1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?
R.: "Son nato a Patrasso - Grecia - il 17 marzo 1931."
2) Mi parla della sua famiglia di origine? Quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...
R.: "Facciamo una premessa. Posso fare una premessa? Noi profughi - e questa è una mia valutazione - siamo stati vittime di una guerra che non abbiamo voluto. Questo, per inciso. E' molto importante, l'hanno voluta altri e l'abbiamo pagata cara noi. Allora, noi risultavamo italiani all'estero, perché - diciamo le cose come stanno - il fascismo aveva fatto una propaganda abbastanza pesante: avevamo le scuole della congregazione Santorre Santarosa, dove c'erano dei frati molto bravi che insegnavano molto bene, però erano legati al regime. Per cui nelle scuole ci insegnavano molto bene l'italiano e il greco. Anni molto belli, molto felici e molto gai, perché talmente era forte la propaganda del regime, che ogni anno ci prendevano e ci trasportavano con le navi in Italia nelle colonie: Cattolica, Rimini, Riccione, Alba Villa e così via. Per cui ha fatto molto presa. Mio padre continuava ad avere la cittadinanza italiana, mentre avevamo anche la possibilità di scegliere la cittadinanza anche greca, per avere alcuni diritti. Anche se non mancavano, però con la guerra si son fatti sentire le differenze: gli italiani all'estero, più furbi di mio padre - devo essere sincero - avevano scelto la doppia nazionalità, mantenendo sempre la cosa [religione] cattolica apostolica di Roma, ecumenica, perché avevamo la nostra chiesa e avevamo la libertà di avere tutte le nostre cose, sia nella religione, sia nella lingua, sia i nostri usi e costumi. Perché ricordati che a Patrasso c'era la Piccola Italy, cioè c'era il quartiere che erano tutti italiani, cioè tutti italiani tra virgolette, perché erano tutti pugliesi. Pugliesi di Molfetta e Barletta, pescatori. E insieme a questi pescatori, c'erano anche dei muratori che erano molto richiesti in quel periodo. C'è stata l'immigrazione molti anni fa, con mio nonno, per cui non sono solo nato io [in Grecia], ma anche mia madre e mio padre son nati in Grecia. Per cui va molto lontano [l'immigrazione]. Ecco perché, forse, mio padre ha sbagliato, perché aveva impostato bene la sua vita: era un piccolo imprenditore edile, avrebbe potuto anche avere un riguardo e invece la propaganda è stata molto più forte. L'odissea è iniziata quando è iniziata la guerra, la seconda guerra mondiale."
3) Vorrei capire però una cosa: voi a Patrasso, eravate una sorta di minoranza italiana?
R.: "Si, si, [eravamo] una comunità italiana sotto lo stato greco."
4) Riuscirebbe a descrivermela Patrasso dal punto di vista economico e sociale?
R.: "Si, si, era florida. Era florida, perché c'era lavoro per tutti: i nostri si erano fatti avanti con le loro arti, i loro mestieri, anche perché il porto di Patrasso, l'hanno fatto i nostri. I nostri hanno fatto anche alcune altre cose, ed erano ben piazzati, perché oltre ad essere pescatori e muratori, c'erano anche commercianti, per cui era un momento molto bene. Io mi ricordo bene, stavamo bene, avevamo un tenore di vita abbastanza alto, avevamo le nostre case con i nostri giardini: erano case coloniche, che naturalmente ogni casa aveva il suo giardino, il pozzo dell'acqua con la fontanella."
5) E mi diceva che c'era un quartiere degli italiani?
R.: "C'era un quartiere che si chiamava via Gambetta. Era tutto un quartiere italiano, che là sentivi solo il pugliese! Però era bello, era carino. In quella parte lì erano tutti pescatori, mentre gli aristocratici - cioè, diciamo, i commercianti - erano un po' fuori, con le loro case e le loro villette."
6) Posso chiederle quanti abitanti aveva Patrasso?
R.: "Allora, me lo ricordo molto bene questo, aveva in quel periodo dai 50 ai 60.000 abitanti. Ma era ben sistemata, con la sua collina."
7) Posso chiederle come mai la sua famiglia è finita in Grecia?
R.: "Emigrati, dalla Puglia. Il mio bisnonno. Ecco perché, dicevo prima, io son nato in Grecia, mio padre e mia madre son nati in Grecia e i padri che son venuti dalle Puglie hanno iniziato a fare i loro lavori, gli artigiani, a lavorare in proprio."
8) Come mai si emigrava?
R.: "La solita storia: per lavoro. Per lavoro, si andava via per lavoro. E poi - questo è importante - si andava via anche perché a forza di sentire i pescatori... I pugliesi, che erano molto bravi come pescatori, sapevano che dalla parte là dello stretto di Corinto, era una pesca florida, era una pesca stupenda, non era sfruttato il mare. E allora lì sono venuti i nostri e hanno fatto, non dico razzie... Anche perché là - e meno male che c'è ancora [adesso] questa cosa - si pesca il pesce a stagione, per cui lasciavano la possibilità che si riproduca la specie, e questo vale ancora. Per cui i nostri hanno fatto [scuola]. Ad esempio certi pesci i greci non li mangiavano, mentre noi li mangiavamo: ad esempio la pescatrice non la mangiavano, il nocciolino non lo mangiavano, e invece quando siamo arrivati noi hanno incominciato."
9) Posso chiederle che rapporti c'erano tra la popolazione italiana e i greci?
