1) Iniziamo con un po' di dati anagrafici: dove e quando è nato?
R.: "Allora, sono nato nel 20-7-1930 a Patrasso, Grecia."
2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori...
R.: "Mah, la mia famiglia... Dunque, mio nonno emigrò in Grecia: mio nonno è partito - per quello che so che mi han detto quand'ero ragazzino - dal comune di Trani, appartenente pugliese, di cui mi sembra che è partito con una figlia, dopo sposato, [mentre] tutto il resto [dei suoi] figli, sono nati a Patrasso. Mio papà è nato a Patrasso, la prima [delle sue sorelle] anche, tutto il resto dei fratelli e delle sorelle di mio padre sono nati tutti là. E da lì, sempre però con questo detto, che appartenevamo, apparteniamo alla chiesa apostolica di Sant'Andrea di Patrasso, dove tutti gli italiani che erano lì a Patrasso in quella città, che poi tutti son sbarcati al porto di Patrasso. Da lì sono andati verso Atene e Salonicco, ma la maggior parte degli italiani sono rimasti a Patrasso. Siccome che [Patrasso] era una città che offriva molti lavori per i pescatori, la maggior parte degli italiani scappavano con le barche e andavano in Grecia, e a quel tempo neanche gli guardavano niente, bastava che lavori e stai bravo, tutto lì. Si viveva fraternamente bene tutti quanti. Poi c'è da dire questo: essendo tutti quanti nati a Patrasso, battezzati alla chiesa cattolica di Patrasso, sposati alla chiesa cattolica di Patrasso, c'era il consolato italiano che registrava tutte le famiglie provenienti da ogni comune d'Italia. E la mia famiglia - per quello che so io - la sua provenienza viene dal comune di Trani. O se no San Licando, perché mi sembra che mio nonno aveva sposato una di San Licando, un paese vicino a Trani, sempre nelle Puglie, ed emigrò in Grecia, e lì è rimasto sempre, lavorando. Faceva il pescatore, e da pescatore faceva poi anche il giardiniere, perché suo papà gli aveva insegnato [quel lavoro], anche perché c'è da dire che nell'epoca facevano di tutto per sopravvivere! Ma la maggioranza erano pescatori. E lì son cresciuti, eccetera, poi però nel 1940 è venuta la guerra. E lì nel '40 [è stato] come se il diavolo mettesse la coda, [perché] è venuto un odio tra noi italiani e i greci [che è stata] una cosa spaventosa. Io andavo a scuola greca con i miei coetanei greci [che si chiamavano] Cristo, Vassilij e cioè avevano tutti nomi greci, con i quali non c'era nessuna differenza. Anche nella scuola, si, sapevano che ero di origine italiana, ma non facevano nessuna domanda...Insomma, si viveva bene, come fratelli. [Poi] è venuta la guerra e, caro mio, è venuto un odio, in una maniera che non so nemmeno dirti...In quello stesso momento, hanno preso mio papà e i miei fratelli più vecchi, e li hanno messi in campo di concentramento insieme a tutti gli italiani che avevano una certa età, dai quindici anni fino ai settanta."
3) Ma questo chi?
R.:"I greci!"
4) Lei mi ha parlato di questo odio improvviso. Posso chiederle cosa lo ha scatenato?
R.: "Quest'odio è venuto perché l'Italia ha dichiarato guerra alla Grecia, ecco. C'era Metaxas, e Metaxas era, come dire, vicegovernatore... Perché poi è venuto il fascismo anche in Grecia e il primo ministro si chiamava Metaxas, che poi s'erano anche collegati [con Mussolini], perché poi in Grecia è nato anche un movimento fascista. Che poi gli italiani all'estero non erano neanche fascisti, c'era la propaganda dell'epoca che molte famiglie italiane nel 1941-42 sono arrivate in Italia e hanno trovato più fame di prima. Ma la mia famiglia e tantissime famiglie stavano bene, avevano realizzato fortuna. E da lì è partita la storia."
5) Mi ha detto che suo padre è stato in campo di concentramento...
R.: "Si, si, proprio lì a Patrasso, in Grecia."
6) E come mai l'hanno preso?
R.: "Perché era italiano e avevano paura che facesse la spia o collaborava contro la Grecia. Poi sono entrati gli italiani e i tedeschi in Grecia, sempre nel '41. Poi nel '43 è venuto l'armistizio, ma lo vediamo dopo...Perché poi è anche nato il movimento partigiano, i miei fratelli erano partigiani, ci sono stati i morti partigiani, è una storia lunga...E per quanto di voglio precisare che ogni famiglia di noi italiani di Patrasso ha la sua storia, cioè c'è si una storia generale, ma ogni famiglia ha la sua storia. Ad esempio la mia famiglia era socialista, è rimasta socialista, hanno combattuto contro i tedeschi, perché i miei fratelli più anziani risultavano italiani e greci, e li avevano presi i militari come interpreti, siccome parlavano bene il greco e parlavano anche l'italiano perché avevano fatto le scuole. E allora facevano gli interpreti, però erano contrari alle guerre. [Inoltre] voglio precisare che nel '40 c'è stata una grande fame, [ci sono state] grandi disgrazie: in Grecia e nelle città non c'era niente! Pensa che potevi dare un chilo d'oro per avere una pagnotta e non c'era: i tedeschi e i fascisti avevano requisito tutto. Le città si son vuotate, la gente girava per le campagne e qualsiasi erba che era masticabile la portavano via. C'è stata una grande fame: migliaia e migliaia di greci - e anche di noi italiani - morivano di fame. Poi hanno dato [agli italiani] dei piccoli sussidi, che li aveva ricavati il consolato, ma non soldi, solo roba. All'epoca c'era solo di apprezzabile la roba: un chilo di pane ero oro! E da lì incominciò...Poi la Grecia è stata conquistata dagli italiani e dai tedeschi, e poi nel settembre 1943 è venuto l'armistizio. Mi ricordo che lì vicino a me, c'era una caserma di una compagnia di Alpini - artiglieria di montagna coi muli - e io li frequentavo, perché andavano sempre a pescare al mare. E ho conosciuto un tenente che andava sempre a pescare con la lenza, e delle volte non trovava l'esca e noi sapendo i punti - avevo tredici anni - andavamo a tirare fuori i vermicelli. Ed eravamo diventati amici. Bene, è venuto l'armistizio e molte compagnie italiane non sapevano cosa fare, con chi andare, e molti hanno scelto di andare coi partigiani. Quelli che volevano andare coi partigiani se li prendevano li fucilavano, [mentre] ad altri i fascisti e i tedeschi avevano detto: venite con noi, vi mandiamo a lavorare in Germania e siete liberi, e invece hanno pagato con la vita molti soldati italiani, che poi ti racconto anche il fatto di Cefalonia, perché noi eravamo soltanto dieci chilometri distanti. E allora è nato il movimento partigiano, che in realtà già c'era il movimento partigiano greco, ma dopo il '43 si è allargato: molti soldati italiani e molti borghesi come me e i miei fratelli, hanno scelto la libertà, hanno scelto di collaborare coi partigiani per la libertà della Grecia, come tutto il mondo. Ebbene, fino al 1945, dopo la liberazione di Patrasso, i due miei fratelli - come tanti altri greci - li avevano accusati...Cioè il movimento partigiano, si chiamava capitan M. e me lo ricordo bene, perché io portavo i bossolini nel culo. Cioè mettevano i bigliettini [nel bossolino], e con due o tre amici portavamo notizie. E un fratello mio è morto a Calafrida, un paese di 5.000 abitanti, dove era nato quasi il artigianato [greco]. Lì tedeschi e bersaglieri, hanno bruciato migliaia di persone, e anche lì c'è la storia di due alpini che si sono opposti contro i tedeschi con una mitragliatrice nella discesa [del paese], e hanno salvato cinquanta bambini greci e la maestra, e su questo [episodio] c'è anche la storia scritta. Gli alpini sono morti, e appena entri nel paese, vedi queste due statue che hanno fatto un monumento a questi soldati italiani. E da lì viene fuori tutta la tragedia partigiana: ed esempio mia cugina, che era maestra di scuola e che collaborava coi partigiani, l'hanno presa, l'hanno legata un piede di qua e un piede di là e l'hanno aperta in due con gli alberi...Storie che a raccontarle mi viene ancora la rabbia...Poi finita la guerra, c'è stata una grande confusione: c'era il partito comunista greco - il KKY e cioè partito comunista ellenico - poi c'era il centro e poi c'era la monarchia, ma in quel momento lì erano tutti uniti a combattere contro il