1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata?
R.:"Io son nata l'8 del 10 del '27 a Fiume".
2) Mi parla della sua famiglia di origine? Quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...
R.:"Eravamo mamma, papà, io e mio fratello che abita qui a Novara e che ha cinque anni meno di me. Mio papà lavorava alla raffineria, alla R.O.M.S.A. e mia mamma lavorava in Silurificio nelle frese, ma non so quanto tempo abbia lavorato, ma lavorava anche lì. Io vivevo coi nonni in centro storico, e son cresciuta in centro storico di Fiume."
3) Lei riesce a descrivermi Fiume?
R.:"Ma, Fiume...Fiume è una città di mare, è un porto. Era un porto...Col Silurificio, sette fabbriche, cantieri, Silurificio, Compensato, Raffineria...Si viveva bene, chi aveva voglia di lavorare tirava su le maniche e lavorava, come in tutto il mondo e tutte le città. Chi aveva voglia di lavorare lavorava, chi no."
4) Era quindi una città che possiamo definire industriale?
R.:"Industriale. Perché guardi, il silurificio, cantiere, compensato, la fabbrica di pastificio, c'è n'erano sei sicure [di fabbriche], adesso non mi ricordo più. Il silurificio è quello che ha fatto i siluri per tutto il mondo. [Fiume] era sul mare come Genova, [aveva] il clima come Genova, solo che adesso Genova io la definisco così, in salita, invece noi siamo un po' più piatti."
5) E dal punto di vista della popolazione come funzionava?
R.:" Quello che giudico io...Prima di tutto parlavamo sempre in dialetto. Il confine era a Sussak, e non succedeva niente coi croati veri, con noi italiani quelli veri...Io dico che sono pro nipote di un napoletano, la mia nonna è Limongi, mio nonno sarà andato lì e si sarà fermato lì perché avrà trovato lavoro...Si andava d'accordo, si andava d'accordo. Noi ragazzini andavamo oltre la frontiera, e in dialetto si diceva: sa, camina tutela, dove ti va? Facevamo una vita normale, di tranquillità. Io ho vissuto tanto tranquilla la mia vita. Direi che neanche la guerra [mi ha toccata]; si, l'ho sentita e l'ho vista perché le bombe cascavano dappertutto, però...Eh... Normale, diciamo una vita normale."
6) Quindi, se non ho capito male, a Fiume l'elemento italiano stava in città...
R.:"Era in città, e i croati erano dopo Sussak, che poi adesso è tutto insieme, [mentre prima] c'era il pinte, quello di ferro. E poi da quello che sentivo, Francesco Giuseppe, gliene fregava come parlavamo, basta che lui aveva lo sbocco sul mare. Io ho sempre parlato dialetto, metto Fiume Italia. Mia nonna sarà nata sotto l'Ungheria, perché è del 1890, però non mi ha mai parlato una parola di croato]; si, forse in croato le donne più anziane qualcosa dicevano, ma io so cinque parole: acqua, vino e pane, qualcosa del genere. Non muoio di fame! Una vita normale, tranquilla. Pensi mio papà era del 1902 - la mamma era del 1904- , aveva fatto le scuole cittadine, parlava solo l'ungherese e anche l'italiano, capisce? Io la vedevo una città...Forse perché io ero abbastanza felice. E i rapporti coi croati erano buoni, erano buoni. Io dopo anni che lavoravo ho incominciato ad andare con il gruppo del Badalucco che da Vicenza faceva i pullman e venivano da tutte le parti. E han sempre parlato il dialetto, tutti. Per me era una città normale, ho giocato a pallacanestro per tanto tempo con la scuola, la divisa l'ho portata [non dico di no], ma a me che me ne fregava del fascismo? Però ero obbligata. Perché io abitavo...Qui c'era l'Istituto commerciale e qui c'era la Scuola Manin, e al sabato, volere o volare, dovevi mettere la divisa. Perché quando ero più grande mi dicevano: tu abti vicino, vai a casa perché ti sei dimenticata di mettere il berretto e la cravatta. E cosa dovevo dire, di no? Insomma, dopo tanto tempo che andavo con il Badalucco, aspettavo gli altri che si muovevano. Però ho sentito che alcuni che son rimasti parlano il croato. Però, non si pizzicano, ma non vanno tanto d'accordo!"
7) Lei mi diceva del fascismo. Che ricordi ha di quel periodo?
R.:"Guardi, ho già visto Mussolini passar veloce, a Fiume. Perché ero caposquadra, dato che facevo parecchio sport, ed ero davanti. Ma si era obbligati, quasi, a portare la camicia nera. Per esempio io ho i miei nonni che si chiamavano [M.]. Mio nonno era nel portuale, e gli han detto: ho ti cambi il cognome o non lavori. E allora si è messo [M.]. E lo han detto anche a mio papà. Mio papà ha dovuto andare richiamato nelle milizie - ha fatto pochissimo, un paio di mesi nei campeggi- , ma cosa doveva fare? Farsi sparare o andare [nei partigiani]? Poi i partigiani venivano giù...Io ho degli amici di Abbazia - uno vive a Vicenza - , gli han portato via i partigiani tre fratelli, come niente, di notte. E cosa doveva fare? Uno è morto, e l'altro si è salvato. I partigiani facevano [così]. Come adesso, come adesso. Adesso nella politica si spingono, si sputano e poi vanno a pranzo insieme."