R.: "Ottimi! Sul piano popolare i nostri - dico i nostri, cioè gli italiani di Patrasso - si erano amalgamati benissimo, perché - e questo lasciamelo dire!- con i greci non si può non andare d'accordo! E' gente stupenda, brava, ci assomigliamo: stesa faccia e stessa razza, era questo il loro motto laggiù. Anche perché loro hanno delle usanze molto belle, ancora adesso le tradizioni le rispettano - lo saprai anche tu che loro rispettano molto le tradizioni - e allora, naturalmente noi ci siamo amalgamati, perché non è possibile non andare d'accordo. A parte il disastro, adesso, ma quello viene dopo!"
10) Non c'erano dunque frizioni e contrasti...
R.: "No. Devo dire, soltanto, che in Grecia in quel periodo c'erano due ceti: gli aristocratici, e cioè quelli che parlavano il greco antico, e quelli che parlavano la lingua popolare. Nelle scuole non era ammessa la lingua popolare, oppure erano ammesse le due lingue: alle elementari era ammessa la lingua popolare, e dopo le elementari bisognava sapere bene la kathareusa, che era il greco antico, il greco pulito. Dopo la guerra, che è venuto Papandreu e ha cambiato un po' la democrazia, hanno messo per legge che la lingua greca è quella popolare. E allora noi, eravamo più amalgamati col popolo, col ceto popolare, mentre gli altri ci snobbavano, perché erano stimolati o provocati dagli inglesi, perché avevano molti legami con i reali inglesi e allora si sentivano un po' signorotti. E allora questi qui ci snobavano un po'."
11) Cerchiamo di tracciare un quadro della Grecia durante il fascismo [interruzione]
R.: "Là c'è stato un casino molto grosso, tra Metaxa e Mussolini. Mussolini aveva chiesto a Metaxa di dargli il passaggio facile per poter accerchiare gli inglesi tramite la Turchia. E allora Metaxa è stato indotto o costretto per politica dagli inglesi a dire il famoso no: tu non passerai di qua, se passi di qua sono dolori. E poi c'è stato il fronte albanese. Perciò, i greci, tutte le volte che c'è il 28 ottobre, per loro è festa nazionale, che hanno detto di no a Mussolini. Anche se poi la guerra ha avuto molte ripercussioni, cioè son stati occupati i greci non da noi, ma dai tedeschi. Parliamo del periodo della guerra?"
12) Va bene, parliamo della guerra...
R.: "Allora, c'è stato il no dei greci, no voi non passate, e poi è stato riaperto il fronte. Su quel fronte Hitler ci teneva, perché dall'altra parte perdeva molto tempo. Dopo sei mesi ha dovuto costringere l'armata delle Wermacht di scendere giù con un bulldozer e in Albania, purtroppo, sono morti troppi alpini, non avevano potenza , capacità, non so... Comunque si sono fermati sei mesi, e per i tedeschi erano troppi. Comunque hanno riversato tutta la potenza militare, dopodiché noi non siamo arrivati, siamo arrivati con le navi, avevamo il compito di osservare la Grecia col porto, via mare. E' stato comunque un periodo difficile, difficilissimo, perché è risaputo che in quel periodo la Grecia ha patito la fame e di fame è morta parecchia gente. Noi riuscivamo ancora a sopravvivere: eravamo bambini, andavamo nei campi militari e prendevamo con la gavetta - un barattolo - tutto quello che avanzava. Gli italiani si, lo davano, ma i tedeschi piuttosto lo buttavano ! E questa è una cosa che io non mi scorderò mai... E noi siamo riusciti a sopravvivere [grazie ai soldati] italiani: eravamo bambini, fuori dai cancelli, e piuttosto non mangiavano loro, ma ce ne davano. Eravamo fuori dalle caserme a chiedere gli avanzi delle loro gavette o gli avanzi della marmitta, e questo è stato un periodo molto nero."
13) Patrasso, se non sbaglio non diventa italiana come Corfù...
R.: "No, c'è stata occupazione per due o tre anni, dal 1941 al 1944. E' stato un periodo difficilissimo: tutti i nostri padri erano stati presi prigionieri dai greci e portati nei campi di concentramento. Poi, naturalmente, quando son arrivati i tedeschi son stati liberi e là abbiamo visto un po' di più noi, perché i nostri padri avevano più possibilità di lavoro e di occupazione."
14) Perché sono stati presi prigionieri?
R.: "Eh, perché tutti quelli risultati italiani, son stati presi prigionieri, durante la guerra, appena proprio dichiarata la guerra l'Italia. Perché sono venuti a bombardare: il mattino ha dichiarato guerra alla Grecia, Mussolini, e sono subito venuti a bombardare, era di lunedì, gli italiani. Era compito italiano. E sono venuti a bombardare: han bombardato da matti, soprattutto sulla popolazione, per creare panico. E addirittura han bombardato la nostra scuola, la scuola italiana: venivano senza obiettivi precisi, dove trovavano una ciminiera buttavano giù!"
15) Patrasso è stata bombardata parecchio?
R.: "Si, perché vicino a noi c'era una fabbrica che faceva il catrame, e hanno visto dei barili e hanno bombardato: hanno fatto a pezzi tutto quanto, intorno."
16) Rifugi c'è n'erano?
