1) Inizierei con il chiederle alcuni dati anagrafici. Dove e quando è nato...
R.: "Sono nato nel 1940 a Patrasso."
2) Mi parli un po' della sua famiglia di origine: quanti eravate, che mestiere facevano i suoi genitori...
R.: "Siamo in sei, anzi eravamo in sei perché siamo rimasti in due: il più anziano, che è nato nel 1920 e io che son nato nel 1940. [Ci sono] vent'anni di differenza. Cinque maschi e una femmina. Da Patrasso, all'età di cinque anni, i greci ci hanno cacciato via, per motivi che lei sa."
3) E cioè, che motivi?
R.: "Eh, niente, abbiam preso la batosta e abbiam perso la guerra. Noi avevamo già la casa, i miei avevano comprato la casa. Perché gli italiani in Grecia, avevamo una colonia, come le colonie che abbiamo giù in meridione anche dei greci. Ci sono, giù nelle Puglie. I miei nonni per lavoro sono andati a Patrasso e han fatto i figli. Mio papà, facendo il servizio militare, è venuto in Italia e ha sposato mia madre [che era] delle Puglie, a Trani. E poi ha portato mia madre in Grecia, naturalmente, perché il lavoro era là."
4) Che lavoro faceva suo padre?
R.: "Mio papà lavorava nel cantiere navale sul porto."
5) I suoi nonni erano pugliesi emigrati in Grecia?
R.: "Pugliesi emigrati in Grecia, per lavoro. Noi avevamo una colonia: la chiesa, i dati anagrafici. A Patrasso c'era un quartiere italiano, noi avevamo una comunità italiana, ancora dal tempo del re. Cioè il papà di Costantino, perché poi abbiam perso la guerra e ci hanno cacciato via. Questo, diciamo, è stata la nostra storia."
6) Posso chiederle com'erano i rapporti tra la comunità italiana e i greci?
R.: "Eh, la miseria, eravamo d'accordissimo! Perché poi anche i miei due fratelli più vecchi, diciamo, uno del '20 e l'altro del '22, avevano le fidanzate, andavano a ballare, andavano con le ragazze in tutti i paesi dei dintorni di Patrasso. Eravamo ben voluti, ma bene. Solo che poi dopo..."
7) Poi dopo...
R.: "Ma perché, per quello che è successo. Perché poi dopo il fascismo hanno bastonato un po' i greci nel periodo della guerra."
8) In che senso il fascismo ha bastonato i greci...
R.: "Nel senso che ne hanno combinate di brutte cose. Come ne hanno combinato i tedeschi a noi e così via. E allora c'è stato un odio verso gli italiani, però, attenzione, poi andavano a cercare chi li ha fatto del male. Se io ti faccio del male a te, poi dopo tu ti rifai, eh! Anzi, dirò di più, i miei due fratelli che nel periodo della guerra erano in servizio militare, li hanno salvati, perché altrimenti ti buttavano nel Canale di Corinto. Il Canale di Corinto era pieno di italiani. Un po' come nel Veneto che c'erano le foibe, in Grecia li buttavano nel Canale di Corinto. Pieno era. Questo raccontato dai miei fratelli, che lo hanno visto. Chi ha fatto male, loro dopo si sono vendicati. Tutto lì. Mentre i miei fratelli son stati salvati, li hanno nascosti da questi gruppi rivoluzionari greci."
9) Chi è che li ha nascosti?
R.: "Gli amici. Tutti gli amici di Patrasso dove abitavamo noi, perché si sono comportati bene con loro. Questo era il fatto di essere in buoni rapporti o no."
10) Quindi, se non ho capito male, l'equazione era italiano uguale fascista...
R.: "Certo, certo! C'era l'italiano fascista, andavano a caccia dei fascisti! E i miei fratelli erano sotto il servizio militare, però sono stati aiutati e fatti scappare a Brindisi. Poi noi li abbiamo persi come famiglia - io ero piccolo, avevo quattro anni, cinque - e allora è stato un periodo che la sera, come è finita la guerra, ci hanno detto [i greci] di farci gli scatoloni e di prendere il primo merci che c'era e andare in Italia. E [il primo che c'era] andava a Brindisi e siamo andati lì."
11) Perciò dall'oggi al domani vi hanno tolto tutto...
R.: "Certo."
