1) Le chiedo innanzitutto un po' di dati anagrafici: dove e quando è nata...
R.:"Io son nata a Pola il 31 maggio del 1928, adesso a maggio faccio ottant'anni."
2) Mi può parlare della sua famiglia di origine? Quanti eravate, cosa facevano i suoi genitori...
R.:"Si, si, anzi, anzi...Perché, io dico sempre che dovrei mettermi lì e scrivere un po' per lasciare ai nipoti - più che altro - la mia vita. Perché io sono figlia di uno che è stato nel '29 sovversivo: lavorava al Gas, alla Società del Gas a Pola, e questo nel '29. Lui a un certo momento doveva iscriversi al partito [fascista] o a che diavolo c'era, e ha preso armi e bagagli e se n'è andato, ed è andato in Argentina a Buenos Aires, dove è mancato nel '42. Perciò io non ho conosciuto mio padre. Lui è nato nell'interno dell'Istria, proprio, a Castegani, che sarebbe tra Pisino e Gimino, proprio interno era. Di cui lui non era quasi capace a parlare italiano, cioè parlavano uno slavo, un dialetto...Non sapeva neanche quasi scrivere, perché quel poco che ha scritto...Io c'ho due fotografie che ha mandato e che mia mamma ha poi tenuto e scritte proprio da una persona che non era per niente colta. Lì è andato e faceva il muratore, e così. Io non so neanche...Non c'era come allora la confidenza con i genitori: io son rimasta con la mamma ed è stato un argomento che non abbiamo mai [trattato]. Mamma era una persona molto rigida, molto dura e perciò non c'era confidenza. Qualcosa che ho saputo l'ho saputo tramite la zia e così, poi voci. E lei è rimasta con me di undici mesi, senza lavoro e senza niente e lei si è messa, logico, a lavorare e ha lavorato. Lei originaria è di Santa Croce di Trieste, che poi dopo loro sono stati profughi nella guerra del '14-'18 a Klagenfurt dove è mancata la sua mamma - cioè mia nonna - che è seppellita lì e che adesso mio cugino di Trieste è andata a cercare proprio, e ha trovato che al posto di questo campo di concentramento che c'era degli istriani proprio, dei polesani, ha trovato un obelisco molto ben tenuto, costruito con la pietra dell'Istria. E hanno raccolto poi le ossa dei morti che han trovato e han fatto un piccolo sacrario, là. Perciò questa nonna è mancata là; nonno invece era già mancato a Pola prima. Comunque poi al rientro [a Pola] ha conosciuto mio padre e si son sposati nel '26, io son nata nel'28 e lui nel '29 è andato via. E adesso c'ho i miei zii che han vissuto tutti a Trieste, ma siccome la nonna si è sposata due volte i figli del primo matrimonio son stati stabiliti più a Pola, mentre invece il secondo matrimonio son rientrati a Trieste. E' così [è stata] una vita piuttosto tribolata anche nel fatto che io son sempre stata schedata come una figlia di un sovversivo in terra straniera. Anche a scuola o che nessun [aiuto]: la mamma aveva chiesto essendo lei da sola e lavorando saltuariamente - non aveva un lavoro, non aveva un mestiere, faceva riparazioni per le caserme, per i privati- se almeno i libri [potevo averli gratuitamente]. E han bocciato anche quello. Comunque io ho fatto -allora non c'erano le medie, c'era l'istituto professionale e quello tecnico- le cinque elementari e cinque dell'istituto tecnico e ho preso il diploma dell'istituto commerciale. E invece mio marito lui era di Dignano d'Istria, che poi i suoi si son trasferiti a Pola che lui faceva le elementari per il lavoro che portava di più alla città, perché Dignano è a dieci chilometri da Pola, è vicino come paese. Lì ci siamo conosciuti nel '45 in rifugio, perché bombardamenti a febbraio... E ci siam sposati: io [di anni] ne avevo diciannove e lui ventitre [anni] e ci siam sposati così, era il '47. Era già finita guerra. Suo papà era un operaio che lavorava, sua mamma era casalinga e poi siamo stati lì a Pola e ho conosciuto [Nando G. e la moglie, lì dove si lavorava]."
3) Perché lei dove lavorava?
R.:"Io ho lavorato prima - fin tanto che c'era l'Italia, fino al '45 - al distretto militare, perché mia mamma - lì mi han preso proprio per conoscenza!- lavorava, cioè faceva le riparazioni per la caserma al 74 Fanteria, dove il caposala cioè il capo caserma, era una persona che poi noi abbiam trovato qui a Brà che siamo andati a trovare, perciò dico il mondo è piccolo! E la figlia di questa persona era professoressa di francese, e io l'ho avuta a scuola come professoressa di francese, sta persona sposata con un tenente colonnello. E quando ho finito a scuola, loro mi han preso, tanto c'erano anche i privati lì nel distretto militare. E lì è stato il momento dove ho conosciuto anche mio marito. Io ho lavorato fino alla fine del '45. Finito il '45 c'è poi stato un po' di putiferio: abbiamo avuto quaranta giorni di Tito a Pola, e siamo rimasti come Zona A, mentre Dignano era Zona B. E lì sono entrata nelle Cooperative Operaie, che le stavano allestendo e mettendo su dopo la fine della guerra, dove c'era elettrici, scaricatori, imbianchini, insomma [tutto]. E ho lavorato fin quando son venuta via. La fortuna, mia, perché poi quando abbiam deciso che si voleva venire via, eravamo titubanti noi giovani... Mentre invece gli anziani non ne volevano sapere, per il fatto che loro dicevano: alla nostra età - che adesso sarebbero giovanissimi, perché avevano quarantotto, quarantanove, cinquant'anni i suoceri - siamo già profughi della guerra del '14-'18, andare di nuovo in giro per il mondo alla nostra età, senza niente! Poi [non avevano] un lavoro da poter avere un trasferimento, come la maggior parte di chi lavorava nei posti pubblici - maestri, imprese - [che] ha avuto un trasferimento di lavoro, erano appoggiati, sapevano dove andare, perché la maggior parte avevano già una sede, perciò come alloggio, come lavoro e via discorrendo. Lì mio suocero è stato operaio, mia mamma [era] casalinga che faceva servizi, puliva gli uffici della Croce Rossa, lavorava per la caserma pur di vivere - perché non avevamo mutua, né medico né niente - e come si fa ad andare attorno per il mondo? I vecchi... Noi invece, forse un po' più incoscienti, perché, insomma, i giovani... E poi abbiamo aspettato... L'inizio - lei lo sa già- è cominciato nel febbraio del '47; noi siamo andati a optare poi, a maggio del '48."
4) Lei riesce a descrivermi Pola? Cioè, cosa facevano i polesani, dove lavoravano e com'era popolata?
R.:"Allora, guardi, io le dico subito: la città era una città italiana. C'erano il Cantiere Navale Scoglio Olivi - che c'è tutt'ora - , c'era l'Arsenale - che c'è tutt'ora - e poi c'era il Mulino e tutto quello che [poteva esserci] in una città vivibile, tranquilla. Logico, c'era il povero diavolo come sempre, però si vivacchiava, non c'erano problemi. Io poi avendo la mamma, che finchè c'è stato mio padre in vita che scriveva e tutte le volte che scriveva c'erano problemi, la mamma veniva chiamata in questura perché la lettera veniva confiscata. E su sta lettera - sempre a modo suo - mio padre scriveva contro il duce, contro il fascismo. Che poi a un bel momento la mamma - e infatti poi noi non abbiamo più avuto scritti - ha detto: sentite, oramai la faccenda sapete com'è, smettete di chiamarmi perché tanto le cose non cambiano, lui è così e noi siamo qua. Infatti tutti gli anni, il giorno che io compivo gli anni, la mamma mi faceva fare la fotografia e gliela mandavamo giù. Poi nel '42, quando è mancato, noi l'abbiam saputo solo nel '43; nel '43 o nel '44: chiamati dal consolato e dalla Croce Rossa dove dicevano che, tra l'altro, i pochi effetti personali che potevano esserci non valeva la pena di mandarli, perché la spesa era enorme, poi eravamo in guerra e via discorrendo. Comunque, ritornando alla città, era una città molto militare, perché lì c'erano tutte le qualità: di militari c'è n'eran tutti, meno che gli alpini! Il resto, marinai, fanteria, finanza, di tutto, c'era tutto! Infatti qui ho trovato qualche volta - ho avuto occasione di trovare - qualche uomo che ha fatto il militare laggiù e ancora adesso c'è il papà del dentista dove vado che mi dice: anche se in ritardo la ringrazio perché noi militari con la faccenda del '43, quando c'è stato [l'8 settembre], i tedeschi li hanno tutti bloccati nelle caserme e la città li ha mantenuti. Cioè gli facevamo da mangiare -perché non avevano neanche da mangiare- e dice: ci siam sempre ricordati, e ci ricordiamo tutt'ora che stiamo diventando vecchi, che siete stati speciali, perché avevamo un'enormità di soldati. Comunque si viveva bene, perché le persone del circondario - cioè per esempio di Medolino, Dignano, Galesano, Fasana- , gli operai e la gente venivan a lavorare all'Arsenale, venivan a lavorare a Scoglio Olivi, tutti in bicicletta, tutti a piedi. Però, era vivibile, nel mio piccolo. L'unica cosa della mia vita è che c'era questo neo di mio padre che con delle idee diverse, non fasciste, se n'era andato, e mi è rimasto un po' così. Ma mai avuto discussioni, a parte il fatto della scuola. Io poi son cresciuta, con le mie idee. E ci eravamo forse un po'...Era arrivato il momento di dire: ma, cerchiamo di restare, dove portiamo via i vecchi, ma poi alla fine quando anche i nostri vecchi ci han detto ragazzi non si può andare avanti così, allora abbiamo presentato l'opzione al 1 maggio del '48, tutti quanti. C'era mia suocera e mia cognata , che lei era sposata e noi siamo finiti a Mondovì per il fatto che suo marito