R.: "No, non c'era niente, non era preparato nessuno. Dopo son stati fatti i rifugi, sotto terra, quando i bombardamenti erano più potenti. Quando è stata occupata la Grecia e Patrasso, naturalmente gli altri, gli inglesi e gli americani, venivano a bombardare, soprattutto il porto di Patrasso, che era un porto di smistamento e così via. Perché Patrasso è stata occupata dagli italiani e dai tedeschi, dal '41 al '44."
17) Quando Mussolini disse: "spezzeremo le reni alla Grecia", gli italiani di Patrasso come hanno reagito? Erano favorevoli a queste dichiarazioni?
R.: "Ti confesso e ti dico si! Si, perché... Senti, non ti dico niente di nuovo, perché tutti i nostri che si erano formati con la nazionalità italiana, erano certamente imbavagliati da Mussolini e dalla propaganda fascista. Erano imbavagliati, proprio."
18) E lei cosa ricorda di questa propaganda?
R.: "La propaganda consisteva: per esempio, durante l'anno scolastico, parate all'interno della scuola con vestiti e divisa, però [eravamo] obbligati, eh! Poi figli della lupa, balilla, moschettieri, tutto così, no... E poi facevamo parate, saggi... E Mussolini lì - non Mussolini, ma l'apparato di Mussolini - aveva mandato uomini fidati del fascismo per controllare la situazione. Altri, che secondo me son stati più intelligenti, avevano fatto un'altra scelta: quella di non indossare la camicia nera, e di stare attenti e coerenti con lo stato greco. Naturalmente, dopo, quando son venuti gli italiani e i tedeschi, questi qui, gli altri, hanno avuto dei vantaggi, come ad esempio che mangiavano meglio. [Questi erano quelli] che avevano messo la camicia nera."
19) Ribaltiamo la domanda: quelli che avevano indossato la camicia nera, com'erano visti dai grec?
R.: "Erano visti molto male, molto male. Anche perché ti dirò una cosa: i greci della guerra non sapevano niente, tra l'altro come anche i nostri. Il nostro era solo fanatismo, era solo fanatismo: perchè se avessero pensato che cosa è una guerra, a cosa vai incontro [quando fai] una guerra, non l'avrebbero [fatta]. Era solo fanatismo creato ad arte e naturalmente si sono basati sull'ignoranza della gente. Il vero dramma incomincia dopo l'armistizio."
20) Il fatto di essere stati invasi dall'Italia influisce nei rapporti tra la popolazione italiana e la popolazione greca. Cioè, i rapporti sono sempre buoni come prima?
R.: "No, no, no. Eravamo diventati i loro nemici. Cioè, per esempio... Non erano tanto nemici i tedeschi, che han fatto una strage, perché gli italiani davano un pezzo di galletta ai ragazzini, vedevano che avevano fame. La loro metà pagnotta la davano ai ragazzini. Cioè, l'avevano contro gli italiani, perché nella dichiarazione di guerra Mussolini [aveva detto] spezzeremo qua e spezzeremo là, e questi i giornali scrivevano, eh... E hanno scritto di tutto là, dopo di che la propaganda ha lavorato bene. E gli inglesi... [Dicevano] verranno i nostri inglesini e ci daranno da mangiare, ma poi son rimasti delusi."
21) Durante la guerra voi, in quanto italiani, avete mai avuto delle discriminazioni?
R.: "Prima della guerra mai. Dopo sono incominciate delle discriminazioni perché, naturalmente, quando c'è stato l'armistizio, che i tedeschi hanno rotto coi fascisti, là è incominciato il loro dramma. Là è incominciato il loro dramma, perché si è capito che oramai il fascismo andava a rotoli, e chi si era aggregato con i tedeschi era diventato non più un soldato, ma delle belve: ammazzavano, come successo in Italia, erano delle belve. Poi, naturalmente, è successo che non vedevano l'ora che noi andavamo via. Però andiamo un po' per ordine... In quel periodo c'era la caccia all'italiano: quando è stata dichiarata la guerra, c'era la caccia all'italiano. Io me lo ricordo. Perché la propaganda... Anche i greci, poveracci anche loro. Mi ricordo un particolare: avevano messo la diceria che in una parte della zona di Patrasso, le acque erano state avvelenate dagli italiani. I militare rastrellavano per prendere questi italiani, Senonché mia zia - e questo me lo ricordo molto bene - aveva un flacone di sciroppo per la tosse asinina di mia cugina, e questo sciroppo faceva un po' di schiuma. I soldati quando rastrellavano, han trovato questo flacone, perché si era già sparsa l'idea che le acque erano avvelenate, ed è successo il finimondo. Abbiamo trovato il veleno! Ignoranti anche i militari, non sapevano leggere. Erano militari greci. Siamo ai primi giorni della guerra... Si è dovuto proprio chiamare un medico, se no quelli fucilavano. Han dovuto chiamare un medico... Han trovato un sergente che sembrava un po' più intelligente, ha chiamato un medico che ha detto che quello era lo sciroppo per la tosse. Si era creato questo clima non indifferente. Le guerre sono tremende, ovunque, in qualsiasi parte della terra, bisogna rifiutarle sempre."
22) Parliamo dell'armistizio dell'8 settembre...
R.: "C'è stato un periodo, che i greci si son trascinati, si son barcamenati per la povertà e per la fame."
23) Fame di guerra?