12) Mi racconti...
R.: "Ci hanno tolto tutto, ci hanno fatto andare via con quello che avevamo addosso! Né più e né meno, tutto lì. Qua almeno ai veneti li hanno permesso di portare via un po' di mobili, che poi li hanno messi in certi depositi, anche se poi è andata a finire [male]. A noi invece niente, dalla sera alla mattina: via!"
13) Una sorte comune a tutta la comunità italiana?
R.: "No a tutti. A chi optava di diventare greco li lasciavano. Perché dopo la fine della guerra c'era la possibilità di optare, cambiare cognome, firmare o se no prendevi i tuoi stracci e te ne andavi via."
14) A Patrasso sono stati in molti a optare?
R.: "Eh, molti, molti. Per sentito dire una buona percentuale. Chi ha optato ha continuato a vivere lì: per esempio io ho avuto un paio di zie, la mia madrina - che poi sono andato a trovare dopo un po' di anni - che loro hanno optato e sono rimasti lì."
15) Prima stavamo parlando del fascismo. Vorrei chiederle in che modo il fascismo è riuscito a fare presa sulla comunità italiana greca. Ad esempio c'erano le scuole, la propaganda...
R.: "Eh, io la propaganda e la scuola non me la ricordo, perché ho fatto l'asilo a Brindisi e Firenze! Eh, più di quello io non ricordo..."
16) Della guerra invece ricorda qualcosa?
R.: "Solo quello che mi hanno raccontato. Della guerra mi raccontava mia madre che al tempo dei bombardamenti ci portavano in un posto che era chiamato Silalogna, dove c'erano dei rifugi. Perché lì lavoravano anche i miei fratelli più grandi, che in queste montagne facevano i vasi e avevano proprio dei magazzini, dove avevano queste pedane per far girare i vasi. Ecco, in queste gallerie si andava e quando finiva la sirena [dell'allarme aereo] si tornava a casa. Tutto lì quello che mi ricordo e mi hanno raccontato."
17) Mi diceva prima che a Patrasso c'era un quartiere italiano...
R.: "Certo, certo. C'erano almeno - come posso dire- era grosso...Grosso come...Non so come Pianezza, ci saranno state un 5.000 persone, una cifra buttata lì. Avevamo la chiesa e l'anagrafe, che [però] è stata bombardata tutta. Pensi che io per sposarmi qui in Italia non avevo i documenti, e ho dovuto fare il famoso atto notorio prendendo quattro testimoni sul posto che hanno firmato che io esisto, perchè il documento della chiesa ce l'avevo. Solo la chiesa aveva i documenti del mio battesimo e tutto, ma dall'anagrafe niente [perché era stata bombardata]. Non trovavo niente e anzi - pensi - il consolato greco, mi voleva far fare anche il militare in Grecia, e non l'ho fatto! Io l'ho fatto in Italia il militare, perché eravamo italiani. Poi dopo la guerra e il fascismo questo villaggio è sparito. Cioè il villaggio...[Volevo dire] la comunità italiana, che è sparita."
18) E' sparita perché vi hanno fatto andare via. Riesce e ripercorrere questi passaggi?
R.: "E' venuta la milizia greca. In questa comunità, sapendo che eravamo tutti italiani, hanno bussato [alle porte delle case] coi documenti in mano e hanno detto: se volete restare qui firmate questi documenti, se no prendete le vostre cose che c'è la nave lì. Era pronta, era una nave greca, un peschereccio, che ci ha portato da Patrasso a Brindisi."
19) Che ricordi ha del viaggio?
R.: "Per niente, so solo che son stato male! Un mal di mare! Perché stavamo nelle stive, non è che c'erano cabine. Stavamo dove mettevano le auto e i camion, tutti per terra su delle coperte e stop. Questo è stato il passaggio da Patrasso a Brindisi."
20) Lei era molto piccolo, quindi ha seguito la sua famiglia. Posso chiederle però come mai i suoi genitori hanno scelto di andare via da Patrasso?
R.: "Perché si sentivano italiani, quello è il motivo più grosso. Si sentivano italiani e sono venuti in Italia."
21) Non hanno quindi nemmeno pensato di rimanere in Grecia...