aveva la mamma e un fratello a Mondovì, altrimenti non sapevamo neanche dov'era Mondovì, eravamo proprio all'opposto! E allora con mia mamma e mio marito abbiamo optato. Allora, cosa è successo? Che chi lavorava è stato immediatamente licenziato, e lì avevamo le tessere... Però ho saltato di dirle una cosa: che noi che ci siamo sposati nel '47, a settembre - che il 16 settembre del '47 c'è stato il passaggio [di Pola alla Jugoslavia]- eravamo in viaggio di nozze a Trieste dai miei [parenti], e con l'ultimo treno che è arrivato a Pola noi siamo rientrati a Pola. E lì eravamo stati poi sotto un'amministrazione anglo-americana - dai primi di luglio del '45 al 13 settembre del '47 -, perciò immediatamente la cosa si è girata. E' anche per quello che - anche coi nonni- abbiam detto: beh, proviamo, vediamo, non è che ci ammazzeranno prima... E lì, allora, mio marito è stato licenziato, mio suocero è stato licenziato, mia mamma non lavorava e mia suocera neanche, mio cognato era già in Italia, poi è rientrato di corsa perché era nato un bimbo - cioè non era ancora nato ma stava per nascere - e lì ci hanno buttati fuori di casa. Io ho lavorato in questa impresa e stava andando in liquidazione, ma mi han tenuta perché ero all'ufficio contabilità per fare questa liquidazione- che tra l'altro da un'impresa se ne son formate tante altre- e c'ero io, il ragioniere e il capoufficio. E allora mi han tenuta e io ho lavorato fino a quasi l'ultimo giorno prima di partire, [mentre] invece mio marito e tutti gli altri son stati subito licenziati. [Ci hanno] tolte le tessere e noi avevamo anche un alloggio abbastanza grande, di quelli dei profughi che erano già andati via - lo avevamo affittato-, ed erano venuti a controllare, e visto che avevamo una camera in più di noi, allora ci avevano obbligato, avevano i mobili e abbiamo affittato a un militare, che tra l'altro non dava nessun fastidio, aveva l'entrata sulla scala e perciò non lo vedevamo neanche. Ma in quel caso lì, io lavoravo, mia mamma ha cercato mio marito ma non lo trovava, perché questi poveri disgraziati che avevano optato non potevano far crocchio in giro per la città o cosa, e allora lui andava a pescare con qualche altro amico o prendeva la barca da non trovarsi in città a girare. Mia mamma è venuta da me e mi ha detto. Guarda, è così, così e così, cosa facciamo? C'ho detto: beh, io vado dal sindaco, dal podestà, insomma, dal capo lì che c'era in comune. E lui mi ha detto: compagna - mi sembra di vederlo ancora - hai deciso di andare in Italia? C'ho detto: si, abbiamo deciso di andare via. [E lui]: allora, la riva è tanto grande, e i tuoi mobili possono star lì, l'alloggio deve essere vuoto. E io dico: allora dateci i permessi, perché non sapevamo, non li avevamo, non avevamo niente. E questo era successo appena presentata la domanda di opzione. Dico: datemi una camera, qualcosa. E lui: arrangiati! E allora, poi, un amico - che tra l'altro poi loro erano rimasti là perché aveva la suocera- insomma, ci hanno preso tutto, cioè quel poco che avevamo deciso di portar via - cioè biancheria, piatti, qualche pentola e mobili, niente, materassi e quelle cose lì- e il resto poi [lo] abbiamo dato via, lo abbiamo venduto e siamo andati in casa di mia suocera, che lei affittava dal padrone di casa - che abitava sopra la sua testa - che le ha detto: no, no, lei rimanga qua. E allora dormivamo lì da mia suocera. E allora poi intanto sono arrivati i permessi per poter partire, mentre che quello di mia madre non c'era, perché la giustificazione era che lei non era capace a parlare italiano, che lei parlava solo croato. E mia mamma non sapeva una parola di croato, mentre sapeva italiano e tedesco, perché aveva fatto le scuole sotto l'Impero austro-ungarico, e quella volta c'erano scuole italiane, slovene, croate e tedesche, che mentre quando è arrivato Mussolini c'è stato solo italiano. Ecco perché l'Istria è rimasta come base che nell'interno parlavano lo slavo, cioè croato, cioè un dialetto, così...Poi c'erano macedoni, c'erano serbi, ma l'interno è rimasto così. Mussolini aveva fatto scuole e i vecchi non ci andavano! E così mia mamma è rimasta giù un anno e mezzo, e noi subito eravamo andati a Zagabria al Consolato italiano, anche perché cosa possiamo fare? Si, noi abbiamo fatto domanda, abbiamo fatto ricorso subito perché altrimenti scadevano i permessi e c'era mia suocera, mia cognata un bimbetto di undici mesi e mio cognato era a posto perché si era trovato nel '43 in Italia, e perciò lui era cittadino italiano. E allora siam stati costretti, e siam partiti al 19 di dicembre del '48, e mia mamma è rimasta ospite di amici che ci sono ancora che io con mio marito siamo andati tante volte [a trovarli] - e poi sono andata sola- e spero quest'anno di tornarci, perché mia figlia - quella più giovane che ha i bimbi - mi ha detto: fai ottant'anni e ti portiamo giù."
5) Mi ha detto che suo papà durante il fascismo era stato schedato come sovversivo. Posso chiederle, a questo proposito, cosa ricorda del fascismo?
R.:"Ma, guardi, io...Per esempio mi ricordo che un mio zio - un fratello di mia mamma- era stato messo al confino. Ma io personalmente, forse perché mia mamma essendo donna sola con una bambina e già presa de quel verso lì, non si è mai...Si, ha nascosto questo suo fratello, che l'aveva nascosto in casa ed è venuta la milizia lì a cercarlo perché poi è andato a finire al confino. Uno, poi c'era l'altro fratello - sempre del primo matrimonio- è sempre stato tacciato da comunista, anche sotto il fascismo. Però io non ricordo che ci siano state delle cose tragiche, almeno nel mio piccolo. E' quello che dico, poi nel grande non lo so. Perché [mia madre] ha cercato anche di tenermi all'oscuro di tante cose, che adesso mi pento, cioè adesso mi dico ma perché non ho chiesto?! Ma non c'era confidenza con mia madre."
6) Le ho fatto questa domanda perché a me interessava capire una cosa. E cioè, e penso lo sappia meglio di me, Mussolini dà luogo a un 'opera di italianizzazione [mi interrompe]...
R.:"Si, quello si. Io ho trovato a Mondovì una maestra che aveva fatto scuola giù, proprio in Istria. Poi la maestra che ha fatto scuola alle mie figlie a Mondovì - che era tanto una brava persona - è stata a fare scuola giù a Muggia, che era poi lì. E in tutti gli uffici c'erano noi li chiamavamo i cif, i siciliani e i napoletani che venivano su, i cif come dire cefarielli: erano tutti che venivano su per italianizzare, per togliere ste persone che erano del posto. Perché poi dopo la guerra del '14-'18 molte persone sono andate via: questo ragioniere che io ho avuto poi per ultimo in questo ufficio delle Cooperative operaie, era di Medolino - vicino Pola - che lui la guerra del '14-'18 è andato in Jugoslavia, e son tanti che sono andati via quella volta. Cioè, è stato l'inverso di quello che era successo nella guerra del '14-'18. Era gente che era mandata lì per italianizzare. Per esempio, Dignano. Dignano han sempre parlato italiano; lei vada a sette otto chilometri [all'interno] a Scatari, e in casa parlavano croato. Cioè, croato slavo, là. E infatti la mia mamma che poi è stata da questa famiglia, parlavano italiano, il dialetto nostro - triestino, veneto, cioè più triestino, perché il veneto è già diverso- però in casa tra loro parlavano slavo."
7) Posso chiederle com'era il rapporto tra gli italiani e gli slavi?
R.:"Non eravamo troppo [amici]... Perché Mussolini ha fatto tante cose: ha fatto l'acquedotto in Istria che non c'era, ha fatto delle scuole, ha portato la luce, ha asfaltato strade, ha fatto strade nuove, cioè ha fatto tante cose, però forse cosa ha rovinato molto [è stato] l'inizio, dopo la fine della prima guerra, nel '20-'21. In quel periodo là dev'essere stato tremendo. Nel '22 e nel '23, con ste bande fasciste che davano l'olio di ricino, che battevano, che pestavano per le strade. Questo raccontavano i nostri vecchi. Forse questo è stato l'impatto. Quello di cambiare tutti i nomi delle città, delle strade - quello che è successo adesso - , mentre adesso, piano, piano. Io, guardando ieri sera una raccolta di fotografia, c'è il bilingue. Quando io sono andata giù tre anni fa, hanno aperto una strada nuova, un'autostrada la chiamano, da Trieste a Pola, e la segnaletica era tutta in croato. L'hanno chiusa, l'hanno fatta chiudere tutte le popolazioni lungo la strada, e hanno fatto il bilingue e poi l'hanno riaperta. Cioè, si è creato questo attrito subito, ed è rimasto e c'è tutt'ora. E non si toglierà mai, mai. Io vedo... Cioè, ti accorgi...Adesso c'è una mescolanza, ma in principio, quando andavamo giù con mio marito con le ragazze piccoline, non abbiamo mai avuto contrasti, però io ho un'amica a Milano che l'ultima volta che l'ho cercata per telefono mi ha detto: io non son mai più andata giù e non vado, perché tutte le volte sono stata maltrattata. E le ho detto: Livia, sei stata maltrattata, ma te le sei andata a cercare? Eh, si, passeggiavamo in via Sergi e in piazza Foro cantando Italia, Italia. Dico, ma vai a cercartele allora, non andare a cercartele, perché c'è questo, e non passerà mai! Passeranno tante generazioni - io non ci sarò più- e senz'altro speriamo, ma in questo mondo, con quello che sta succedendo...Adesso c'è la storia del Kosovo, un'altra palla al piede..."