R.: "Non c'era niente da mangiare, soprattutto d'estate, e allora dovevi andare a rubare l'uva. Ma mangiare sempre l'uva, l'uva piccola... Poi rubavi anche le pesche e qualche pera, andavi a rubare. Però non era sufficiente, non c'era niente. Mio padre aveva un po' di soldi, e io andavo in un ristorante nel centro della città dove c'era una mensa di tedeschi, e andavo a comprare il pane. Quando uscivano fuori dal ristorante, si vendeva la carne, il pane e le gallette: andavo io, non mio padre, andavamo noi bambini,m hai capito? Ti smalizi, vuoi o non vuoi... Diventi adulto in un momento: cioè, la fame e la necessità ti fa diventare un po' come gli scugnizzi di Napoli, capisci?. Allora aveva qualche soldo, mio padre, perché - e poi arriveremo anche a questo - in Grecia han mandato via quelli che potevano lasciare qualcosa, non è che han mandato via tutti! Perché quelli che avevano due nazionalità - che, come dicevamo prima - erano molto più intelligenti di mio padre, a quelli non gli hanno fatto niente. Ma quelli che hanno voluto essere italiani a tutti i costi e, soprattutto, fascisti a tutti i costi, questi qui, appena sono andati via i tedeschi, li han messi su una nave... E poi, naturalmente, ne parleremo."
24) Parliamo ancora un attimo di una cosa: lei all'epoca ha avuto modo di sapere quanto accaduto a Corfù e a Cefalonia, oppure l'ha saputo dopo?
R.: "No, no, l'abbiamo saputo dopo. L'abbiamo saputo dopo... Anzi, l'abbiamo saputo in Italia, non in Grecia. Non si è saputo niente. Sapevamo soltanto degli eccidi che facevano i tedeschi nelle vicinanze della montagna, nel Peloponneso. I tedeschi, le rappresaglie, no? Quando c'era qualche attacco partigiano, [che] moriva qualche tedesco in guerra, andavano nei paesi e rastrellavano e uccidevano, come hanno fatto anche qui."
25) Mi ha parlato di attacchi partigiani. La resistenza greca è stata molto forte...
R.: "La resistenza greca è stata forte... E anche qui c'è da parlare di Marcus. Hai sentito parlare di Marcus? Ha fatto grandi cose... E' stata forte la resistenza greca, eh! Anche a Patrasso c'erano i partigiani. Quando c'è stato l'armistizio, cioè quando Badoglio ha firmato l'armistizio, poi è stata la tragedia vera di tutti gli italiani, convinti di tornare a casa... Col cazzo! In Germania non han mandato solo quelli che prendevano gli italiani, prendevano anche i nostri. Cioè, italiani tutti giovani, molto giovani. Anzi, quasi tutti i nostri giovani li hanno messi sui treni. Questi qui del fascismo li hanno imbavagliati, [gli dicevano]: andate [in Germania], c'è bisogno di potenziare le fabbriche che devono produrre. Li hanno messi dentro [i treni] e li han portati via, molti dei nostri. Che tra l'altro molti dei nostri sono morti nei lager... Giovani italiani di Patrasso, che li hanno proprio coinvolti in questa propaganda e li han mandati in Germania, che dovevano proprio aiutare la causa del fascismo. Perché poi Mussolini aveva fondato la Repubblica di Salò... E invece i più intelligenti, hanno capito che era un bluff e, naturalmente, [sono andati coi partigiani]. I nostri no, non volevano sentire parlare di partigiani i nostri, nessuno dei nostri. I militari, i militari italiani sono andati coi partigiani. E allora, quando son stati via i tedeschi, son stati cacciati, inizia il dramma degli italiani".
26) Cosa succede quando sono andati via i tedeschi?
R.: "Quando son andati via i tedeschi sono arrivati i partigiani. C'è stato poi un accordo a certi livelli, tra Stalin [e gli altri leader] che la Grecia doveva rimanere al di fuori della sfera comunista. Allora a Marcus gli hanno detto gli alleati: consegnate le armi e si procede nella democrazia. Gli inglesi - perché gli inglesi han combinato casino in tutto il medio oriente - gli dicono: noi vi consegniamo le armi, però dobbiamo andare a vedere, vogliamo vedere cosa vuole il popolo, se vuole la monarchia o la repubblica. Loro non han voluto, avevano già portato Re Giorgio, il padre. E allora Marcus si è ribellato, si è ritirato di nuovo in montagna e c'è stata di nuovo una guerra civile, una guerra tremenda, eh! Poi, naturalmente, è tornato il re e hanno naturalmente impostato con Cannelopulus, un cima fascista. E siccome la Grecia in quel periodo era forse peggio che adesso, cioè erano tutti poveri, è stata la prima che ha chiesto i danni di guerra all'Italia. E la proposta [fatta] a Sforza - che allora era Sforza il ministro - era: dateci i beni degli italiani in Grecia e noi poi vi risarciamo. Ed è stato così. Ma nemmeno una settimana ci hanno messo: ci hanno chiamati là e ci hanno preso. Perché poi quando c'è stato tutto il periodo [della campagna] di Grecia, prima dell'occupazione dei tedeschi, ma anche dopo, andavamo in un ufficio della polizia [greca] a dare la presenza ogni mattina. Andavo io, perché mio padre si era fatto male, cadendo da un'impalcatura, e mia madre non poteva. Andavamo a dare la presenza ogni mattina, andavo io. Andavamo a firmare dalla polizia. Tutte le mattine."
27) Voi siete quindi stati espulsi...