R.: "No, no, minimamente! Mio papà ha fatto la grande guerra, ha la sua medaglia, poteva mica optare per stare greco, no? Sarebbe stato pazzesco, eh! Non ci ha pensato su due volte. E poi avevano ancore due figli sotto l'esercito, che noi in quel periodo lì non sapevamo dov'erano. Perché, come ho detto, si erano nascosti perché è stato un periodo brutto. Lì come li trovavano, i partigiani greci li ammazzavano. E allora, come ho detto prima, li hanno nascosti e sono riusciti poi a prendere qualche barca di pescatori per poter arrivare a Brindisi. Ma sono arrivati molto, molto dopo di noi. "
22) Ho capito. Voi invece quando siete partiti?
R.: "Nel '44. Nel'44-'45, proprio alla fine, quando poi da noi c'è stato lo sbarco e la resa. E poi sono arrivati i greci e ci han fatto andare via."
23) Partenze che avvenivano a scaglioni, a più riprese?
R.: "A più riprese, certo, certo. Ci siamo trovati nei campi profughi poi dopo, perché a Brindisi noi avevamo ancora i nonni, i genitori di mia mamma che ci hanno ospitato. Poi a un certo punto han detto: no, voi dovete andare a Firenze, che ci sono i campi profughi. [Dovevamo andare lì] per poterci dare, come profughi, quello che ci spettava: sussidi, coperte e robe del genere, perché non avevamo niente! Niente!"
24) Voi arrivate a Brindisi. Ricorda se al porto avete ricevuto un minimo di assistenza o se ci fossero delle strutture preposte ad accogliervi?
R.: "No. Noi siamo andati dai parenti, perché mia mamma è andata dai suoi genitori. Ci hanno accolto loro. Siamo stati qualche mese - non molto - e poi siamo andati nei campi profughi. Perché c'erano questi centri di accoglienza che ci han detto, appunto, guardate che qui c'è la possibilità, anche per sistemarvi. Perché noi non potevamo sistemarci lì a Brindisi a casa dei nonni. Ci han detto: andate a Firenze, che magari lì vi sistemano, vi danno la casa, il lavoro e cominciate a farvi il vostro percorso e la vostra vita."
25) E chi vi diceva questo?
R.: "Il centro di accoglienza. C'era il centro di accoglienza dei profughi greci a Brindisi. Noi siamo andati lì a chiedere...Ma non solo noi, perché poi dopo arrivavano altre navi [di profughi]."
26) Quindi, se non ho capito male, dopo Brindisi siete andati a Firenze nel 1945.
R.: "Esatto."
27) E a Firenze cosa c'era?
R.: "Anche lì c'era il centro [di raccolta profughi], le casermette di Firenze. Ed era proprio di fianco alla stazione di Santa Maria Novella, proprio di fianco. Adesso mi sfugge il nome - perché lo so - ed era una grande caserma [nella quale eravamo] tutti greci. C'erano questi gruppi [di profughi greci] che si spostavano: tanti [ad esempio] sono andati giù, in Sicilia, altri in centro Italia, mentre a noi invece ci han mandato a Firenze. Ma un gruppo enorme, tutti di Patrasso. Poi a un certo punto anche noi di lì siamo partiti via, perché non c'era lavoro. A quei tempi lì a Firenze non c'era come oggi il turismo da poter inserirsi, non c'era lavoro. La richiesta di lavoro dov'era? In Piemonte, e allora da Firenze - dove ho fatto due o tre mesi di asilo, sempre in campo profughi - siamo venuti in Piemonte."
28) Riesce a descrivermi il campo di Firenze, com'era?
R.: "Beh, l'asilo aveva qui banchi di legno, di quelli alti, con il piano inclinato e il suo calamaio. Ma lunghi eh! Dove ci si sedeva sei, sette, otto bambini. E avevamo quelli, per l'asilo. Mentre per noi, nel campo, ci avevano dato delle brande di tela, quelle brande da militare di tela che si agganciavano, e poi delle coperte della marina o dell'esercito, scritte in bianco [con la scritta] esercito italiano. Mi ricordo che da una coperta mia mamma mi ha fatto il cappotto: il cappotto con una coperta dell'esercito italiano!"
29) In questa caserma in cui eravate a Firenze, c'erano delle camerate come negli altri centri?
R.: "Camerate, camerate...Camerate dove stavamo tutti insieme, non eravamo divisi. Cioè, ci si divideva a famiglia con delle coperte. C'era una famiglia dove c'erano cinque, sei o sette letti e poi ci si metteva una coperta che divideva. Questo ricordo."
