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Intervista ad Aldo S. del 05/10/2007

"Sono nato a Rovigno d'Istria nel 1926".

1) Mi parli della sua famiglia di origine

R.:"La mia famiglia...Gente molto povera: una famiglia numerosa e di conseguenza...Perché sotto il fascismo c'erano quelli che stavano bene, ma dal punto di vista mia stavamo male! Si, ad esempio, la mia famiglia lavorava solo il papà, eravamo cinque figli e può capire."

2) Suo padre che lavoro faceva?

R.:"Mio papà navigava. Adesso le racconto questa. Mio papà navigava nel Loyd Triestino ed era andato fino in Cina e tutto quanto. Poi per motivi di famiglia è rientrato ed ha preso lavoro come scaricatore di porto, e lavorava. Le angherie che ha subito... Perché, cosa succedeva? Questo sotto il fascismo eh, si ricordi. Lui lavorava come scaricatore di porto e c'era l'immigrazione, e allora si tentava di andare in America, di andare via, di trovare una sistemazione per la famiglia. E' successo che mio padre è immigrato negli Stati Uniti e lì lo han preso, perché arrivavano come... Insomma, sbarcavano non regolarmente, e l'han preso e l'han rimandato in Italia. A volte si dice perché si diventa poi antifascisti e contro la dittatura di destra. Tornando in Italia mio padre ha preso lavoro regolare come portuale. Ma a cercare... I periodi di lavoro, zero assoluto, neanche una marchetta. Dopo, dico, hanno buttato nelle foibe certa gente...Per castigo che è immigrato negli Stati Uniti, non gli han pagato nessun contributo né niente, zero assoluto. E lui e altri tanti come lui, scaricatori di porto, si son trovati a lavorare, che han lavorato una vita, sempre lavorare, a prendere una pensioncina della minima, perché nessun contributo [gli avevan versato]. E allora cosa è successo? Non gli han pagato i contributi, si son fatti le ville, i caporioni, si son fatti le ville e i terreni, e poi qui si piange perché qualcuno è andato in foiba. Ma se l'è meritata, in parole povere, questo".

3) Lei mi ha appena parlato del fascismo. Che cosa ricorda di quel periodo?

R.:"Beh, io ero ragazzo, però mi ricordo solo negatività del fascismo. Perché, intanto ti obbligavano o andare alle adunate e a tutte queste belle cose qua che per me è negativo. Insomma, nel fascismo era un'imposizione, in parole povere, di tutto."

4) E a Rovigno, città dalla radicata tradizione socialista, come era vissuta questa imposizione?

R.:"Si, ecco, Rovigno aveva una tradizione proprio socialista e di sinistra. Era poco fascista, e quel poco fascismo che c'era era perché la gente aveva bisogno di lavorare e pagava la tessera e andava a lavorare in Fabbrica Tabacchi, e gli altri niente, si arrangiavano."

5) Sempre relativamente al periodo fascista le chiedo questo. Mussolini, in Istria come in altri luoghi di confine - e penso al Trentino - intraprende una politica di italianizzazione che riguarda soprattutto l'elemento slavo con tutta una serie di provvedimenti che vanno dal cambio dei cognomi al divieto di esprimersi in sloveno e croato nei luoghi pubblici. Lei cosa ricorda in proposito?

R.:"Ecco, io ricordo per prima cosa che quando è venuto il fascismo ha imposto per prima cosa di non parlare la lingua slava. Proprio un'imposizione. Perché noi, praticamente, vivevamo assieme, si viveva assieme. I paesi della costa in maggioranza era di lingua italiana, in periferia erano tutti slavi. La cosa che ha fatto il fascismo è stata che ha imposto subito di non parlare la lingua croata. Ma l'ha imposto con la prepotenza, perché io conosco gente, miei compaesani, che al di fuori della costa, due chilometri dentro, parlavano la sua lingua, e con la prepotenza li hanno obbligati a parlare italiano, li hanno obbligati a cambiare i cognomi. E' stata una cosa non bella, praticamente."

6) Lei ricorda qualcuno di questi episodi di prepotenza?

R.:"Beh, proprio episodi io no, però sentiti dire si."

7) Ad esempio?

R.:"Ad esempio mi ricordo un fatto. Quando gli slavi, che erano contadini, che quando c'erano le vendemmie venivano giù in paese e portavamo l'uva da vendere. C'era - e questo me lo ricordo bene - un'osteria in periferia del paese, dove loro si radunavano. Si radunavano e parlavano tra loro. E mi ricordo quel fatto, che son venuti un paio di rovignesi, di quelli del partito, fascisti, sono andati giù e dentro han piantato casino: han picchiato e cose così. Questo è un particolare, e me lo ricordo bene, che io ero ragazzo. Naturalmente di questi picchiatori, poi qualcuno è andato a finire in foiba. Questi sono casi che mi ricordo."

8) Mi ha parlato degli slavi. Posso chiederle come erano i rapporti, sotto il fascismo ma anche prima, tra gli italiani e gli slavi?

R.:"Innanzitutto noi rovignesi, la gente di lingua italiana, snobbava lo slavo, proprio come dire...S'ciavon! Che poi la parola schiavone non è un'offesa, però noi si diceva in senso dispregiativo. E' stato sempre un odio. Ma non tanto un odio, come dire...Non c'era un contatto, niente, e pensare che se andiamo profondamente a vedere, la popolazione è abbastanza mista. Per esempio, mia nonna era di origine slava, i nonni invece erano friulani, venivano proprio dalla parte di Udine. Magari sotto l'Austria io non so, ma quando è venuta l'Italia, ci hanno inculcato pian piano la nostra supremazia di italiani rispetto agli slavi, e lo slavo veniva snobbato da parte nostra. E non era una cosa proprio bella questa."

