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Intervista a Adua Liberata P. del 05/05/2010

1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata?

R.: "[Sono nata] il 7 maggio del 1937, a Zara."

2) Mi parli della sua famiglia di origine: quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...

R.: "Mia papà era di Pago, l'isola di Pago, e mia madre era di Ugljan -le isole Ugljan, di fronte a Zara- e poi si son trovati a Zara, che lei è venuta a lavorare a Zara. Lui faceva il fornaio, mio padre, e lì si sono formati la famiglia. E mia madre era casalinga. E poi eravamo quattro figli, e siamo rimasti in tre adesso."

3) Riesce a parlarmi di Zara, che città era dal punto di vista economico e sociale?

R.: "Io ero piccola, perché [sono] del '37 e poi nel '40 è venuta la guerra, e non è che mi ricordo tanto. Quella volta c'era anche il fascismo: io mi chiamo Adua Liberata, mio padre mi ha messo sto nome, non so [perché]. Credo perché hanno conquistato la città di Adua in Abissinia e quel giorno sono nata io: si vede che lui era fascista, non lo so io! Non capisco... Mi chiamo Adua Liberata, capito?"

4) Cosa ricorda del periodo fascista?

R.: "Poco. Mi ricordo della scuola, che andavo a scuola... Io la scuola italiana non l'ho fatta, perché dopo la guerra son venuti i partigiani, e io ho fatto solo scuole croate. Già mio fratello ha fatto scuole [italiane], mia sorella [anche ha fatto] scuole italiane, che ci sono dieci anni di differenza tra me e mia sorella. Allora lei ha fatto tutte scuole italiane, quelle che ha fatto, invece io ho fatto fino alla terza media croata, in croato là [a Zara]. Io del fascismo però ricordo proprio poco, poco."

5) Cosa ricorda?

R.: "Non saprei... I balilla, si, quello mi è rimasto, mi ricordo. Mi è rimasto dei balilla, [come] quando c'erano i miei fratelli e le mie sorelle vestiti con quelle divise lì, con quel cappello. Io però ero la più giovane, e di quello mi ricordo proprio poco."

6) Parliamo dell'aspetto demografico di Zara: la popolazione era italiana?

R.: "Si, era italiana, erano italiani. E dopo, quando è venuto Tito, è rimasto Jugoslavia. Tutto, fino a Spalato, penso [fosse] italiano. Era fino a Spalato, fino a Sebenico, fino a Dubrovnik era italiano, tutta la Dalmazia. Perché da noi, i più vecchi, tutti parlano italiano: mia madre parlava meglio di me, ed era delle isole! Perché lei parlava l'italiano come che parlo io adesso. Noi abbiamo sempre parlato due lingue in casa, italiano e croato. Siccome mia sorella andava a scuola italiana - questo lo ricordo bene - mia madre parlava con lei italiano, poi quando doveva darmi o servirmi il pranzo parlava in croato. Quello non l'ho mai capito perché, si divideva coi fratelli, parlava italiano e croato. Due lingue si parlava sempre in casa."

7) Posso chiederle invece che rapporti c'erano tra gli italiani e i croati?

R.: "Quella volta, quando c'ero io, non c'erano più i croati, c'erano gli jugoslavi, e [c']era sempre odio tra i serbi e i croati. Ecco, mia madre diceva sempre: il croato non sarà mai in pace, [e] quello non era mai in pace."

8) E tra gli italiani e la componente slava che rapporto c'era?

R.: "Mah, adesso penso che è maglio, perché adesso non guardano da dove [arrivi]. C'è sempre un po' di odio verso gli italiani, perché quelli che eravamo siamo andati tutti via. Perché io ho fatto anche cinque mesi di prigione per venire qui."

9) Di questo poi ne parliamo. Lei, mi diceva. È di Zara [interruzione]

R.: "Nata a Zara da genitori boduli, se diseva noi altri."

10) Boduli? Cosa vuol dire?

R.: "Delle isole, sarebbe boduli in croato."

11) Parliamo della guerra: ricorda i bombardamenti di Zara?

R.: "Si, tutti, me li ricordo tutti."

12) Mi racconti...

R.: "Eravamo in rifugio, e mi è rimasto impresso che mia madre mi ha messo il grembiule davanti [agli occhi] - io ero piccola - [perché] vedevo sull'albero, davanti a me piedi, gambe e tutto che volavano [in aria] per i bombardamenti. Poi io avevo due amiche che erano senza gambe, che quando c'era la guerra gliele avevano portate via [amputate], avevo due amiche che i bombardamenti le avevano portato via i piedi."