8) Se le chiedessi qual è il suo primo ricordo della guerra, lei cosa risponderebbe?
R.:"Che non si trovava da mangiare! Che poi, tra l'altro, io non lo devo dire perché la mamma...Cioè, durante il periodo prima della guerra - cioè il fascismo- in campagna non potevi portare in città il latte, non potevi portare questo, non potevi portare quello da vendere o che. Allora, un giorno, viene giù una signora - una bellissima donna - col carro e col cavallo, che lei veniva giù tutti i giorni a portare il latte nelle famiglie. E allora...Però c'era sempre le guardie civiche che gironzolavano; e lei abitava in via Medolino, una strada che collegava Pola a Medolino dove si trovavano tutte le cascine, le stansie che le chiamavamo noi. Quando è arrivata al punto di casa mia - che dove abitavo io incominciava l'asfalto e finiva la terra bianca, era proprio periferia della città di Pola-, lei li ha visti [le guardie] e si è fermata, è scesa di corsa, ha preso le marmitte che aveva del latte ed è entrata a casa mia. E ha detto [a mia madre]: signora, abbia pazienza, me li tenga. E mia madre: sh, sh, venga, venga e le ha nascoste in camera da letto. Questa è stata una conoscenza che è durata, è durata e dura ancora tutt'ora con i figli, e infatti io adesso andrò giù e sarò ospite a casa loro. Loro hanno mantenuto un anno e mezzo mia mamma, fin tanto che non le han dato il permesso per tornare. Non so, per esempio il pesce... Una volta è successo anche con il pesce: venivano giù da Medolino con il camioncino, ed è successa la stessa storia. Lì [a casa mia] si fermavano, perché sembrava quasi un confine tra la città e la periferia, e anche lì è rimasta una conoscenza e io passavo l'estate a Medolino in riva al mare proprio per la conoscenza di queste persone. Del fascismo non so, ricordo queste cose qua. Poi noi come ragazzi c'era le adunate: tutti i sabati facevamo il saggio estivo, facevamo i saggi di ginnastica nei campi sportivi. Ero solo piccola italiana, poi son diventata giovane italiana, poi dopo mi han fatto ausiliaria quando ho lavorato al distretto, mi han dato anche la divisa che non ho mai messo, perché non l'ho mai messa: necessità virtù! Dovevi anche mangiare, non c'era un uomo in casa. Avevo la befana fascista: all'epifania ti davano o la maglia o le scarpe. Al primo anno, alle elementari, mi han dato le scarpe, che poi le ho messe con la pioggia e son arrivata a casa senza scarpe, e allora l'anno dopo la mamma mi ha detto: se richiedono, dille la maglia! Cioè, almeno per me personalmente - perché torno a ripetere, mamma mi ha riparata da quel che poteva essere- non è stato un periodo [brutto]. Poi è successa la guerra, e lì le cose [sono cambiate]...Per esempio i miei... Mio zio dalla parte di papà, che abitava a vicino Pisino, l'inverno tra il '43 e il '44 i tedeschi son calati giù per i partigiani e hanno ammazzato tutti gli uomini e hanno dato fuoco ai villaggi. Perché poi non c'erano comunicazioni, c'era la guerra, non potevi andare e quando noi siamo riusciti a sapere io e mamma siamo andate su. Era la fine del '43, a cavallo del '44, un freddo! Avevano buttato del veleno nelle cisterne e lo zio si è salvato ed era solo, la zia era già mancata e lui figli non ne ha avuti. E si è salvato nella cappa del camino: ha spento il fuoco della casa con il vino. Ma non c'erano uomini: quei pochi che c'erano stati prima...Cioè i giovani erano in bosco - erano partigiani - e i vecchi li hanno ammazzati tutti. Son rimasti i ragazzini di sei, sette, otto anni. Freddo, fame, miseria, senza acqua, la luce non c'era, si andava ancora a petrolio ed era un posto che dovevi andare a piedi, a San Pietro in Selve era il primo posto che potevi comperare quello che ti poteva servire. Ecco, lì è stata proprio una tragedia, ed era tra il '43 e il '44. Noi siamo tornati poi a casa, che siamo andate solo a vedere: c'era sto zio e poi un'altra famiglia che c'era solo la donna, l'uomo no."
9) Della guerra ricorda questo. Ma ad esempio le bombe?
R.:"Ah, guardi, le bombe! Il primo bombardamento [a Pola] è stato fatto il 9 gennaio del '44. Stavo studiando, mi ricordo che ero con le ginocchia sulla sedia e i libri sul tavolo. Era di domenica, stavo studiando, perché non si andava in rifugio quella volta. Perché non si andava, erano pochi quelli che ci andavano. Perché, oltretutto, [gli aerei] li vedevamo sempre passare, perché andavano in Austria e in Germania, poi passavano sopra Fiume, facevano noi e tornavano indietro. E al mattino si vedeva sti affarini di argento in cielo quando era sereno, e di notte poi si sentivano sti rumori... E non si erano mai fermati, ed eravamo forse convinti che non sarebbe mai successo. Invece il 9 gennaio del '44, quando hanno incominciato a bombardare...Infatti una bomba è caduta a cento metri da casa nostra, che c'era una fonderia, ma quella l'han presa per sbaglio. Invece l'Arsenale, Scoglio Olivi, lì han fatto proprio disastri, ci son stati cento e più morti e la gente è scappata. Difatti c'è un articolo - lo leggevo proprio ieri sera- di un ragazzo che racconta che lui era in chiesa, alla chiesa di San Giuseppe in via Carlo De Franceschi, che poi è stata bombardata e lui si è trovato che doveva correre in rifugio. E si è trovato sta salita per arrivare a Monte Zaro dove c'era sto rifugio. E noi l'avevamo abbastanza vicino, perché c'era il forte di San Michele e sotto c'era il rifugio. E dopo abbiam cominciato ad andare. E dopo - il 22 di gennaio - c'è stato subito l'altro [bombardamento] e poi c'è ne sono stati venticinque, anzi ventidue in tutto!"
10) Ora le chiedo un'altra cosa: si ricorda l'ingresso a Pola dei titini?
R.:"Si, si, perché siamo andati a vederli. Una cosa...Perché forse anche avevamo un po' quell'idea di una cosa... Eravamo poveri, cioè la vita che faceva mia mamma e che facevo io, anche mio marito con suo padre, cioè, operai, del ceto più basso, gente che lavorava. E dicevamo: ma, cambierà, sarà. Avevamo tutti anche avuto parentele che nel tempo del fascismo avevano quelle idee verso il comunismo o che so mi, e allora siamo andati a vedere sta sfilata. Solo che era una sfilata di poveri disperati scalcagnati, mal conciati e mal messi. Si, si, Zivio Tito, Pola italiana, Pola Tito...Non è stato facile, ci siamo chiusi un po'. Mio marito aveva parecchi amici in bosco. Lui non è andato perché l'hanno chiamato militare, è andato a Modena e poi lo han rimandato giù perché doveva dare l'esame di stato. E si è trovato Pola a dare l'esame di stato. Dato quello lo hanno chiamato al distretto, dove poi ha preso un fucilata in un ginocchio, in fureria, un incidente con un altro militare che poi è scappato. Quello lo ha escluso, perché probabilmente ci sarebbe andato in bosco, perché era l'unico di una compagnia di dodici, tredici ragazzi: tutti giocavano al pallone, perché lì avevano la squadra del Grion; perciò giocava a calcio, e c'è n'era in sta combriccola. E quando c'è uno, c'è l'altro e c'è il terzo, vieni coinvolto e allora vai. Lui è rimasto fuori per questo fatto, e poi era in distretto dove io l'ho conosciuto".
11) Quindi voi eravate delusi dai titini?
R.:"Delusi e non delusi, perché appena arrivati - è logico - chi era già su quella strada lì li ha accolti malamente. Tanti poi di questi titini - diciamo comunisti- son finiti in prigione, perché poi tanti sono andati in prigione. Una ragazza della mia stessa età - eravamo amiche- l'hanno seviziata e tutto, ma lì erano i tedeschi. Perché poi noi siamo rimasti quaranta giorni sotto loro, di cui l'impressione è stata pessima, anche il modo di fare. Che poi erano persone che avevano vissuto in bosco per tanti mesi, sporchi, mal messi. Quando nel palazzo della Banca d'Italia nella vasca da bagno mettevano le galline e coltivavano il prezzemolo, perché non sapevano cos'era un gabinetto, non sapevano cos'era una vasca da bagno, non sapevano cos'era un bidè, beh, lasciamo da parte il bidè che neanche i francesi lo sanno! Poi han cominciato a pestare, picchiare, urlare: è stato un momento non sereno. D'altro canto c'erano due parti completamente diverse, non c'era una via di mezzo, il giorno e la notte, e non era facile."
12) Prima dell'esodo gli italiani d'Istria sono colpiti dalla tragedia delle foibe. Voi ne eravate a conoscenza, ne avevate la percezione?