8) Lei è del 1927. Le chiedo se ricorda, oppure magari se le hanno raccontato, qualche episodio relativo al fascismo e al rapporto che esso instaura con la popolazione slava. Un rapporto che non è mai stato tenero...
R.:"No, no. I veri, veri proprio, cioè quelli giudicati fascisti di cervello, con i croati, ma gli ustasa, erano più duri, perché gli ustasa erano come le SS. Però non succedeva proprio un odio, perché nelle campagne io non so cosa succedeva. Poi quando sono entrati misti, coi tedeschi...Perché i tedeschi han fatto male non solo ai nostri, i tedeschi han fatto anche ai suoi giovani. Dove andava mio papà, c'era un tedesco giovanissimo, e le pregava. Diceva: [M.], mettimi lì, mettimi lì. E gli hanno costretti i tedeschi, anche i nostri. Portavano via i croati, gli ustasa portavano via quelli della Todt, insomma se li passavano sta povera gente. Io due volte mi han cercata per andare alla Todt, ma una volta ero su in collina dalla nonna, e una volta ero giù. Ma poi non è che erano fissi...Il fascismo era quello, come la testa di Mussolini: chi era fisso, era fisso. Però esageratamente che io, la mia mente o che...Non era...Forse c'è più l'attrito brutto adesso, sa? Io non sono razzista, io sono stata abituata. Guardi che ogni nave lascia un seme in ogni porto, perciò io vedevo i cinesi, i bei cadetti nostri della marina. Ma la guerra era guerra."
9) Ecco, parliamo della guerra. Lei cosa ricorda?
R.:"Ah, le bombe, che hanno fatto saltare la Raffineria che ha bruciato due giorni e due notti, e [c'] era caldo in tutta la città. Bombardavano, passavano. Passava il Martino, l'apparecchio solitario, quello era il Martino."
10) Martino? Lo chiamavate così?
R.:"Martino, si. Arriva Martino, arriva Martino! Ed è logico, noi gioventù - io son venuta qui che avevo vent'anni, e durante la guerra ne avevo un po' di meno- eravamo incoscienti e andavamo nel rifugio dove c'è il Palazzo del Governo. Andavamo lì, portavo la valigetta per la nonna e poi tornavo fuori. Ero incosciente! E ho visto una mia concittadina nella calle che passato l'apparecchio ha mitragliato. [Mitragliavano e bombardavano] perché c'era il porto, perché c'era il silurificio, il cantiere e perciò il mare lo beccavano, sparavano dappertutto, volevano tutto. E Fiume è stata bombardata parecchio, si, si. C'erano delle foto...Io avevo una cartolina, me l'hanno data, e quando ho visto che sopra c'era l'Albergo Quarnero, ho detto: ma dov'è? Non mi ricordavo che l'avevano bombardato. Io poi ero già in centro...E venivano anche sei o sette [bombe] in fila; ci son quelle singole, ma venivano anche quelle a catena. Incoscienza...Magari anche lei a vent'anni dice: ah! E poi invece c'è da aver fifa!"
11) Sempre parlando della guerra, posso chiederle se lei ha, come si dice, fatto la fame?
R.:"No. Perché non ho fatto la fame? Perché avevo il papà che lavorava, la mamma che lavorava e avevo anche quei nonni che mio nonno era portuale, era ormeggiatore che tirava dentro le navi. E io andavo anche con le donne - perché ero mino renne - a Trieste. Che son rimasta bloccata otto giorni perché è saltato il treno che passavo sotto la galleria. Andavo a prendere farina, patate. Si, le patate le andavo a prendere in Istria, non ricordo il paese, ma era in Istria. [Prendevo] e portavo a casa, poi qualche cosa regalavamo e qualche cosa dicevamo...Ma non è che proprio dico che ho patito la fame."
12) Quindi lei faceva una sorta di borsa nera?
R.:"Borsa nera. Per noi, poi è logico che quando si è nei rioni si dice: beh, cià, ti g'hai i fioi, ciapa, magna, magna anche ti farina! E la farina non era bianca, ma era buona! Eh, otto gironi sono stata bloccata a Trieste, con le donne. Che poi andavamo con la fifa in treno, perché sulla collina c'era i tedeschi e dall'altra parte venivano i partigiani. E coi tedeschi vicino al finestrino, dovevi stare lì come Sant'Antonio. E adesso si pensa alla coscienza, mentre magari all'epoca si stava lì e si rideva. Però magari il treno prima di...Adesso non ricordo, ma sulla linea italiana è sbandato e noi ferme lì con le valigie, per la paura che entrano i tedeschi da una parte o i partigiani dall'altra. La guerra era questa."
13) E per il cibo volevano soldi o vestiti?
R.:"Guardi, chi aveva due soldi pagava, chi no diceva: guarda, impegno questo, ti do questo. Però noi facendo quasi in privato non è che avevamo proprio quel gran commercio."
14) Lei si ricorda l'ingresso dei tedeschi a Fiume?