R.: "Ecco, ed è importante che tu sappia che c'è differenza tra espulsi e rimpatriati, perché se non ci espellevano, col cavolo che noi andavamo via, [perché] mio padre aveva tutta la sua roba là, la sua attività e il resto."
28) Voi siete quindi stati espulsi quando?
R.: "Voglio esagerare, in due mesi... Alla fine del '44... Anzi no, all'inizio del '45."
29) Come mai vi hanno espulso?
R.: "Ti dicevo, il perché. Loro han detto: la Grecia è stata la prima a chiedere i danni [di guerra] e hanno concordato tra Cannelopulos l'allora primo ministro e Sforza, di prendere i beni degli italiani in Grecia, più quattro o cinque navi. E Sforza pensava fosse una regalia e li ha presi per fame, e allora hanno iniziato a fare la cernita: tu, tu, tu e han fatto non so quante spedizioni. Hanno preso delle corvette e han detto: prendete tutta la roba che vi serve, e domani partite per l'Italia e sarete portati a Bari. E non potevi far niente, era tardi per cambiare."
30) Quindi hanno espulso gli italiani, non quelli che avevano la doppia cittadinanza...
R.: "Si, perché gli italiani che avevano la doppia cittadinanza, son rimasti. Erano negozianti, commercianti, artigiani, quelli son rimasti tutti."
31) E le partenze come funzionavano?
R.: "Niente, ti dicevano preparatevi, perché domani verremo col camion a prendere la vostra roba, quello che ti lasciavano portare, e vi porteremo in Italia."
32) C'erano quindi delle limitazioni?
R.: "Potevamo portare poco, un baule, la biancheria, e tutto il resto è rimasto. Tutto il resto è rimasto là. Abbiamo preso solo gli indumenti."
33) Sul fatto di essere espulsi, gioca il discorso basato sul binomio italiano-fascista?
R.: "No, no, là giocava il fatto di interesse economico... L'odio no, quello dopo la guerra è cessato, perché poi i greci hanno capito di aver fatto un errore ad essere alleati con gli inglesi."
34) Lei se lo ricorda il viaggio?
R.: "Guarda, era una corvetta. Che ci hanno caricato là ed eravamo non so quante famiglie: la corvetta era aperta, ed era il periodo invernale. Se m i ricordo eravamo vicini a Natale, era un mese prima di Natale, era novembre, fine ottobre-primi di novembre. E noi abbiamo fatto una traversata che, porca miseria... Abbiam trovato il mare [grosso] e alcuni bauli sono caduti, perché non erano protetti, ognuno trovava il posto dove poteva. La corvetta - non so se hai presente - non aveva cabine, non aveva interni. Ed è stata una traversata tremenda! Siamo arrivati al porto di Bari, e abbiamo trovato un altro macello lì: c'è stato un bombardamento che ha affondato tutte le navi, e per entrare poi al porto, abbiamo dovuto fare [una fatica]... Perché là, un mese prima, era successo il finimondo a Bari! Era scoppiata una nave piena di munizioni, ti risulta questo? E ha fatto una deflagrazione a Bari [che] ha spaccato tutto, anche le navi che erano vicine a lei."
35) Parte da Patrasso, quindi, ed arriva a Bari. Posso chiederle che atmosfera si viveva a Patrasso al momento della partenza?
R.: "Questo, sottolinealo bene: i nostri - mio padre, ma tutti i nostri anziani - forse avevano anche il tempo, perché mia zia - e questa è [una cosa] molto personale - disse a mio padre: Andrea, andiamo un attimo dal notaio e passami questo alloggio, e te lo troverai quando tornerai. Perché si diceva così? Perché la fissazione di tutti i nostri vecchi, era che si doveva tornare, erano convinti di tornare! Mio padre [aveva detto a mia zia]: ma no, no, no. [C'era] diffidenza, mia zia per mesi - lei era intelligente, aveva studiato di più, il marito era un commerciante - gli aveva detto ma si, guarda che qui le cose stanno così... Lasciamelo [l'alloggio] , poi vieni a prenderlo, non è un problema, poi al limite te lo pago... Non ha voluto. E perché questo? Perché mio padre, come tanti altri, era convinto che sarebbero tornati. Io, che avevo una certa età, quando siamo venuti in Italia, a mio padre dicevo: papà - Andrea - non hai capito che siamo stati presi in giro? Ma non l'hai capito ancora? Anche perché, quando poi son passati un anno o due, che si affievolivano le speranze, arrivati i danni. Sono arrivati i danni e [mio padre] ha preso un decimo, tra tutto, di quello che poteva prendersi, perché quando hai una casa con sei stanze, con due giardini e con alberi e con tutta la mobilia, più tutto il materiale edile... Ho dovuto sudare sette camice per dire a mio padre: papà, siamo stati presi in giro, mettitelo bene in testa! Siamo stati presi in giro dal regime che tu hai voluto. Gli altri che lo hanno capito si son salvati... Dopo di che, mi ricordo, aveva preso, allora, 400.000 Lire, che erano già dei soldi. Però poi la casa era stata messa all'asta, ed era stata venduta per 10.000.000, in quel periodo, eh! La, naturalmente, è cominciato il dramma dei nostri genitori che sono morti, e te lo dico, di crepacuore, proprio perché questo ha distrutto tutta la loro esistenza."
36) Da Patrasso, mi diceva, siete arrivati a Bari. Nella città pugliese, dove siete andati?