R.:"Sapevamo che sparivano, sapevamo che non c'erano più, perché sparivano le persone e non sapevi che fine facevano. Ma tra i tedeschi, tra i titini nel bosco, tra i fascisti, c'era il problema che non riuscivi neanche a capire - penso - e io, oltretutto, di politica [non mi interessavo], e poi ero ragazzina."
13) Quindi le persone sparivano...
R.:"Si, non si sapeva più niente: ti dicevano, guarda non c'è più. Anche sta ragazza, Ninetta - si chiamava Antonia ma noi la chiamavamo Ninetta -, lei era stata eletta le reginetta della stella rossa, che c'è stato un veglione, un ballo, al teatro Ciscutti di Pola, e lei era stata eletta. Era una bellissima ragazza, proprio una bella ragazza. Il giorno dopo Marino -mio marito - viene a casa - non eravamo ancora sposati - e mi dice: sai [Ninetta]? Non c'è più, non c'è più. Son venuti a casa - la mamma dice che c'è n'erano due-, l'han pigliata e l'han portata via, e nessuno sapeva niente. Poi dopo parecchio tempo è stata rilasciata...E a Pola c'erano i sotterranei, c'erano ste camere che seviziavano...Questi erano i fascisti. C'è stato quel momento in cui non c'erano regole, c'era gran confusione e uno non capiva niente, non si capiva. Non lo so, io ero troppo giovane e non nell'ambiente. So che una volta un partigiano -fratello di una di queste che io adesso andrò a Pola a [trovare]- era in bosco, l'hanno portato a casa ed è stato a casa nostra fin tanto che loro hanno preparato un posto dove metterlo, perché era malato. Cioè c'erano queste situazioni un po' ambigue, non sapevi, un po' vai con l'uno e un po' vai [con l'altro]. Andavamo ad attaccare i manifesti sotto il naso dei tedeschi, di propaganda per Pola italiana da una parte e per Pola croata dall'altra. Cioè, era un po'...Subito, dopo no, quando sono arrivati gli inglesi - e li abbiamo avuti per più di due anni - le cose si sono normalizzate abbastanza. Solo che eravamo chiusi noi, a dieci chilometri c'era già Tito e ogni tanto, anche in quel periodo, sparivano. Sparivano le persone."
14) Senta, vorrei chiederle ancora una cosa. Si ricorda di Vergarolla?
R.:"Oh si, perché quel giorno, combinazione...Andavamo molto al mare, però non frequentavamo quella parte lì, perché Vergarolla era vicino a Stoia. Stoia era il bagno dell'élite, [mentre] noi andavamo molto a Valcane, noi si andava a Valcane. E quel giorno - non eravamo sposati- volevo andare al mare e mio marito mi disse: ah, guarda, non andiamo oggi al mare, lasciamo perdere, io devo stare a casa con mamma e papà, che poi brontolano. Mia mamma - non so perché- si è incavolata e ha detto: vuoi venire? Andiamo al mare io e te. Oltretutto non c'erano bus, andavi a piedi e facevi chilometri e chilometri. E siamo andate a Verudella, dove [oggi] c'è un affare [albergo] enorme, bellissimo, però quella volta c'era proprio, proprio niente. E mi ricordo che abbiam sentito sto grosso botto e diciamo: chissà che diavolo è successo? Poi tornando giù sirene, ambulanze e che, e abbiam saputo di questo fatto. Ancora oggi la faccenda non è chiara di cosa sia stato realmente: chi dice che i tedeschi quando sono andati via avevano lasciato le bombe che qualcuno poi ha dato fuoco, chi dice invece che magari il caldo il sole o cosa abbia fatto scoppiarle; insomma, la verità [non si sa]. Si sa solo che [ci sono stati] un sacco di morti e Micheletti il dottore che operava e che c'era, che ha perso due figli lì, che lui si è trovato davanti i due figli e non so se il cognato o la sorella, o comunque dei parenti."
15) Parliamo adesso dell'esodo. Mi ha detto di essere partita nel '48. Della sua famiglia è rimasta sua mamma, mentre voi siete partiti. Lei saprebbe darmi una descrizione di Pola durante i giorni dell'esodo? Cioè, era una città che si svuotava?
R.:"Si, si. Lei vedeva le case, non trovava più gente per la strada, e cioè, si stava svuotando. Io abitavo con mia mamma alle Baracchette Rismondo le chiamavano: c'eran tutte baracchette in via Medolino. Tipo le Baracche, ma erano diverse da quelle di Policarpo, quelle di Policarpo erano Baracche fatte dall'Arsenale per i suoi dipendenti. Queste baracchette qui c'era proprio un proprietario. Per andar[ci] dal mercato di Pola si prendeva la via Medolino, si passava davanti all'edificio dove c'era il liceo - c'è un bellissimo palazzo fatto dall'Austria dove c'era il liceo e adesso continua ad esserci ancora- e si andava avanti in sta strada che era via Medolino e che portava a Medolino e lì c'erano le baracchette, le chiamavano. C'era tutto un rettangolo, e cioè si entrava e c'erano tutte casette basse. Aveva due entrate: l'entrata grossa che si entrava in un enorme cortile - adesso han fatto un palazzone che è talmente brutto!- e attorno, a ferro di cavallo, c'erano queste baracchette; queste basse, laterali, non c'erano gradini, le altre c'era la gradinata che si andava alla parte alta dove noi ragazzini giocavamo a nasconderci. E lì c'era un pozzo - subito, poi Mussolini ha fatto mettere l'acqua - dove tutti con la catena e con il secchio prendevamo l'acqua. Noi entravamo da un'entrata laterale di questo cortile, e c'erano tre famiglie: io e mia mamma abitavamo alla prima porta. C'era un grossissimo stanzone diviso a metà e abitavamo io e lei, poi la seconda porta c'era la famiglia S.-cich, che la mamma era anziana e aveva avuto problemi - era tutta storta, gobba - e aveva tre figli. Uno cantava nei cori, uno era sempre ubriaco e uno era un povero disgraziato; il marito non l'ho conosciuto, non so. L'ultima porta c'era di nuovo una famiglia: marito e moglie con tre figli, e loro avevano un grosso orto, proprio un orto che coltivavano la verdura, e lui aveva l'acqua lì, dove noi andavamo a prendere l'acqua coi secchi per non fare tutto il giro del cortile. Subito lo facevamo, poi dopo lui c'ha dato sto permesso di poter prendere l'acqua là, e lui aveva tre figli: uno mi han detto che è mancato, uno è a Milano che scrive anche su L'Arena [di Pola] e uno è mancato, era bersagliere, dice che aveva avuto problemi alle gambe. E in queste baracchette c'erano un sacco di famiglie, era tutta gente povera che lavoravano, e quando noi abbiamo deciso di sposarci, perché poi, viste le cose mia mamma ha detto - e anche i suoi [i genitori di mio marito]- ragazzi, sposatevi. E la cosa di incoscienza dei ragazzi giovani, ci siam sposati, e abbiam cercato casa. E lì c'era una scelta di alloggi a non finire, perché la gente dal febbraio del '47 era andata via. E noi ci siamo sposati nel '47 e siamo venuti via nel '48."
16) Dunque una città che si svuotava...
R.:"Che si svuotava: vedevi le persiane chiuse, poca gente in giro, e poi piano piano, poi col tempo si è popolata con la gente che è venuta giù. Adesso hanno costruito casermoni enormi, mentre le prime case costruite adesso sarebbero già de demolire perché son in malora!"
17) Posso chiederle quali sono stati i motivi che l'hanno spinta a partire?
R.:"Per un vivere diverso e per le idee diverse. Ma, più che le idee - a parte il fascismo e il comunismo- eravamo tutti cristiani, religiosi, e lì hanno cominciato a chiudere [le chiese]. Per i nostri vecchi, forse, è stato anche quello e cioè il fatto di chiudere le chiese, di quasi nasconderti se andavi a messa. Mancava tutto: al mattino alle quattro o alle tre dovevi andare a metterti in fila per prendere qualcosa, non c'era niente. E poi il fatto di cominciare questo attrito, questo odio per gli italiani, e perché? Perché? Tante volte ci penso, e dico: avessimo avuto ventidue o ventitre anni prima di andare via forse le nostre idee sarebbero state più chiare, più mature. Eravamo troppo giovani e quella vita non ci apparteneva, non andava bene per noi. Avevamo già sofferto, avevamo avuto un'infanzia di disagio e di miseria e pensavamo qualcosa di più, perché per venire via senza sapere né cosa, né come né che...Perché chi è andato via che aveva un appoggio è andato via - io dico sempre - e ha fatto benissimo, pur forse non avendo completamente le idee di andare via, però cambiava completamente vita per persone come noi. Cioè, ha sempre parlato italiano, insomma, si frequentava, si andava e si girava senza problemi. Adesso con queste persone qui che si son presentate nei primi momenti anche non bene, cioè la paura forse di cosa poteva succedere, di cosa poteva capitare. Adesso chi è rimasto - io ho ancora due amiche che hanno due anni più di me-, loro han sempre parlato slavo in casa loro, cioè sanno l'italiano ma scrivono malamente. Invece adesso il figlio ha avuto una figlia sposata che abita a Fiume e che manda la bambina a scuola italiana. Questo succedere di cose, capitate anche tante assieme, senza nemmeno poterti [rendere conto]. Poi hai cominciato a vedere gli amici che se ne vanno, i parenti che se ne vanno, tutti che se ne vanno, e infatti io i miei li ho sparsi un po' dappertutto. E anche mio marito, da Dignano i suoi sono andati via subito nel '47 e buona parte si è poi fermata a Monfalcone. Come da Monfalcone poi son venuti giù, che poi poveracci hanno fatto una brutta fine! Cioè, è tutto l'insieme: fascisti non lo eravamo, comunisti non lo eravamo, eravamo cattolici. Almeno la mia famiglia e la famiglia di mio marito."
