1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: quando e dove è nata?
R.: "Io son nata a Patrasso, il 28 agosto 1940."
2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine...
R.: "Noi eravamo cinque femmine e un maschio. Poi mio papà è mancato ad Aversa, perché noi abbiamo girato un po' dappertutto: siamo stati al campo [profughi] di Verona, al campo di Ducenta, vicino ad Aversa, in Campania e poi siamo stati al campo di Aversa per sette anni."
3) I suoi genitori che lavoro facevano?
R.: "Allora, mio papà quando è venuto in Italia non faceva niente, perché è morto nel '48, quindi è morto giovane. Mio papà - che sappia io - [in Grecia] lavorava alla Posta, faceva il timbratore. E poi è venuto in Italia e non ha fatto più niente."
4) Mi ha detto di essere nata a Patrasso. I suoi genitori, però, che origine avevano?
R.: "Mio papà era dell'Abruzzo, era abruzzese."
5) Posso chiederle come mai è andato in Grecia?
R.: "Quando era piccolino, si sono trasferiti i genitori lì [in Grecia]. Lui non so, era piccolino, aveva un anno o due, non so. E' cresciuto praticamente in Grecia mio papà."
6) A Patrasso c'erano tanti italiani?
R.: "C'era una comunità italiana. La maggior parte provenivano dalla Puglia, poi [qualcuno] arrivava dal Lazio, qualcuno da Napoli. Mio papà era d'origine d'Abruzzo. E a Patrasso c'era proprio un quartiere fatto di italiani. Poi una volta [finita] la guerra, ci hanno sbattuto proprio fuori i greci, perché ci volevano troppo bene!"
7) Ecco, arriviamo a questa vicenda...
R.: "Inizialmente i rapporti coi greci erano buoni, per quello si, si andava d'accordo. Tutto andava benissimo."
8) E poi cosa succede?
R.: "Niente, succede che ci mandano via. Io non so perché i rapporti si guastano, dovrebbero chiederlo ai greci questo! Io ho sempre saputo che datosi che l'Italia ha perso [la guerra], i greci hanno detto a noi italiani che dovevamo venire nella nostra patria. Io ero di mamma greca, però. Solo mio papà era italiano. Avevamo la cittadinanza italiana noi, però, solo la cittadinanza italiano, quella greca no. Noi siamo italiani."
9) Patrasso cos'era, una colonia italiana, un protettorato...Me la descrive?
R.: "Era una città di mare. Noi italiani eravamo tutti là, abitavamo tutti vicino."
10) Prima mi diceva che voi italiani siete stati mandati via...
R.: "Siamo andati via nel '45-'46. A me non è che mi han raccontato tanto, si diceva solo [che] siamo venuti in Italia perché i greci ci hanno voluto rimpatriare nella nostra patria. Noi abbiamo lasciato tutto: la casa, i mobili, abbiamo lasciato tutto, siam venuti senza niente."
11) Lei del viaggio cosa ricorda?
R.: "Niente, poco. Eravamo in una nave mezza scassata, poi ci hanno sbarcato a Bari e poi da lì siamo venuti a Bologna. Poi siamo andati a Verona e siam stati un anno. Poi di là ci hanno mandati a Ducenta, poi ad Aversa e poi di là siamo andati a Tortona."
12) A Verona si ricorda dove stavate?
R.: "Non so dove eravamo, forse era alla Manifattura Tabacchi. [Stavamo] in un casermone, ma non so perché ero piccolina. Io però nei campi rimango fino al '59, perché poi ci han dato le case a Tortona, poi mi son sposata nel '62 e son venuta a Torino."
13) Qual è il campo che ricorda meglio?
R.: "Due me ne ricordo. Quello di Aversa, che era una caserma grande, bellissima, e quello di Tortona."
14) Riesce a descrivermi il campo di Aversa?
R.: "Era una caserma, ma non era alta come a Tortona, che sono casermoni di due o tre piani. Là erano tutte case basse, ognuno aveva la sua stanza e poi c'erano anche le strade: sembrava un villaggio, bello! Era bellissimo! Poi appena si entrava, in centro, c'era un bel giardino. No, no, come campo era bellissimo. Eravamo abbastanza dentro. Poi c'era il direttore, c'era l'infermeria, c'era anche una specie di ospedalino. C'era tutto! No, no, a me come campo mi piaceva. C'era [anche] la scuola, e infatti io la prima e la seconda l'ho fatta lì, ma ero già grandina, perché spostandoci da una parte all'altra perdevamo anche gli anni scuola, eh! Le camere erano dei camerini grandi e le pareti non erano di mattone, erano fatte di compensato. Noi avevamo un bello stanzone grande, poi c'era il corridoio che divideva e noi lì sul corridoio avevamo fatto la cucina. Ed eravamo solo due famiglie che si entrava da quella porta lì. Noi e un'altra famiglia che era della Puglia, avevano dei figli, noi eravamo piccoli e ci siamo trovati bene. Poi fuori c'era un bello spazio da giocare, c'erano le fontane - anche perché l'acqua non c'era in casa - e in più c'erano i servizi fuori in questo cortile. Ed eravamo noi greci, poi c'erano fiumani e molti pugliesi, c'era un po' di tutto. Ma non so come mai loro si trovavano lì sfollati. Però eravamo misti. C'erano anche profughi dalle isole greche."