R.: "A Bari, se devo dirti la verità, siamo stati ospitati in una caserma. Se devo dirti la verità, eravamo dislocati in una vecchia caserma di carabinieri, proprio all'Arcivescovado, al duomo di Bari. C'era [poi] un'altra caserma - Regina Elena la chiamavano- vicino al porto, c'era un'altra caserma - un garage - in via Salerno a Bari, e [questi] erano tutti campi transito."
37) Campi transito?
R.: "Si, li chiamavano campi transito. Transito perché non eravamo fissi là, ma dovevano poi esserci le varie destinazioni per l'Italia. Perché poi molti li hanno spediti a Milano, a Firenze e così via."
38) Si poteva scegliere, oppure si andava dove c'era posto?
R.: "Il problema era che noi non volevamo scegliere perché eravamo baresi: mia madre di Taranto e mio padre di Bisceglie. Poi c'erano anche molti altri parenti di Bari, perché mio padre, siccome era un libertino, era andato a fare la prima guerra mondiale '15-'18 e si era sposato a Bari, aveva fatto un figlio e poi la moglie è morta. E lui, allora, voleva tornare in Grecia e la nonna gli aveva detto: lasciami qua il bambino che è rimasto e che è quindi cresciuto a Bari. Ma questa è una storia sentimentale, che non c'entra... "
39) Riesce a descrivermelo questo campo a Bari?
R.: "Allora, il campo era una vecchia caserma dei carabinieri, che era il soggiorno dei seminaristi. Era una vecchia casa con l'entrata colonica e tutto... Ed è stato il [mio] primo impatto con l'Italia, a Bari vecchia. Però ti dirò una cosa: onestamente, non rinnego niente di questo, è stata la mia prima esperienza di vita personale. Cioè, vedevo e notavo - cominciavo a capire - che c'era possibilità di avvenire, mentre per gli anziani si affievoliva sempre di più l'idea di tornare, invece io capivo che là c'era [possibilità]. Bari era una città bella : Bari vecchia è una cartolina, è una cosa bellissima! La gente un po' meno, ma va bene anche la gente!"
40) In campo eravate divisi in stanzoni?
R.: "Si, bravo [eravamo divisi] in stanzoni. Dopo di che questi stanzoni erano divisi con coperte: ognuno in una stanza - ci diceva il direttore - doveva prendere una coperta e dividere. [Il direttore diceva]: siete in tre? Prendi questa coperta e dividi, prendi le brande e i materassi... Dopo di che le famiglie più numerose avevano più spazio. Per cui in uno stanzone potevano starci sei famiglie. Dopo di che cosa è successo? A Patrasso noi eravamo già tutti conosciuti e apparentati, per cui la vita da profugo è stata meno pesante di quanto [poteva sembrare], capisci? Non ci è pesato tanto... Non ci è pesato tanto... Non eravamo consapevoli [forse], però eravamo tranquilli."
41) All'interno del campo, a Bari, eravate solo voi greci o c'erano anche altri profughi?
R.: "No, no, greci e poi sono arrivati anche i fiumani e i dalmati e gli istriani."
42) E con i profughi giuliani andavate d'accordo?
R.: "No. E te lo dico perché. Ed è importante questo da segnalarlo. Mentre questi sceglievano di andare via e alcuni di questi portavano anche i loro mobili coi camion. Oso dire che erano anche incitati dalla propaganda di De Gasperi a venire, di abbandonare. Perché là non li hanno cacciati, indipendentemente dalle foibe, che c'è tutto questo discorso da fare. Perché io ho una mia idea, ho letto, so cosa son le foibe, sono andato a vederle, ho parlato con della gente. Perché io son stato fortunato, ho fatto la scuola politica [del PCI], ho lavorato nel sociale, per cui... Ho lavorato nel sindacato... E' una vita che lavoro nel sociale e anche adesso faccio il volontariato e sono presidente dell'AUSER di Torino. Per cui i giuliano dalmati arrivavano, e c'è stato contrasto, perché mentre noi eravamo espulsi, e io lo sottolineo sempre, questo, ma non per fare polemica, per fare un distinguo, perché se non ci mandavano via, di brutto, sopra una corvetta, noi non saremmo andati via."
43) Parliamo per un attimo ancora del campo: ricevevate qualche tipo di assistenza?
R.: "Allora, siamo partiti con pane, rancio e questa roba qui. Quando non arrivavano più, oppure si era abbandonata la cosa, ci davano il sussidio. Avevamo fatto perfino una canzone; noi greci avevamo fatto perfino una canzone dei profughi."
44) E come faceva questa canzone?
R.: "Diceva che siamo tutti di Patrasso, che siamo tutti parenti, che siamo stati mandati via dalla Grecia perché ci siamo trovati nel mondo italiano! Poi c'è tutte le strofe, no? Dove dice che i nostri patrioti, i nostri italiani qui del posto ci hanno accolti bene, ci danno da mangiare e i vestiti. Persino le uova per Pasqua. Ma è bella quella canzone! Per cui niente, c'era la speranza. Speranza perché la città di Bari era bella e carina, io diventavo giovanotto [a andavo] alle feste e ai balli: e facevamo sempre feste! Nel campo profughi facevamo sempre feste: ballavamo sempre, cantavamo sempre! Eravamo spensierati. Però, quando son passati quattro anni di questa spensieratezza, e mangiavamo anche gratis, lo stato italiano ha posto [una regola]: chi vuole andare via dai campi profughi, dare le dimissioni dalla qualifica da profugo, gli diamo 50.000 Lire. Però non era questo lo stimolo [per lasciare il campo]; il fatto è che passavano gli anni, ma non si prendeva niente, non c'era niente. Allora alcuni miei amici che si erano avventurati per vedere Torino e Milano, mi dicevano P., qui c'è lavoro, ma pochi, pochi... Giocavamo anche a pallone insieme... Entro abusivo alle Casermette di Borgo San Paolo, parliamo col direttore delle Casermette, mi faccio la residenza... E poi mi stimolava questa proposta di venire a Torino: Torino, città grande, la Fiat, la Lancia... Mi stimolava... E ho deciso, dopo quattro anni, nel '50, di prendere la mia borsa di cartone [e partire]. Prima sono andato a Milano, però... Prima sono andato a Milano, a Monza, che c'era un altro campo."