R.:"Li ho visti, ma sa com'è, il discorso è quello che si è un po' incoscienti. Io stavo benino, stavo nella mia contrada con le mie amiche, però ce li siamo visti. A me è capitato che da un muro...Mio cugino aveva il portone lì, e io ero qui. E son venute su le SS e allora me la son cavata perché sotto di me abitava una che faceva la cuoca al palazzo del governo e parlava bene il tedesco. Perché loro quando venivano erano decisi. E io stavo lì nell'angolo e me li son visti arrivare: sono entrati e alla mattina ce li siamo trovati dentro. E sono entrati perché volevano Fiume anche loro, anche Hitler la voleva; c'è poco da fare heil!heil!, c'era da fare oi! oi!"
15) E invece i partigiani li ricorda?
R.:"Ho avuto degli amici partigiani. Perché quello che vive adesso a Vicenza, che li han portati via alla sera, con sua sorella e, ripeto, era sempre incoscienza...Lui era una mia simpatia, e allora da Fiume ad Abbazia sono quindici chilometri e sono andata a casa ad Abbazia da loro. Da lì siamo andati a Ieleile, che era croato, ma era a due passi, come andare che so, da qua ad Arona. Siamo andati in collina a portare da mangiare, che ricordo che se si andava un po' più avanti c'era un canale dove cinque o dieci minuti prima son passati i tedeschi e hanno ammazzato il fratello nel canale. E portavamo un po' da mangiare per loro; e allora di qua c'era il castello coi tedeschi, e di qua c'era il bosco coi croati, anzi coi partigiani, perché i partigiani erano anche misti, eh! Io li ho visti così."
16) E si ricorda l'ingresso dei titini a Fiume?
R.:"Io l'ho visto: come al solito, al mattino eran lì. Dall'oggi al domani sono entrati. A Fiume è passato di tutto, perché c'era lo sbocco al mare."
17) E come sono stati accolti?
R.:"Ma, i titini, finchè non c'era il capo che comandava...Soldati erano e il dovere lo facevano. C'è chi spara e chi no, ti fa il solletico. Purtroppo tutto al mattino si trovava!"
18) Parliamo ora di una delle tante tragedie che hanno martoriato la terra istriana: le foibe. Voi sapevate che esistevano e quando ne ha sentito parlare per la prima volta?
R.:"Ne ho sentito parlare forse una o due volte. La gente diceva: ma, ei g'han butà quei là in un buco, ei g'han butà in quell'altro, ma io non è che andavo a pensare dove l'ha buttato. Magari l'ha buttato dietro casa mia, ma non era possibile, perché son tutti fuori, son dietro a Basovizza, sulle colline. Come il senatore Gigante, lo hanno maltrattato e dove l'han portato? A Castua. E Castua era Croazia, e dove c'era un buco...Era come buttare la spazzatura, capisce?"
19) E a Fiume ci sono stati episodi?
R.:"Ci sono stati, ma io non ci pensavo, ero forse troppo tranquilla, non lo so."
20) Quindi lei l'ha saputo poi dopo...
R.:"Si, dopo. Le vere, vere storie le ho sapute poi da grande. Che poi sono andata anche a Basovizza a vedere, e poi si vedono anche alla televisione, anche se [su] qualche cosa calcano un po'! Come quando dicono [che] gli istriani sono andati via...[In] tutti i filmati, sono profughi, sono disgraziati, ma perché farli vedere che vanno col carretto, e coi sacchi? Io sono venuta con la valigia, noi siamo arrivati a Trieste con un camion! Sa perché? Perché forse da Pola e giù di lì, c'era un po' più di libertà nel filmare... Ma noi siamo partiti, ma dovevamo partire coi vagoni..."
21) Lei quando è partita?
R.:"Son partita...Dunque, al 28 aprile ero qui a Novara - e ci sono ancora!-, per cui sarò partitia il 19 o il 20 aprile del 1947. Perchè abbiamo fatto otto giorni nel Silos di Trieste, che ci davano i materassi alla sera. Il nostro mobilio...Perché sul mobilio avevamo i vagoni calcolati per tante famiglie, e noi siam venuti via col mobilio della mamma. E allora noi avendo quattro lire abbiamo preso uno spedizioniere, e con un grosso camion - e un altro piccolo, perché la nonna ha voluto portare anche i mobili suoi per fissazione - siamo partiti. Che il papà era dietro nel [camion] piccolo, con delle tavole così e dei fiori davanti, [dove erano] nascosti dentro i soldi, nelle scatole dell'aspirina, che se prendevano un vaso e lo rovesciavano siamo fregati! E siamo venuti fino a Trieste: otto giorni a Trieste, una notte a Udine e dopo siamo venuti qui [a Novara]".
22) Parliamo un attimo del viaggio...
R.:"Sono partita col camion degli spedizionieri. Dovevamo partire [col treno], ma non essendoci i vagoni...Perché loro o li facevano saltare, o li facevano passare sotto la galleria e li portavano in Croazia."
23) Voi siete partiti con l'opzione?