13) La città era invece proprio distrutta?

R.: "Era proprio distrutta, distrutta. Era proprio terra, terra: Zara era tanto, tanto distrutta."

14) Durante la guerra lei ha sofferto la fame?

R.: "Io no, perché quando [c']era la guerra noi siamo andati in un paese dell'interno che si chiama Diklo, che mio padre ci ha mandato lì da certi parenti. E allora lui facendo il pane per i tedeschi e per i partigiani, portava sempre il pane. Proprio fame, fame, io non l'ho mai fatta, il pane lo avevamo sempre, perché lui [mio padre] si aggiustava sempre andando su e giù: da Diklo a Zara portava sempre qualcosa da mangiare, quindi proprio fame io non ho fatto fame. Fame non mi ricordo proprio."

15) Ricorda se a Zara ci fosse la borsa nera?

R.: "Borsa nera... quello non so, non ricordo."

16) Prima mi parlava di tedeschi e partigiani...

R.: "Quando sono venuti i tedeschi a Zara, i'ero in mezzo alla strada, e [ricordo] che venivano e ci davano pezzi di cioccolata, ci davano dei biscotti proprio spessi, spessi e ci dicevano: ci sono ancora i partigiani? E quando i tedeschi venivano verso Zara il partigiano doveva scappare, e il tedesco entrava. Perché mio marito è stato portato via dai tedeschi, è stato ferito."

17) Posso chiederle come mai?

R.: "Perché la [sua] famiglia era molto ricca, e loro facevano contrabbando: chi portava il grano, chi portava la legna nelle isole per sfamare la gente... E si vede che i tedeschi l'hanno preso perché facevano sto lavoro, e allora lo hanno portato via i tedeschi. Lo hanno portato a Bihac, verso l'interno, verso la Bosnia. Ma a quel tempo hanno bombardato, e lui è rimasto ferito, aveva quattordici anni. E' stato ferito alla testa e in un piede, ed è stato nascosto in una casa che era tutta andata giù. E' stato lì nascosto [per giorni], poi i partigiani sentivano piangere e han pensato che lì c'era qualcuno. Quando son passati i partigiani, sentivano che c'era un bambino che piangeva, e uno di loro è tornato indietro e l'ha trovato che era tutto ferito. Hanno preparato [un lettino] con la legna, e lo hanno portato verso Zara: è stato nascosto a Zara tre mesi. E aveva quattordici anni."

18) I tedeschi, mi diceva, venivano a dare a voi bambini la cioccolata. Erano accolti bene dalla popolazione?

R.: "No, no. I tedeschi hanno fatto anche un po' dei disastri. Penso che hanno fatto del disastro da noi: chi non era per i tedeschi - cioè la popolazione che non era per i tedeschi - i tedeschi venivano in casa e portavano via tutto quel che avevano da mangiare, perché c'era la guerra. Portavano via la gente. Poi, come dico io, mio padre non l'hanno mai disturbato - non so perché -, non sono mai venuti a disturbarlo. Son venuti a casa, han mangiato insieme e andavano via. I tedeschi, questo. Quando, dopo la guerra, sono venuti i partigiani, loro hanno portato [via] tutti quelli che erano per i tedeschi: li hanno fucilati al cimitero di Zara. Quella notte hanno portato anche via mio padre, e mio padre ha detto a mia madre, che aveva quattro figli: stai tranquilla che a me non mi fanno niente, perché io non sono in quella lista. Non so in che lista era o in che lista non era... Io avevo sette o otto anni, e mi ricordo che lei piangeva. Piangeva [e diceva]: non tornerà più, perché la notte nera l'ha portato via. Invece dodici sono stati tutti fucilati, e mio padre non l'han toccato, perché ha detto che lui non era in quella lista. Questa lista non ho mai capito [cosa fosse], cioè se era dei partigiani o dei tedeschi, ma penso dei partigiani."

19) Dei partigiani invece che ricordo ha?

R.: "Si, si, i partigiani li ho visti, diamine! Col pelo, il cappello con la stella rossa e la divisa sul verdone."

20) E ricorda quando sono entrati a Zara?

R.: "No. I tedeschi ricordo che li aspettavamo sulla strada, ma i partigiani no."