9) Parlando sempre del passato, posso chiederle cosa ricorda della guerra?

R.:"Eh, la guerra io ho partecipato".

10) Questo lo so, me lo hanno detto. Posso chiederle innanzitutto come mai ha deciso di partecipare?

R.:"Si, si. Non quanto a ideologia, quanto o dovevi andare di qua, o dovevi andare di là. Quando l'Italia ha capitolato, Mussolini, cosa è successo? Che il litorale istriano, dato che per cinquecento anni è stato Impero Austroungarico, forse pochi lo sanno...Quando l'Italia ha capitolato, il territorio è stato annesso alla Germania ufficiale, e hanno cominciato a chiamare i ragazzi del '25, chiamarli militari sotto la Germania, che avevano l'emblema della capra [la capra è il simbolo dell'Istria] qui [sulla spalla], lo sa questo, vero?
E allora, praticamente, chi era andato, ma la maggioranza è scappata via e si è infilata nei partigiani. Io, come sono andato nei partigiani, avevo tre fratelli militari, in Marina; tutti e tre marinai. Uno dalla Sicilia è arrivato fino al paese e poi è andato partigiano subito, fin dal '43. Di conseguenza una notte sono arrivati i fascisti a casa nostra: ci hanno buttato giù dal letto, e cercavano sti fratelli. Uno è andato partigiano e gli altri tre erano in Italia, ancora nella Marina. E di conseguenza lì era una scelta: o ti nascondevi a casa in soffitta a non farti più vedere perché ti prendevano anche alla mia età, a diciotto anni, oppure dovevi andare via. E allora io sono andato partigiano. E quel periodo, che siamo andati via eravamo tanta di quella gente dall'Istria! Che ci prendevano, ci raccoglievano e poi ci smistavano."

11) E lei dove ha fatto la resistenza?

R.:"Io sono andato nel battaglione Budicin, nel famoso battaglione Pino Budicin."

12) E della figura di Budicin cosa mi dice?

R.:" Io Budicin non l'ho conosciuto. Ovvero sia, l'ho conosciuto vivo: quando l'ho conosciuto io, lui era una persona sempre di sinistra, è stato un comunista convinto. Le dicerie sono che praticamente gli stessi partigiani lo hanno ucciso, perché era un elemento che voleva l'italianità. Era un elemento che, in parole povere, dava fastidio, e quindi il nome è stato il suo. Poi noi siamo andati partigiani e siamo andati a finire in Vrospi Kotan, in Slovenia e così via."

13) E lì com'era la vita?

R.:"La faccenda era bruttissima: tanta sofferenza, tanta fame, tanta paura e tanta guerra."

15) Lei quindi ha sofferto la fame?

R.:"Fame? Una fame perenne, non c'era mai da mangiare! Guardi, si mangiava quando si trovava: patate e brodaglia. La mattina e anche alla sera, patate. Quattro patate. Io ho visto ragazzi che vanno a prendere le ossa dei cani e a maciullarle per fare da mangiare. Tipo campo di concentramento; proprio una fame tremenda!"

16) Lei, rovignese appartenente alla componente italiana, ha fatto il partigiano con gli slavi. In proposito si sono scritte tante pagine relativamente al rapporto tra partigiani italiani e slavi e al fatto che, fin da subito, questi ultimi non avessero fatto mistero delle loro volontà annessionistiche. Lei, quotidianamente, percepiva tutto ciò oppure no?

R.: "Noi non potevamo accorgerci, però c'era. Però c'era questa cosa qua. Perché nelle mie anche poche competenze, nella mia ignoranza, io ho capito. Anche, ad esempio, nel periodo che eravamo in Istria, prima di passare il confine e andare nel Vorspi Kotan, c'era un gruppo di partigiani, tra cui anche un rovignese, che son già partiti con quell'idea, di essere si partigiani, ma con una certa libertà e una certa indipendenza nostra. E quei partigiani sono stati perseguiti. Perché mi ricordo che davano la caccia a questo gruppo di partigiani, che son partiti dall'idea di non dipendere dalla Jugoslavia ma di avere una dipendenza loro di partigiani: siamo qua a casa nostra e lottiamo per conto nostro, non per voi. E questo qua posso fare anche dei nomi... Infatti gli davano la caccia, poi l'han preso, e però poi han sistemato la cosa, si è appianata, però c'erano dei contrasti."

17) E lei dove ha combattuto?

R.:"Io la guerra l'ho fatta prima in Istria, nei dintorni di Pola, a Pisino, nella parte interna. Eravamo la famosa Compagnia Rovignese, eravamo in tre però di Rovigno. E di là poi, dopo un certo periodo di combattimento, siamo andati oltre confine, oltre il Monte Maggiore. E di là siamo andati poi nel Vorspi Kotan e abbiamo formato questo famoso battaglione che era il Pino Budicin. Di là poi abbiamo combattuto in Slovenia e in Croazia, attorno ad Ogulin, che lì è stata la nostra battaglia, la nostra tortura. E dopo, tornando indietro, io sono rimasto ferito. Son rimasto ferito e poi sono andato a finire a Spalato. Son ritornato in luglio del '45, quando era finito tutto."

18) Posso chiederle come è stato ferito?