R.:"Si, regolari, regolari. Tanto è vero che a noi ci è dispiaciuto perché il papà ha regalato a un suo cugino la radio, abbiam venduto per quattro lire le biciclette mia e di mio fratello, perché la questura cancellava tutto quello che serviva lì. E i primi anni sa cosa facevano? Mandavano dall'Italia ago e filo nelle buste delle lettere. Non c'era niente!"
24) L'opzione...Io ho raccolto testimonianze che dicono che coloro che optavano, in attesa di partire, perdevano tutto: tessera, lavoro e cose del genere....
R.:"Ma, sarà. Però mio papà è venuto qui a Novara con noi, perché la nostra mobilia è andata a Chiavari."
25) Ma quindi voi non siete partiti col mobilio...
R.:"Si, con un camion con tutto il nostro mobilio."
26) E come funzionava? Veniva uno della questura?
R.:"Al confine controllavano tutto, erano capaci di tutto eh! Le dico di mio papà che nel piccolo camion aveva due assi - stante che di là era già pieno- , e la mamma io e mio fratello eravamo su quello grande. Controllavano tutto, oppure dicevano passa, passa. Perché nei vasi - come dico- c'erano i soldi dentro, nella terra. E se a loro veniva il tic di smontare mezzo camion...Ma avendo tutto regolare, non essendo né apolidi, né scappati, [non ci hanno controllato]. Perché quelli che son riusciti a scappare, giovani, sono andati a finire per forza all'estero. I nostri fiumani, io ho amici che sono andati in Australia e in Svezia, hanno messo apolidi, in principio. Noi siamo venuti col nostro mobilio, però essendo a Udine che ci han chiesto dove volevamo andare, Chaivari o Novara? Allora mio papà ha fatto un calcolo, alla sua maniera, che da Chiavari venire alla stazione di Genova è una gatta, perché andava [a lavorare] alla raffineria di Bolzaneto. Poi qui [a Novara] lo hanno bloccato a lui e a tutti noi in caserma: ci han messo la sbarra nel corridoio, ci hanno disinfettato e lui ha dovuto telefonare, perché aveva già il lavoro in raffineria mio papà. E' stato lì per un po', dormiva a Busalla e ogni tanto la mamma andava giù, mentre noi restavamo qui coi nonni, anzi con la nonna, perché il mio nonno è morto a causa di uno spostamento d'aria in un rifugio. Nel rifugio di San Vito, perché sa, quando non c'era lavoro nel porto, faceva l'UNPA. E noi siamo venuti coi nostri mobili, che poi col tempo sono arrivati e, in caserma era comodo, perché dormivamo sui nostri letti. Nel pezzo che manca, della caserma. Noi siamo venuti col nostro mobilio, il papà ha pagato [lo] spedizioniere. Lui ha deciso, e andiamo!"
27) Quindi della sua famiglia siete partiti tutti?
R.:"Si, si, tutti."
28) Posso chiederle quali sono stati i motivi che vi hanno spinto a partire?
R.:"Perché mio papà ha detto: italiano sono e italiano resto. Anche se, come dico, ha fatto le scuole cittadine ungheresi, perché è nato nel 1904 e c'era ancora che comandava Francesco Giuseppe o la sua donna. E poi, come ripeto, in casa mia sono sicura che non si è parlata mai nessuna altra lingua, si è parlato sempre il dialetto. Adesso ho perso un po' l'accento, ma quello si perde. Quindi [siamo partiti] per rimanere italiani, per rimanere italiani. Si, si."
29) E senta, se provo adesso a ribaltarle la domanda: secondo lei chi è rimasto perché lo ha fatto?
R.:"Allora, secondo quello che è capitato a noi...Dunque la zia...Insomma, una parentela di un cugino di mio padre - che adesso non so se veniva per primo o per secondo-, gli hanno sempre cancellato [la domanda]. Il più piccolo cavillo, trovavano le carte, da pagare ospedali e roba. E poi allora un giorno ha detto: zio, io non vengo fuori, perché se non mi danno il permesso io non vado con la famiglia, scherziamo? Difatti è morto a Fiume, e c'ha il figlio alla comunità degli italiani, che oggi gli unici italiani che parlano un po' il dialetto sono lì, in quel gruppo lì."
30) Quindi sono rimasti perché non davano loro il permesso di andare via?
R.:"Eh, si. Quando la questura cancellava, lei poteva piangere in tutte le lingue, poteva mettersi in ginocchio, ma non c'era niente da fare. Poi qualcuno è rimasto per politica, ma penso più sconsolati, sfiduciati."
31) Lei riesce a descrivermi Fiume in quei giorni?
R.:"Si svuotava. Ogni tanto [si] diceva: quela non xsè, quella nemmeno. E poi in piazza, verso la zona della piazza Dante, sentivo la mia nonna che diceva: ah, xsè andà via quelo là, xsè anda via quelo là, e noi non è che si spargeva la voce in generale. Che noi, quando hanno saputo che andavo via, io giocavo a pallacanestro, e mi hanno fatto consegnare tutta la valigetta perché rimanga lì. Perché loro cercavano di tenere la loro gente, magari le facevano anche delle offerte, però la gente si sentiva proprio di andare fuori a respirare. E c'è chi ha respirato bene e chi ha respirato male. Però, praticamente sono loro che costringevano, e allora uno cosa fa, scappa di notte?"