30) E per il cibo come funzionava?
R.: "C'era la mensa...Si andava con una pignatta e si prendeva: eri in quattro in famiglia, e ti davano quattro porzioni, quattro panini, quattro mele. E questo era così a Firenze. Che a Firenze siamo stati tre o quattro mesi. Poi siamo andati a Tortona, noi. Tortona, provincia di Alessandria. E anche lì, siamo stati alla Caserma Passalacqua, oggi Comune di Tortona, rifatto a nuovo. Anche lì, però, non eravamo solo greci, eravamo misti coi veneti. Veneti e greci. Con tanto di entrata con il picchetto e tutto. Per un periodo avevamo le stesse cose: dormitorio, divisi, mensa. Poi dopo un anno - un anno buono!- ci hanno dato dei soldi. A ogni famiglia e a ogni persona, davano 300 lire e dovevi aggiustarti. Ti davano un sussidio, un sussidio. Questo e via. E a Tortona ho fatto le elementari."
31) Dentro al campo...
R.: "No. Il primo anno la scuola era dentro al campo, poi ci hanno messo insieme ai tortonesi".
32) E com'è andata coi tortonesi?
R.: "Benissimo! Beh, c'era un po' di rivalità...Ci si trovava sulla campagna sopra...Che sulle colline di Tortona, c'è un castello di Barbarossa, un rudere. E allora ci si trovava lì i tortonesi e noi profughi, perché c'era un po' di rivalità. Come anche qua [a Torino] alle Casermette. Un po' di rivalità c'era...E allora [ci scontravamo] con le fionde, un po' di sassaiole, e via! Andavamo a casa con un po' di bernoccoli e poi ne prendevamo ancora! Però mi son trovato bene, perché ho fatto le elementari e nel periodo estivo andavo a lavorare, che ho trovato una famiglia di mobilieri, una certa famiglia B., che si trova proprio vicino alla Madonna della Guardia, che c'è una madonna tutta d'oro. E lì, proprio sotto, c'era un mobiliere che aveva una grande negozio e ho fatto un po' di apprendistato. E lì, diciamo, mi han voluto bene fino all'ultimo e poi, a un certo punto, hanno aperto le porte alla Fiat."
33) Alla Fiat?
R.: "Alla Fiat...E allora i miei fratelli, che poi ci siamo riuniti a Tortona, e anzi, a Firenze si son sposati due, nel campo di Firenze, i due più vecchi. Che sposano due sorelle, sempre greche, mentre a Tortona si è sposato un terzo fratello, sempre con una greca. E poi, finite le elementari, passato tutto, veniamo qui a Torino. Siamo già nel 1951 o 1952."
34) Quindi lei a Firenze è stato poco. A Tortona decisamente di più...
R.: "Sei anni. Io facevo l'apprendista, dopo le elementari, nel periodo estivo. I miei fratelli andavano invece a lavorare nelle officine, come meccanici. Che poi a Tortona c'è stata anche la fabbrica della Liebig, quella dei dadi, e molti profughi a Tortona hanno preso lavoro in questa fabbrica. Anche perché non c'era molto: quella e poi un'industria di costruzioni di torni e frese. Diciamo che si lavorava un po' in questo modo, saltuariamente. I posti fissi non esistevano, avevamo il sussidio e questi lavori saltuari."
35) Lei è stato alla Caserma Passalacqua, uno dei campi più grossi in Italia...
R.: "Si, c'eravamo noi e i giuliani. E lì la vita era tutta completa: matrimoni, battesimi, chiese, vacanze, che ci portavano anche in vacanza in Liguria a noi bambini. C'era una specie di assistenza: c'era il gruppo che partiva per il periodo estivo e ci davano questa possibilità."
36) Lei ha vissuto nel campo la sua infanzia...
R.: "Me la ricordo bene, mi ricordo tutto: mi ricordo il periodo del carnevale, che sotto i portici a Tortona c'era un carnevale favoloso, tutti gli anni."
37) Credo - e mi corregga se sbaglio - che ci sia una grossa differenza tra vivere il campo profughi in età adulta, e viverlo da bambini...