fascismo e contro il nazismo. E dopo la liberazione hanno fatto un governo provvisorio, e una corrente politica di destra cosa ha pensato? Mandiamo via gli italiani e i tedeschi, perché ci consideravano fascisti. Ma una parte, anche perché molti italiani non sapevano neanche cosa vuol dire [essere fascisti], non avevano fatto niente di male, non avevano collaborato materialmente, non avevano fatto niente. L'unica cosa che avevano fatto era gli interpreti, perché conoscevano la lingua, tutto lì. E allora cosa hanno fatto? Per non dire che li avrebbero espulsi, hanno incominciato a togliere il posto di lavoro: tu non hai più il diritto di lavorare da oggi. [Poi] ti toglievano qualsiasi reddito familiare: se avevi una barca o se avevi [qualcos'altro], te la portavano via. Mio papà aveva venticinque ettari di giardino - era ricco mio padre - e ci hanno tolto tutto...Mia madre - pensa - è andata sul quel terreno a tagliare due limoni e ha fatto due mesi di galera. Non potevi toccare niente! Sia all'inizio del '40, sia alla fine del '45. Tutti gli italiani che lavoravano nei vari posti, non potevano più andare a lavorare: se avevi capitali va ben, altrimenti morivi di fame. Noi siamo stati un anno in più perché? Perché mio papà aveva un po' di scorte di soldi e amici greci che alcune barche le aveva messe a nome di loro, e noi lavorando con loro potevamo andare avanti. Però arrivati a un certo punto anche quello era diventato vietato. E allora cosa hanno combinato? Hanno tolto tutto: non potevi avere diritto né di lavorare, né di esercitare, niente. O ce la facevi se avevi dei soldi o niente. Che poi se venivano a sapere che avevi dei soldi in banca, te li portavano via, proprio come glieli hanno portati via a mio papà nel '40. Ecco, queste sono state le sofferenze. Hanno costretto gli italiani a firmare la famosa carta di rimpatrio: invece non era un rimpatrio, era per necessità! Era una minaccia, una violenza. Ecco, lì c'è stata proprio una violenza, perché tutto quello che avevamo a casa ce lo hanno portato via, lo hanno sequestrato tutto. Ci hanno imbarcato il 25 novembre del '45 con una coperta, solo la fede e nient'altro. Mio papà, fortunatamente, aveva degli amici greci - perché gli amici c'erano, l'amicizia è una cosa sacra - e uno di questi ci aveva fatto una cassetta, un baule [di legno] e dentro aveva scavato [un buco] dove ci aveva messo sterline d'oro che aveva mio papà. E le aveva messe dentro con quelle poche coperte che hanno lasciato, l'ha legato con una corda e quel baule è stata l'unica cosa che ha potuto passare. [Solo quello] e nient'altro. Mia mamma aveva una bella collana, ce l'hanno strappata! Ci hanno imbarcato in una nave - una nave che non ti dico - e quando siamo entrati nel mediterraneo quasi andavamo a fondo... Il 28 novembre del 1945, ci hanno sbarcati al porto di Bari. A Bari vecchia ci han mandato, dove c'era un vecchio genio eccetera . Con tutto ciò che molti italiani che erano lì, hanno combattuto contro il fascismo, ma di collaborazionisti fascisti non c'è n'erano. Al massimo [erano] uno o due, ma anche quelli sono spariti, [li hanno fatti sparire gli stessi italiani, gli stessi di noi. Non c'è stato nessuno scontro italiano contro i greci, perché non tutti i greci erano a favore di quel movimento di destra, che in quel momento lì in Grecia aveva preso il comando, capisci? Che poi nel '47 mio fratello e mio cognato - il marito di mia sorella - che era tenente colonnello dell'esercito greco, è morto. E' morto proprio perché [in Grecia] hanno ripreso di nuovo le armi, e poi hanno fatto - come dire - una specie di compromesso [in base al quale] consegnavano le armi e facevano le votazioni democratiche. E invece li hanno trucidati di notte tutti, migliaia, migliaia di partigiani greci. Poi è venuta la monarchia, il re Costantino eccetera, eccetera, e poi c'è stata di nuovo la lotta che in Grecia - se hai seguito - ci sono stati quattro colpi di Stato. Ecco questa è tutta la storia, in parte."
7) Ho capito. Volevo chiederle ancora una cosa su Patrasso. Riesce a darmi una descrizione della città?
R.: "Patrasso era una città come tante altre, marittima, dove dava un'opportunità [di lavoro] a qualsiasi persona. Chi voleva emigrare andava lì e c'era o la pesca o il giardinaggio o i muratori, [perché] nell'epoca non c'erano fabbriche e [le persone] si arrangiavano così. Visto che in Italia nell'epoca, nelle Puglie non c'era niente proprio, lì hanno trovato un pezzo di pane, e si capisce [che] ognuno si aggrappava a quello che poteva avere in più. Ed era diventato un riferimento per la comunità italiana. Quando arrivavano gli italiani, sapevano che lì [a Patrasso c'era] quella borgata degli italiani."
8) Quindi c'era un quartiere italiano...
R.: "Ecco, esatto. C'era una quartiere degli italiani - dove c'erano anche le mie zie - dove le persone si aiutavano uno con l'altro, mi rendo l'idea? Molti italiani hanno poi trovato lavoro, lavoravano, li prendevano al nero - si capisce - perché lì prendevano tutto al nero. E uno aiutava l'altro. Il riferimento di tutti gli italiani erano il consolato e la chiesa cattolica, e nient'altro. Certamente che automaticamente venivi registrato al comune ellenico di Patrasso e stop."
9) E il fascismo come ha inciso sugli italiani di Patrasso?
R.: "Il fascismo è nato come in tutte le parti, che Mussolini ha cercato di sviluppare e di fare capire agli italiani all'estero con la propaganda che l'Italia e gli italiani con questo sistema di fascismo progredivano, eccetera, eccetera. E difatti, automaticamente, è nato anche il fascismo greco, che questo ministro - me lo ricordo come se fosse ieri - si chiamava Metaxas. E si erano alleati. E difatti gli aveva promesso Metaxas che l'esercito italiano finita l'Albania per via terra, perché gli avevano consigliato per via mare - era giusto via mare, non via terra - potevano andare anche senza fucili. Si capisce che in quel momento la monarchia d'Inghilterra, figurati se potevano permettere che questo avvenisse. C'era la monarchia imparentata con gli inglesi, e hanno fatto la resistenza, e quasi quasi ci buttavano a mare a noi italiani. E poi è intervenuta l'armata tedesca, e hanno sfondato e hanno occupato l'Italia e la Grecia per quei tre anni lì. Poi è venuto l'armistizio e da lì, praticamente, hanno capito che gli italiani - una parte- volevano allearsi, come difatti è successo anche qui. E quello che non si è alleato finiva male come son finiti [male] qui. E a Cafalonia è stata la stessa cosa."
10) Mi racconti di Cefalonia, allora, visto che ne parliamo...
R.: "A Cefalonia il generale era antifascista, era un repubblicano che non accettava e non era d'accordo con la guerra che era stata sviluppata. E quando [c'] è stato l'armistizio non ha accettato di andare coi tedeschi. Che poi i tedeschi dicevano: i soldati che si arrendono vengono con noi, andranno a lavorare in Germania, nessuno li tocca, eccetera, eccetera. La propaganda inglese, e un movimento greco di sinistra, avevano buttato dei volantini [che dicevano] resistete italiani e noi vi porteremo armi, vi butteremo le armi!C'erano 10.000 italiani lì. Gli italiani hanno combattuto contro i tedeschi, e se avevano le armi, i tedeschi buttavano a mare gli italiani. Ma avevano finito le armi, non avevano più un proiettile... Che poi ci avevano promesso che dalla parte della Cefalonia Nord - a Cezane - che li aspettavano con le barche a portarli via dall'altra parte dove c'era il movimento partigiano. E invece tutto questo [non è successo] e li hanno traditi. E lì sono morti tantissimi italiani così. [Loro] sono stati traditi dalla propaganda inglese e da un movimento di sinistra greco, ma non era neanche di sinistra, era monarchico, ed è poi lì che si sono scoperti tutti gli intrallazzi. Perché da questa parte c'era il generale M. che comandava tutto il movimento partigiano greco che quando non ha sequestrato i bambini per salvare quasi 8.000 partigiani... Se no altrimenti era un disastro, diciamo che, praticamente, c'è stata molta confusione."