R.:"In combattimento, da un colpo di mortaio tedesco. Quando che è stata l'offensiva che si va giù verso l'Istria, tutta la divisione andava verso l'Istria. Allora c'era anche mio fratello, che era commissario di compagnia. Eravamo un gruppo di fratelli, sei sette di cui due son morti tutti e due. Quando han detto andiamo verso l'Istria, c'è stata la divisione e noi siamo andati verso Lokove. Lì han messo le compagnie una di qua e una di là. Io mi son trovato in mezzo al bosco, fitto fitto, da solo davanti alla compagnia. Ti mettevi sempre davanti alla compagnia, un cento duecento metri. E lì, nascosto sotto le rocce, in quel momento si è sentito uno sparo: traccianti a destra e a sinistra, un combattimento tremendo! Son rimasto là sotto, la compagnia più indietro, e la mattina siamo scesi giù di nuovo e siamo andati in un'altra quota. Io ero seduto con un mio compaesano che aspettavamo l'ordine di fare il contatto con un'altra compagnia, mentre tre o quattro più avanti, in posizione, sparavano. In quel momento ho sentito un fischio e pum! Mi ha preso vicino alla gamba, poi il piede, poi mi sanguinava la testa. Mi sanguinava la testa! Mi han fasciato la testa e via. Ci han portato con i carri fino a Segna, che era già liberata, dopo Fiume. E di là ci hanno imbarcato sui piroscafi e io sono andato a Spalato. Son tornato a casa nel '45".

19) Posso chiederle come erano i vostri rapporti di partigiani con la popolazione civile?

R.:"Non eravamo isolati, anzi, la popolazione mi ricordo che anche su nel Vorspi Kotan ci accettava volentieri. A dire la verità, sono sempre stati solidali con noi, non mi sono mai accorto che ci accettavano male perché eravamo italiani. No, no, tutt'altro. Ci vedevano come un'unica cosa. Poi io, magari, ho visto dei disguidi interni, ma erano delle cose che non saprei neanche spiegarle."

20) Come comunicavate?

" In italiano, perché il battaglione Budicin era solo tre compagnie. Poi siamo rimasti praticamente quasi una e mezza. No, noi tra di noi comunicavamo sempre in italiano."

21) No, ma io intendevo con i partigiani slavi. Vi capivate?

R.:"Eh, no! Io mi ricordo che quando c'era fame e magari ti umiliavi ad andare da qualche famiglia a domandare qualche patata, era gente povera anche loro, e allora qualche parola veniva fuori. A domandarle una patata si sapeva!"

22) Mi ha detto di essere tornato a casa nel '45. Cosa ha trovato al suo ritorno a Rovigno, come ricorda la città?

R.:"Sono tornato a casa nel '45, e non si parlava ancora dell'esodo, non si parlava dell'esodo. I primi che sono andati via erano i fascisti, quelli che son riusciti a scappare."

23) Dell'esodo non si parlava ancora, anche perché - e questo penso sia un motivo - il grande flusso comincia dopo. Però, di un'altra vicenda che ha segnato le terre istriane, e mi riferisco alle foibe, si parlava già, se sapeva qualcosa?

R.:"Poco, poco. Delle foibe non si sapeva niente, si è saputo dopo. Magari qualcuno poteva anche saperlo, ma io no di sicuro, perché quando son tornato chi ci pensava? Poi è successo tutto. Perché cosa ha spinto all'esodo? Quando c'è stata la famosa risoluzione del Cominform, perché molta gente credeva ancora... Ad esempio nel paese di Rovigno eran molti di sinistra, si credeva. Però, cosa è successo per conto mio? Gli jugoslavi avevano tutto l'interesse di farci andare via."

24) E secondo lei perché?

R.:"Perché meno gente italiana resta lì, domani nessuno può reclamare qualcosa: l'importante era far correre via la gente. E l'han fatta correre. Con le angherie. Per esempio io. Io ero partigiano, io potevo stare giù, avevo un bel lavoro, e invece non gli andava bene neanche quello."

25) Lei che lavoro faceva?

R.:"Io facevo il muratore, ma siccome son stato ferito...Allora, già nel '43 molta gente sono andati via, quelli che erano più fascisti. Lavoro non se ne trovava. E allora dato che son stato partigiano ferito mi han chiesto se volevo andare a lavorare alle Assicurazioni Sociali, che sarebbe stato - per farle capire - Mutua e INPS, conglobati. E c'era da fare l'usciere, ecco. E allora sono andato là e son rimasto fino a che non son venuto via."

26) E perché, mi diceva, non gli andava bene?

R.:"Non gli andava bene perché quando c'è stata la famosa risoluzione del Cominform, lì si è cominciato le angherie, la prepotenza. Perché quando lei vede che cominciano a buttare in acqua qua e là, cominciano a picchiare quell'altro, è brutto. Perché loro dicevano: o sei con noi, o sei contro di noi. E allora lì è diventata una confusione, perché quando vedi che picchiano quello, bastonano quell'altro, la gente cosa fa? Prende paura e va via, scappa. Ad esempio io... Mio fratello era cominformista, perché lui credeva nel comunismo e poi ha sbagliato. Ad esempio, si dipendeva dall'Unione Sovietica, ed era un assurdo, perché noi dell'Unione Sovietica non conoscevamo un tubo, però l'idea era quella. E allora, praticamente Tito diceva: o sei con noi o sei contro di noi. Non puoi stare estraneo. E di lì è cominciato le angherie tremende, da matti."

27) Hanno iniziato a fare delle pressioni?

R.:"Hanno perseguitato. Le dico un esempio. Uno che era con me partigiano che forse lo avrà sentito nominare, il famoso Spartaco che poi è morto in prigione ... Ad esempio io una sera vado al ballo, arriva lui e un altro, il famoso Cio, e [mi dicono] te sei un traditore. Ma, disgraziati! Eravamo insieme! Traditore! Mi cominciano a malmenare e mi buttano fuori; mi buttano letteralmente fuori dal ballo. Poi un'altra volta mi mandano a chiamare in ufficio e con la pistola messa sul tavolo mi dicono: te non vai via, te devi restare qua. E cosa posso dire? Te mi imponi quello che vuoi te, e allora no, mi dispiace. In questo caso vado via. A malincuore, perché io non volevo andare via dal mio paese, ma vado via. Perché avevo un bel lavoro, stavo bene, però loro avevano tutta l'intenzione di imporre alla minoranza italiana, che poi nell'Istria erano la maggioranza, anche se qualcuno dice che la maggioranza era slava ... Loro volevano che noi facciamo le valigie e che ce ne andiamo fuori, e infatti siamo andati fuori."