R.: "Eh, io ero un ragazzino...Però è stato così: certo i genitori e quelli più anziani ne hanno risentito. Però ad esempio i miei fratelli non è che ne abbiano risentito molto, hanno dei bei ricordi, perché si sono sposati tutti nei campi profughi, anche mia sorella. Mentre gli ultimi due no, ci siam sposati qua [a Torino]: mio fratello [ha sposato] sempre una greca - nata a Patrasso però italiana, naturalmente - e io, l'ultimo, ho trovato una veneta, una di Pola. Ma qua al Villaggio di Santa Caterina, non al campo profughi."
38) Lei arriva a Torino nel 1951. Perciò credo l'abbiano liquidata dal campo. Mi spiega come funzionava la liquidazione?
R.: "Eh, ci davano 50.000 lire a tesa, a famiglia. Noi eravamo in quattro e abbiamo preso 200.000 lire. E abbiamo comprato un alloggio, cioè una camera. Noi però eravamo sempre profughi. Una volta che siamo arrivati a Torino, abbiamo acquistato una camera abusiva in corso Polonia, là dove c'erano le due caserme. Però si rimane profughi, cioè è vero che si perdono i diritti del campo, però avevamo diritto a un alloggio, come profughi. Perché profugo rimani, anche oggi sono profugo. Noi avevamo diritto a le case che hanno iniziato a costruire in quegli anni."
39) Posso chiederle come mai siete finiti in corso Polonia?
R.: "Ci siamo stati trascinati da altri [che ci erano arrivati] prima di noi. [C'è stato] allora un passaparola: guarda che là di puoi sistemare. [Anche perché] non c'era la possibilità di andare in affitto, non avevamo soldi [necessari], perché gli affitti erano cari. Allora c'era questa possibilità di queste case vecchie [abusive], che erano un po' qua, un po' a Santa Rita , e allora siamo andati a finire in corso Polonia."
40) E avete dovuto pagarla?
R.: "Certo, si."
41) Mi scusi, ma non erano abusive?
R.: "Abusive, si. E va ben...I più fortunati, primi, hanno preso queste camere divise sopra queste due costruzioni, le due costruzioni Balilla, che erano due centri dove che addestravano i ragazzi, che le chiamavano proprio i balilla. Loro avevano già occupate tutte queste camere sopra, che c'erano due piani, uno sopra e uno sotto. Sotto, invece, si costruivano a mattoni le camere abusive, una di fianco all'altra. E allora una camera te la vendevano per 50.000 lire."
42) Mi scusi, ma chi la vendeva?
R.: "Quello che abitava di fianco. Se la costruivo io una, me la vendevo, mi dava 50.000 lire e si entrava. Però lì non c'era l'anagrafe da che ricordo io, non andavi a iscriverti da nessuna parte. [E questo] perché? Perché non avevamo niente, nessuno ci dava niente e nessuno si preoccupava di noi. Ecco perché venivano fuori queste case, che dalla mattina alla sera c'era una famiglia in più. Perché nessuno registrava le famiglie che c'erano, quante c'erano e come si viveva. Chi ci iscriveva dove andavamo a scuola, alla Vittorino da Feltre, andavamo, ci iscrivevano perché andavamo a scuola. Che io ho fatto qualche paio d'anni alla Vittorino da Feltre, che c'erano le professionali arti e mestieri. Ed eravamo registrati perché dovevamo andare a scuola, però nessuno si preoccupava di chiederti quanti siete in famiglia, avete bisogno di qualcosa? Ci hanno iscritti si al comune, che siamo a Torino, però del resto niente. Vi hanno dato la liquidazione [dal campo] dicevano, e allora potete andare avanti così."
43) Quindi non avevate alcun tipo di assistenza...
R.: "Nessuna, nessuna. Se dico che io non avevo l'atto di nascita...Non ce l'avevo perché [a Patrasso] era stato perso tutto. I miei sono andati a registrare la famiglia e di documenti non c'erano: hanno solo preso nota del nome, del cognome e di quanti eravamo. Però al momento del matrimonio i documenti mancavano. Al servizio militare quello sì, mi hanno trovato, mi hanno mandato la cartolina. Anzi, io lavoravo alla Stipel, alla vecchia Stipel la Telecom...Lavoravo ad Aosta a cambiare i telefoni a manovella e a mettere quelli a disco. Sono arrivati i carabinieri e mi hanno spedito subito a Caserta, anzi a Nocera Inferiore. Mi han trovato per il servizio militare!"