11) In Italia la notizia di Cefalonia è arrivata dopo e in maniera indiretta. Voi credo che invece l'abbiate saputo subito...
R.: "Ma Certo, eravamo a cinque chilometri coi motopescherecci...Si sentiva subito tutto quello che succedeva da un'isola all'altra. Perché noi, per non mandare i miei fratelli in Germania, son venuti a prenderli e siamo scappati in un'altra isola dove c'erano i partigiani e ci siamo salvati."
12) Di Cefalonia, comunque, l'avete saputo subito...
R.: "Si capisce, perché lì nell'epoca non c'era quello che c'è oggi, però c'era il movimento."
13) Posso chiederle, solo per fare un po' di ordine, quando - a grandi linee - suo nonno è andatao in Grecia?
R.: "Lui è nato nel 1883, e poi è andato dopo."
14) La sua famiglia - mi diceva - è andata via verso la fine da Patrasso...
R.: "Noi siamo stati gli ultimi, quasi, con la speranza che poi finiva tutto questo. E difatti dopo tre mesi è finito tutto, chi è rimasto è rimasto. E' rimasta mia sorella, mio cognato i miei nipoti, eccetera. La prima grossa massa è venuta via e anzi, quelli sono venuti via quasi volontari, nel 1943. Sono venuti via con la promessa fascista che gli dava qui e gli dava lì, eccetera, eccetera, e qui poi sono arrivati in Italia e han trovato la più fame delle fami. Sono stati traditi, praticamente. Mio papà, siccome che molti italiani avevano fatto qualcosa e cioè proprietà, eccetera, eccetera, si viveva abbastanza bene, e non c'aveva nessun interesse a rientrare in Italia, perché oramai la loro vita era lì, [avevano] tutto lì. E mia mamma era originaria greca, no? Perché mio papà è rimasto vedovo, poi si è risposato e io sono il primo della seconda moglie, ma in tutti i modi queste sono questioni familiari. Ma nella storia della comunità italiana greca [di Patrasso], nessuno ha mai collaborato col fascismo, non esistevano i fascisti. C'era - come dire - quella propaganda che avevano fatto nelle scuole e vendevano fumo per arrosto! Ma nessuno si è vestito da fascista, e tutti gli italiani che li hanno presi a fare i militari, hanno fatto gli interpreti, solo gli interpreti. Non erano nemmeno armati, non ci avevano dato nemmeno l'arma."
15) Mi ha detto che da Patrasso i primi italiani sono andati via nel'43. Quindi la città iniziava - o per lo meno la sua parte italiana - iniziava a svuotarsi...
R.: "Si, si svuotava, ma era diventata una differenza, una differenza che l'hanno fatto di sera, di notte, non di giorno."
16) In che senso di sera e di notte?
R.: "C'hanno detto che a tale ora erano andati dal consolato italiano, e son stati obbligati a dire che a tale ora voi sarete qua e poi ci hanno dichiarato la partenza. Avevano portato il necessario e più di quello non potevi portare, perché di più era proibito, e ci siamo trovati coi militari e la polizia a imbarcarci sulla nave."
17) Una nave greca o italiana?
R.: "No, era greca, di quelle navi da cinque o sei mila tonnellate che le facevano in America Latina. Era una nave da carico, non da passeggeri. La gente si è buttata sotto le stive e molti sono morti anche in viaggio, che abbiamo trovato mare brutto, e ci hanno sbarcati al porto di Bari, nel 1945. Novembre del 1945."
18) Se io le chiedessi il motivo per cui i suoi genitori sono partiti, lei cosa risponde?
R.: "Il motivo è che ci avevano sequestrato tutto. Mio papà aveva tutti i documenti delle sue proprietà, erano suoi, pagati. Lui pagava tasse e le famiglie italiane erano le più tassate, perché erano obbligate a dichiarare tutto quello che c'era. Ci han sequestrato tutto, abbiamo resistito un po' più degli altri perché avevamo delle scorte, perché [con gli amici che aveva mio padre] potevamo lavorare in nero di notte, di nascosto. Per il resto non avevi nessun diritto: ti ho detto, ha tagliato due limoni mia mamma è ha fatto un mese di galera, ma scherziamo? Che mia mamma era greca, ma però ha sposato un italiano e automaticamente erano quelli i diritti."
19) Dopo Patrasso lei arriva quindi a Bari. Cosa succede a Bari?
R.: "Succede che ci siamo dichiarati profughi, che eravamo profughi. E da lì ci hanno caricato nei treni merci. Siamo partiti da Bari e per arrivare a Bologna ci abbiamo messo tre settimane. Non c'era niente: ti davano una galletta, un po' di brodo e un po' di paglia che avevamo dentro ai vagoni e lì si dormiva, si faceva tutto e buonanotte."
20) Come mai siete andati a Bologna?
R.: "Ci hanno portati loro, non che siamo andati, perché noi quando mai potevamo decidere di andare a Bologna."
21) Torniamo - abbia pazienza - ancora su Bari. Cioè vorrei che mi ricostruisse il suo arrivo: c'era qualcuno ad accogliervi?
R.: "Si, c'era, c'era, certo che c'era. C'era una rappresentanza - adesso non mi ricordo bene - degli italiani, in cui mi sembra che c'era il ministero degli esteri, e poi facevano lo smistamento di questa gente."
22) Quindi a Bari c'era un posto dove vi smistavano...
R.: "Certo che c'era, c'era Bari vecchia. Che a Bari vecchia siamo stati quindici giorni a dormire per terra...La grande caserma era quella vicino al porto, ma non mi ricordo più...Adesso non mi viene in mente...Comunque si dormiva in terra, ci davano un po' di minestra, una pagnotta e tira a campà! Poi dopo quindici giorni o venti - non mi ricordo bene - ci hanno imbarcato su questi treni: alcuni sono rimasti a Bari, ma la maggior parte ci hanno imbarcati su questi treni merci e per arrivare a Bologna ci abbiamo messo tre o quattro settimane. [Ci avevano destinato a Bologna] perché a Bari c'era questo comitato che comandava lo smistamento di queste famiglie profughe. Quando siamo arrivati a Bologna alla stazione, c'erno dei camion che ci hanno caricato e ci hanno portato in un'altra stalla, che avevano appena tirato fuori i cavalli...E puzzava! C'era ancora la merda lì...Si capisce, non volevamo stare lì...Eravamo circa 300 famiglie, e dopo due ore abbiamo deciso di andare a occupare qualcosa. Fortunatamente abbiamo trovato alcuni bolognesi, ma eran di sinistra, che ci hanno detto: lì c'è una scuola, andate a occuparla. E difatti così abbiamo fatto. Mi ricordo che mio papà si è messo [in] prima linea. Siamo partiti e quando siamo arrivati lì, sono arrivati tre camion inglesi di soldati coi fucili che ci hanno detto: questo lo prendiamo noi! Abbiamo dormito tre giorni per terra, fuori, e poi mi ricordo bene che è arrivata una rappresentanza [dello stato] italiano e ci hanno riportato in un'altra caserma, sempre a Bologna. E siamo stati circa un mese a Bologna, una cosa spaventosa!"
23) In che senso?
R.: "In che senso? Non c'erano gabinetti, non c'erano letti,[stavamo] per terra, con una coperta che puzzava di merda di cavallo."
24) Riuscirebbe a dirmi dove si trovava questa caserma se in centro o in periferia...
R.:"No, eravamo al centro di Bologna, mi ricordo [che era] vicino alla stazione, non tanto lontano. E difatti mi ricordo che c'era tanta gente che, diciamo, gridava insieme a noi e diceva: sono italiani anche questi! E difatti eravamo italiani."
25) Eravate solo voi greci o c'era anche altre persone?