28) Lei mi ha parlato della rottura del '48. Posso chiederle se a Rovigno, tra gli italiani, erano molti i cosiddetti cominformisti?

R.:"Cominformisti erano quelli che erano di sinistra. Forse sarebbero stati disposti a restare, ma siccome come dicevo precedentemente loro hanno fatto delle angherie... Perché quando è successa la famosa storia del Cominform, che loro han detto o sei con noi o sei contro, non puoi stare neutrale. E infatti quelli che son rimasti neutrali, e son rimasti giù, han dovuto calare le braghe e adagiarsi, ma quattro gatti! E infatti l'esodo è stato un esodo, come dire resta, perché da una parte voglio farti restare, e dall'altra ti do un calcio che te ne vai. Ecco, questa era la politica diTito".

29) Parliamo ora dell'esodo. Lei quando è partito?

R.:"Io son partito nel '50. Non la prima [ondata], il primo esodo è stato nel '48".

30) E a proposito della prima ondata, lei cosa ricorda?

R.:"Si, mi ricordo. Mi ricordo la gente che preparava i cassoni, si andava via. Mi ricordo che oramai era già una massa. I primi, per esempio... Perché, come dicevano, i primi che sono andati via erano quelli che magari erano più per i fascisti. Ma neanche: han messo la paura. Han messo la paura nella gente, e per quello è stato un esodo. Perché, guardi, quando sentivo parlare dai vecchi, noi siamo stati cinquecento anni sotto l'Impero Austroungarico, e nessuno si è mai preso la briga di andarsene di là, [di andarsene] di casa. E invece con l'avvento della Jugoslavia han fatto tutto il possibile per farci scappare. Non poteva restare la massa, ecco. La massa italiana non poteva restare giù."

31) Rovigno dunque si svuotava...

R.:"Si, si, si svuotava piano, piano. Perché io mi ricordo che conoscevo delle ragazze, si andava assieme e il giorno addietro non le vedevo più, andavo ad accompagnarle in stazione che partivano. E' stato proprio un esodo, come dire, non biblico, ma spontaneo. Il primo del '48 sono andati via per esempio chi aveva già il lavoro in Fabbrica Tabacchi e allora avevano già un appoggio, o chi aveva anche paura. Nel '51 poi sono andati via tutto il resto."

32) Posso chiederle come mai lei ha aspettato fino al '51?

R.:"Nel '51 sono andato via perché abbiamo cominciato ad avere...Disemo che ci si son messi contro, perché mio fratello era cominformista. Siamo andati via per quello. E poi un altro mio fratello è andato a finire a Goli Otok. E'andato a finire a Goli Otok la prima volta, la seconda volta in due sono scappati con la barca a remi da Rovigno e noi eravamo già in Italia. Son scappati a remi, si regolavano con le stelle, poi avevano messo una corda lunga in terra, perché mentre voghi se vedi la corda che si gira e vedi dove la corrente ti porta. E han puntato, finchè son stati raccolti dalle barche di Chioggia, che li hanno imbarcati e li hanno portati a Venezia. Io, nel frattempo ero in contatto qui [a Torino] in Questura con l'Ufficio stranieri, perché era rimasto giù mio fratello e mia mamma."

33) Ecco, ma lei con chi è partito?

R.:"Son partito io, mio papà, i miei fratelli più giovani. L'altro fratello invece è rimasto col bambino perché non volevano farlo andare via. Quello che era già del battaglione. E nel frattempo poi son venuti via in un secondo tempo."

34) Cosa significa non volevano farlo partire?

R.:"Non volevano, ti ostacolavano il più possibile. Ad esempio, il bambino è nato lì, non puoi partire... Insomma, angherie il più possibile per farti passare la voglia. Ma poi son partiti anche loro. Mentre è rimasto poi l'altro mio fratello che era a Goli Otok e noi, tutta la famiglia, siamo andati via."

35) Come mai suo fratello è finito a Goli Otok?

R.:"Non è andato in quanto cominformista, no. Lui è arrivato a Rovigno quasi nel '50, perché era in Marina ed è rimasto in Marina, sia lui che l'altro fratello più vecchio. Son tornati poi dopo finita la guerra, regolarmente. E allora lui, lavorando, si è espresso che qui si doveva fare un plebiscito, per la gente italiana, mettere la firma voglio questo o voglio quell'altro, un plebiscito. E l'hanno beccato per questo e l'hanno mandato a Goli Otok. A Goli Otok è andato a finire due volte: si è fatto un anno e poi, stia a sentire questa! E' uscito, noi eravamo già in Italia e lui viveva un po' dai parenti, di origine slava; un connubio tra italiani e slavi che si ritrova, perché praticamente tutti avevano un aggancio col popolo slavo. Come mia nonna che era di origine slava e invece i genitori di mia mamma erano friulani. E lì da questi parenti andava ogni tanto, e così via. Poi è scappato con la barca, è arrivato in Italia e si è presentato in questura. La questura qua ci chiama: guardi che suo fratello è arrivato in Italia, lo accettate? Come no, per l'amor del cielo! Avevamo già preso anche la casa popolare... E invece poi, dopo un paio di giorni, ci chiama la questura e ci dice: guardi che suo fratello l'hanno di nuovo portato in Jugoslavia. E' stato il periodo che tra Italia e Jugoslavia han trovato gli accordi politici ed economici. E, di conseguenza, lo han riportato indietro di nuovo. Indietro di nuovo ed è andato la seconda volta a Goli Otok. E la seconda volta è riuscito a scappare di nuovo oltre il confine, è venuto in Italia, qui a Torino; ce l'ha fatta, si è sposato e poi è morto."