21) In giro, quindi, non si vedevano...

R.: "Si, si vedevano, però quando era finita la guerra, che poi erano tutti vestiti normali, vestiti da partigiani. E penso che loro erano tutto un misto [italiani e slavi]."

22) In Istria ci sono state le foibe [interruzione]

R.: "Si, quello lo so, ma l'Istria è lontana da noi!"

23) Si. Però a Zara ci sono stati degli episodi di violenza, come ad esempio quello che ha coinvolto la famiglia Luxardo...

R.: "Si, Luxardo che g'ha el maraschino!"

24) Di questi episodi di violenza, ne era a conoscenza?

R.: "No, no... Mi ricordo delle fucilazioni e che portavano via la gente di notte e che non tornavano più."

25) Questo è molto interessante, me lo racconti...

R.: "I partigiani venivano a prendere quelli che erano contro di loro, e li portavano via e non tornavano più. Di notte, sempre di notte venivano. Perché io mi ricordo che mia madre portava [via] mia sorella - a quell'età mia sorella aveva diciassette o diciotto anni -, l'andava sempre a nascondere per no farla vedere, perché aveva paura che la venivano a violentare. Sa, a quell'età là è un po'critica, e lei la teneva sempre nascosta in casa. Questo qua lo ricordo, che [le ragazze giovani] non andavano tanto in giro fino a che non si è calmata un po' [la situazione]."

26) Perché episodi di violenza sulle donne ci sono stati?

R.: "Si, c'è stato, ma che io ho visto no. Ma c'è stato, senz'altro."

27) Dopo la fine della guerra lei vive per un po' di tempo in Jugoslavia. Posso chiederle com'era la vita?

R.: "Non si trovava roba, logico. Si andava in negozio e se ti volevi un chilo di pane, dovevi portare un chilo di farina, [c']era il cambio tra il pane e la farina, e la gente andava con pochi soldi a comprare sale e pasta, anche se mia madre la pasta la faceva in casa. [Poi] lo zucchero si comprava: mi ricordo che mio padre mi diceva va a comperare un chilo di zucchero."

28) C'erano le code nei negozi?

R.: "No, no, perché [c'] era miseria, non c'era code! La gente non aveva niente, non c'era code."

29) Parlando ancora della vita nella Jugoslavia, le vorrei chiedere una cosa. Ho raccolto più di una testimonianza che descrive la difficoltà del rapporto con la chiesa e la religione, che arriva al punto da proibire la frequentazione della chiesa. Cosa sa dirmi in proposito?

R.: "Io son sempre andata in chiesa perché avevo la chiesa vicino, ho fatto la comunione come tutte. Solo che io, le ho detto, ho fatto la comunione slava: c'era la comunione slava e c'era la comunione italiana. Solo che dopo quando è finita la guerra, c'era scuole italiane e c'era scuole croate e mia sorella, che già aveva cominciato scuola italiana, ha finito la scuola italiana. Io ho cominciato il croato e ho finito il croato."

30) Dunque non era proibito andare in chiesa...

R.: "No, no, proibito no. Solo [che], è logico, chi era comunista interno non poteva sposarsi in chiesa, oppure [lo faceva] di nascosto, perché se no... Per loro era... Perché come mio cognato: lui era capitano di lungo corso, ma quando è ritornato si è sposato, e quando si è sposato si è sposato in Municipio. Ma poi è andato a sposarsi a Fiume in chiesa di nascosto. Perché dentro nella politica, vai a capire! Come anche qui, non ho mai capito."

31) Parlando ancora della Jugoslavia: si ricorda se ci fosse il cosiddetto lavoro volontario, cioè la richiesta - che in realtà assomigliava molto a un obbligo - di partecipare alla costruzione di strade, ferrovie, e infrastrutture?

R.: "No, non mi ricordo... Volontariato? Non lo so, anche perché da noi ferrovie non c'erano. Le strade si, c'erano, ma non so come fossero costruite."

32) Mi diceva che dopo la guerra, in Jugoslavia, c'era la scuola italiana e quella croata. Quindi dalle sue parole sembra che gli italiani fossero tutelati...

R.: "Gli italiani non erano maltrattati, penso di no. Anche perché tanti sono scappati via."

33) Chi e quando è scappato via?