45) Se lo ricorda questo campo di Monza?
R.: "A Monza era un capannone degli stalloni, una stalla, dove mettevano i cavalli. Non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto, anche se a Milano c'era più prospettiva, perché tutti i miei cugini si son fermati a Milano, son stati assunti e han lavorato alle tramvie e si son trovati molto bene. E allora ho preso le mie 50.000 Lire e son partito, [mentre] mio padre mi diceva: no, no, stai qua. E, tra parentesi, chi ha avuto la pazienza di rimanere a Bari, si sono sistemati tutti - per una legge fatta da qualcuno - impiegati o lavoratori dello stato: prefettura, municipio, acquedotto. E allora sono venuto a Torino. A Torino ho fatto la gavetta alle Casermette, per quattro anni, e c'era crisi, in quel periodo c'era crisi, veramente."
46) Com'erano le Casermette?
R.: "Eh, le Casermette erano... Eh, anche là coperte, c'era il padiglione degli scapoli, il primo padiglione, dove [c'] eravamo io e tutti gli altri scapoloni."
47) Le Casermette, che io sappia, avevano anche dei servizi: un bar, un cinema, la scuola...
R.:"Cera un bar, c'era un bar. C'era un bar abbastanza attrezzato, e c'era un fiumano [che lo gestiva]. Anche là [ricevevamo] un sussidio, da mangiare, però dovevi avere la tessera, il tesserino."
48) Che tesserino?
R.: "Un tesserino che usavano al campo."
49) Mi scusi, lei però come faceva ad avere questa tessera?
R.: "Lo avevamo perché giocavamo a pallone, eravamo giovanotti, eravamo simpatici, per cui ci aggiustavamo ed avevamo avuto, di nuovo, il permesso di stare nel campo. Lì, dopo aver lavorato in parecchi posti con le imprese, ho rifiutato alcuni lavori e avevo deciso di andare a lavorare alla Michelin. Perché in quel periodo, mentre alla Fiat guadagnavi 35.000 Lire, alla Michelin ne guadagnavi 85.000. Era tra volte tanto! Era una fabbrica nociva, per cui [pagavano di più]. E lì sono riuscito ad andare a lavorare grazie a un prete missionario."
50) Don Giuseppe M.?
R.: "No, no, don M. non mi poteva vedere a me! Non mi poteva vedere perché - posso dirlo?- ero comunista. Ero comunista e non mi poteva vedere! Io ho rifiutato parecchi altri lavori perché puntavo sulla Michelin, grazie a questo prete missionario [che avevo conosciuto] grazie a una ragazza. Perché in quel periodo per trovare lavoro non dovevi andare al collocamento, dovevi andare alla parrocchia. Per cui questa ragazza - era una bella ragazza, la Paola - che l'aveva cresimata e battezzata questo prete. Allora noi andavamo in giro con la bicicletta per trovare lavoro, e Paola mi dice: andiamo a trovare padre S.. E le dico: ma lo conosci? Si, lo conosco. Padre S. era molto conosciuto, era molto conosciuto a Torino. E allora andiamo io e lei, e lui credeva che eravamo fidanzati, invece no, lei aveva un altro fidanzato. Gli abbiamo chiesto di farci una lettera per andare alla Michelin, per essere assunto alla Michelin. Lui, quando ha sentito così, dice: no, no, ti porto io. Perché devo fari la lettera? Ti porto io alla Michelin. E quello che mi ha impressionato, è stato che era talmente conosciuto questo prete, che quando si è presentato là alla porta e l'hanno visto che era lui, hanno chiamato subito il capo del personale. E quello che mi ha fatto molta impressione è che quando lo ha visto, questo capo di è inginocchiato e gli ha baciato la mano. Son rimasto, ti dico... E l'indomani passavo già le visite."
51) Posso chiederle com' è stato accolto in Italia?
R.: "Voglio essere sincero: a Bari ho avuto una buona impressione. L'accoglienza era un'accoglienza tra poveri, perché quando siamo venuti e siamo andati alla caserma che ci hanno dato le coperte, ci hanno dato le brande e poi hanno cominciato a darci il sussidio con la minestra e queste robe qui... "
52) Non siete quindi stati discriminati in quanto profughi...
R.: "No, assolutamente no. Io, di Bari, tutto quel periodo, pur nella povertà, ho un ricordo positivo."
53) Lei sta alle Casermette per quanto tempo?
