Mio padre, come le ho detto, non voleva stare sotto il regime comunista. Solo quello. Perché lui c'aveva il lavoro, gli davano anche il lavoro, lo tenevano, però lui sotto il regime comunista non ci voleva stare."

33) Lei arriva a Trieste. Dove arriva in città, si ricorda?

R.: "Eh, perbacco! Siamo arrivati alla stazione di Trieste, che ci portava direttamente... Perché noi abbiamo praticamente camminato sempre dietro le rotaie, e siamo arrivati alla stazione. Poi siamo andati alla Post-bellica - che allora si chiamava Post-bellica- per il visto e per prendere nome e cognome eccetera. E non c'ero [solo] io, c'era centinaia che prendevano nome e cognome. Siamo arrivati la notte, e la mattina dopo siamo partiti. Aspettavamo il treno, il Torino-Venezia, che ci caricavano e ci hanno portato fino a qui a Vercelli. E da Vercelli siamo arrivati col treno a Biella e poi da Biella siamo andati su a Graglia e bel è fait!"

34) Senta, la maggior parte dei fiumani ha scelto di lasciare Fiume e venire in Italia. Una parte minore è però rimasta. Secondo lei chi è rimasto, perché lo ha fatto?

R.: "Il venticinque-trenta per cento è rimasto. Perché si sentono più croati che italiani. Perché la madre e il padre erano di lì e la moglie è rimasta lì insieme al marito e bell'è fatto. Perché allora si parlava sia il fiumano che è un patois come fosse il triestino, e si parlava anche il croato, perché se uno doveva andare dall'altra parte parlava croato. E allora si sentivano più croati che italiani, come i miei cugini, che hanno fatto anche il militare. Che anche a me e mio fratello ci cercavano per fare il militare, ma non ci hanno trovato, e ci cercavano perché di nascita e di nazionalità di madre eravamo di lì, c'è poco da fare. A noi non ci hanno trovati, mentre invece ai miei cugini li hanno presi tutti e hanno fatto il militare in Jugoslavia."

35) Lei da Trieste arriva quindi a Graglia. Dove vi siete sistemati?

R.: "In una casa vecchia che aveva trovato mia nonna, buonanima. Poi - come dico - mobilia non c'era, non c'era niente, e ci hanno dato di quelle paciasse con le molle per fare dei letti. Poi mia madre dal nervoso - abitavamo al terzo piano - le ha buttate giù perché erano piene di cimici e ci mangiavano come non so cosa. E allora siamo andati a farci i materassi di foglie di meliga e dormivamo per terra finché non abbiam potuto, finché mio padre non ha potuto prendere qualcosa. Questa casa mio padre l'ha trovata perché qui c'erano i partigiani, che dopo la liberazione hanno ammazzato le duchesse Garzina. E loro erano proprietarie di tutte le case attaccate, si chiamava Canton Gabina. C'erano tutte le case e la maggior parte erano di queste donne qui, e quando le hanno uccise il comune dava le case a chi c'aveva bisogno. E a noi ci è capitata quella lì. E lì dormivamo in una stanza tutti insieme per avere caldo! Perché avevamo solo cinque coperte che ci aveva dato la Post-bellica di Vercelli: che han dato una coperta a me e una alla mamma. Poi siamo arrivati a Trieste, e a Vercelli c'era di nuovo la Post-bellica, gli abbiam detto dove andavamo e ci hanno dato delle coperte e siamo andati a Graglia."

36) Ah, siete quindi andati prima a Vercelli...

R.: "Si, da Trieste siamo andati lì, perché siam passati di lì, abbiam firmato a Vercelli per venire su a Graglia."

37) E si ricorda a Vercelli dove è stato appena arrivato?

R.: "Noi siamo andati vicino alla stazione, proprio dove avevano fatto la Post-bellica per accettare tutti quelli che venivano di fuori. E ci hanno dato altre tre coperte, perché abbiamo detto che eravamo in cinque, e così ci siamo coperti con quelle tre coperte lì."

38) E da Vercelli siete poi andati a Graglia...