R.: "Io sono andata via. Mio marito , la prima volta, è andato via nel 1953 con una barca e sono stati presi e ha preso ventidue mesi di prigione. Poi dopo è venuto indietro - io prima non lo conoscevo - e l'ho conosciuto io nel 1955, quando è tornato [dal carcere]. E di nuovo [gli] è venuto il pallino che dovevamo tornare in Italia, che lì non si poteva vivere perché dovevano portare via i terreni. Perché dalla parte di mio marito erano [una famiglia] di contadini che vivevano con la terra, e lui non sopportava che gli portassero via la terra le cooperative, [perché] dovevano tutto dare nelle cooperative, e lui quello non lo sopportava, e allora, di nuovo, [ha deciso di andare via]. Perché lui era un tipo che sapeva aggiustare i motori delle barche, ha fatto di nuovo un complotto [ha organizzato un'altra fuga]: eravamo dodici o tredici, ci siamo messi su una barca e di nuovo ci hanno preso. Lui ha fatto quella volta - la seconda volta - venti mesi, e io ho fatto cinque mesi. Avevo diciassette anni."

34) E come vi hanno preso?

R.: "Con la motovedetta, con la motovedetta dei loro, dei croati. Niente, eravamo su questa barca col motore, eravamo in [mare] aperto e [forse] qualcheduno ha fatto la spia, e abbiamo visto che loro arrivavano, i croati con la motonave. Mio marito aveva detto: varda che arivan, si vede che qualcheduno g'ha fato la spia! Si sentiva [la motovedetta] arrivare da lontano: ci hanno preso, ci hanno messo da loro [sulla nave] e ci hanno portato a Zara di nuovo indietro, in carcere."

35) E in carcere è stata dura?

R.: "Io [sono stata] cinque mesi, era dura si!"

36) A Zara la gran parte della popolazione parte però prima di lei, tra il 1943 e il 1944...

R.: "Eh si, però io allora avevo sei o sette anni, son del '37. Non mi ricordo bene. C'era poca gente allora, non c'era tanta gente quella volta [mentre] adesso è tutto pieno. Proprio non mi ricordo."

37) Mi diceva che di essere scappata nel 1955. L'hanno presa, portata in carcere e poi cosa è successo, è ripartita subito?

R.: "No, aspetta! Mio marito finisce la condanna, io lo aspetto, ci siamo sposati a quel tempo e poi abbiamo fatto lo svincolo. Non l'opzione che è un'altra cosa, che [le opzioni] sono venute prima, questo si chiamava svincolo: c'era qualcosa da pagare per venire in Italia. E siamo venuti in Italia, siamo partiti nel 1956 [o] nel 1957. Siamo venuti in Italia e ci hanno preso in campo profughi, siamo andati a Udine e da Udine ci hanno mandati qui a Tortona."

38) Lei è andata via nel 1956, quindi vive per un po' di anni in Jugoslavia [interruzione]

R.: "Si, ma penso che fossero quegli anni stupidi, quegli anni di quando hai quindici o sedici anni e va tutto bene sai, pensi all'amore, pensi a quelle cose lì. Fame non c'era allora, perché mio padre ha sempre lavorato, poi [anche] i miei fratelli sono andati a lavorare [quindi] fame io non ne ho mai patita."

39) Mi diceva però che all'inizio non si trovava niente...

R.: "No, non si trovava né calze per la gioventù, né maglie né niente. La roba di mia sorella mia madre me l'ha sempre messa: fino a venti anni ho portato sempre la sua roba che era più grande di me. Poi mia sorella era già andata in Italia con l'opzione, io invece con lo svincolo, quindi vede già che differenza [c'era]? Dall'Italia mia sorella poi mandava dei pacchetti per mia madre con un po' di roba, con un po' di biancheria, perché lì non si trovava tanta roba, perché i negozi erano vuoti. E questo [è durato] un bel po' di anni."

40) Posso chiederle quali sono stati i motivi che hanno spinto lei e suo marito a partire?

R.: "E' sempre per quel motivo che le ho detto io prima, [e cioè] che lui non sopportava gli jugoslavi, la mentalità di loro. Non li sopportava, lui aveva la sua mentalità, lui doveva scappare. Non perché lui aveva fame, lui non è per questo che è venuto via. Lui è venuto via per i comunisti, non sopportava il comunismo, parliamoci chiaro! Lui non poteva sopportare loro, diceva che doveva andare via."

41) Il comunismo inteso come modo di vivere?