44) Riesce a descrivermele queste baracche di corso Polonia?
R.: "Le villette, le avevamo chiamate le villette! Come devo dire...Erano costruite di fianco a uno di questi condomini a due piani [cioè alle case Balilla], ma non evavno il tetto spiovente, avevano una terrazza, sopra. E di fianco si continuava a fare le baracche, [simili] ai portattrezzi che hanno i contadini, ad altezza uomo, che ci stavano dentro due letti o tre, uno di fianco all'altro. E questo era. Poi c'era qualcuno che si sistemava, che andava via e la vendeva a sua volta a un altro che la arrivava. Oppure la vendeva a uno che era in condizioni peggiori di lui. Perché quelli sopra stavano abbastanza bene, all'asciutto, mentre questi con le baracche avevano la possibilità anche di farsi l'orto, perché erano al piano terra e si facevano l'orticello, però era umido! Era umido sì, e quando pioveva c'era fango e tutte ste altre robe. Che si, ci si aggiustava, si mettano le piastrelle, però..."
45) L'interno era però un ambiente unico...
R.: "Si, un ambiente unico: c'era camera, cucina...Anzi, che cucina! C'era uno spaker con due fornelli per poter cucinare qualcosa, ma era tutto lì...Non avevamo niente!"
46) Oltre a voi greci chi viveva in corso Polonia?
R.: "Mah, lì c'era un misto. C'era greci , che erano tante famiglie su tutti e due i condomini, che erano uno di fronte all'altro. E adesso non c'è più niente, non c'è più niente. Erano uno da una parte e uno dall'altra con la strada in mezzo, il corso Polonia che costeggia il Po. Eravamo all'altezza di piazza Fabio Filzi di oggi. Anzi, c'erano in riva al Po dei bagni. Avevano fatto i bagni con le cabine, facevamo i bagni al Po. Eravamo noi greci, veneti e siciliani, calabresi, i nuovi immigrati, questi della bassa Italia, [che sono arrivati a Torino] per lavoro, perché hanno aperto le porte alla Fiat e allora sono arrivati molti meridionali. Era il periodo che poi per i meridionali è stata molto più dura, perché non gli affittava nessuno niente. Lo sa, quel periodo lì...Eravamo in tanti. Poi si faceva su il percorso a piedi, un fango che non le dico! Si faceva per arrivare su in via Genova, di fronte a dove adesso c'è il padiglione in via Nizza della Fiat, l'entrata principale [del Lingotto]. Via Genova e via Nizza, che poi lì hanno costruito le case Fiat e hanno incominciato [a sistemarsi]. I miei fratelli, [ad esempio], hanno lavorato alla Fiat e gli han dato le case: a uno gliel'han data a Settimo - l'hanno trasferito - mentre i primi due l'hanno presa invece lì al Lingotto: a uno gliel'han data in via Boston e l'altro in via Nizza."
47) Fino a quando è stato in corso Polonia?
R.: "Eh...Sono arrivato nel '51 e son stato un anno e mezzo. Poi ci hanno dato la casa a Santa Caterina, quando han fatto le case per i baraccati. A Santa Caterina, le prime case di via Parenzo."
48) Riesce a descrivermi com'era all'epoca il quartiere e lo spazio urbano intorno a corso Polonia?
R.: "Non c'era niente. Si andava tutti su, si giocava, andavamo vicino alla scuola Vittorino da Feltre, si giocava lì, andavamo in parrocchia, alla chiesa in fondo, quella che c'è sempre in via Genova, una traversa di via Genova, che adesso la via non me la ricordo più. E poi anche lì si lavorava, che io in via Genova ho trovato un posto da falegname, ho continuato a lavorare come falegname. Ho iniziato il mio lavoro. In via Genova c'erano poi tutti i negozi e anche i bar. C'erano i bar aperti nel periodo di Lascia o raddoppia, e noi andavamo lì la sera a vedere Lascia o raddoppia, al bar."
49) Quando vi siete trasferiti qui a Lucento, com'era il quartiere?