R.: "Si, siamo partiti da Vercelli e siamo poi arrivati a Graglia. A Vercelli siamo andati... Adesso non mi ricordo, era praticamente dove hanno fatto adesso il distretto militare. Lì ci han preso i nomi, han scritto qua e là, han mandato a Roma [i documenti] per dire che eravamo arrivati, e poi ci hanno dato quelle coperte lì e basta, siam venuti su a Graglia. In pullman siam venuti, in pullman da Biella a Graglia. C'era tre corse di pullman al giorno. Siamo partiti alle sette e mezza e siamo arrivati a Graglia che erano le otto e qualcosa, nevicava grosso come non so cosa e siamo arrivati lì."

39) E riesce a descrivermi la casa di Graglia?

R.: "Al posto del soffitto c'era delle tavole di legno, c'era solo le tavole... Non c'erano le volte, c'erano tavole e basta, tavole. Si, c'erano le stanze: c'era la cucina, c'era la camera da letto, c'era la sala e un'altra stanzetta, però andavamo tutti in una stanza per stare più caldi. Abbiam messo una stufetta, piccolina, e dormivamo lì, perché faceva un freddo boia. Finestre c'era delle finestrelle che avevano i vetro mezzi pieni e mezzi rotti... I letti invece... Dopo quattro o cinque li abbiamo avuti in ferro battuto, ma dopo quattro o cinque anni! Prima avevamo paglia e basta, eravamo distesi tutti per terra con quelle coperte che ci avevano dato. Finché non abbiamo potuto fare qualcosa. Che la gente dopo ha cercato di aiutarci, però ci davano quelle paciasse che erano piene di cimici e mia madre le ha buttate fuori dalla finestra! Era pieno di cimici che ci mangiavano tutti e allora ha detto no, basta!"

40) E al vostro arrivo c'è stato qualcuno che ha pensato alla vostra accoglienza?

R.: "No, no, a Graglia non c'era nessuno. A Vercelli si, ci hanno detto se volevamo andare nel campo a Novara, ma mia madre ha detto di no, che avevamo già il marito che era su a Graglia, che ha trovato l'abitazione e siamo venuti su e basta. Perché poi dopo c'è stata anche quando hanno fatto... Cioè c'è stato quando hanno fatto tutti quelli che dall'Italia volevano andare su in Venezuela..."

41) Si, favorivano l'immigrazione...

R.: "Ecco. E allora siamo andati tutti a Napoli, a Bagnoli. Siamo andati a Bagnoli, a Napoli, e mio padre ha detto: no, no! Volevano farci le punture, poi volevano farci partire e lasciare qui quel poco che avevamo e allora mio padre ha detto: no, non parto, son venuto per stare in Italia, e sto in Italia. Era il '50. Che a Bagnoli c'era proprio tutto lo smistamento per andare su in Venezuela, in Paraguay e tutta quella roba lì. Ci davano la casa, ci davano i terreni, basta che andassimo su lì. E mio padre ha detto: no, no, io rimango in Italia e basta."

42) E a Graglia siete rimasti lì per molto tempo?

R.: "Io son stato nella prima casa dal '46 fino al 53 a Graglia. Poi ci siamo trasferiti a Ponderano, poi a Ponderano ho fatto la prima casa e poi ho girato un po' di qua e un po' di là finché ho trovato questa e poi bom."

43) Quindi vi siete sistemati piano piano. Avevate un qualche tipo di assistenza?

R.: "Noi non abbiamo fatto i campi, e l'unica cosa che ci hanno dato sono state cinque coperte, che dormivamo tutti per terra con cinque coperte. E poi ci hanno dato, io che andavo a scuola, perché ho ripreso di nuovo a fare la seconda a Graglia, ci passavano i quaderni e le matite. [Questo] è tutto quello che avevamo. Il comune ce lo passava, basta. Tutto quello che abbiamo avuto è quello."

44) Posso chiederle come siete stati accolti qui a Graglia?

R.: "Ah, questa qui è proprio bella! Ci tiravano [guardavano] come che fossimo stati i cani più peggiori! A scuola bisognava picchiarci sempre, continuamente, fuori di scuola ci tiravano le pietre come che fossimo cani. Finché non siamo arrivati ad arrivare amici, ma ce n'è passato del tempo, prima abbiamo sofferto come non so cosa."