R.: "Dalle Casermette, quando ho preso lavoro alla Michelin, dico a mio padre e mia madre di trasferirsi a Torino. E così hanno fatto, si sono trasferiti. Ed è stato l'errore più grosso che ho fatto nella mia vita. Quando mio padre è venuto qui... Là a Bari - te l'ho detto - pensava di ritornare [a Patrasso] poi alla fine ha capito, come gli ho detto io, che siamo stati presi in giro. Andrea - gli dicevo - siamo stati presi in giro, mettitelo in testa! E' stato il più grande errore della mia vita [farlo venire a Torino] perché a Bari, per lo meno, era vicino alla caserma, andava al molo a vedere i pescherecci, prendeva il pesce e lo portava a casa. Ma a Torino, con questa neve e con questa nebbia è stato perso. Ecco perché ti dico che i nostri [vecchi] sono morti di crepacuore. Ho preferito farli venire a Torino. E a Torino io poi sono andato a fare il militare, mio padre e mia madre sono rimasti qua. Sono andato a servire la patria in armi, questo scrivilo, sono in regola! Per cui son tornato con i miei genitori, lavoravo alla Michelin, guadagnavo bene, ero giovane. Ed è iniziato il periodo del progresso: la Vespa, e tutto il resto!"
54) Come passava il suo tempo libero a Torino?
R.: "Il tempo libero era: giocare a pallone e incominciavo a interessarmi di politica. Era il calcio, e poi anche il lavoro, per racimolare i soldi per poi poter andare in vacanza. Le nostra vacanze, primi tempi, quando eravamo a Torino, era a Bari, andare a trovare i parenti a Bari. Andavamo a trovare i parenti. Per cui questo è stato il periodo e poi però mi son sposato."
55) Qui a Lucento quando è arrivato?
R.: "A Lucento siamo stati i primi che siamo arrivati. Siamo arrivati nel '55".
56) Le chiedo due cose su Lucento: com'era il quartiere nel '55?
R.: "Eh! Qui c'è da scrivere tutto un altro libro! Ecco perché io non potevo essere visto bene dai preti... Questo villaggio io l'ho contestato subito, l'ho contestato coi miei, col Comitato profughi rimpatriati, col Comitato profughi espulsi, ho bisticciato con tutti! Perché queste case, quando hanno incominciato a parlarne qualche giornale, il mio giornale [l'Unità] aveva detto: le colombaie di Lucento sono pronto per ospitare i profughi delle Casermette. C'era scritto questo, perché di questo si trattava, di questo si trattava. Allora non c'era né riscaldamento né niente, non c'erano strade, non c'era niente. Per collegarci dovevamo andare [al capolinea del 13]: dovevamo metterci i sacchetti nei piedi per poter andare al capolinea del 13 a Lucento. Non c'era niente. Per cui è stata fatta una cosa molto, molto vergognosa e l'artefice di questo - non mi nascondo di dirlo - è stato don Giuseppe. Allora io mi sono bisticciato, ma mi sono bisticciato fino all'inverosimile. Non sono case! Tanto è vero che hanno sbagliato tutto, hanno sbagliato tante di quelle cose! [Infatti] per soddisfare le famiglie, quelle più numerose, hanno dovuto prendere tre alloggi per farne uno: c'è chi aveva due gabinetti o chi aveva due entrate, un macello. Dopo di che poi negli anni, quando abbiamo formato il Comitato inquilini, abbiamo incominciato a discutere e a impegnarci per dare un'impronta più civile a queste case: non c'era il riscaldamento, non c'erano le stufe ed era un'annata, il 1955, che [la temperatura] è andata sotto zero non so di quanti gradi. Allora poi immediatamente, di corsa, a fare gli impianti e il locale caldaia [che era] proprio qui [dove stiamo facendo l'intervista]. E' stata un'odissea per queste case, dopo di che, piano piano gli abbiamo dato un'impronta civile: ci siamo impegnati e ci siamo interessati e abbiamo trovato la via di fare le strade, di avere collegamenti coi pullman. E' stato un periodo travagliato non indifferente, anche se la disperazione di cinque anni dietro le coperte, faceva sembrare [queste case] dei salotti, delle ville, ma non era così, non era così. Cioè, hanno voluto prenderci, proprio nell'estremo bisogno, però felici. Poi, nel tempo, piano, piano, siamo riusciti a dare un'impronta più umana, più abitabile."
57) Ritorna in Grecia?
R.: "Si, sono andato tre o quattro volte, anche di più."
58) Ha nostalgia?
R.: "Si, io si."
59) Cosa le manca di più?
R.: "Ti dirò una cosa, anche se sono cambiate anche là le cose... Noi, almeno io e mia moglie, parliamo sempre il greco in casa, [anche] mia moglie è greca. Delle volte ci chiediamo: ma noi, chi siamo? Cosa siamo? Se in casa parliamo il greco, mia moglie cucina in greco... Noi non vogliamo perdere la nostra identità, nel rispetto, naturalmente, della convivenza con il resto della nostra casa, nel rispetto della civile convivenza con tutti gli altri. Mi capisci? Nostalgia ne ho, si, si. Io, siccome sono impegnato, sia nel sociale che in politica - in politica meno in questi anni - sono responsabile dell'AUSER, per cui facciamo dei viaggi. Al Circolo De Angeli facciamo dei balli, dei viaggi e uno di questi responsabili sono io. Per cui sono impegnato, e finché la salute me lo permette lo farò. Però dico a mia moglie: Sandra, di cosa ho bisogno? Ho bisogno di andare via, per due mesi, a Poros. Che è un porticciolo vicino a Cefalonia, che ho degli amici pescatori. E questa è la nostalgia: andare a Poros e starmene lì due mesi!"