32) Ma in che senso costringevano?
R.:"Perché, quando dava la questura il discorso era quello: tu resti qui, tu resti qui, tu resti qui, e cosa faceva uno che ha famiglia?"
33) Lei ricorda il suo viaggio?
R.:"Ho fatto Fiume - Trieste col camion dello spedizioniere. Ed è logico, io avevo vent'anni, mio fratello ne aveva quindici e dicevamo: finalmente! Certo, eravamo incoscienti! Andava bene, e poi noi ascoltavamo i genitori, più di adesso."
34) E quindi lei che stato d'animo aveva?
R.:"Buono, ero contenta, ero proprio contenta."
35) Lei arriva a Trieste al Silos. Riesce a descrivermelo?
R.:"Oddio, quando esce dalla stazione è qui [a sinistra]. E' un grande magazzino e lì disinfettavano, ci davano il materasso, prendevano il nome e ti davano da mangiare. Io personalmente - io e mio fratello- avendo quattro soldini, potevamo mangiare anche il gelato fuori."
36) Cosa vuol dire disinfettavano?
R.:"Perché i materassi li dovevamo consegnare, non li lasciavamo lì. Come per esempio, qui dicono che c'erano i topi e c'eran le tende. Ma chi non è venuto coi mobili...Anche noi in principio stavamo nel corridoio, avevamo il corridoio con quelle belle arcate e in fondo mettevamo la roba, che un po' ci stava. Poi nello stesso corridoio, nelle arcate, molto grandi...Avevamo una specie di muro, ma non ti mattoni, con le coperte, e allora un istriano era là e noi di qua. Eravamo divisi da una cosa [una parete] di compensato: non si vedeva niente, però si sentiva. Io ho vissuto abbastanza bene."
37) Ma il Silos cos'era?
R.:"Erano cameroni. Cameroni grandi che, diciamo, magari loro...Bisognava consegnare al mattino, e ti ritornava il materasso disinfettato."
38) E a voi invece disinfettavano?
R.:"Si, una volta. Ma qui ci han bloccato otto giorni, a Novara. Eh si, le dico, nel corridoio: anche i miei suoceri c'erano - non ero ancora sposata, ma comunque -, chiusa la porta di ferro. E perché? Se dovevamo andare a lavare i piatti, di là? Che noi lavavamo i piatti in quei lavandini di sasso, abbiam fatto diventare lucido tutto! Eh, ci han disinfettato, e come ripeto, mio padre ha dovuto per forza chiedere [il permesso] per andare [a lavorare]. Si, ci aprivano per andare, ma prima ci hanno tenuto lì otto giorni e uno doveva andare a fare la spesa, e poi doveva tornare dentro. Che poi le donne più anziane, le mamme e le nonne si son ribellate. Eh, siamo mica in galera neh, sa! Noi, magari, ragazzi, andava bene o andava male, ma dovevamo stare così."
39) Lei quindi è andata da Trieste a Udine.
R.:"A Udine."
40) E Udine cos'era?
R.:"A Udine era come un passaggio. Era una caserma verso sinistra di Udine. Non me la ricordo, ma so che son tornata tardi e poi dopo ho preso una sberla che ce l'ho ancora!"
41) E dentro com'era questo posto?
R.:"Erano uffici della caserma, che chiedevano. Ecco, lì ci han chiesto dove volete andare? Qui, qui o qui? E allora abbiam preso la decisione perché papà ha detto: guarda, io vado lì, perché poi dopo venire a casa è più facile. Perché ha trovato ingarbugliato da Chiavari a Genova andare su; lì partono tutti gli operai, sa com'è...E allora, non essendo pratico...Eh, ha fatto lì [a Bonzanigo], poi è andato in raffineria a Milano, che non mi ricordo dov'è, fuori, e poi è morto prima di andare in pensione in questa di Trecate."
42) C'era quindi una possibilità di scelta sul luogo in cui essere mandati?
R.:"Si, si, si. Qualcuno aveva già qualche parente finto e cosa, poi ci son quelli che sono invece andati giù, giù, e si son trovati anche male. Perché io vedo delle foto di quelli che scrivono sul giornale, che cucinavano fuori. Invece noi no, dopo mesi c'era un pezzo di caserma della mensa, e noi abbiamo comprato le cose [i fornelletti] a petrolio, quelli da pompare, e si cucinava ognuno per conto suo. Noi ragazzini, per gusto, andavamo a prendere il pane e la mortadella - grosso così-, ma avevamo cominciato, perché poi si è lavorato."
43) Lei dunque quando arriva di preciso a Novara?
R.:"Nel '47. il 28 di aprile del 1947."
44) E va subito alla Perrone?
R.:"Si, subito, subito. Dovevano venirci a prendere col camioncino, e invece siamo venuti a piedi con le valigie. E a me sembrava lunga, eh! Perché dalla stazione alla caserma Perrone è poco, ma sa, uno che è stanco, e che non sa..."
45) Perché, mi scusi, voi arrivavate alla stazione e poi?