45) Questo secondo lei come mai?

R.: "E, ci gridavano i fiumari, i fiumari, non ci potevano vedere, come che fossimo degli estranei in confronto loro. Poi dopo piano piano siamo arrivati ad essere [amici]."

46) E come è avvenuto questo processo di integrazione e conoscenza reciproca?

R.: "A scuola, sempre a scuola. Perché a forza di stare insieme, hanno capito che non eravamo delle bestie o chissà che cosa, e allora siamo diventati amici. Perché i ragazzini quando sono piccoli sono sempre cattivi: quelli più grandi ci aspettavano e mio fratello, che era più grande doveva combattere insieme a loro, e io che ero più piccolo dovevo combattere insieme a quei piccoli. Finché mia madre si è stufata, e ci ha dato un anello di quei lì, angolari. Ha tolto via l'anello, e ha detto: così, quando vi picchiano, picchiate anche voi! Allora ci ha spaccato il sopraciglio a uno, mio fratello, e allora siamo poi diventati amici. Era proprio una mentalità di Graglia, che a Graglia c'è ancora adesso questa mentalità. Non parliamo poi di quando sono arrivati i primi meridionali o i veneti, perché dopo di noi sono arrivati i veneti, che c'è stata l'inondazione del Polesine. Sono arrivati e [gli dicevano] foglie di zucca di qua, foglie di zucca di là. E allora lì avevano paura, perché il veneto faceva qualunque lavoro, basta pretendere soldi e andare avanti, come faceva mio padre. E allora loro lì non ci vedevano bene, la faccenda è questa, capisce? Poi quando che siamo diventati amici insieme ai ragazzi, ai bambini, ci dicevano: vieni ad aiutarmi, vieni ad aiutarmi? E ci pagavano, ci davano un pezzo di burro, delle patate e ci guadagnavamo tutta la giornata. Andavamo a fare le fascine. Mia madre aveva fatto dei guanti con la stoffa, le prendevamo così e le facevamo: che di gasia ne facevi meno, ne facevi quaranta-quarantacinque, mentre di quelle di nocciolo e di castagno ne facevi anche cento al giorno ed erano 300 Lire. Servivano per fare il pane nei forni, perché i forni erano tutti fatti a legna, e ce n'è ancora adesso a Graglia di forni che fanno il pane a legna. E ' il più buono di tutti. Poi andavamo a lavorare anche a spalare al neve. Ci presentavamo con la pala davanti al comune di Biella per sapalare la neve sulla ferrovia che va a Oropa, e fin dove arrivava il trenino andava tutto bene, poi arrivavamo noi quaranta o cinquanta persone e buttavamo via la neve sui fianchi che la rotaia venisse pulita. E c'erano undici chilometri da pulire, che da qui ad arrivare a Oropa ci son quasi undici chilometri, e noi pulivamo tutto finché non arrivavamo in cima. Ci davano da mangiare, perché partivamo alla mattina che erano magari le quattro, e arrivavamo su a mezzogiorno o alla una e mezza a seconda di quanta neve c'era. E poi il comune ci pagava. Avevo quattordici anni quando facevo quel lavoro lì, perché d'estate facevo il bocia dei muratori e d'inverno qui non si lavorava, perché faceva troppo freddo. E chi aveva la vacca va bene, ma quelli che non c'avevano niente andavano a far fascine oppure a prendere le foglie prima che arrivasse al neve, e facevamo cestoni di foglie per fare la scorta alle vacche. E poi c'era la neve anche a Biella e la spalavamo, la spalavamo proprio. C'era un squadra a Biella, però tutti volevamo andare su a Oropa, perché sapevamo che lì si arrivava sopra e c'era il ristorante già caldo e pronto e poi, in più, ci davano più soldi che a Biella."

47) E suo padre qui che lavoro ha fatto?