18) Ora le ribalto la domanda: molta gente - direi la gran parte - è andata via, però qualcuno è rimasto. Posso chiederle, secondo lei, perché?
R.:"Forse perché speravano in qualche cosa di diverso. Io penso più perché stufi e stanchi dei fascisti, del fascismo più che tutto, di quello che ha [fatto]. E purtroppo loro adesso mi dicono: guarda, noi quella volta, i nostri vecchi, quando han cambiato tutte le vie, tutti i nomi italiani. Nell'interno dell'Istria, avessero messo il bilingue, addolcivi la pillola! Se lasciavi qualche scuola: metti delle scuole croate con un indirizzo un po' italiano, ma non di punto in bianco. Come fai a cambiare? Io penso che chi è rimasto, qualcuno...Per esempio l'altra mia amica aveva il marito che aveva tutti i fratelli in Australia, di qua o di là, tutti fuori, sono andati via subito. Lei non sarebbe forse in fondo in fondo - perché lei ha fatto scuola italiana, ha fatto studiare la figlia a scuola italiana- e suo marito è finito nell'Isola Calva, perché si chiamava B-ottich, poi è arrivato il fascismo e gli ha messo B-otti, ma lui poi non ha voluto tornare B-ottich. La figlia ha fatto l'Università a Trieste e a Padova, adesso si è sposata e abita in Slovenia, a Pirano, e il marito lavora a Radio Capodistria. E lei in principio era a Rovigno negli Uffici dei palazzi antichi e adesso loro hanno avuto un figlio - italiano completo - ma anche in Slovenia il ragazzo è stato bistrattato tante volte. Che poi adesso il ragazzo è andato a Roma e ha fatto l'università per cose di televisione e comunicazione, ma in Italia. Però suo nonno è stato all'Isola Calva, e sto povero uomo per tanti anni noi siamo andati là, siamo stati ospiti là e mai ne ha parlato. Solo ultimamente lo ha fatto con me: io sono andata tre anni fa - e lui c'era ancora - e ne abbiam parlato, si è un po' sbottonato. E la moglie mi diceva: ti avrà detto qualcosa, ma l'unica con cui ha parlato è sempre stato con me, con nessun altro. Non ha mai parlato di quello che lui ha visto, di cosa ha sofferto e di cosa gli è capitato all'Isola Calva, tutto perché non ha voluto cambiare il cognome. Tante persone anche son rimaste per gli anziani; cioè ci si è anche barcamenati un po'. C'erano [i fascisti], ma io dico che chi era realmente fascista, i capoccia, son scappati ancora prima, non hanno aspettato l'esodo del '47. Se non sono andati [via] subito, sono andati subito dopo, quando c'era la AMG, gli anglo-americani. Però quei quattro giorni penso che hanno strizzato da morire, chi era veramente [fascista]. Son venuti e avevano anche posti dove poi sono finiti. Chi lavorava nei posti pubblici, assicurazioni, INPS, INAIL e tutto quello che c'era, che son stati trasferiti per lavoro, per l'impiego, è ancora meglio. Perchè mia cugina che lavorava agli infortuni a Pola è stata trasferita a Genova. In un alloggetto piccolino, però col lavoro pronto: il marito lavorava - mi sembra - al Genio Marino ed è finito anche a Genova. C'è stato un punto di appoggio, e anche questa mia amica che è a Milano, suo papà e suo fratello lavoravano in comune, perciò il lavoro l'ha avuto a Milano, c'è stato un trasferimento, hanno visto brutto e bello, perché son stati bistrattati nella stazione quando sono arrivati a Milano - so che ogni tanto raccontava - però poi uno stipendio arrivava. I poveracci di come eravamo noi di quell'età - diciannove, venti, ventuno anni- che non c'era stata la possibilità di sistemarti perché c'era la guerra, erano militari, è diventato forse un po' più difficile."
19) Lei si ricorda il viaggio?
R.:"Noi siamo partiti in treno da Pola e siamo arrivati a Trieste. A Trieste io avevo dei cugini e c'era mio zio. Si andava al Silos di Trieste: mio marito aveva la febbre e allora io sono andata coi documenti al Silos e i miei suoceri e mia cognata col bimbo erano andati là, perché intanto avevamo perso il marito suo per la strada. E allora sono andata al Silos e ho detto che mio marito aveva la febbre e loro mi hanno detto: si, si, se ha dove stare può stare e lui è rimasto là da mia zia, una notte. Siamo partiti da Pola il 16 e il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre, avevamo spedito il vagone dei mobili, di quello che avevamo portato via di tre famiglie, perché eravamo mia cognata, mia suocera e noi. Perciò mobili pochi e niente...Ho qualcosa ancora che gira, ma non è a casa mia, è a casa di mia cognata. Il 13 quello e il 16 noi partiamo al mattino e arriviamo al pomeriggio. Ci sistemiamo e al 17 si parte per Udine. E Udine era il campo profughi dove c'era lo smistamento. Allora, se andavamo per conto nostro ce ne andavamo e loro si lavavano le mani: c'era un sussidio- mi sembra 30.000 Lire- di buonuscita subito, mentre se volevamo vedere la destinazione, la destinazione di dove siamo arrivati noi in quel periodo era Gaeta. Allora mia cognata ha detto: no, io c'ho il bambino, c'è mio marito e io vado da mia suocera, noi andiamo là. I miei suoceri dicono: ma, almeno conosciamo, è vicino Torino, a Torino di Dignano c'è n'erano che erano arrivati e lavoravano alla Fiat, e a Mondovì anche c'erano già due famiglie, e allora così decidiamo di andare per conto nostro e ci hanno dato il foglio di via. Siamo partiti di là tutti meno che mio cognato che avremmo dovuto trovare a Venezia. Perché siamo arrivati al 18 sera a Venezia da Udine, dove ci hanno rifocillato, effettivamente, anche il bambino, che hanno lavato, cambiato e tutto, e poi ci hanno fatto salire [su un treno]. Mio cognato intanto era sparito, non sapevamo dov'era, e poi non c'erano telefoni, non c'era comunicazione. Siamo partiti alla sera - la sera o la mattina presto, non mi ricordo-, era buio, dicembre, e siamo arrivati a Torino. A Torino sapevano, cioè il fratello di mio cognato e la sua mamma sapevano che dovevamo arrivare nel primo pomeriggio a Mondovì, sempre in treno. Soltanto che noi partendo da Torino c'erano due treni con poca differenza l'uno dall'altro, ma uno non si fermava a Mondovì, e uno si fermava. Avremmo dovuto scendere non so se a Savigliano o a Fossano, non mi ricordo. E allora noi abbiamo scelto quello da non scendere, perché abbiam detto come facciamo? Due valigie legate col cartone, sto bimbo di undici mesi, freddo, neve che veniva giù...E allora suo fratello era venuto alla stazione ma al treno prima, perciò non abbiamo trovato nessuno quando siamo usciti dalla stazione nuova, che era in periferia. Adesso è abbastanza in centro, ma quella volta era periferia, perché in quello spiazzo c'erano sette case fatte da Mussolini, e poi siamo arrivati su, perché i suoi stavano su a Piazza."
20) Lei ha quindi scelto Mondovì perché aveva un appoggio...
R.:"Si. E lì io sinceramente non posso dir male."
21) Di Mondovì, se non le spiace, parliamo dopo. Vorrei solo chiederle che ricordi ha del Silos e del campo di Udine...
R.:"Erano campi profughi, ho dormito sulla paglia senza [niente], buttata lì, così. Io ho un ricordo vago, perché Trieste le dicevo che son stata poi dai miei, però lì siam stati fermati una notte sola perché l'indomani siamo andati [via], e da Udine siamo partiti il 18, e perciò poca roba. Una notte sui pagliericci, anzi non pagliericci, paglia intera! Eravamo seduti lì, per terra, senza niente...Era una caserma, qualcosa di grosso, tutti insieme, come le Casermette di San Paolo che lei conosce".
22) Posso chiederle come mai uno andava a finire ad esempio a Gaeta piuttosto che a Torino? Cioè, si poteva scegliere la destinazione?
R.:" No, non si poteva scegliere, in quel momento non si poteva. C'era un flusso continuo, perciò dove sapevano che c'era posto loro si appoggiavano. Poi dopo in un secondo tempo, qualcuno normalizzandosi un po' la cosa avrebbe potuto. Perché noi abbiam tentato di venire alle Casermette di Torino anche, c'è stata una famiglia di Pola che ci ha fatto da garante che ci teneva lei, perché doveva esserci qualcuno che garantiva per te che stavi lì, e abbiam provato un mese per vedere se riuscivamo a trovare, ma poi visto che le cose non andavano siamo tornati a Mondovì."
23) Ecco, parliamo di Mondovì. Dove va ad abitare a Mondovì?