36) Se le chiedessi quali sono stati i motivi che l'hanno spinta a partire lei cosa mi risponderebbe?

R.:"Beh, gliel'ho già detto. Perché ci son state delle angherie. Magari per motivi politici, perché mio fratello era cominformista ed era già nemico loro, e di conseguenza pagavamo anche noi con le angherie le conseguenze come famiglia. E allora noi siamo stati obbligati ad andare via."

37) Le domando ancora una cosa. Lei ha fatto il partigiano, ha combattuto per la libertà, fianco a fianco con italiani e slavi. Posso chiederle se prima di subire i torti e le angherie che ha subito, credeva nel progetto di una repubblica federativa e socialista come la Jugoslavia?

R.:"No, no, ero a digiuno. A diciotto anni ero appena venuto fuori!"

38) Le ho fatto questa domanda perché lei è partito dopo, nel 1951, e magari è rimasto anche per motivi politici, perché forse credeva che poteva esserci un futuro anche nella Jugoslavia di Tito...

R.:"No, no. Non avevo idee politiche, per prima cosa mi sono disinteressato di tutto. Io praticamente mi sono disinteressato, come anche qui. Non ho mai pagato nessuna tessera, nessuna cosa, perché mi sono sentito tormentare da uno, da un altro, da un terzo, e io ho detto che non mi interessava."

39) Mentre, secondo lei, chi è rimasto perché ha fatto questa scelta?

R.:"Allora, quelli che son rimasti lì... Molta gente ha fatto la scelta di restare perché c'era gente che aveva la campagna, faceva il contadino, il pescatore, non sapevano l'avvenire cosa gli poteva riservare venendo via. Ma una minoranza ha potuto starci, tutto il resto sono andati via per angherie e per motivi politici."

40) Lei è andato via nel 1950, per cui ha vissuto qualche anno sotto la Jugoslavia e ha potuto vedere i cambiamenti rispetto al passato, quando l'Istria era territorio italiano. Posso chiederle quali sono i maggiori cambiamenti nella vita quotidiana che ha notato nel passaggio dall'Italia alla Jugoslavia?

R.:"E' cambiato un po' tutto: è cambiata la lingua, però non saprei neanche dire cosa è cambiato... Per noi si faceva sempre la medesima vita: noi rovignesi, gli salvi facevano anche loro la sua vita, non lo so. Quello che è cambiato è quando è stato il cambiamento politico, lì è stato un capovolgimento, quando c'è stata la questione del Cominform; lì han fatto paura e si è dovuto scappare via. E basta".

41) Lei mi ha detto di essere partito nel 1950. Mi racconta il suo viaggio?

R.:"Siamo partiti in treno. Sono venuti a casa la milizia, han detto: questo butta via, questo butta, questo butta via. Io avevo un casino di libri, romanzi, avevo i libri che non si potevano leggere, Jack London e quei libri lì, che sotto il fascismo non si potevano leggere. Io avevo ancora quei libri là, li avevo nascosti, e poi anche diversi romanzi. Son venuti a casa e han detto: questi libri buttarli via, e han preso i loro. Puoi mettere questo, puoi mettere quello e siamo andati via con una valigia e con un cassone di roba. Siamo partiti e siamo andati a Trieste. A Trieste abbiamo subito gli interrogatori della polizia inglese, americana e triestina, perché cercavano tutti i collaborazionisti di Tito, ci chiedevano di quelli che son rimasti, di quelli che picchiavano, della gente che ci ha aiutato ad andare via, nostri compaesani naturalmente. Un interrogatorio così. Poi siamo andati a Udine e da Udine siamo andati ad Altamura. Udine era lo smistamento."

42) Scusi se la interrompo. Udine era lo smistamento, per cui da lì uno era mandato in un posto piuttosto che in un altro. Posso chiederle in base a che logica avveniva il trasferimento?

R.:"A Udine era smistamento e ti mandavano da una parte rispetto che dall'altra in base ai posti che avevano. Udine era un campo, si stava pochi giorni e poi via, domani c'è il treno e andate."

43) Mentre a Trieste voi siete stati in Silos?

R.:"Siamo arrivati al Silos. Al Silos siamo rimasti una notte sola, che io ho dormito per terra perché non c'era posto. Poi siamo andati da una famiglia di Trieste che conoscevamo, ci ha tenuto una notte e poi siamo andati a finire a Udine. E da Udine siamo andati ad Altamura. E per andare ad Altamura... Io, partigiano, siamo scesi dal treno dove c'era lo smistamento, a Bologna. Siamo scesi dal treno e dovevamo prenderne un altro, e c'era i ferrovieri che ci maltrattavano: fascisti! Ma come, io partigiano che son preso da fascista?! E allora ho dovuto litigare con uno che non credeva che ero partigiano: no, tu eri fascista, scusa, se eri partigiano cosa fai qui, dovresti essere dalla parte di là. Solo per dirne una, ecco. E da Bologna siamo andati a finire ad Altamura. Da Altamura poi siamo andati a finire a Tortona, e da Tortona a Torino. E Torino, bisognava trovare casa, non c'era la casa, non c'era ancora la sistemazione e allora siamo andati a finire in Po, alle baracche che c'era a Italia 61."

44) Mi parli del campo di Altamura...

R.:"Altamura... Perché gli altri campi, ad esempio ho visto a Tortona, c'era la polizia interna, Altamua niente. Erano sei chilometri da Altamura e sei chilometri da Gravine di Bari, e noi eravamo in mezzo. Era un ex campo di concentramento, tutto recintato attorno con filo spinato, e poi c'era la palazzina della direzione. E non c'era né polizia né niente. La polizia la facevamo noi, a turno, ci mettevamo noi nella guardiola, un gruppo, e la facevamo noi. E poi abbiamo avuto comunicazione con la popolazione, si, poi ci hanno conosciuti, perché [all'inizio] non ci consideravano: ma chi sono sta gente? Poi son venuti su le autorità di Altamura, l'orchestra e ci siamo poi amalgamati assieme."