R.: "Come modo di vita: le cooperative e tutto quello a lui non gli andava in testa, non [lo] sopportava. E io che l'ho sposato sono andata [con lui] e l'ho seguito. Quello era il motivo, ecco."

42) Una parte minima di popolazione italiana è invece rimasta. Secondo lei come mai?

R.: "Si, io c'ho tutti i fratelli di mio marito lì, l'unico fratello che è andato via era mio marito che è poi mancato; mio marito era l'unico che era venuto via. Lui ha due fratelli e una sorella e questi son rimasti lì."

43) E secondo lei come mai chi è rimasto lo ha fatto?

R.: "Mio padre ha fatto [richiesta] per venire via e non gliel'hanno dato [il permesso] per venire via. Il perché non lo so. So che mio padre ha fatto [quando eravamo ragazzini] nel '44 o nel '45 [la domanda] per venire in Italia, ma a tanti di quelli non gli hanno permesso di venire via. E tanti hanno permesso. Ma loro erano furbi, hanno dato il permesso di andare via a tutti quelli che avevano un po' di casa e un po' di terra: gli han detto andate, andate, [mentre] quelli che non avevano niente li han lasciati! E quelle case e quella terra le han prese loro, logico, le hanno ripopolate."

44) E il rapporto tra questi nuovi arrivati e le persone che invece vivevano da anni su quelle terre com'era?

R.: "C'è sempre guerra, anche adesso. Perché quando uno è andato via quella volta, non ha firmato niente, invece quando siamo andati via noi con lo svincolo, mio marito doveva lasciare tutti i beni ai fratelli o alla madre o al padre, doveva mettere la croce [firmare la dichiarazione]. Invece quelli che sono andati via prima, con la votazione, andavano via e lasciavano così. Poi dopo quando che è finito tutto, quando tutto si è messo a posto, questi che sono in Italia cercano la loro parte. E' lì è difficile, perché [c']era stata la guerra e non so come si è sistemato. Perché se uno aveva una casa o un qualcosa - adesso non so come dire - lui è andato via e l'ha lasciato a chi è rimasto. Quando è tornato dopo tanti anni, lui pretende la sua casa. E tanti non la vogliono dare, [perché dicono]: sei andato via, ma chi ti ha detto di andare via? Io invece no, mio marito doveva firmare, lasciare al fratello."

45) Andando via avete portato con voi quel che volevate oppure avete avuto delle limitazioni?

R.: "No, no, c'erano le valige che abbiamo portato e basta, solo le valige. Mi ricordo valige grandi con dentro quella poca roba e basta. Il resto è tutto rimasto lì alle persone che son rimaste in casa."

46) Ritorniamo al viaggio. Mi diceva di essere arrivata a Udine...

R.: "Si, [arrivo] a Udine nel 1955."

47) Riesce a descrivermelo il campo di Udine?

R.: "Era una caserma enorme, una caserma. Eravamo [in] una stanza con due piani, con i letti a castello a due piani. Ed è [stata] la prima volta che ho visto tanta gente dell'Istria, della Slovenia... Tanta gente di tutte le parti eravamo lì. Andavamo a mangiare con la gamella lì, ci portavano da mangiare, cioè era come i bambini [che] andavamo a prendere sto mangiare e mangiavamo lì nel refettorio. E siamo stati quaranta giorni. Poi dopo quaranta giorni loro [la direzione del centro] ci chiedeva dove volevamo andare o giù in meridione o dove che volevamo andare in questi campi profughi. E mio marito ha detto subito: mandatemi a Tortona, [perché] in Piemonte si vive meglio, c'è più lavoro. E così ci hanno mandato a Tortona, e a Tortona ho fatto diciotto mesi, e a Tortona ho comprato [partorito] anche il figlio. C'ho il figlio di cinquantadue anni, quindi è nato nel '58. Fino al '59 ero a Tortona."

48) Il campo di Udine com'era? Cioè, uomini e donne erano divisi, le camere erano separate dalle coperte...

R.: "No, a Udine si stava bene, a Udine si stava bene. [C']erano delle stanzine piccole con due letti a castello e poi fuori c'era [lo spazio] per lavarsi con le docce. No, no, a Udine si stava bene, era un bel campo, ma a Tortona!"

49) Ecco, parliamo allora di Tortona...