R.: "Qui era di nuovo la chiesa - Santa Caterina -, stavamo molto in parrocchia. Ci portavano in gita a Loano, su a Ulzio a sciare...C'era molta campagna, però noi ci si trovava lì alla parrocchia e seguivamo il percorso. C'era don Macario che era il parroco, poi c'era don Giuseppe e l'altro era il parroco che adesso è parroco alla chiesa di Lucento che fa angolo con corso Potenza. Adesso lui è anzianotto. Don Michele si chiamava."
50) Parliamo un attimo dell'accoglienza che avete ricevuto...
R.: "Le lotte che ho fatto io coi tortonesi, diciamo che erano dei litigi, ma solo tra ragazzi. No, siamo stati bene accolti da tutti. Ma dappertutto, anche qui a Torino. Poi i litigi da ragazzi ci sono dappertutto, anche qui a Madonna di Campagna, quante ne sono successe! Tra borgate...C'era rivalità di borgate, come di paese. Quando si andava a ballare in un altro paese, i giovani lì si seccavano che noi andavamo a ballare con le loro ragazze. Ma mica sapevano che eravamo profughi, no? Si arrabbiavano perché venivamo da un altro posto, tutto lì. Ma queste rivalità sempre si trovano. Noi ci siamo trovati sempre bene. Anzi, anche mia moglie si è sempre trovata benissimo."
51) Sua moglie l'ha conosciuta qua...
R.: "Si, l'ho conosciuta qua in via Parenzo, che lei è andata a lavorare da sarta da una sarta molto rinomata a Torino. Che quando è andata via, perché l'ho fatta stare a casa [le è dispiaciuto]. Perché io stavo bene - diciamo -, ho aperto una mia attività di meccanica e abbiamo incominciato a star bene. Con un percorso che son contento dove sono arrivato."
52) Invece i suoi fratelli, mi diceva, lavoravano alla Fiat...
R.: "C'era bisogno [alla Fiat], ma a occhi chiusi [ti assumevano]! Quando ho incominciato a fare domanda io - perché io ho poi fatto solo le professionali, cinque anni - ho smesso perché son poi rimasto solo io e la mamma, perché mio papà nel '60 l'ho perso, avevo vent'anni e sono andato a lavorare. Ho incominciato a mandare il mio curriculum alle aziende, e tutte mi han chiamato: Fiat, Enel, telefoni...E poi ho optato per la Stipel, ho fatto il mio corso, son passato e su novanta ragazzi ne hanno assunto venti. E poi dopo ho lavorato alla Stipel quattro o cinque anni, sono arrivato al massimo del percorso - avevo la mia squadra, il mio camioncino, andavo in giro in Val d'Aosta - e ho dato le dimissioni. Anche lì ero ben voluto, mi dicevano: cosa fai, dove vai a metterti, mi dicevano. E invece no, io e altri tre soci abbiamo aperto un'azienda."
53) Posso chiederle com'è stato il suo impatto con Torino?
R.: "Ah, guardi, è stato bello, una cosa bellissima. Io mi son trovato bene. Che poi ho fatto un percorso...Che solo poco tempo fa sono andato da Fassino che mi ha dato il titolo di cavalier del lavoro, e non è poco, eh!"
54) Le ho fatto questa domanda perché sa, lei arrivava da Patrasso, dal mare e si trova proiettato in una realtà completamente diversa...
R.: "Ma vede, sa, io avevo un'età che dei campi profughi io ho dimenticato tutto. Io ho fatto il mio percorso, da quando sono andato a lavorare, da quando ho aperto l'officina con i soci, io ho lavorato trentacinque anni insieme! In tre - che uno è deceduto in un incidente stradale - per trentacinque anni, litigando, lottando, crisi, non crisi...Abbiamo affrontato tutto!"
55) Tempo fa avevo raccolto le memorie di un profugo giuliano abitante come lei in corso Polonia. Mi aveva colpito una cosa, e cioè che da ragazzo, insieme ad altri, andava a raccogliere il ferro nelle discariche in riva al Po per procurarsi qualche soldo con cui andare al cinema. Lei ricorda qualcosa in proposito?