45) E lì vivevate con il sussidio oppure c'era anche qualcuno che lavorava?

R.:"C'era un sussidio, non ricordo quanto, ma era quello che bastava per prendere un po' di roba e cucinare, e basta."

46) E i rapporti con la popolazione com'erano?

R.:"I rapporti con la popolazione poi son stati ottimi. I primi giorni no, non ci conoscevano, ci giravano attorno. Lei pensi la mentalità che abbiamo noi del Nord, da dove venivamo, con la mentalità loro. Un fatto, una stupidata... Le nostre ragazze, erano libere, come erano abituate da noi, libere. Sono andate in paese da sole, sbracciate. Mia moglie, che allora non era mia moglie, era in gonna e [aveva] un top, una camicetta e basta; e tra puttana e tra questo e quell'altro ha dovuto scappare via. Capisce il concetto che avevan loro rispetto a noi? Ci vedevano male, ecco, finchè non ci conoscevano. Tanto che un giorno abbiam dovuto intervenire perché ste ragazze sole sono andate al cinema, e lì le donne al cinema non andavano, capisce? E le molestavano, abbiamo dovuto intervenire noi. Pensi solo il concetto che era della mentalità, tra loro e noi. C'era una grossa masseria vicino al campo, di una contessa, ricca e così via. E han preso un paio di ragazze nostre a raccogliere le noci. Le nostre ragazze le han prese a mangiare a tavola insieme con loro, e le ragazze del posto invece mangiavano nella stalle. E le nostre dicevano: perché questo trattamento? Perché quelle lì vogliono vivere così, non vogliono evolversi, e allora devono essere trattate così. Ecco, vede la mentalità che abbiamo trovato giù nel meridione? Poi dopo si comincia a conoscersi e tutto è andato bene."

47) E come avete fatto a conoscervi, a socializzare. Quali sono stati gli strumenti che ve lo hanno permesso?

R.:"Si incomincia a conoscere la persona: noi si andava giù, loro venivano su al campo, poi son venuti su al campo e hanno aperto un chiosco di vendite, insomma, ci siamo amalgamati."

48) E da Altamura è andato a Tortona. Posso chiederle come mai?

R.:"Abbiam chiesto il trasferimento. Ho fatto quasi tutto l'inverno ad Altamura e poi siamo andati a Tortona."

49) E a Tortona che scenario ha trovato?

R.:"Migliore. Migliore nel senso che già era una cittadina, una bella città, noi non eravamo isolati come eravamo ad Altamura. Si è trovato anche lavoro saltuario. A Tortona lavoro saltuario si trovava: c'era la Montubi che metteva il gasdotto che passava fuori Tortona e noi si andava a lavorare. Ci hanno anche pagato le marchette."

50) Parliamo ora dell'accoglienza. Come siete stati accolti dalla gente al vostro arrivo in Italia? Siete mai stati al centro di episodi di discriminazione?

R.:"Ancora oggi. Ancora oggi c'è la mentalità in qualcuno. Io vedo qua nel chiosco dei giornali, e li sento borbottare contro la gente nostra che c'è nelle case popolari: quei profughi, fascisti. Sempre fascisti. Siamo sempre stati figli di nessuno."

51) L'essere considerati fascisti, ovviamente a torto, è rimasto un marchio?

R.:"E' rimasto un marchio, si. E' rimasto un marchio, perché noi per loro eravamo solo fascisti e nient'altro. E non è mica vero, eh! In assoluto."

52) Ma secondo lei perché accadeva questo?

R.:"La convinzione, era una convinzione. Perché si deve partire dal principio: ma come, il comunismo era la libertà, quello che ha buttato giù il fascismo. E allora sta massa di gente che son venuti via, son tutti fascisti. Era quella la mentalità che avevano."

53) Secondo lei alla base dei pregiudizi c'era solo quello politico, oppure anche quello dovuto al fatto che magari, calandosi nella difficile situazione dell'Italia di allora, dove era forte la disoccupazione interna, voi eravate visti come coloro che rubavano i pochi posti di lavoro disponibili?

R.:"No, non ho mai avuto questa sensazione. Anche parlando con la gente, no. Il marchio era quello ed è rimasto quello. Ancora adesso."

54) Può descrivermi com'era la vita nei campi?

R.:"La vita nei campi era dura. Era dura perché non avevi lavoro, vivevi in ambienti bruttissimi, perché vivevi proprio gomito a gomito con gente che non conosci. Non son cose serene, sono disagevoli. Poi, ad esempio io, qualcuno è venuto a sapere che io ero partigiano, e ho avuto delle minacce dagli stessi altri profughi. Giusto per dirne una. La vita dei campi non era bella, ecco. Era una vita di preoccupazioni: come andrà a finire, cosa farò, dove andrò. Però piano piano ci siam messi a posto, perché la mentalità di chiedere in giro non l'abbiamo mai avuta; abbiamo sempre avuto la mentalità di arrangiarci, darci da fare e rimboccarci le maniche."

55) Ad Altamura non so, ma sicuramente a Tortona si, voi eravate insieme ad altri profughi, come i libici e i greci. Com'era il rapporto tra di voi?

R.:"Buoni. Io penso di si, buoni. C'era libici, c'era rumeni. Perché in Romania c'erano tanti italiani, molti che son nati e cresciuti là. Poi son venuti in Italia perché, finita la guerra, li hanno obbligati. Perché, ad esempio, quelli che erano in Romania erano in Romania ma erano sempre cittadini italiani, anche nati là."