R.: "No, eravamo solo famiglie da Patrasso, poi quando siamo arrivati a Firenze in via della Scala...Perché a Bologna siamo arrivati nel'45, e poi ci hanno imbarcati e ci hanno concentrati a Firenze [in] via della Scala 9, me lo ricordo sempre, vicino a Santa Maria Novella, alla stazione, vicino alle cascine."
26) E che cos'era via della Scala?
R.: "Lì era un vecchio genio , una caserma militare, ed eravamo andati là dentro: cimici e cose che non ti dico! Avevamo le coperte con gli spaghi e ognuno faceva il suo piccolo all'oggetto, con una stufa di carbone, che non ti dico...E lì c'era tutto: il gabinetto era una cosa schifosissima, e ci davano un mestolino di riso e patate e un po' di caffelatte la mattina e due pagnottine e nient'altro. Niente altro! Se non stavi ti portavano all'ospedale, e se eri fortunato di portavano indietro, altrimenti crepavi là dentro! Son stato quattro anni a Firenze, fino al '49. Era un campo profughi, e lì dentro c'erano molti che erano venuti da Tripoli, molti erano slavi, altri anche dalla Francia - che allora anche molte famiglie italiane sono state minacciate dai francesi - e uno si chiamava Caprera, che abitava in queste case lì e che adesso sono morti. Cioè la percentuale più grossa eravamo di Patrasso, molti erano di Corfù, però la storia di loro è diversa dalla mia, perché lì è stata quasi una colonia italiana a Corfù, [mentre] la comunità italiana a Patrasso è un'altra storia, molto diversa. Eravamo italiani, però ognuno aveva la sua storia, la sua vita, però la più grossa comunità italiana in Grecia era a Patrasso. Poi sono andati ad Atene, Salonicco e in varie località, ma è rimasta l'80% a Patrasso."
27) Quindi lei è stato per molti anni in questo campo profughi di Firenze...
R.: "Per tanti anni. Io c'ho persino il libretto che mi davano il sussidio. Che ci davano il sussidio e stop, basta. Poi mio papà - siccome che conosceva molti marinai nelle Puglie - a Mola di Bari, che lui è nato lì. E cosa è venuto fuori? E' venuto fuori che prima o poi ritornava in Grecia, e abbiamo chiesto il trasferimento dal campo di Firenze fuori campo, che se ti trasferivano perdevi l'alloggio [e cioè la possibilità di restare in campo], ma come diritti e assistenza non perdevi niente. Perdevi solo il diritto di alloggio. Mio papà ha fatto i conti e mi ha detto: vatti a trovare il lavoro. E difatti io mi ero imbarcato sui motopescherecci perché avevo il libretto, perché noi la nostra vita era quella: tele e mare, la maggior parte degli italiani questa era la vita. E allora mi hanno imbarcato subito, [grazie] a questo amico di mio padre."
28) Quindi voi da Firenze vi siete trasferiti...
R.: "A Mola di Bari. Ci siamo trasferiti a Bari, ma nel campo di Bari non c'era posto, e allora mio papà tramite questo amico che gli ha detto: non ti preoccupare, un alloggio te lo do io, [siamo andati a Mola di Bari]. Che poi dopo un anno siamo scappati, non che era brutto [l'alloggio], ma sai, dicono che dopo tre giorni l'ospite puzza, ma quando affitti sei padrone tu e puoi fare quel che vuoi, mentre quando sei ospite no."
29) Mi ha detto che al campo di Bari non c'era posto. Posso chiederle se se lo ricorda questo campo?
R.: "Il campo di Bari, non mi viene in mente il nome...Era una caserma, eravamo buttati lì, e altro che alloggi...Erano stanze che abbiamo pulito noi, le nostre mamme, le nostre sorelle, per carità! Anche a Bologna eravamo in una stalla che erano appena usciti i cavalli...Ci hanno trattato proprio veramente malissimo. A Firenze, invece...L'unica città che ci ha ospitato e che ci hanno dato accoglienza eccetera, son stati i fiorentini, che veramente sono stati un popolo molto cordiale. Anzi a noi, che eravamo più giovani e ragazzini, molte famiglie ci prendevano, ci vestivano e ci davano da mangiare. No, no, per quello il popolo toscano è stato il migliore. Si capisce che più di quello non potevano fare anche loro, perché l'Italia era appena uscita dalla guerra, il '45 era lì. Non è che potevano fare chissà cosa, però nel loro modo ci hanno aiutato molto. Poi noi abbiamo incominciato a fare un po' di contrabbando, qua e là."
30) Mi racconti...
R.: "Con le sigarette agli americani, sempre lì vicino a Santa Maria Novella, nel piazzale, che c'erano due o tre alberghi. E lì, quasi, quasi, abbiamo fatto i primi anni di esperienza, anche perché poi l'italiano non è che parlavamo chissà cosa, lo parlavamo appena, appena. Lì abbiamo imparato un pochettino di italiano andando a scuola italiana, perché molti di noi italiani, sono andati a scuola greca, perché le scuole italiane erano distanti. E poi se prendevi un impiego o un lavoro, dovevi conoscere la scrittura greca e non l'italiano. Era quasi un obbligo. Potevi studiare tutte e due le lingue: chi aveva i mezzi, che aveva la possibilità lo faceva, chi non l'aveva rimaneva con quelle che aveva. E così è la nostra storia, ma è troppo penosa."
31) In questo campo di Firenze, c'erano dei servizi come ad esempio una scuola, un'infermeria e cose simili?
R.: "Niente, niente, non c'era niente! C'era una piccola infermeria di pronto soccorso e pronto intervento, che lo comandava il professor D., che era una bravissima persona. Lui dava il primo soccorso, [poi] per il resto ti portavano all'ospedale, [e lì] o campi o muori, e nient'altro!"
32) Lei va Firenze, poi a Mola di Bari, dove si imbarca, e poi come mai viene a Torino?
R.: "Allora... Poi dopo un anno e qualcosa che ero a Mola di Bari - che ci sono andato nel '49- ma non abbiamo avuto nessuna liquidazione, niente, abbiamo avuto un trasferimento al campo di Bari dove non c'era posto, però l'assistenza e tutti i diritti da profugo l'avevamo in pieno. Lì [a Mola di Bari] mi son sposato e ho avuto il primo figlio e ho capito che lì non c'era futuro, e allora era arrivato un italo-greco come me da Torino che lavorava alla [Fiat] Mirafiori, si chiamava Antonio E.. E mi ha detto: vieni a Torino, ti do il mio indirizzo, che quando son venuto non mi ha neanche aperto la porta! Comunque, in tutti i modi, mi sono arrangiato a dormire sotto i ponti, eccetera, eccetera. Un bel giorno ho incontrato un italo-greco come me e mi ha portato alle Casermette. E lì son stato quattro anni."
33) E se le ricorda le Casermette?
R.: "Uh madonna, via Veglia! Da una parte erano profughi della Jugoslavia [cioè] di Fiume , Istria, erano tutti lì. Da questa parte [da un'altra parte] eravamo un misto: dalla Francia, dalla Grecia, dalla Libia e da altre varie località dall'estero di italiani. [Noi eravamo lì], dove eravamo trattati anche malissimo. Questi dell'Istria li avevano dichiarati una forza forte contro il comunismo e tutte queste balle, mentre da noi eravamo un misto con idee piuttosto un po' di sinistra."
34) Sembra quasi che mi voglia dire che siete stati trattati peggio degli istriani...
R.: "Eh, io per il primo anno non avevo diritto di dormire alle Casermette. [Si], potevo entrare e fare, ma dormire niente, e allora dormivo di contrabbando attraverso le amicizie. Anzi, con un amico - tanto per dirti - dormivamo insieme in una branda: gabinetto a trenta metri, bagno non ti dico! E questa è stata la sofferenza del primo anno. Poi andavo all'ufficio del lavoro, che mi hanno chiamato e sono andato alla RIV dove ho lavorato tredici anni, in via Nizza. E io son stato sindacalista di sinistra. Lo sono stato, lo sono e lo sarò, morirò così, perché la mia convinzione è così: chi gli piace, piace chi non gli piace non me ne frega niente. Io rispetto tutte le idee di questo mondo, ma io la penso così. E da lì mi hanno licenziato per fattori politici, e [infatti] io sono un perseguitato politico, con tutti i documenti [che lo attestano]. Mi hanno licenziato e son rimasto disoccupato - puoi capire [che problema] con tre figli - e mi son dato da fare tramite il partito socialista ho fatto [domanda per avere] la prima licenza [per commercio ambulante], e mi han dato [quella di] profumeria che io non capivo niente, e cercavo la licenza del pesce, che ho lavorato quarant'anni. Quello è il nostro lavoro: ci sarebbe la sesta generazione che vendiamo pesce. E così, la via crucis è questa."