R.:"La prima notte in una camera ammobiliata. No, anzi, per parecchie notti...Perché il vagone [dei mobili] è arrivato il 1 di gennaio senza documenti. Comunque, arriviamo e si mangiava dalla suocera di mia cognata, che lei aveva l'alloggio e ha ospitato tutti quanti là, meno io e mio marito. Noi ci aveva trovato una camera ammobiliata, ma non le dico...Al quarto piano, con un freddo! Tutto il ghiaccio sui vetri! C'era una brocca con l'acqua e al mattino la trovavi ghiacciata, ed è per quello che le dico che l'età ha contato molto, ha contato proprio tanto. Comunque mangiavamo là, oppure abbiam mangiato qualche volta anche a casa di questo fratello, che aveva tre bambini e lavorava alla Desio, [la fabbrica] dei piatti. Insomma, poi ci siamo dati da fare a cercare qualcosa, e abbiam trovato una stanza, perché sti mobili prima o dopo arrivavano. E lì dalla suocera di mia cognata c'era anche il posto, avrebbero potuto, poi la padrona di casa aveva una camera libera e ha messo per mio suocero, e noi abbiamo trovato una stanza senza luce, senza acqua, senza gas e senza gabinetto. E sto vagone arriva e al 2 vengono i carabinieri a chiedere che c'era sto vagone in sosta, a Torino, e bisognava andare a sdoganarlo perché era arrivato senza documenti e da lì hanno cercato. Sapevano solo che veniva in Piemonte, nient'altro. Qualcuno, gentilmente, ha tolto i documenti - perché poi l'abbiamo saputo, chi non sapevamo di persona, però sapevamo da dove- e allora han detto: gente della prefettura ci aveva detto che nel comune di Mondovì era arrivata una famiglia, cioè tre famiglie insieme, e allora sono venuti i carabinieri a dirci che era nostro. E io al 2 di gennaio - perché con tre uomini in casa, perché intanto era arrivato anche mio cognato - sono andata a Torino. Invece che partire al mattino sono partita al pomeriggio e sono arrivata alla sera: [era] buio, un freddo! E avevo un indirizzo di via Nizza, di una famiglia che era di Pola, che abitava vicino a noi e che era venuta via nel '47. E noi li conoscevamo e vicino a noi abitavano le zie anche di queste persone e ci avevano detto: ah, a Torino, se poi vi capita l'occasione vi do l'indirizzo, ed è stato una manna, perché io - incosciente - arrivare a Torino, di sera...Forse pensavo che trovavo il vagone fuori dalla stazione, non lo so! Allora esco, c'era un vigile, ho chiesto e mi dice: guardi signora, per via Nizza deve prendere il primo tram che passa, salga e poi chieda al conduttore che la faccia scendere a questo numero. Io salgo e l'altro mi dice: signora, a metà strada il tram gira, e poi c'ha un altro pezzo bello lungo da fare a piedi, perché è proprio in fondo. E mi son detta: va beh, lo faremo. E mi son presentata da queste persone che, gentilissime, brave, mi hanno ospitato, mi han dato da mangiare, da dormire e tutto quanto e l'indomani mi hanno accompagnato poi a sdoganare sto vagone per portarlo a casa. E lì abbiamo caricato tutto in un atrio di quei palazzi vecchi di Mondovì Piazza, un atrio enorme e lì abbiam scaricato tutto, perché nei binari c'era neve, poi freddo e noi non eravamo abituati. E poi abbiamo diviso sta roba in vari posti e in questa camera ci siamo sistemati. Poi i vicini - e torno a ripetere io ho un buonissimo ricordo di tutti- che lì c'era due famiglie, gente povera, lui faceva l'operaio e le donne andavano a ore a servizio, avevano dei bambini. E allora io mi sono offerta a guardare sti bambini, a portarli all'asilo o che, e allora chi mi dava l'acqua e chi mi dava il gas. E sulla scala c'era un gabinetto di quelli aperti, solo che dirimpetto alla strada, dall'altra parte, c'era una bettola, e la sera quando uscivano di là tutti ciucchi avevano l'abitudine - che poi dopo, piano piano gliel'abbiamo fatta perdere - di uscire ciucchi e venire in questo gabinetto. Perciò lei immagini un po' al mattino! Poi dopo...Il primo lavoro che mio marito ha fatto è andato a spalare la neve, perché non c'erano tutti i macchinari che ci sono adesso: appena arrivato si è subito iscritto all'ufficio di collocamento e tutti e tre i uomini sono andati a spalare la neve. Ecco, quello è stato il primo lavoro. E lì le cose sono state un attimo come si può, perché poi si era iscritto al collocamento come ragioniere e, insomma, cose così. Poi la gente diceva son venuti per portarci via [il lavoro], perché anche da noi, c'era miseria, finita la guerra, era un periodo [difficile]. Sto leggendo un libro di Nuto Revelli, Le due guerre, che io di Mondovì e di Cuneo mi immedesimo in loro e già quella volta pensavo: hanno anche ragione, c'è miseria, c'è fame e arriva gente che non sanno né dove, né cosa, né come né che. Comunque, ci siam dati da fare, a far servizio, lavar scale, pulire la neve e questo era fine '48 inizio '49. Poi - dev'essere tra fine del '49 e inizio del '50 - si era presentato un posto in Comune e allora avevano fatto un bando di concorso per titoli, di cui io ho fatto subito domanda. Ho presentato i documenti e in più per il fatto di essere profuga...Andava via una signora, una signorina che si sposava ed espatriava e c'era il posto in Comune come impiegata. Io ho presentato tutti in documenti e sarebbero stati costretti a prendermi in quanto profuga, perché quello come punteggio era più alto, [cioè] oltre a tutti i titoli che a loro servivano c'era ancora quello. Il posto è stato vuoto per anni, per secoli. Si è opposto il sindaco e si è opposto uno del partito repubblicano, e così il posto è stato vuoto. Ecco, questo è stato un fatto contro di noi, diciamo, lì. E il secondo [è stato] quando nel '54 mio marito ha fatto il concorso per la Cassa di Risparmio: c'erano dieci posti e lui non ne voleva sapere. Perché lui diceva: puoi capire, veniamo da via, ci conoscono tutti e se anche avessi la fortuna di vincerlo mai più mi prendono. Una volta, le banche...Poi la Cassa di Risparmio, sta banca del cuneese, monregalese... E comunque fa la domanda ed esce, è il quarto in graduatoria, perciò...Il mattino vado dal negoziante dove facevo la spesa e mi dice: signora, come va? Che tra l'altro questa persona nel '52, quando ci hanno dato la Casa Fanfani...In quel periodo mio marito lavorava come manovale in un'impresa di costruzioni e il geometra, parlando, aveva capito che era un ragioniere, e allora le dava da tenere la contabilità e le paghe a casa e io e lui lo facevamo alla sera. E avevamo ordinato la camera da letto perché ci avevano dato sta casa e non avevamo cosa mettere dentro, e costava 150.000 Lire, fatta da un falegname che viveva lavorando così proprio. E nel mentre questa impresa fa fallimento, e noi contavamo su questi soldi da prendere per saldare la camera: avevamo dato 50.000 Lire in contanti e i soldi - le 100.000 Lire- per pagare questo falegname non venivano. Un giorno sono andata da questo negoziante e gli ho detto: senta un po' signor G...E lui mi dice: che problema [c'è]? Perché ci avevano poi presi a bon volere... E mi dice è contenta che ha preso la casa? E gli ho detto: cavoli, altro che contenta! Almeno c'è un gabinetto, c'è l'acqua, la luce, c'è il gas e tutto quello che serve. E io avevo già la bimba - aveva neanche due anni - e intanto era arrivata anche mia mamma. E lui mi dice: di cosa ha bisogno? Queste sono le precise parole. E io [rispondo]: guardi, è così, così e così. E lui: cosa le serve? Mi servono 100.000 Lire da pagare quel povero diavolo [del falegname], perché lo vedevi, lavorava in un bugigattolo di falegnameria, aveva tre figli e lavorava anche lui per mangiare. E io ho vergogna anche a passarle davanti, perché so che ha bisogno [dei soldi]. Ma io non so dove [prenderli], perché o vado a rubare o faccio la prostituta, non so! E lui me li ha dati così [in mano] e mi ha detto: tra me e lei. Cosa vuole? Niente, non voglio niente, quando avrà la possibilità e che potrà me li restituirà. E questo è stato di nuovo un atto di fiducia per tirarti un po' su. Che comunque quando mio marito vince sto concorso, vado a far la spesa e lui stesso, che intanto lo avevamo pagato e tutto, perché poi mio marito ha fatto per tanti mesi il collocatore comunale. Andava in bicicletta a Niella Tanaro, Cigliè, Rocca Cigliè, Magliano Alpi, Monastero Basso, tutto in bicicletta! Nel '51, quando c'è stato il censimento, aveva fatto domanda se lo prendevano, però bisognava andare anche Niella Tanaro in quel periodo. Ed era...novembre, si novembre, perché io a dicembre ho avuto la figlia e a novembre ero di otto mesi. Ha parlato con il commesso comunale e lui gli aveva detto: come dovrei fare? Ma, faccia domanda, poi se la prendono vediamo un po'. Verrebbe sua moglie? Si, mia moglie verrebbe, ma verrebbe col treno, c'ha la pancia E il treno arrivava fino a Bastia, non arrivava fino a Niella Tanaro. E lui gli ha detto, stia tranquillo, la vado a prendere in macchina! Lei fa presenza, ed è come fosse lei. Insomma, per due volte a novembre ci sono andata io a fare il censimento. E nel '54 vado a fare la spesa e mi dice: guardi, non sappiamo niente. Non le han detto niente? No, guardi, le speranze son minime. Li vicino abitava il direttore della Cassa di Risparmio e al negoziante gli aveva detto che mio marito era il quarto in graduatoria. Lui me lo disse, ma mi disse anche che volevano sapere il come il perché, la famiglia, perché siete venuti via, cosa facevate, e dovrebbe quindi trovare qualcuno che garantisca, cioè qualcuno che vi conosce e che non è uno qualunque. E adesso cosa facciamo? E in quel periodo intanto avevamo saputo che [Nando G.] lavorava alla Casa di Risparmio di Savigliano, era il '54. Lui era arrivato su, aveva già i parenti e cosa, era già ben sistemato. Eh...Forse era venuto una volta, era passato a Mondovì a casa nostra: gliene ho parlato ieri, ma lui non si ricordava! E allora mio marito - telefono non l'avevamo, o cosa- ha detto: io vado, l'unico che può dire qualcosa è lui. E allora è andato su e ha parlato con Nando e Nando so che le aveva detto: ma perché non sei venuto prima? Avrei potuto [aiutarti]. No, guarda, è solo che adesso mi serve, me l'hanno detto apertamente, cioè che il motivo per cui sono così è perché perché, perché, perché così. E allora dice: guarda, parlo col direttore - era impiegato quella volta- e vedrai che io posso garantire. Anche perché avevano fatto le scuole insieme e perciò dice: spero di poterti dare una mano. Infatti ieri, quando gliel'ho detto mi ha detto: sai che non me lo ricordo? Eh, ma io si! Me lo ricordo perché è stato... I due casi che mi ricordo sono quello brutto perché non mi avevano accettato in Comune di cui avrei potuto lavorare tranquilla e avere uno stipendio, e [poi] il fatto che tu hai garantito per Marino perché probabilmente lui non sarebbe riuscito a entrare [in banca]."