56) La vita in campo, e sono parole sue, era una vita di preoccupazioni. Ma ricevevate qualche forma di assistenza?

R.:"No. Noi quando siamo arrivati nei campi avevamo il sussidio, ci davano non so quante lire al giorno per famiglia, ma quando siamo andati fuori per conto nostro neanche il sussidio; abbiam dovuto rimboccarci le maniche e trovar lavoro."

57) Parliamo ora di Torino. Lei quando arriva?

R.:"Nel '52. E vado ad Italia 61. Era nel '52, '53. Alle Casermette non c'era posto e allora dove andare? A Italia 61".

58) Posso chiederle come mai ha deciso di andare via da Tortona?

R.:"E perché cosa si faceva là? Non si lavorava, chi aveva fortuna trovava un lavoro saltuario in una fabbrica tabacchi. Non era una fabbrica tabacchi; era un centro del sale e si andava a scaricare il sale. Era questi lavori saltuari, ma lavoro no. Bisognava mettersi in testa di trovare un lavoro, e allora dico: andiamo a Torino."

59) E perché Torino?

R.:"Perché era una grossa città, c'era la fabbrica, c'era questo, quell'altro. Da Tortona siamo partiti prima io e mia madre e siamo andati a Venaria Reale, che c'era il campo, le Casermette di Altessano. E lì non c'era posto, niente. E cosa facciamo? Siamo andati al Po. Al Po [c'] era due case, ex balilla, sia da una parte che dall'altra e abbiamo trovato una stanza, ammassati. Poi è venuto mio fratello, quello che era rimasto a Rovigno, e cosa abbiamo fatto? Io ero muratore, e abbiamo costruito un'altra baracca, sempre lì. E lì siamo rimasti finchè non abbiamo trovato lavoro. Alla Fiat, di qua e di là."

60) Sul Po, da chi erano popolate queste baracche?

R.:"C'era più istriani. Meridionali no, c'era istriani, profughi dalla Romania e qualche meridionale."

61) E lì non c'era nessun tipo di assistenza...

R.:"No, lì no. Oramai tutti incominciavano a lavorare. Siccome lì era a due piani, noi avevamo trovato al piano terreno una stanzetta, che c'era il cucinino e una stanzetta, e lì stavamo in sei o sette. Poi è arrivato mio fratello e allora io che ero muratore cosa ho fatto? Gli ho costruito un'altra baracca vicino."

62) Mi diceva che poi arrivato a Torino è riuscito a trovare lavoro. Posso chiederle dove e, soprattutto, come?

R.:"Ecco, come ho trovato lavoro...Qui dal prete, da [don] Macario, era un ufficio di collocamento, perché tutti trovavano lavoro sempre in base a questo prete. Lui aveva un ufficio di collocamento diretto. Invece io come ho trovato lavoro? Prima un compaesano mi ha detto: ehi, vieni a lavorare a Mirafiori, a fare il catramista sui tetti? Si, si! Sono andato e ho lavorato un paio di mesi. E dopo, quando ho finito quei lavori, ho detto: adesso vado all'Ufficio di collocamento a iscrivermi. E sono andato all'Ufficio di collocamento e mi dicono: vuoi andare a lavorare alla Fiat? L'Ufficio di collocamento - noti bene - mentre qui tutti andavano a lavorare alla Fiat tramite il prete."

63) E secondo lei per quale motivo?

R.:"Perché andavano a lavorare? Primo perché tra i profughi nessuno è di sinistra, non scioperavano. L'importante era che non siano comunisti e i profughi dal punto di vista di qua erano tutti di destra, perché se son scappati dal comunismo, di conseguenza sono tutti di destra. E non era vero!"

64) Questo prete aveva dunque degli agganci con le aziende...

R.:"Ah, logico, sicuramente, anche se io ho mai avuto niente a cosa che fare. Perché una volta io sono venuto qui: mi son detto andiamo per il lavoro e per la casa, specialmente per la casa. Sono andato che c'era un ufficio dove c'è adesso quello dei profughi; però non erano loro, erano sempre i preti. Gli ho spiegato la situazione e loro mi han detto: sa, bisognerebbe dar qualcosa. E a quei tempi, sa... Io gli ho detto: guardi le do questa cifra. Mi hanno detto: è poco. Come han detto è poco mi son venuti i fumenti, mi sono incavolato, li ho mandati a quel paese e me ne sono andato via. Poi ho avuto la fortuna che quando sono andato all'Ufficio di collocamento per iscrivermi che c'era la campagna dei forni ghisa. Si lavorava in Ferriera sei mesi all'anno e dopo ti licenziavano. Invece nel frattempo che siamo andati noi, per fortuna, nelle acciaierie facevano quattro squadre e dai sei mesi siamo passati fissi alle Ferriere di via Livorno, Acciaieria 1."

65) E che ambiente ha trovato lì in fabbrica?

R.:"L'ambiente di lavoro era brutto, era l'acciaieria di prima fusione, un lavoro bruttissimo, pesante! Io ho avuto la fortuna di fare il gruista, ero in alto, quindi..."

66) Relativamente ai rapporti con i suoi compagni di lavoro, il suo essere istriano, il suo appartenere a un clichè, le ha creato dei problemi?

R.:"No, no. Mai sentito, oramai era una cosa nascosta. No, no, nessun problema. Il problema era che c'era la caccia a che sindacato iscriversi, quello si. E io ho detto: non mi iscrivo da nessuna parte perché io ho già visto tante cose che non ne voglio sapere di nessuno, e quindi non mi sono mai iscritto."

67) Parliamo un po' della città. Qual è stato il suo impatto e come l'ha accolta Torino?