R.: "A Tortona eravamo divisi con le coperte... Era enorme, c'era un'ala enorme, era una caserma dei militari e allora c'erano cameroni grossi, ed era tutto diviso con le coperte. Eravamo divisi con le coperte. Ma la vita era allegra, era sempre allegra perché siccome noi eravamo a mezz'ala, ci hanno dato un padiglione, e questo padiglione l'abbiamo diviso ognuno con le coperte. Eravamo poi come una famiglia lì: gli uomini si aggiustavano e andavano a lavorare nei campi - mio marito è andato a lavorare nei campi a prendere il grano, perché era settembre/ottobre - per portare a casa due soldini, e poi ci davano 150 Lire al giorno, e con quello ci dovevamo aggiustare, anche a cucinare da soli. E poi c'era all'interno, la cooperativa, che se non arrivavi coi soldini, avevi un libretto che ti segnava. Per dire, io sono arrivata a spendere le 300 Lire che mi davano, ne avevo spese 350, e allora ti segnava e poi quando veniva l'altro mese si aggiustavano i negozi con chi comprava. I negozi erano dentro al campo, ma poi potevamo uscire, potevamo andare via e fare tutto, eravamo liberi. Cioè ognuno si aggiustava come poteva."

50) Dentro al campo, a Tortona, c'erano dei servizi come asilo, scuola, infermeria...

R.: "No, quella volta non c'era né asilo né scuola, dopo penso di si. Ma io avevo il bambino fino a diciotto mesi che l'ho tenuto lì, poi dopo son venuta qui."

51) Relativamente all'assistenza in campo, ricevevate anche dei pacchi dono o cose del genere?

R.: "No, io pacchi dono non ne avevo, ma siccome che ero incinta, andavo a mangiare a Casa Madre, che sarebbe a Tortona, fuori dal campo. Siccome aspettavo il bambino, la dottoressa mi aveva fatto un foglio che dovevo andare in questa Casa Madre, dove ero seguita. E allora tutti i mezzogiorno io andavo là a mangiare, che ci guardavano bene, seguivano tutte ste donne incinte che c'erano. Poi sono andata a comprare [partorire] il bambino in ospedale a Tortona, ma ero abbastanza ben seguita, per quello no, no, niente da dire. Poi tutto è cambiato, [perché] mio marito è andato a lavorare, è venuto [qua] alla Fiat ed io ero da sola. Lui aveva preso una soffitta a Porta Nuova, fino a che non ci hanno dato sto alloggio."

52) A Tortona c'eravate solo voi giuliano-dalmati o anche altri profughi?

R.: "Tutti, tutti! Greci... Eravamo abbastanza uniti, ci aiutavamo uno con l'altro."

53) E il tempo libero come lo passavate?

R.: "Gli uomini già andavano in bar, uscivano. Gli uomini, le donne erano sempre in casa, ma gli uomini si aggiustavano! Le donne andavano al mercato, a passeggiare, no, no. Eravamo però tutti divisi con ste coperte."

54) Quindi anche dal punto di vista igienico la situazione era precaria?

R.: "Il bagno era quello dei militari, alla turca. Poi c'erano enormi, enormi, enormi lavandini, ma enormi! Avranno avuto venti spine che andava l'acqua, e lì si lavava la roba. E invece quando dovevamo fare la doccia, si portava il mastelletto, si scaldava l'acqua e ci lavavamo. Non c'era doccia, non c'era niente. Ci aggiustavamo con le ma stellette."

55) Mi diceva prima che gli uomini si arrangiavano a lavorare...

R.: "Si, si, mio marito ha fatto qualunque lavoro, basta portare due soldini a casa. Andava nei campi, dopo ha fatto la domanda [alla Fiat] perché c'era un nostro parente qui [a Torino che gli aveva detto] guarda che la Fiat prende, mandami la domanda. Lui ha mandato la domanda qui e lo hanno preso alla Fiat: è venuto subito a lavorare e poi di sabato e domenica veniva giù [a Tortona]. E così abbiamo fatto per nove o dieci mesi: lui viveva in sta soffitta con un altro e noi donne eravamo sole lì a Tortona. Quando poi hanno dato le case ad Alessandria, hanno dato gli alloggi a tutti, ma eravamo in quattro famiglie rimaste [senza], perché mio marito non voleva accettarlo, perché [diceva]: se lavoro a Torino, cosa accetto [l'alloggio] ad Alessandria? Aspetto che me lo danno a Torino. E poi dopo c'era sto bando e ci hanno dato questo alloggio [alla Falchera]."