15) In campo avevate una specie di assistenza?
R.: "No, vestiti no. Ti davano un sussidio ma non mi ricordo di quanto. I primi anni ci passavano il cibo e invece poi davano i soldi, ma non mi ricordo la cifra."
16) Il campo di Tortona, invece, come lo ricorda?
R.: "Son stata quattro anni, dal '55 al'59. Era una caserma, era fatta come tutti i casermoni. A noi- devo dire la verità - appena venuti ci sembrava brutta [rispetto a] quella che avevamo lasciato, però poi ci siamo adattati."
17) Bologna, Verona, Aversa. Come mai avete fatto tutto questo giro?
R.: "Adesso le spiego. Io avevo dei cugini a Milano. Mio fratello era andato a Milano e mia zia diceva, ma perché non venite a Monza? Che c'era il campo profughi anche lì. E quando mio fratello è venuto a Ducenta, ci fa: guardate che ho fatto [domanda di] trasferimento per andare al campo di Monza. E mia mamma - che nel frattempo era rimasta vedova con noi figli - gli diceva: ma dove vuoi che vado con questi figli?! Ma no - rispondeva lui - vedrai, lì c'è la zia, siamo vicini a Milano, e l'ha fatto. Però non ce l'hanno dato a Monza, ce l'han dato a Tortona, e siamo venuti a Tortona. Allora, dopo di che, ci dicevano: state qui nell'attesa, e poi quando c'è il posto vi trasferiamo a Monza. E [infatti] dopo poi è arrivato [il trasferimento] per andare a Monza, ma noi eravamo trasferiti là e dove andavamo a Monza? E allora siamo restati a Tortona, ecco come stato."
18) Della vita in campo cosa ricorda?
R.: "Ma, eravamo un po' spensierati, stavamo bene per noi. Per gli adulti [invece] era diverso, per loro non era mica bello eh! Io stavo bene: si andava a lavorare, si veniva a casa e bom."
19) Lei mi parlava del sussidio...
R.: "Si, c'era. Ma poi loro lo sapevano se andavi a lavorare, perché eravamo anche molto controllati. Che noi eravamo minorenni, perché io quando ho iniziato a lavorare avevo quindici o sedici anni."
20) Ha iniziato a lavorare a Tortona...
R.: "Si, a Tortona. Ho iniziato a lavorare prima in una gioielleria che andavo a fare le commissioni - portavo ad aggiustare gli orologi e cose così - poi sono andata a lavorare alla plastica, all'Iroplastica e lì son stata cinque anni. Poi mi son sposata, son venuta a Torino e non ho più lavorato per dodici anni. Poi ho lavorato nelle scuole, come collaboratore scolastico finche non sono andata in pensione."
21) E' riuscita a entrare nella scuola per via dei vantaggi offerti ai profughi dalle legge?
R.: "Si, l'ho avuto nello Stato questa cosa qui. Quando ho preso servizio io come profuga, ad esempio, su cinquanta persone, prendevano la metà invalidi, profughi o cose così, e l'altra metà li prendevano con la graduatoria. Era solo quello che c'era il favoritismo, ecco."
22) Posso chiederle come siete stati accolti dalla popolazione nelle varie città in cui avete vissuto?
R.: "Non è che sia stata alle stelle! C' era un po' di invidia, ma non perché eravamo lì noi, ma perché c'erano i giovanotti di Aversa... Che lì c'era anche un campo sportivo, e venivano a giocare. Venivano i giocatori a giocare lì, e a volte si innamoravano delle profughe e allora loro [le ragazze] del paese ce l'avevano un po' per quello, dicevano che gli portavamo via i ragazzi. Ma se no era buono: io andavo anche a imparare come sarta da una di loro, ma ci accoglievano benissimo, c'era solo quella rivalità lì. Che poi si son sposati molti di loro con le profughe."
23) A Tortona come siete stati accolti invece?
R.: "Io sono arrivata tardi, che c'era già il campo aperto, era già avviato e ho trovato tutto pronto. Ma no, ci hanno accolto bene, e agli istriani che li hanno accolti male!"
24) Dopo il campo, le case...
R.: "Si, ci han dato le case che adesso sono quelle che sono ancora lì, le case popolari."
25) Posso chiederle dopo tanti anni di campo che effetto le ha fatto entrare in una casa?
R.: "Dal campo, andare in una casa era bello! Per noi era come toccare il cielo con un dito. Poi c'era il bagno, invece lì [in campo] dovevi andar fuori, la diversità era quella. Non avevamo il bagno al campo profughi, lì era in comunità."