R.:"No, bene. Sinceramente bene, e mi piaceva Torino anche perché non era la città di adesso. Si poteva andare la sera fuori, era pulita. I primi tempi ero spaesato: io venivo da un paese di undicimila abitanti, e trovarti in una città così grande... Poi, pian piano, assimili tutto."

68) Posso chiederle come passava il suo tempo libero?

R.:"Tempo libero... Più che altro fare delle buone passeggiate, andare a vedere le mostre di pittura perché a me piace dipingere. Poi andavo a ballare, ma dopo che mi son sposato, andavo con mia moglie e con un gruppo di amici."

69) Da Italia '61, quando è arrivato qui a Santa Caterina?

R.:"Io abito oggi in una casa privata, non in questa case. La volevo anche io, ma ho battuto sempre contro un muro. E allora, lavoravo io, lavorava la moglie - poi la moglie non ha più lavorato - io avevo un buon stipendio in Fiat e poi, sinceramente, essendo stato ferito ho anche l'indennità di guerra. E allora, una cosa e l'altra, mia moglie ha detto: io non voglio comprare l'alloggio rateale, perché ho paura delle rate e allora abbiamo racimolato un risparmio, dei soldini, e l'abbiamo comperata in contanti, in corso Toscana all'angolo con via Sansovino."

70) Ma senta, non ho capito quanto tempo è rimasto nelle baracche a Italia 61.

R.:"Poco, poco, due mesi. Poi, nel frattempo hanno costruito le case, che non ero ancora sposato. Mia mamma aveva preso l'alloggio qua, in queste case. Poi mi sono sposato e il dramma di quando mi sono sposato è stato trovare l'alloggio; abbiam tentato con l'alloggio popolare, ma è stato impossibile."

71) Sua moglie dove l'ha conosciuta?

R.:"Mia moglie è un mia compaesana; siamo due fratelli e due sorelle. Lei è venuta qui e lavorava alla Cuscini a molle, dove facevano i cuscini per le automobili, per i sedili. Lavorava in un'impresa che era qui a Madonna di Campagna. E dopo che ci siamo sposati lei veniva a casa con le mani insanguinate, e le ho detto: sta a sentire, io c'ho un buon stipendio, lascia stare, stai a casa."

72) Parliamo ora di questo quartiere. Si ricorda com'era appena lei è arrivato?

R.:"Diverso da adesso. Io mi ricordo, i primi tempi, che non c'era ancora via Sansovino, c'era solo una piccola stradina. Mi ricordo che corso Toscana non era così e che qua intorno era tutto campi."

73) Le faccio ancora qualche domanda. La prima, forse un po' delicata, riguarda il rapporto che lei ha con chi è rimasto in Istria. Cosa pensa della loro scelta e che rapporti ha con loro?

R.:"I rapporti erano abbastanza buoni. Perché io andavo giù ogni anno in ferie; io ho trovato amici tra quelli che sono rimasti. Tranne che con quelle cinque dieci persone che han contribuito a farci scappare via. Italiani, eh. Perché loro si son serviti di un paio di persone che menavano, che ci han fatto andare via. Perché noi siamo andati via, ma non ci han spinto brutalmente gli slavi, però ci han spinto quei quattro che son rimasti giù. Che poi son stati snobbati da tutti, tanto è vero che Spartaco è andato a finire in galera, e così via. Con quelle quattro persone, ancora quando andavamo giù, che si umiliano a chiedere scusa, come dire, io sono tranquillo, lascia perdere, ma mia moglie gliele ha cantate a tutta birra a questa gente qua, perché loro si son fatti servire da questa gente per farci allontanare. Perché se c'era gente che picchiava o che buttava in acqua, eran proprio i rovignesi stessi. Italiani!"

74) Comunque con chi è rimasto i rapporti ci sono...

R.:"Si, si, i rapporti ci sono. Per esempio, io ho una nipote che è nata in Italia, ma poi si è sposata giù ed è rimasta giù. I rapporti son buoni, non c'è astio. Ma io, perché un po' c'è. Ad esempio mia moglie con certa gente c'ha astio. Poi subentra anche dell'astio non tanto con la gente. Perché lei è avvelenata quando va giù in paese, che si sente, come dire, come una turista. Si ricordi che quando noi andiamo giù, le autorità non ci accolgono bene; accolgono bene i tedeschi, accolgono bene tutti, ma noi no. E perché? Io mi son fatto un'idea: perché noi abbiamo sempre delle rivendicazioni su loro, perché tutti quanti abbiam lasciato la casa, abbiam lasciato dei beni. Per esempio mia moglie aveva due alloggi: uno requisito e uno glielo han pagato, per modo di dire. C'è un certo astio verso noi. Andando giù in ferie, è più rispettato il tedesco, è più rispettato un altro, ma noi istriani che andiamo...Insomma, ti accolgono bene come turista, ma non tanto bene".

75) Lei torna spesso a Rovigno?

R.:"Io sono andato giù... Insomma, praticamente sono quindici anni che non vado. Non vado perché il viaggio è troppo lontano, è troppo lungo."

76) Posso chiederle se ha nostalgia?

R.:"No, si passa all'oblio. Avrei piacere di andare ancora una volta, ecco."

77) L'ultima cosa che le chiedo, perché ho dimenticato di farlo prima, è questa. Quando lei nel 1950 partiva da Rovigno, qual era il suo stato d'animo?

R.:"Il magone. Si stava male. Tanto è vero che quando partivano quelli del '47 e del '48, alla mattina ti alzavi presto per andare a salutare la gente che andava via. E da Rovigno - adesso è poco- ma andare alla stazione era lontano, e ti alzavi la mattina per andare a salutare la gente che partiva. E lì ti restava il magone proprio. E anche noi che siamo partiti... E dopo una decina d'anni che siamo tornati, la prima volta, e abbiamo visto sto campanile mentre girava il treno, può capire...E' stato proprio un impatto tremendo, ecco."