56) In che anno quindi è arrivata a Torino?

R.: "[Sono arrivata] nel '59."

57) Posso chiederle come è stata l'accoglienza degli italiani?

R.: "Io non mi lamento. Magari è il mio carattere, ma io sono stata abbastanza bene, non ci sono mai stati episodi violenti, no, no."

58) Le ho domandato questo perché ci sono molti stereotipi legati ai giuliano-dalmati, primo tra tutti quello del profugo fascista, quindi volevo sapere se lei fosse mai stata al centro di episodi discriminatori...

R.: "Fascisti, penso... Tutti quelli che sono venuti qui in Italia io penso che teniano al fascismo, per me, poi non lo so. Io penso che [anche] mio marito tenea per loro, poi non lo so. Penso che tutti quelli che sono scappati erano fascisti. Poi se adesso hanno cambiato [bandiera] quello è un altro discorso, è un altro discorso. Per me chi è venuto è perché si sentiva fascista, per me. Poi che adesso cambiano... Perché anche io ho un'amica [qui vicino] che è fiumana, poi c'era un'altra fiumana e un'altra zaratina che adesso è morta. Poi coi loro figli e [coi] loro nipoti e via crescendo hanno cambiato, dicono che loro non son fascisti... Ma sei venuta per quello dai, parlemose chiaro! Poi adesso che cambi è un altro discorso, hai un'altra mentalità con gli anni. [Se sei diventata] socialista o comunista non me ne frega, ma che dici che non eri fascista mai... Dai, non me rompere! Io con lei non vado d'accordo."

59) Tornando all'accoglienza, mi diceva di essere stata accolta bene qui a Torino...

R.: "Io si, son stata accolta bene a Torino. Mio marito ha lavorato bene, è andato tutto bene."

60) Posso chiederle qual è stato il suo primo impatto con Torino?

R.: "All'inizio è stato un po'... Per me, prendere il pullman andare in piazza castello o in via Roma quando che andavamo la domenica con i bambini, per me era bello. Solo che si sentiva sempre la nostalgia di casa, niente da fare. Niente da fare, la nostalgia è più forte di tutto!"

61) E ce l'ha ancora la nostalgia?

R.: "Io vado [a Zara] tutti gli anni, vado sempre. Ho la casa di mio marito là, i fratelli mi hanno lasciato un pezzo di casa - una camera e cucina - e allora io vado coi figli. Qui a Torino però io sto bene, anche in questa zona."

62) Riesce a descrivermi la Falchera appena arrivata?

R.: "In principio sta zona era morta: quando sono arrivata non c'era i negozi, di tutti quei negozi là non c'era niente, c'era solo la casa. Non c'erano strade, non c'era niente, era tutto ancora a terra. In mezzo lì alla piazza, c'era delle baracche che erano i negozi: la latteria, il fruttivendolo, la cooperativa. Erano delle baracche e si andava a comprare là. Poi pian pianino [è migliorato]. La scuola c'era già, perché prima la scuola era dove c'è ancora quella baracca, poi l'han rifatta, ma quando son venuta qua io la scuola era già là, c'era quella baracca. Perché qua i primi [abitanti] son venuti nel '55, e adesso è cinquantacinque anni che c'è Falchera."

63) Un quartiere abitato solo da voi giuliano-dalmati o anche da persone provenienti da altri luoghi?

R.: "C'era meridionali, tanti meridionali c'erano, ancora oggi ce ne sono tanti."

64) E andavate d'accordo tra di voi?

R.: "Ma non ci conoscevamo tanto... Si girava sempre tra di noi, poi dopo però è andato tutto normale. Ma all'inizio - ripeto - non c'era niente, niente. C'era un vecchio cinema che si andava, e basta. Perché non c'era macchine, non avevamo macchine per andare a Torino in cinema. Solo che portavamo i bambini in questo cinema qua. Qua [c']era un cinema e basta, non si usciva tanto."

65) A Torino lei ha lavorato?

R.: "Si, dopo ho lavorato."

66) Posso chiederle che lavoro ha fatto?

R.: "Ho fatto la bidella per ventisei-ventisette anni."

67) E il suo tempo libero come lo passava? Non so, andava a ballare...

R.: "No, no, più che al cinema, qualche film, poi passeggiare e basta. Non ero tipo da ballare, può darsi che gli altri andavano, magari."