24) Parliamo ora dell'accoglienza. Come siete stati accolti qui a Mondovì? Ci sono stati degli episodi di discriminazione?
R.:"No. Si, certo, ma io non ne dubito che sia vero. Per me è stato nuovo anche sentirne parlare dopo anni, perché subito non è che se n'è parlato, perché ognuno aveva i suoi problemi fin sopra i capelli, perciò...Poi dopo col tempo, incontrandoci e avendo anche più possibilità di contatto s'è n'è parlato. Ma noi, sinceramente... Io sarei una disperata, una disgraziata a dirlo."
25) Ho capito. Ma senta, posso chiederle perché il sindaco si è opposto?
R.:"Beh, ecco, perché non eravamo del posto, perché non eravamo di là. Per il fatto che lui sapeva che piemontesi - proprio monregalesi- c'è n'era qualcuno che aveva bisogno, e io venivo da via, non sapendo né cosa, né dove, né che."
26) Un po' come se venisse a rubare il lavoro...
R.:"Io l'ho sempre messa su quel piano lì, e me lo conferma ancora di più il libro di Revelli, perché anche lui parla del principio e della fine della guerra e quello che c'era. E io dico, è logico, tu ti vedi magari un figlio che è nato qui, ha studiato qui e potrebbe essere assunto e viene uno che è un estraneo che non sappiamo né dove né cosa, perché ancora oggi qualcuno non sa [dov'è l'Istria]. Non tanto tempo fa, due mesi fa, mi han detto: ma parlavate proprio italiano a casa, da quelle parti? Ma non la gente, una professoressa! Della mia età...E lei mi dice: noi abbiam sentito parlare in famiglia, perché il marito era poi funzionario alla Cassa [di risparmio] -adesso è mancato- , abbiamo sentito da voi ultimamente parlare delle foibe, degli esuli o cosa. Noi sapevamo che venivate da quelle parti, ma mai pensando che succedeva tutto questo."
27) Lei prima mi ha parlato di una Casa Fanfani. Era a Mondovì?
R.:"Si."
28) Posso chiederla come l'ha avuta?
R.:"Eh, perché ci voleva la graduatoria."
29) Me lo racconti...
R.:"Quando mio marito ha lavorato, ha fatto il collocatore comunale - e prima ha lavorato, ha fatto il manovale sotto questa ditta Lubatti - l'avevano messo a posto con le marchette. Ne aveva tre o quattro di marchette, non ne aveva di più, ma gli son servite a sufficienza per poter fare domanda. Perché se anche eravamo profughi e non avevamo un lavoro o un qualche cosa, probabilmente non l'avremo [presa]."
30) Ma mi scusi, perché era a riscatto?
R.:"Si,si, erano quelle a riscatto."
31) E l'hanno costruite a Mondovì?
R.:"Su a Piazza, in Piazza d'Armi, ed è bella, è ancora molto ben tenuta. [Erano] dodici alloggi, e noi siamo stati gli ultimi ad averlo: ho fatto domanda, essendo profughi. In quel periodo lì avevamo cambiato camera, sempre nello stesso palazzo, ma più grande. Allora, dormivamo mia mamma, mia figlia di neanche due anni - un anno e mezzo- , io e mio marito. Allora, avevamo una poltrona che faceva poltrona letto, e un pagliericcio con le gambe che faceva da sofà di giorno. Di notte si tirava giù sta poltrona e si univa il pagliericcio - lei riderà, ma glielo giuro, è la sacrosanta verità- . Allora, mia figlia era pestifera - probabilmente avrà sofferto anche lei la mia gravidanza e via discorrendo- , ma comunque... Lei [era] nella culla e non dormiva quasi mai, e questo pagliericcio e questa poltrona letto la univamo insieme, in modo che dormiva mia mamma, io e mio marito, tutti e tre insieme e la bimba in culla, da quella parte. Al mattino si tirava su e c'era spazio; insomma [ci] si barcamenava. E allora lì, quando abbiam fatto domanda, son venuti a vedere e a controllare se realmente era vero quello che c'era scritto. Ed è passato un anno abbondante prima che poi [entrassimo]. E siamo rimasti poi gli ultimi, proprio eravamo gli ultimi, i dodicesimi. Perciò le situazioni, un po'... Io penso anche proprio per il fatto che tutti gli altri son strati piemontesi. Cioè, magari non c'erano anche altri, comunque è andata bene, l'abbiamo avuta."
32) Di giuliani, comunque, là c'eravate solo voi...
R.:"Si. Ah no, piano, piano, piano! C'era già una fiumana, che lei è di Fiume e lui rumeno? Ma, son venuti forse ancora prima di noi - si, prima di noi -, perché lei è stata trasferita come comune, e aveva - anzi, ha, perché sono ancora in vita - una sorella a Torino. E quella è un 'altra cosa, e cioè che non si è mai approfondita realmente la faccenda, neanche con loro, di sapere cosa e cosa. Lei dev'essere andata dalla sorella a Torino, e lì poi l'hanno destinata a Mondovì. Quando l'hanno destinata a Mondovì, combinazione c'è stato questo bando della Casa Fanfani e lei ha fatto domanda. E gliel'hanno data".
33) Di esuli giuliani - che le sappia - su questo territorio c'è n'erano tanti? Cioè, lei aveva o ha tutt'ora dei contatti?
R.:"A Mondovì a Piazza c'è n'era diversi, perché c'era gente che poi sono emigrati via. Uno era che lavorava alle ferrovie - era di Dignano - ed è stato trasferito qui e lavorava nella stazione vecchia di Mondovì, giù in basso. Era marito e moglie e due figli. Due figli che poi dopo quando lui è andato in pensione si son tutti trasferiti a Torino, ma oramai ci siamo persi."
34) E queste persone dove stavano, in case separate?
R.:"No, no, tutti abbiam trovato alloggi, si, si."
35) Si ricorda se voi avevate qualche tipo di assistenza oppure no?
R.:"Oh, guardi, io ho avuto la prima figlia a dicembre del '51 con il libretto di povertà. Avevamo - mi sembra - 100 Lire il capofamiglia e 15 le persone a carico, per un dato periodo. E poi c'era l'ECA."
36) Ecco, l'ECA cosa vi distribuiva?
R.:"Ma, guardi, forse anche poco e niente. Io con l'ECA ho avuto la fortuna, guardi, quando me l'ha detto, poverino... Era un professore, il direttore dell'ECA, e io aspettavo la prima [figlia]. Era giugno o luglio, lo incontro in piazza, oramai ci conoscevan tutti, e allora quando ci si incontrava mi chiedevano se la pancia cresceva, insomma... Mi ferma, era lì titubante - era una persona molto fine e riservata - e mi fa: vorrei chiederle una cosa ma non so come fare. E gli ho detto: ve beh, mi chieda, vediamo un po'... Mi dice: sarebbe disposta a fare la lavapiatti e a pulire le patate alla colonia diurna di Piazza? C'è ad agosto tutta la colonia, di cinquanta e più ragazzini, abbiamo la capocuoca ma non abbiamo l'aiutante. Si offende mica? Io dico: porca miseria, non mi offendo no, dovrei comprarmi qualche cosa da vestire perché non c'ho più niente da mettermi, i soldi non ci sono...Perché bastava mangiare: riuscivi a mangiare, pagavi l'affitto, ti serviva un po'di soldi , intanto mia madre era arrivata. E poi dicevo: devo fare un corredo a sta bimba, o bimbo che sarà... Cosa di buono è che abbiamo avuto un medico... Un medico che meglio di così... Un medico alla vecchia maniera, il dottor B., che lui a noi ci ha guardati dal primo giorno all'ultimo che se n'è andato. Una volta quando mi ha incontrato - era ancora in principio- mi ha visto e mi ha detto: come va signorina? Dico: ho mal di pancia, non so, non vado [di corpo], non ho voglia. Dice: passi, venga, le faccio una visita. E mi fa: questo non è mal di pancia, questa è fame! Mangia? Ci aggiustiamo...Mi ricordo che facevo sempre piselli secchi e minestra, che dopo quella volta non li ho mai più fatti in vita mia. E dico: cosa vuole [dottore], si fa come si può...Vai, fai un servizio, una volta ho fatto il bucato per due giorni come si faceva una volta con la cenere... Le lenzuola, quelle dure, due giorni, cosa che non avevo mai fatto neanche a casa mia perché il bucato lo faceva mia mamma, per un litro d'olio. Perciò...Andavamo da un ragioniere - il ragionier R.- che faceva i giocattoli di legno e aveva tre ragazze iscritte all'Ufficio del lavoro e quando mi ha detto: io non posso metterla a posto, gli ho detto che ero disposta anche a casa a far qualcosa se mi dava quello che si poteva fare a mano a casa. E me lo dava. Insomma, si arrotondava, si cercava di arrotondare. E sono andata, e infatti ho fatto questo mese di cui dopo mi sono fatta un vestito e una giacca, per cui sono andata con l'affare di povertà a comprare alla figlia."