35) Quindi dopo la RIV, ha avuto la licenza ed è andato a vendere il pesce al mercato, giusto?
R.: "Si, si. Che poi lì, praticamente, ho organizzato i pescivendoli che erano disorganizzati."
36) E in che mercato aveva il banco?
R.: "Io son qua, dove è lui . Prima ho venduto in corso Agnelli, poi andavo a girare in varie località, che non avevo il posto fisso, no? Prima eravamo a Porta Palazzo, poi hanno fatto il nuovo mercato qui - [in corso Cincinnato] - dove io ho organizzato [i pescivendoli], perché io faccio parte del sindacato confesercenti."
37) La sto intervistando a casa sua, che fa parte dello stesso lotto del Villaggio di Santa Caterina, cioè il villaggio dei profughi giuliano-dalmati. Quando è venuto a stare in questa casa e come ha fatto ad averla? Credo gliel'abbiano data in quanto profugo o sbaglio?
R.: "Eh, io questa casa qui l'ho avuta tramite le lotte. Siccome che sono uno che non sto fermo, e lì alle Casermette eravamo quasi mille famiglie, buttate così...volevo la casa."
38) Mi diceva prima che alle Casermette vi era una popolazione proveniente da diverse zone. Com'erano i rapporti tra gli ospiti del campo?
R.: "Eravamo amici, assolutamente, non c'è mai stato problema. Oddio, [ogni tanto si faceva] qualche litigata quando giocavamo al pallone - rivalità di sport - ma sarebbe niente. Eravamo tutti amici. Quando entravi nel bar [delle Casermette], che era un bar grosso - e il gestore si chiamava M. - c'era il posticino dei greci che parlavano greco, c'era poi gli slavi , i russi, sentivi tutte le lingue del mondo! Ma come riferimento, eravamo tutti amici, non ci sono mai stati problemi. Molti greci hanno sposato fiumane, istriane e [viceversa] gli istriani [hanno sposato molti greci]. Mio cognato - che ha sposato mia sorella - è istriano, anche mia figlia ha sposato un istriano. Non c'è mai stata nessuna divergenza, assolutamente, solo che ognuno aveva le sue storie, le sue sofferenze. Loro [in Istria] hanno passato guai molto seri, sai li hanno trucidati. Però una parte anche di loro ha collaborato col fascismo, neh! La maggior parte no, ma una piccola parte c'era. IN Grecia quasi niente, invece."
39) Molti istriani arrivati in Italia sono stati accolti male dagli italiani, per via di uno stereotipo - assolutamente deplorevole - che fossero fascisti [mi interrompe]
R.: "Malissimo, non male, malissimo!"
40) Ecco, appunto. Vorrei invece chiederle se anche voi profughi greci siete stati vittime di episodi discriminatori una volta arrivati in Italia...
R.: "Cioè noi non è che abbiamo avuti dall'Italia episodi di discriminazione, ma abbiamo trovato l'indifferenza. Un'indifferenza che la gente si diceva: ma da dove arrivano questi?! Perché il Ministero degli Esteri non aveva mai comunicato che i nostri connazionali [cioè noi] passano questo e quello. Perché anche dall'altra parte [cioè da parte degli istriani], è vero che una grossa parte li hanno trucidati, però gli hanno dato questo diritto: o diventate slavi e avete tutti i diritti, o andate in Italia e perdete tutto. [Per cui c'è stato] chi ha fatto una scelta e [chie ne] ha fatta un'altra: molti son rimasti e molti son venuti. E una buona parte ha pagato per tutti. Del resto, fra noi e loro e loro con noi, non c'è stato nessuno scontro, né politico nè sociale, ognuno aveva le sue storie, il suo paese e il suo modo di vivere, ma nello stesso tempo eravamo amici. Non c'è stata nessuna discriminazione tra parte e parte, nessuna. Noi siamo stati accolti con indifferenza, con molta indifferenza."
41) Ad esempio?
R.: "Ad esempio che quando ci hanno scaricati a Bari al porto e ci hanno portato in quella caserma ò o cosa era - ci hanno lasciati lì, ci hanno buttato una coperta [e ci hanno detto]: da domani avrete questo sussidio e stop. E nessuno più che venisse il giorno dopo a dire come state, state o bene o state male, dormite bene o dormite male. Niente, arrangiatevi!"
42) Un'indifferenza che avete trovato anche nella popolazione?
R.: "Mah, non c'è stato nessun [contatto], niente. Come se noi... Boh, da dove venite? Proprio un'indifferenza, senza un minimo di calore. Da dove arrivano questi qua? Boh! Cioè, non c'è stata nessuna cordialità, nessuna confidenza da poter da uno all'altro raccontare le sue sofferenze o le sue belle cose. Chi sei e chi sono? Boh! Da dove venite? Boh! Gli unici che sono stati bene accolti, sono stati quelli dell'Istria: Torino è stata molto accogliente, anche la prefettura, perché avevano persone già nell'epoca nel governo e quelli li hanno aiutati. Anche a livello di chiesa, eccetera. Noi quello di chiesa ce lo hanno ammazzato: poverino, la prima bomba che è caduta a Patrasso è caduta proprio sulla chiesa italiana e ha bruciato tutto!Ma guarda ti sto raccontando solo una minima parte delle sofferenze che abbiamo passato: fame, pidocchi, non ti dico!"
43) Fame e pidocchi, ma dove, mi racconti...
R.: "Fame e pidocchi, vuol dire che non eravamo assistiti bene...Ad esempio a Firenze ci hanno buttati in queste caserme [e ci hanno detto] arrangiatevi: c'era un bagno militare tutto per tutti. Un gabinetto tutto per tutti e le donne tutto per tutti, no? Arrangiatevi! Non c'era niente che poteva dire vi diamo un letto qua e là, niente. Piano piano abbiamo comprato qualche brandina, ma i primi mesi a terra, a terra e le stanze le dividevamo con le coperte. Alcuni alle Casermette era già diviso militarmente, ma dall'altra parte [del campo] che era libero, c'era una porta e stop. E invece i gabinetti erano aperti così. Che dalla terra al gabinetto c'era poco spazio, e una donna figurati quando andava lì...Era una schifezza! Poi abbiamo cambiato le porte, abbiamo cambiato il resto, ma abbiamo tutto fatto noi."
44) Prima parlavamo della casa...
R.: "La casa l'ho avuta io, oltre che per diritto, anche perché io ero un rivoluzionario! Avevo rivoluzionato gli stessi profughi a prenderla! Eravamo dieci famiglie, con la promessa del viceprefetto di Torino, dottor R., che è stata una persona umanamente veramente bravo. Lui ha preso tutto il pacchetto delle domande, dove c'era la mia e quelle di altre famiglie profughe da Tripoli e da Tunisi. Lui, veramente, è stato molto accogliente: ha raccolto [le domande], le ha contate e ha detto: vi prometto che voi avrete la casa. E dopo tre anni ha dato a tutti la casa. Qua [c'è] una piccola casa, ma via Bosco è la parte più grossa, e anche alle Vallette. Ma in via Bosco hanno preso le case tutti! Anche gli sfollati italiani. Città Giardino si chiama. Io sono venuto qua nel marzo del '57."
45) Quindi subito dopo la chiusura delle Casermette...
R.: "Esatto."
46) Posso chiederle com'era questo quartiere nel 1957?