R.: "Ma, qualcuno l'ha fatto, perché non trovavano il lavoro. Io e mio fratello abbiam trovato subito lavoro lì. Io ho fatto il falegname, andavo in una falegnameria e mio fratello ha trovato in un'officina meccanica dove facevano le viti. Lui caricava queste macchinette che facevano il taglio di cacciavite. E chi non lavorava si adoperava a cercare qualcosa per guadagnare. E' chiaro, cercavano il ferro e l'alluminio, perché lì da quelle parti c'era una discarica, che forse era abusiva. Che anche la Fiat buttava lì, perché a volte trovavo i cuscinetti. I cuscinetti con le biglie, che noi andavamo in cerca delle biglie, per giocare e per costruirci anche il monopattino. Ecco, per dirne un'altra."
56) Lei torna più in Grecia?
R.: "In Grecia son tornato, sono andato due o tre anni. Sono andato a trovare la madrina, che mi ha portato in giro nei posti, su dove costruivano i vasi, dove lavoravano i miei fratelli."
57) Ha nostalgia della Grecia?
R.: "Mi piace come posto, però non tanto come anche il posto di mia moglie, a Pola, che son posti bellissimi. Io sono andato per vent'anni a Pola, mi trovavo a casa mia, perché era come Patrasso, uguale. Anzi, a Patrasso, per andare al mare andavi un po' fuori, perché c'è il porto, mentre a Pola hai la pineta in riva al mare, esci dall'acqua e ti metti sotto la pineta."
58) Voi greci qui a Santa Caterina siete una comunità numerosa. Non come quella dei giuliani, ma direi comunque numerosa. Le chiedo una cosa: i giuliano- dalmati in questo quartiere hanno lasciato segno della loro presenza anche dal punto di vista delle abitudini alimentari. Ancora oggi al mercato di Santa Caterina si vendono i crauti sotto sale e le pinze. Ecco, vorrei sapere se voi greci avete introdotto sul territorio le vostre abitudini alimentari...
R.: "Si, ma noi non è che avevamo delle specialità della cucina greca, dico. Poi si, con gli anni, trovavo le olive, ho trovato il formaggio greco, la feta. Noi ci siamo portati dietro i nostri piatti dalla Grecia, si faceva a casa. Noi si faceva molto il risone con l'agnello, piatto unico con la carne al forno. Poi c'erano molti antipasti fatti con le melanzane e le arance. Noi in casa si faceva tutto, ci siamo portati dietro la nostra cucina. A parte che poi mia mamma è anche pugliese, per cui avevo i piatti misti: le orecchiette non ne parliamo quante ne ho mangiate! Con lei che me le faceva!"
59) a Tortona - visto che prima non gliel'ho chiesto - come funzionava invece la distribuzione e la preparazione del cibo?
R.: "C'era una cucina sola, ci si metteva tutti in fila e ti davano quattro panini, quattro mele, nella pignatta il cibo. Tutto lì. Poi quando ci hanno dato le lire, ci si aggiustava e ognuno faceva la sua cucina. In campo a Tortona eravamo misti, dove trovavi ti mettevano. Noi per un periodo eravamo in un camerine con le coperte. Poi, a un certo punto, si è liberato un alloggio degli ufficiali di questa caserma, e non so come i miei son riusciti a prenderlo, e siamo stati bene. Avevamo la nostra porta che si chiudeva, la camera dei ragazzi, i genitori, la cucina era uno spaker e niente più. Ti sistemavi, non c'era problemi. Però di mettevi dov'era libero, poi se c'era posto cambiavi, però sempre con l'autorizzazione, perché c'era sempre una direzione del campo. Perché c'era un elenco...Poi c'era un piantone. E chi erano i piantoni? Uno per ogni comunità e che facevano questo erano gli anziani, non chi andava a lavorare. E ogni comunità aveva il suo piantone che faceva il giro e stava dentro. E questo perché? Perché conosci i tuoi paesani. Ecco, questo c'era. Però si poteva uscire e entrare quando volevi, non è che ti chiedevano il passaporto."
60) Come passavate il tempo libero in campo?
R.: "Si cercava di fare le feste del calendario di ogni comunità. Che io mi ricordo il periodo delle maschere da ragazzo, si andava a [chiedere] i dolcetti che passavamo famiglia per famiglia e ci davano i dolcetti. Ci si vestiva, ma alla buona, col vestito della mamma e della nonna, col cappello, e facevamo quelle feste lì. Poi c'era il campo di calcio e si giocava a calcio, così, rudimentale. Il cinema no, non era in campo, andavamo fuori. Poi il ballo non lo so, non mi ricordo, perché io non ero nel periodo del ballo!".