R.:"E poi sapevano già che c'era gente da andare a prendere. Invece noi non è venuto nessuno, e allora il gruppo è andato su. Poi dopo c'era [nel campo] il colonnello Nava, il maggiore, tutto negli uffici. C'era poi un impiegato che ha sposato una fiumana e che abita in queste vie qui e bom, prendevano il nome e tutte le cose. C'era l'entrata che non ci si doveva fermare dentro, nel cortile. Io avevo il moroso e ci si fermava vicino agli alberi, che adesso non ci sono più: via, fuori, diceva la guardia che controllava l'entrata e l'uscita, capisce? Eravamo abbastanza sereni, forse incoscienti!"
46) Lei riesce a descrivermi la Caserma Perrone?
R.:"Oh, dunque...La struttura c'è oggi giorno e lì abitavano la maggioranza quelli che non avevano mobili; [abitavano] nei corridoi con le coperte. Invece il pezzo mancante, più o meno aveva qualcosa, era, come dire, un po' signorile, ecco! E noi siamo andati lì, [nel] pesso che manca, proprio al secondo piano."
47) E lì avevate solo una stanza?
R.:"No, come le ho detto, in principio eravamo nel corridoio con coperte, poi ci han dato quel posto lì. Perché sono grandi arcate lì, ha visto le caserme? E lì stavano quelle coi mobili, più chiusi con un pezzetto di chiave e quelle robe lì. La vita era quella, e poi si cantava e si rideva. Io ero abbastanza grande, andavo a lavare i piatti, proprio con la mamma del suocero del V., cantando, pulendo, lucidando. Eh, abbiamo fatto una vita serena. Per forza o per amore, e dopo oguno è andato chi di qua e chi di là."
48) All'interno del campo, c'erano delle strutture come, che so, asili, scuole e cose simili?
R.:"Ecco, adesso mi stava venendo n mente. Dentro c'era l'ambulatorio del prof. Pisano e del dr. Bellomo, e l'infermiera che è morta...E si portava i bambini in asilo, che l'asilo era di qua. Avevamo anche la chiesa che la gente si sposava lì. No, il controllo c'era: io tutti i giorni [facevo] punture e non punture, e i bambini dell'asilo...Che io ho fatto due anni come controllo all'asilo, e portavo i piccoli in braccio e gli altri come pulcini dietro, e li portavamo a controllare la malattia o cosa. C'era il dottor Bellomo, toscano, e ancora un altro dottore."
49) E in campo il tempo libero come si trascorreva? Non so, ad esempio, si ballava, si cantava...
R.:"Si, si, però a una certa ora pace e tranquillità. Se le dico che io sono entrata che avevo il moroso, però poi dopo abbiamo fatto amicizia con fiumani, mai visti, perché loro [a fiume] erano in collina, e io son del centro storico. E basta, io sono entrata col moroso, perché mio marito, defunto abitava nel piano di fronte [al mio] e allora, prima di andar su ci si salutava ciao, ciao, buonanotte, buonanotte. Poi ci si trovava vicino agli alberi [nel cortile]: è venuta la guardia a dirci a casa! Ma se siamo già, a casa!"
50) E invece per quanto riguarda lo sport? Ho visto tante foto di squadre di calcio....
R.:"Di sport i nostri ragazzi ne han sempre fatto. Poi qualcuno...Io ad esempio son stata chiamata dal professore Zaratino e la professoressa Pestarini, novarese, che era moglie di un ufficiale, che mi hanno detto se volevo andare a giocare a pallacanestro. Tanto è vero che ho giocato per due anni per il Dopieri. Che il Doppieri faceva calze e guanti, e io ho giocato due anni con le ragazze, che si andava a Vercelli. No, noi sportivi lo siamo, però sa, dentro non c'era niente. C'era pace e tranquillità tra ragazzi."
51) Quindi lei era brava a giocare a pallacanestro...
R.."Ho giocato da quattordici anni fino a finire qui a Novara! Sono andata a Zagabria, Belgrado, Novi Sad, Trieste. A Zagabria e a Belgrado abbiamo sempre vinto belle partite, ma siccome siamo italiani, sempre il secondo posto!"
52) Cioè cosa vuol dire sempre secondo posto?
R.:"Perché eravamo italiani."
53) Cioè, vi facevano perdere?
R.:"Eh, per forza!"
54) Ma questo quando?
R.:"Eh, quando c'era ancora Tito. Eravamo trattate bene, non discuto, l'albergo Esplanade di Zagabria...Io giocavo per la Quarnero. Ah, no, prima ho cominciato per la ROMSA, che aveva il dopolavoro, dove lavorava mio padre. E poi la Quarnero, che era come essere [in] una squadra seria qui."
55) Soldi ne prendeva?
R.:"Ci davano qualcosa, ma non mi ricordo, ma spesate di tutto. E poi noi, venendo da Fiume o che, oh, c'ho la scarpa rotta, noi eravamo delicate! Le macedoni hanno giocato anche scalze o con le ciabatte, noi no! Ma no, diciamo che io ho avuto una vita abbastanza serena."
56) Lei arriva qui a Novara, posso chiederle come vi hanno accolto qui a Novara?
R.:"Non ci hanno voluto bene per un po', non ci hanno voluto bene."
57) Ecco, parliamo appunto di questo...