R.: "Beh, qua c'era questo quartiere e poi quell'altro dei profughi. Che il primo è stato costruito quello. Questo lo chiamano il quartiere dei baraccati, degli sfollati e degli sfrattati. Poi è venuto [il quartiere] dove c'è C., ma è venuto dopo un anno o due, e difatti hanno condizioni diverse l'uno con l'altro. Qui non c'era niente, [né] case, [né] giardini...C'erano le bealere, come le chiamavano, corsi d'acqua. Che qua dietro andavamo a pescare, con la lenza. Andavamo a pescare le anguille, la notte. Nel quartiere non c'era niente: c'era qualche casa in via Sansovino, ma era una strabella, non era la via Sansovino di adesso. Non c'era niente, quando pioveva ci voleva la barca! L'unico [posto di ritrovo] esistente era in corso Cincinnato, [dove c'era ] un bar piccolino. Poi c'erano le case basse, dove] avevano aperto un tabacchino, un bar e vendevano sempre il vino, senza mai vedere uno che scaricava vino! E il mercatino era in via Toscana. Nel '61 hanno incominciato a costruire le Vallette, nel 1961, quando è stato il centenario dell'Italia e avevano fatto gli alberghi e hanno incominciato a costruire le Vallette. Che alle Vallette è andato di tutto: di tutte le appartenenze e le fasce sociali. Qui [da noi], ogni quartiere ha la sua storia: lì sono tutti profughi [che] provengono tutti [dalla Venezia - Giulia e dalla Dalmazia]; dove c'è C., un 5% sono profughi il resto è fasce sociali miste, ma dove c'è proprio il Villaggio profughi sarebbe quello, che lo chiamano Santa Caterina. Questo lo chiamano i baraccati."
47) Le chiedo una cosa che mi interessa molto e che ho notato relativamente ai profughi giuliano-dalmati. I giuliani - e credo lo sappia - sono grandi consumatori di crauti, hanno tradizioni culinarie come le pinze per Pasqua o il baccalà mantecato. Piatti che, a quanto ho potuto capire dalle testimonianze raccolte, sono entrati a far parte della tradizione di questo quartiere, dove i negozianti, viste le richieste, si sono ingegnati a procurarli. Per voi greci è stata la stessa cosa?
R.: "Ho capito già cosa vuoi dire! Abitudini, cibo, eccetera...Gli istriani - una parte degli istriani - perché c'erano molti anche dell'epoca degli austro-ungheresi che mangiavano crauti, salsicce e tutte quelle cose. Ma quegli istriani che venivano dall'Istria, dalla riva del mare, Pola, Fiume, eccetera, erano molto mangiatori di pesce, come noi greci. Che l'80% di noi greci eravamo in riva al mare, per cui la nostra discendenza - la maggior parte di noi erano pescatori - ed era quindi preferibile il pesce. Ma questo misto di abitudine, eccetera, la maggior parte veniva da una piccola parte di profughi dalla Jugoslavia, dove già nell'epoca sono stati anche sotto l'impero austro-ungherese. E avevano molte abitudini di là, ma di italiano avevano poco. Anzi, molti hanno cambiato perfino i cognomi! Erano tutti con nomi tedeschi, austriaci e slavi. Ma i profughi che venivano dalla Grecia, dalla Tunisia, da Tripoli, eccetera, quelli erano italiani, con la loro origine e discendenza, tutto. Non hanno mai avuto un cambiamento, nemmeno di abitudini, son rimasti italiani con le loro abitudini. Certamente che in un pese che sei lì, nasci lì, cresci lì, una buona parte la prendi lì."
48) Quindi anche le abitudini alimentari...
R.: "Le abitudini alimentari...Gli istriani, una grossa parte, mangiano molte verdure e pesce. Cioè, diciamo, una cucina mediterranea, rendo l'idea? Si, molto pesce. Noi greci 80% è mangiatore di pesce."
49) Molti erano quindi suoi clienti...
R.: "Si, ma poi c'è anche questo: dal '60 in poi - io ho cominciato nel '62 - il mercato generale era a Porta Palazzo, no? Poi han cominciato [a mangiare pesce] anche i piemontesi, e questo perché? Perché alcuni italiani...Insomma i meridionali, che all'epoca erano extracomunitari in Piemonte...Anche noi, però noi eravamo un po' diciamo così un'etichetta diversa, perché eravamo profughi e i piemontesi non sapevano neanche la nostra provenienza; sapevano che eravamo italiani, ma non sapevano la nostra vera provenienza. La nostra vera provenienza in Grecia erano pugliesi, [mentre] gli istriani la maggior parte venivano dal Veneto, la maggior parte dal veneto. E poi un po' misti dalla Calabria , eccetera, ma la maggior parte degli emigranti - anche in America - sono pugliesi e meridionali. Ma la storia non è solo questa, di sofferenza ne abbiamo subite...Anzi però quello del pesce è stato uno sviluppo inaspettato. E perché è stato uno sviluppo? [Perché] il meridionale ha sposato la piemontese e c'è stato un miscuglio, incominciavamo a conoscersi, e allora è venuto - diciamo- l'assaggio. Ma io poi son stato uno che ne ho combinato mille e una notte! Perché io avevo già incominciato a capire che ai piemontesi non è che non le piaceva il pesce, ma non era abituato. [Loro mangiavano solo] la trota e quello che produceva la regione nell'epoca, anche perché i trasporti nell'epoca erano molto difficili, e allora mangiava quello che produceva la regione. Arrivava qualche pesce, ma arrivava congelato, oppure arrivava qualche sardina, ma quando arrivava dio si salvi! Allora io ho spiato con i mie colleghi, alcune volte di metterci - una volta al mese - in cinque o sei quartieri con le griglie ad arrostire il pesce, a friggere il pesce, per farle assaggiare. E difatti abbiamo fatto un grosso sviluppo. Poi è venuta la stampa, qui il mercato si è allargato e incominciava la richiesta. Da un pescivendolo son poi diventati tre, quattro; invece che arrivare un camion alla settimana ne arrivavano dieci, per cui la vendita incominciava già a salire. Fino a che in Piemonte la vendita ha avuto un grosso [sviluppo]. Poi molti meridionali si sono spostati, e il loro alimento, la maggior parte era il pesce."
50) Mi ha detto che ha lavorato alla RIV. Come è stato assunto?
R.: "Io sono assunto non come profugo, ma come italiano."
51) Gliel'ho chiesto perché c'era una legge che obbligava le azienda ad assumere il 5% dei profughi...
R.: "E' vero, è vero, è vero. Ma a me non mi hanno chiesto né la qualifica, né niente. Solo mi hanno fatto una visita come se dovessi fare...Mi hanno fatto una visita, fino alle emorroidi! Avevo ventuno anni allora, dovevo essere sano come un pesce! Io e altri due italo-greci: C. e Giorgio D. lavoravamo alla RIV. C. ha fatto trenta e più anni alla RIV. Abbiamo passato queste visite, eravamo idonei, sani e ci hanno assunti. A me mi hanno messo alla piccola tornerai - che li ogni reparto aveva il suo nome - e all'inizio facevo [un lavoro che consisteva nel] raccogliere le torniture, il manovale. Poi mi hanno messo addetto alle macchine, hanno visto che ero abbastanza sveglio, è ho cominciato a lavorare nelle macchine: tornerie, eccetera. E ho lavorati tredici anni, perché? Perché dopo tre o quattro anni - io avevo le idee di sinistra - sono entrato alla CGIL, ero attivista sindacale e sai, all'epoca alle ditte gli davi fastidio. Poi io ho aiutato molto il movimento delle donne, che all'epoca la donna lavorava e prendeva il 30-40% in meno dell'uomo. E questa battaglia ha portato a una grossa lotta che poi nel '72 le donne hanno avuto la parità salariale. E allora un bel giorno, per una stupidata, mi avevano isolato a me e un altro. [In fabbrica] eravamo in tre, diciamo un po'attivisti, e ci hanno licenziato. A me mi davano una sospensione di tre giorni, l'altro che era molto più anziano lo licenziavano. E loro hanno fatto una scelta, cioè mi han fatto una proposta: io ero giovane, lui era oramai vicino alla pensione, M. si chiamava, [era] il presidente degli umanitari, era una persona di un'umanità...Allora han fatto i conti [e mi han detto]: o lei accetta il licenziamento, allora il vecchio rimane e ha solo tre giorni di sospensione. La commissione interna della CGIL che avevamo, ha detto: D., che dici? [Io risposi]: è semplice, c'è mica tanto da aspettare! Io son giovane, in qualche maniera me la caverò: accetto il licenziamento al posto suo. E mi hanno licenziato per perseguitato politico. Poi mi hanno riconosciuto, è venuta una legge. Dopo questo son rimasto un anno disoccupato, che ho fatto di tutto, sai avevo tre figli!"