R.: "Eh, mio padre appena arrivato qui ha cercato... Faceva... A scaricare alla Vandero, che era proprio nella stazione di Biella - dove adesso hanno fatto i palazzi grossi -, che lì c'era un grosso capannone di oltre mille metri quadrati ed era tutto della Vandero. E scaricava carbone. E lì arrivavano i treni da scaricare. Finché non ha potuto andare a lavorare ai lanifici Rivetti, e da là non si è più mosso, perché qui da muratore non c'era neanche tanto lavoro. Ha iniziato negli anni Cinquantacinque-Sessanta il grande boom dei muratori, se no anche di qui partivano e andavano in Francia come è andato mio nonno quando c'era la crisi qua in Italia: andavano a Grenoble o giù di lì a lavorare."

48) Posso chiederle come e dove passava il suo tempo libero?

R.: "A ballare non andavo. Andavo a vedere il cinema, oppure a Graglia c'era la festa di Campra, la festa della Madonna delle Nevi, che viene ad agosto e difatti adesso ad agosto viene di nuovo la festa. Eravamo ragazzi di dodici, tredici, quattordici anni, mangiavamo pane e formaggio, compravamo le bottiglie di vino, ci ubriacavamo e poi cantavamo tutta la notte, e bel è fait! Il nostro divertimento era quello."

49) E al cinema andava a Biella?

R.: "No, c'era a Graglia."

50) E che film davano?

R.: "Davano Tarzan, Stanlio e Olio, i cinema western e guardavamo quei cinema lì."

51) E invece all'oratorio andava?

R.: "Si, si andavamo anche all'oratorio. Però non andavamo tanto perché all'oratorio praticamente non c'era niente dentro, facevano più dottrina o quella roba lì che divertimenti. Facevano dottrina, e difatti fino a poco tempo fa sapevo la messa in latino, ma adesso non me la ricordo più!".

52) E di sport se ne faceva?

R.: "Io ho fatto il pugile, ho fatto tre anni di pugile a Biella. Ho fatto tredici combattimenti, ma poi non ho fatto più niente perché mi son rotto le gambe: son caduto dalla moto - che avevo comprato la moto - e mi son rotto le gambe e son stato quasi un anno fermo, e allora non valeva più perché lì non c'era soltanto il pugno, valeva anche le gambe, ci si doveva muovere e allora ho lasciato perdere."

53) Lei, nato a Fiume in riva al mare, si trova di colpo qui a Biella in un luogo completamente diverso. E 'stato un impatto duro per lei?

R.: "No, no. Non è stato niente. Praticamente mio padre sapeva tutto... La gente, come ho detto prima , ci hanno accolto come fossimo dei cani, ma poi dopo siamo arrivati amici e basta. Però anche qua ne abbiamo passate di grane, eh! Quando siamo arrivati anche qui a Graglia, nel '46, c'era una crisi che non finiva più, eh! Chi aveva le cascine allora bevevano e mangiavano, ma chi no... Mio padre andava a scaricare la notte al Mulino Gaida la farina, per prendere dei pezzi di lardo che lì avevano dei porci di sette o otto quintali. [Con quei pezzi] loro facevano il sapone, noi lo mangiavamo così col grasso, bell'è che fosse stato rancido. Gli dava la polenta lìmper paga, e questo pezzo di lardo, e mangiavamo. Ma non avevamo tanto da fare,eh! Poi ci siam messi a prendere un pezzettino di terra e abbiamo fatto l'orto, piano, piano, e poi è arrivato anche che mia sorella a tredici anni è andata a lavorare in fabbrica anche lei e allora arrivava uno stipendio in più, e poi abbiamo iniziato a lavorare anche noi, e allora pian piano abbiamo preso."

54) E lei che lavoro ha fatto?

R.: "Io faccio il muratore ancora adesso."

55) Per ultima cosa le chiedo se le capita mai di avere nostalgia di Fiume?

R.: "Ma, adesso vado giù, ogni tanto. Però - e dico la sincera verità - non andrei più là, perché io oramai mi sento più di qua che di là. Anche se sono nato là, però oramai è settant'anni quasi che son qua, e allora tanto vale. Io vado giù e tutto, è bello, ma dopo due o tre giorni scappo via."