R.:"Sempre la storia fascisti, fascisti...Io, forse adesso oso, ci dicevano fascisti e mi veniva da dire ma vaffanculo! Fascisti...Se uno è obbligato, se uno deve lavorare, se uno deve andare a scuola...Se le dico l'esempio, è semplice...Io abitavo vicino alla scuola, e mi dicevano: vai a casa, mettiti la cravatta e mettiti il basco, perché ero già una giovane italiana. E che dovevo fare? Prendere la professoressa e buttarla dalla finestra? Eh, non potevo...Capisce? Fascisti, fascisti, fascisti...E' come adesso, che dicono sei croata, sei jugoslava? No mi chiamo [M.], sono vedova V.- ich, ma non sono né croata, né cinese e né niente. E se lo fossi, non me ne frega niente a me. Ci hanno accolto un po' con il nasetto storto."
58) E questo secondo lei come mai?
R.:"E' sempre per la storia fascisti...Perché poi la nostra gente adesso, secondo la mia parlantina, la nostra gente istriani e dalmati - perché noi siamo istriani, giuliani o dalmati- i primi soldi che hanno dato di sussidio in campo, hanno comprato la pala e si son messi a spalare la neve; invece adesso vanno prima a prendere i soldi, poi prendono il caffè e alla fine vanno a prendere la pala! E poi vogliono anche la casa! La nostra gente si è data da fare: certo qui il Doppieri mi ha risposto che avevo vent'anni e dovevo essere un'operaia. E io non gli posso neanche dire che ho fatto quelle tra semplici commerciali, perché la scuola è bruciata, il fuoco si è portato via i documenti veri, passaporti e quelle robe lì. E' la storia del fascismo, ma dove non c'è fascismo?"
59) Quindi lei appena arrivata è andata a lavorare da questo Doppieri?
R.:"Mo, mi ha detto no perché avevo vent'anni, e quindi io cosa ho fatto? Ho fatto in una passamaneria, che ho accettato e mi hanno insegnato a fare i fiocchi sui tappeti e quelle robe. E allora li portavo a casa: papà ha fatto un asse così, coi chiodi...Lavoravo a domicilio, ma era tutto per i capricci miei, della mamma e del fratello."
60) E poi è andata a lavorare da qualche parte?
R.:"Sono andata a lavorare dopo vecchia, quando avevo già quarant'anni alla Incom, a fare la donna delle pulizie in forza, ma per un semplice fatto: perché mio marito lavorava in proprio, e quando si lavora in proprio c'è un po' di [rischio]. E io ho sentito tante di quelle parole quando sono andata a lavorare! E gli ho detto: guarda che tuo figlio vuole andare all'accademia, il perito aeronautico non lo fa, l'accademia costa, così con quei pochi soldi della busta paga, andiamo a trovarlo e facciamo le ferie. Ecco, e allora ho lavorato quindici anni alla Incom lì."
61) Ritorniamo un attimo al periodo del campo. Ho dimenticato di chiederle se voi beneficiavate di qualche aiuto, oltre ai sussidi...
R.:"Ecco, ecco, [ci] stavo proprio arrivando. Noi sempre con quella piccola fortuna, io avevo, però la gente aveva cappotti e maglie, e [per] chi aveva tre o quattro figli era un aiuto. Era un aiuto: un cappotto. Tutti avevamo quattro soldi, perché il sussidio c'era: un piatto di pane, un piatto di mortadella c'era. E allora la gente... Dopo, si capisce, ognuno si è sistemato facendo qualche lavoretto o qualcosa, e poi dopo sempre meno. Però, insomma, davano. Davano, e davano anche sussidi."
62) Le donne istriane sono molto emancipate, e questa loro emancipazione faceva attirare su di loro lo stereotipo che si trattasse di donne di facili costumi...
R.:"Le credevano tutte facile. A me non è capitato, però avevamo due punti che...Sa, com'è...Quella là, ah quella là, quella là, come in tutto il mondo. Ma non era proprio secca secca la cosa...Forse sarà fortuna, sarà un punto...Però, qualcosa c'era. Ma la storia più brutta era quella: sei fascista? Sei croata? Sei jugoslava? Ma vai al diavolo, va!"
63) Poi piano piano penso che con i novaresi vi siate integrati...
R.:"Si, si."
64) Ecco, come è andato questo processo?
R.:"La gioventù ha cominciato a sposare qualche novarese, poi un novarese ha sposato qualche fiumana. Ci sono stati i matrimoni, si, si, ci sono stati. C'è la signora C.-lli che abita qui nella villa, e lei ha sposato un novarese, che poi lei - che era di Abbazia- ha sposato anche uno che stava benino. No, no, per quello ci siamo integrati."
65) Posso chiederla a Novara come passava il tempo libero?
R.:"Al mattino dovevo andare a fare la spesa, in via Magnani Ricotti, e intanto la mamma puliva, anche se la pulizia era quelle che era. Eh, niente, poi andavamo in giro: c'è una foto che siamo in ventuno- ventidue con la bicicletta, pronti per andare a fare il giro per campagne. E allora qualche volta era un pic-nic con le merende, abbiamo girato tutta la valle con le biciclette. E poi molti di quelli sono andati all'estero."
66) A ballare si andava?