52) E nel frattempo abitava alle Casermette...
R.: "Lavoravo alla RIV, ma abitavo alle Casermette. Andavo con la bicicletta lì. Poi mi hanno trasferito qua e andavo con la bicicletta alla RIV. Poi mi hanno licenziato, e la prima licenza [che mi han dato] era una profumeria e detersivi, tutte ste balle qua che io non conoscevo niente! Ho detto a mia moglie: non ce la facciamo! Poi mi han dato il pesce, dove avevo un minimo di conoscenza. E in quel momento lì, cominciava il boom del pesce, fortunatamente. Perché delle volte ci va anche un pizzico di fortuna. E il banco l'ho aperto nel '63, e nel '71 son venuto qui in questo mercato, dove ho lottato fino a che - grazie a me e ad altri quattro - hanno spostato il mercato."
53) Sua moglie è invece torinese?
R.: "No, no, mia moglie è pugliese, di Mola di Bari. Mio figlio è nato là: i miei primi due figli son nati là. Giovanna quella che ha cinquantotto anni, mio figlio che ne ha sessanta son nati là."
54) Le faccio ancora qualche domanda, poi abbiamo finito. La prima è questa: vorrei ritornare indietro alla vostra partenza da Patrasso. Raccogliendo alcune testimonianze di italo- greci, mi era stato riferito che gli italiani, prima di partire fossero stati tutti concentrati in una fortezza...
R.: "Quello è stato a Corfù, ma è stata tutta un'altra cosa. Ogni comunità ha la sua storia: eravamo tutti italiani, però ognuno a seconda dove abitava ha la sua storia. A Corfù è stato così, che li hanno minacciati eccetera, questo è vero. Perché mia mamma è di Corfù. Patrasso è tutta un'altra cosa. Hanno cominciato nel '40 a prendere mio papà e mio fratello perché erano italiani e collaboravano, poi li hanno mollati. Poi come è finita la guerra, non ci hanno messi in campo, ma ci hanno tolto tutti i diritti: non avevi diritto di lavorare e ci hanno sequestrato tutto. Noi avevamo una proprietà piena di frutti, perfino le galline [ci hanno tolto], tutto! Cavalli, vacche, tutto! Non abbiamo potuto toccare niente, non ci hanno mai dato niente, con tutto ciò che nel '40 ci hanno sequestrato tutto che potevamo fare domanda di danni di guerra, mio papà non l'ha fatta. Ha detto: quello che è stato è stato. Cioè, molti greci non erano contro gli italiani, ma è stata una parte di questi greci che ha creato quest'odio nazionalistico. Ma non perché gli italiani hanno collaborato coi fascisti, perché a Patrasso non c'era fascisti."
55) Quanti erano gli italiani a Patrasso?
R.: "A Patrasso eravamo sui circa otto- dieci mila, eravamo un bel numero. Tra tutto il Peloponneso, però la maggior parte delle famiglie erano a Patrasso, e la zona [il quartiere dove erano gli italiani] si chiamava San Dionisio, il quartiere maggiore di tutti gli italiani. Poi c'era via Gavetta, che era una via attaccata, e lì c'era una zona di tutti italiani, nel piccolo quartiere. Tutti italiani, che molte donne cucivano le reti, perché erano quasi tutti di origine pescatori."
56) Se pensa al viaggio da Patrasso a Bari, che ricordi ha?
R.: "Ricordo che abbiamo trovato una tempesta, che tre o quattro sono morti, e poi ricordi vomiti, eccetera. Che quando ci hanno sbarcati più di cento persone le hanno portate all'ospedale e alcuni erano morti, per cui abbiamo passato un momento difficile. Quasi andavamo a fondo. Eravamo cinquecento o seicento famiglie, le ultime ad andare via. P. son venuti via prima, con il primo scaglione."
57) Il primo scaglione lei lo ricorda?
R.: "Il primo scaglione son venuti quasi per le promesse di volontà. Che sono stati ingannati dalla propaganda fascista. Loro son venuti nel '44, c'era ancora la guerra. Ma la differenza c'è poca, ma noi siamo stati l'ultimo scaglione: ci han sequestrato tutto, tutto. Come dire: sei lì, se c'hai soldi in tasca vivi, se no crepi! Nessun diritto! Guai se un greco prendeva un italiano a lavorare, guai! Finiva peggio che l'italiano."
58) Mi ha detto di essere arrivato a Torino nel '51.
R.: "Ad aprile del '51."
59) Ecco. Che effetto le ha fatto Torino? Qual è stato l'impatto che ha avuto con la città?
R.: "Mah, ti dirò questo. A me di effetto mi ha fatto tutto dall'inizio. Perché anche mio papà, che non è mai stato in Italia...Però c'era una differenza, e cioè che questo [suo] sentimento e questo patriottismo mi ha portato della volte - quando avevo già una certa età - a farmi una domanda: io ricordo che mio padre non era mai venuto in Italia, però quando venivano certe feste nazionali metteva la bandiera italiana [fuori al balcone di casa]. Insieme a quella greca, si capisce. Ma lui non era mai venuto in Italia. Cioè, gli italiani che erano lì, sentivano questo patriottismo. E i dialetti pugliesi anche in quelle borgate erano sempre in funzione. Parlavano il pugliese: tradizioni e cose erano tutte pugliesi, no? Sarà un forte patriottismo, o che non sono stati trattati bene...Perché in Grecia non era una vita facile, neh...Dovevi farti da solo, ti dovevi fare un bel culetto! E sentire anche delle parolacce, eccetera. Poi, piano piano, si spegnevano, però non si deve credere che gli italiani che sono andati all'estero hanno fatto una vita bella, neh. Hanno subito molte umiliazioni."
60) Ma questo anche in Grecia...
R.: "Anche dai greci. Cioè, non quella...Come dire...Ti facevano il buon sorriso a cattiva sorte, specialmente le autorità, ma il popolino non tanto. Il popolino era molto ospitale. Io sono nato [ e cresciuto] con questi amici...Dopo, quando è venuta la guerra, è nato quest'odio in una maniera che non venivano più a chiamarmi...Una cosa incredibile, e io mi chiedevo il perché e il per come, non riuscivo a capire. Guarda, ho ottantadue anni, e mi domando ancora perché nascono questi odi tra i popoli. Una cosa tremenda. Tremenda neh! Non lo so."
61) Parlavamo prima del suo impatto con Torino...
R.: "Beh, Torino...Son venuto qui con una coperta e uno zainetto, ho dormito sotto i ponti e ho sofferto per un anno la disoccupazione. Poi andavo a lavorare, mi ricordo, in certe piccole aziende. Una era una carrozzeria, si chiamava Balbo, che si sverniciava con la cartavetro quelle macchine della Lancia, che poi le verniciavano, le chiamavano le Aurelia, la Flavia, ma ti parlo di cinquant'anni fa. E ci davano 550 lire, otto ore. E dovevi fare minimo una macchina. Il mese di gennaio - che mi ricordo faceva un freddo da morire - veniva il sangue nelle mani, e tu dovevi stare lì. Dovevi farlo perché sai, non c'era nessuno che poteva darti niente. Dormivamo alle Casermette e non c'era né il riscaldamento e niente...Solo una brandina, un paio di coperte e tremare tutta la notte"
62) Come faceva a dormire abusivo alle Casermette, non c'era un controllo?
R.: "C'era il controllo! Quando ci beccavano a volte ci arrestavano e ci mettevano dentro, nella gattabuia delle Casermette e poi ci buttavano fuori. C'era anche C., sai? Eravamo nello stesso camerine! Siamo molto amici con P. e con lui... Siamo fraternamente amici. E abbiamo passato i guai! Però quello che ci ha aiutato molto, è stato questo rapporto di amicizia [che] è rimasto intatto. Ci siamo aiutati in tutte le circostanze, e questo ti dava anche...[Ad esempio], quando delle volte, magari, eri senza sigarette, andavi da uno e te ne dava un pacchetto. Non era una grande cosa, ma era già qualcosa...Anche una parola dolce, diciamo umanamente, che anche le parole a volte fanno anche effetto, lì per lì ti aiutano il morale, psicologicamente."