R.:"Si andava ai Combattenti, al Vittoria, ai Mutilati e ancora a un altro che non mi ricordo. Andavo io con mio marito, il mio defunto cognato -che ha sposato una novarese- e andavamo in questi balli, ed era tutto qui in giro. A capodanno si veniva a casa alle 6,00, ma tranquilli e beati, insomma... Insomma, ci siamo intergrati anche con fiumani che non si conosceva: noi avevamo in compagnia la figlia del signor Paggi, che aveva [un negozio] di elettrodomestici vicino alla stazione, che adesso non c'è più, e con dei suoi parenti, [che erano] proprietari di un bar in centro, dove adesso c'è quel bel palazzo che vendono le chincaglierie belle. Lì c'era un bar e abbiamo fatto amicizia, come anche con dr. Vichieri, che era un pezzo discretamente alto. Poi lì quando chiudeva il bar a una certa ora, si chiudeva e si mangiava la pizza. No, no, ci siamo integrati con quel gruppo di novaresi. E poi col figlio nel pomeriggio eravamo sempre in giro con un'amica fiumana che ha sposato un novarese, e portavamo i figli fuori. No, no, dopo ci siamo integrati, ma i primi due mesi-tre mesi, sono stati pesanti, perché c'era sempre sta storia fascista, fascista! E sa, quando è un chiodo è un chiodo, eh!"
67) Lei ha abitato al Villaggio Dalmazia?
R.:"Mai ho abitato...Dopo il campo mi sono sposata a San Gaudenzio, e sono andata in vicolo carabinieri ad abitare, in una cosiddetta mansarda da pittori, che avevo anche la cucina dentro. Lì è nato anche mio figlio, e dopo sono andata in via Melchioni e dopo tanti anni che ero lì, ho fatto solo il giro [dell'isolato] e son venuta qui."
68) Posso chiederle come mai non è andata al villaggio?
R.:"Ma, mio marito diceva: troviamo qui, troviamo qui e poi è rimasto. I miei suoceri abitavano nel villaggio."
69) Le faccio ancora due domande. Lei ritorna spesso a Fiume?
R.:"Io son tornata a Fiume dopo tanti con il marito e il figlio. Mio marito è morto già da trentaquattro anni, per cui sono tornata dopo...Non so, mio figlio andava a scuola...Però dopo anni son tornata, andavo col gruppo del Badalucco."
70) Lei ha nostalgia quando torna a Fiume?
R.:"Oddio, se devo dire...Quando che sono andata dopo che è morto mio marito, da sola, avevo un'amica che è morta, e anche suo marito era uno sportivo, un pugile, e lei giocava a pallacanestro con me, abitavano di fronte alla scuola Manin, in via del Colonnello, in case signorili. Con magari una vasca, tipo antico, ma c'era. E mi ha detto: no, non vai in albergo perché io c'ho una stanza vuota perché mio figlio si è sposato ed è andato in Istria. Allora son stata lì, son stata dieci giorni - lei era un po' faticosa per camminare- e ho girato tutta Fiume. E man mano che gravo nelle vie, mi veniva qualcosa, mi veniva qualcosa. Quando poi sono andata col gruppo del Badalucco, ci siamo trovati nella chiesa di San Vito, e c'era la mia amica Alda - che è sette anni più giovane- , mi guarda e mi dice: che c'hai? Proprio venivano lacrime vere, perché abbiam cominciato a cantare Noi vogliam Dio, e mi ha fatto un effetto di pieno e di vuoto tutto insieme, e uno poteva toccarmi ma non mi faceva nessun effetto! Dopo quell'anno andavo tutti gli anni col Badalucco, e si andava a Fiume. No, no, ho sentito la nostalgia. Poi ho sentito emozione quando mio figlio mi ha portato quel coso di foto [Cd] che si guarda in televisione. Si sente qualcosa, non si può dire di no. Bisogna essere bugiardi per dire che non si sente niente. Rimane qualcosa. C'è un effetto, bisogna essere sinceri: come lo fa e come viene però non lo so."
71) L'ultima domanda che le faccio è questa: che effetto le ha fatto arrivare da Fiume, città di mare, in un posto, Novara, completamente diverso?
R.:"Uh, in principio: mal de mar, dove s'è il mio mar! Sa dove andavamo a divertirci al torrente Gogna. Che di qua c'era la spiaggia dei novaresi. E a guado - perché poi d'estate si è mezzi nudi - si andava dall'altra parte e si faceva il bagno. Poi ci siamo fatti degli amici. E noi dalla caserma mia mamma mi preparava i peperoni ripieni e quella roba, noi eravamo ancora fidanzati e abbiam trovato un amico novarese e abbiam fatto amicizia: lui veniva a mangiare e ci passava il pomeriggio. C'era una connetta che teneva le biciclette...Adesso no, ma quella era proprio spiaggetta, il lido, diciamo il lido. E ci siamo divertiti così. Poi dopo, da vedova, hanno cominciato a fare le piscine e io andavo sola. No, ci siamo integrati. A noi pesava quella storia: non siete italiani ma siete fascisti. Ma se anche lo fossimo, non abbiamo ammazzato nessuno. Se uno era obbligato...Mio papà andava a lavorare con la camicia nera, e che doveva fare?"