63) Il campo, quindi, ha cementato la vostra amicizia...
R.: "Il campo, amico mio, era brutta sofferenza. Il campo sei lì, sei migliaia di persone che manca quasi tutto e uno guarda in faccia all'altro: protesti e fai, però ben pochi si muovono. A meno che parti, dici io mi organizzo. Insomma, a meno che non si rischi, come ho fatto io, che ho subito trenta processi per recidivo."
64) Però, ad esempio, alle Casermette c'erano un'infermeria, una scuola e degli altri servizi...
R.: "Alle Casermette si. C'era lo spaccio privato, anche il bar era privato non [gestito] da noi stessi. Qualcuno che poi di noi stessi ha prelevato [l'attività] perché l'altro l'ha voluto vendere, c'è stato. Ma all'inizio, come licenza e come rilascio, erano tutti privati. Sia da una parte che dall'altra, sia da via Bosco che da via Veglia. Via Veglia, che era dove abitavo io, e c'erano istriani, che lì era l'80% di famiglie istriane, tutte della Jugoslavia. Poi c'era anche il bagno, c'era tutto, però prima che vai in bagno morivi di freddo! Poi c'era anche la chiesa: eh, la chiesa non mancava mai!"
65) C'era don Macario...
R.: "Eh, lì c'era don Giuseppe che comandava tutto! Poi loro, quelli dell'Istria, sono stati anticomunisti sfegatati. Che poi, se guardi bene, anche dall'altra parte, dai comunisti, c'erano quelle bande che volevano passare da comunisti, ma erano delinquenti, non comunisti, non partigiani. Perché un vero movimento partigiano non fa quei crimini lì. Per nessuna ragione al mondo!"
66) Alcuni testimoni mi hanno riferito che don Giuseppe aveva molti contatti con le aziende e aiutava molti profughi nell'assunzione...
R.: "Eh, aveva dei poteri."
67) Cose vuol dire che aveva dei poteri...
R.: "Aveva poteri e conoscenze nei vari posti di autorità: Municipio, prefettura, ECA, Case popolari, anche nelle fabbriche. Specialmente la Fiat [i profughi giuliani] li prendeva perché facevano questa politica anticomunista, che nell'epoca c'era un grande movimento. Insomma, in poche parole, [è stato anche] un sistema politico propagandistico: magari gli altri erano in buona fede, ma gli altri sfruttavano la circostanza. Io non ho mai perso uno sciopero, ma loro [gli istriani] assolutamente no, non facevano sciopero, erano crumiri. Anzi, la madre di Marchionne - quello della Fiat - è istriana, capisci? E' venuto qua [al Villaggio]: nessuno lo sapeva, io si. Perché sai, quando sei nella politica, sotto sotto, vieni a sapere qualcosa. E io ero anche molto amico con Fassino."
68) Lei torna in Grecia?
R.: "In Grecia? No, nno, son tornato. Dopo trent'anni mi sono incontrato con le mie sorelle."
69) Perché, se non ho capito male, la vostra famiglia non è partita tutta, qualcuno è rimasto in Grecia...
R.: "Allora, la mia sorella è rimasta con un italiano che aveva cambiato la cittadinanza. L'altra mia sorella aveva sposato un greco, [mentre] l'altro mio fratello più vecchio, aveva litigato con mio papà e aveva prestato servizio militare sotto la bandiera greca, per cui aveva preso la cittadinanza greca. Però quando son venuti gli italiani li han messo la divisa e l'han chiamato a far l'interprete, perché lui in Italia risultava cittadino italiano. Ma neanche la pistola ci hanno dato, niente! Soltanto vestito da soldato, e un documento dove era scritto che era interprete. E molti italiani nativi lì, la maggior parte hanno fatto gli interpreti."
70) Quindi, mi diceva, che lei per la prima volta è tornato dopo trent'anni in Grecia...
R.: "Dopo trent'anni, la prima volta. Poi son tornato, ma dove sono andato più di una volta è a Corfù, dove [era nata] mia mamma, che poi [i miei parenti] sono ancora quasi tutti viventi, [anche se] ne sono morti tanti. E' una bellissima isola, Corfù, e ho anche i parenti."
71) Lei ha nostalgia della Grecia?
R.: "Si capisce, un paese che uno nasce...Perché io non è che ero un bambino quando son venuto qua, avevo sedici anni. E sai, quasi, quasi, hai un'informazione abbastanza elevata del posto dove sei e dove hai vissuto tutti questi anni. Sono andato a scuola coi greci, parlavo il greco, mia mamma era greca e, insomma, di italiano, se guardiamo bene, c'era solo la radice. Ma come abitudini eravamo greci. Insomma, non è che hai quattro o cinque anni, ma ne avevi sedici, e quindi molte cose ti rimangono."
72) La sua radice, quindi, è greca...
R.: "I primi anni di crescita, fino a una certa età - da giovanotto - ho vissuto lì. Dopo, per disgrazia o per fortuna - direi, anzi, per disgrazia - ci han rimpatriato in Italia, e purtroppo sei qui. Oramai le speranze sono tutte morte, ho perso tutto. I documenti ce li abbiamo, abbiamo la commissione per i danni di guerra, ma campa cavallo che l'erba cresce! Ormai muoio qua, come mio papà. C'ho i figli qua, c'ho i nipoti...Certamente che del paese dove sei nato, senti sempre la nostalgia, quegli amici che ci sei cresciuto insieme non si dimenticano mai. Sono ricordi penetrati nel cervello, sono cose belle, anni che anche se sono stati momenti brutti e amari, sono stati anche momenti belli. E senti la nostalgia, senz'altro, è evidente. E' così, mio caro! Ma le sofferenze sono state molto, molto brutte...Meglio che non voglio più ricordarmi. Andare a rubare una buccia di patate sotto le mitragliatrici tedesche..."
73) Ma questo è successo in guerra...
R.: "Certo che ho visto la guerra! Pensa che la fame supera la paura. Perché la fame e la sete, chi non l'ha provata non può capire. Io la sete l'ho provata in un momento di disgrazia, la fame poca, perché fortunatamente ho avuto una famiglia di pescatori, qua e là...Ma ho degli amici che rubavano da casa mia tutto quello che mia mamma faceva, del pane, tutto. Sai, quando sei amici, sei amici, non guardi né provenienza, né razza né niente. Nel '41 [è successo tutto questo] che avevo dodici anni, ero ragazzo. Nel 1943, sotto l'armistizio, lì da me c'era questa caserma degli alpini, che era un'artiglieria pesante, da montagna, che avevano cannoni, mortai. E quella compagnia lì, li ha portati via mio fratello Nunzio, perché lì lui era comandante insieme a un altro generale greco, del comitato partigiano. Erano trecento, li ha salvati tutti...Hanno combattuto contro i tedeschi, con coraggio. Ma molti militari italiani hanno combattuto contro i tedeschi. A Cefalonia devono dire grazie al tradimento che hanno avuto anche da Badoglio, perché i generali - e non mi ricordo come si chiamavano - avevano promesso che avrebbero scaricato con gli aerei le armi e tutto il resto, ma invece sono rimasti con una cartuccia in mano. Comunque dove son nato acqua ce n'era. Era pane che non ce n'era: una patata era oro! Pensa che per una pagnotta molti militari violentavano delle bambine. E c'erano dei bersaglieri e dei fascisti italiani che hanno fatto le sue, eh! Non tutti, neh, ma alcuni si. Cioè, l'esercito normale è stato applaudito, ma sai, ci sono sempre dei delinquenti in mezzo. Che volevano insegnare ai greci come si mangia! E, insomma, tutto puoi insegnare, meno che quello, perché come civiltà dovevamo imparare qualcosa, no? I romani hanno conquistato Atene, [ma] Atene ha conquistato Roma, neh...Per quale ragione? Che gli ateniesi hanno conquistato Roma con la civiltà - gli hanno insegnato tante cose - e i romani hanno sfondato perché avevano le armi e un esercito più potente. Ma come civiltà, hanno imparato tante cose [dai greci]. Una grossa parte dei militari e degli strateghi romani erano analfabeti, invece i greci no. La storia [è questa] e c'è un libro di settecento chili che parla: insomma, qualche cosa l'ho imparata anche io, neh!"