37) L'ECA comunque vi dava qualcosa?
R.:"No, ma forse perché non gliel'abbiamo mai chiesto. C'era un certo, un qualche riguardo. Non so, se avevo bisogno di qualche esame c'era la Maternità Infanzia e portavo la bimba, poi a pesare, perché non cresceva e mi dissero: ma, bisognerebbe... Ma come si faceva a comprare i biscotti Mellin o che so io!? E allora mia mamma ha cominciato alla vecchia maniera, con il pane cotto nell'olio come si faceva settant'anni fa. Perciò eravamo anche noi orgogliosi. Io preferivo andare a lavare le scale, andare a fare servizio che non chiedere."
38) Perché voi, una volta usciti dal campo non ricevevate più un sussidio...
R.:"Noi abbiam preso le 30.000 Lire e poi qui ci han dato, non so se per tre mesi, queste 115 lire per il capofamiglia e gli altri a carico. E poi dopo i soldi che avevamo versato laggiù per venire via, poi dopo qui la Banca d'Italia ce li ha dati, perciò io e mio marito da dire proprio che [stavamo male] no. Logico, dovevi stare attento, dovevi guardare, io me lo ricordo. Una volta avevo voglia di comperare alla bimba una banana, ma non l'ho comperata, perché bisognava comperare la micca di pane. E quando è arrivata mia mamma...Lei aveva sempre lavorato - e io continuo ancora adesso- a macchina e abbiam cominciato a fare - lei era anche donna più pratica, sapeva di più, io invece avevo studiato e non è che avessi tanto cucito - le vestaglie per il mercato, che c'era una signora che metteva il mercato. Adesso trovano tutto confezionato dai cinesi o giapponesi o che so mi, ma una volta tagliavano loro in casa e davano da fare. E allora ci siam messe [a lavorare], e li abbiam cominciato a tirare un pochettino il fiato, ed è stato il momento che poi siamo andati ad abitare in Casa Fanfani. La bimba aveva quasi due anni -perché siamo andati a settembre e a dicembre faceva due anni - ed era il '53, a fine '53. Però, a quel punto, io mi ricordo quando è passato sto direttore di banca che abitava vicino a noi, che è passato a casa a mezzogiorno, e c'era mio marito e gli disse: vi porto una bellissima notizia, lei è stato assunto. Però, probabilmente, dovrà viaggiare, andare a Cuneo - e so che mio marito ha risposto andrei anche in capo la mondo-, però c'è da vedere. E c'era a Piazza che lavorava anche alla banca - dirigeva l'esattoria - il dottor F., e lui ha combattuto per averlo lui [mio marito] in esattoria. E allora dice: se io riesco a ottenere tu rimani a Mondovì. Infatti lui ha ottenuto ed è rimasto in esattoria a Mondovì, fin che poi è andato in pensione. Poi le cose pian pianino, senza avere neanche un paio di mutandine da poterci cambiare, piano piano [sono migliorate]. Io ho continuato poi con mia mamma a cucire - e io continuo ancora adesso - , siamo riusciti a comprarci un pezzo di casa, poi anche quella Fanfani l'abbiamo poi riscattata e poi è andata purtroppo come è andata perché poi è andato in pensione ma ancora prima, nell'84 si è ammalato."
39) Abbiamo quasi finito. Le chiedo se lei nel corso degli anni ha trasmesso ai suoi figli o ai suoi nipoti queste vicende...
R.:"Se ne parla non tanto. Non tanto. Infatti ci incontriamo abbastanza con...C'è una signora, che i suoi... La prima, prima famiglia che è stata a Mondovì. Suo papà era guardia carceraria a Mondovì, però nativo di San Pietro in Selve, a pochi chilometri da dove era nato mio padre, che poi lui è venuto in trasferimento ancora sotto l'Italia, cioè di lì non ha vissuto. La sua mamma era friulana, nata a Gorizia e loro anche son stati trasferiti, son stati buttati un po' di qua e un po' di là, e quando li abbiamo conosciuti abitavano a Mondovì. E lì sapevano che arrivavano dei profughi da laggiù e si sono presentati subito, cioè son subito venuti. E ci siam legati molto. Sta ragazza era appena sposata, sposa anche lei, aveva sposato un maresciallo degli alpini qui di Cuneo e lì ci hanno aiutato un sacco, perché lui era addetto alla cucina e allora a casa qualche volta portava qualcosa. Poi lei aspettava subito un bimbo e mi diceva: Maria vado a fare il bucato vieni? E andavamo lì e mangiavamo pranzo - veniva anche mio marito - o mangiavamo anche cena. Cioè, ci hanno aiutato molto. E adesso anche lei è rimasta sola, abita qui a Cuneo e ci siam trovate qualche volta con le ragazze [le mie figlie] a chiacchierare e a parlare dei primi tempi che siam venuti anche qua, che lei ci ha seguito dai primi giorni che siamo arrivati qua. E le ragazze stupite ci han detto: ma non ne avete mai parlato! Ma vedo che anche adesso...Cioè, non è che... Non so il motivo... Mio marito neanche ne parlava, forse mancanza nostra. In principio non si faceva, non si aveva tempo, avevamo tanti altri problemi e probabilmente la cosa l'abbiamo anche accantonata così, tanto bisognava vivere, dovevamo abituarci qua, però adesso a me manca molto il poter dialogare un po'. Invece loro sono restie, mi dicono sempre: quando ne parli poi diventi di cattivo umore. Eh, dico, ma se divento di cattivo umore i motivi sono anche tanti, dico, perché quando si poteva arrivare poi di poter respirare un po' o cosa il papà si è ammalato e se n'è andato e io son rimasta sola. E adesso con chi vuoi che parli? Voi avete i vostri problemi già grossi, avete figli...Ogni tanto si fa quel mezzo discorso, mi arriva il giornale o che e fin tanto che mio marito è stato bene - cioè fino all'84- andavamo tutti gli anni giù, e loro tutte le volte son venute. Poi si andava anche con i miei suoceri spesso. Ma quando venivano loro si andava d'estate; si andava quindici - venti giorni, però non c'è voglia di parlarne. Adesso mi han detto - quella più giovane che ha i bimbi, perché l'altra non ne ha - fai ottant'anni...Perché loro hanno organizzato di portarmi fino a Trieste e loro poi fanno una crociera da Trieste nell'Adriatico e io da Trieste a Pola vado con un mio cugino che mi ha detto che mi porta e loro rientrano a Pola perché così i ragazzini vedranno dove son nati e son cresciuti i nonni, ma è tutto così."
40) Ma lei, ad esempio, ha nostalgia di Pola?
R.:"Tanta, tanta. Di Pola e di Mondovì. Cosa strana, perché qui son freddi. Sono io fredda, perché non comunico più adesso. Ho tante amicizie, perché tanti vengono e si chiacchiera... Io non esco... Un giorno mi han chiesto il motivo per cui io non esco, e io ho detto: ho sognato tanti anni una casa, ho fatto tredici traslochi in vita mia - di cui l'ultimo è stato fatto cinque anni fa qui, che son riuscita a comprarmi sti quattro muri, li ho arredati da sola come ho voluto e potuto - e non mi rimangono tanti anni da potermelo godere, perciò lasciatemi qui."
41) L'ultima domanda - poi abbiamo davvero finito- è questa: lei da Pola, città di sole e di mare, è arrivata a Mondovì. Posso chiederle che effetto le ha fatto?
R.:"Che disperazione! No, no, no. Mi piace il giorno che nevica un momento, ma poi basta. Perché l'impatto è stato forte: si andava con le ragazze piccole in montagna, ma per tanti non si è andati al mare perché non si poteva, era inconcepibile pensarci perché si doveva comprare il pane o le due patate che servivano. Tra l'altro quando io ho fatto l'aiuto cuoco là all'ECA, nel bidone del latte che portavo su tutti i giorni - mio marito mi accompagnava quando era pieno - la cuoca mi dava sempre due o tre patate da portare a casa, perché intanto a casa c'era mia madre e mio marito che dovevano mangiare. Perciò, vede, ci son tante piccole cose che io sono legata a Mondovì. In montagna si andava quando abbiamo potuto avere finalmente una macchina - una 600 di seconda mano, che comunque andava - , mi piace, la montagna, mi piace andare, però... Pensi che tre anni fa - non ho una salute di ferro - con un'agenzia di viaggi -andavano a Medjugorie - mi son fatta portare fino a Trieste, e a Trieste ero d'accordo con i miei cugini e son venuti alla frontiera a prelevarmi. Son stata da loro un bel po' e poi sono andata a Pola con la corriera. Son andata giù e son stata a Pola per parecchi giorni, poi son tornata a Trieste, e l'unico mio cruccio era tornare indietro, per il fatto di dover cambiare diverse volte treno. Comunque il bagaglio l'ho mandato su con un corriere - ed è arrivato prima il bagaglio che la sottoscritta - e son partita da Trieste con il treno: ho cambiato a Mestre, ho cambiato a Milano e a Torino."
42) Posso chiederle che effetto le ha fatto vedere Pola?
R.:"Ah, è cambiata, è cambiata tanto. Senti anche...Senti un po' d'italiano, i giovani cercano...C'è turismo adesso, c'è turismo. Si danno da fare. Logico, la città in certi punti, come dappertutto...I palazzoni, i primi che han fatto dopo la guerra, adesso sarebbero da campare giù, perché son fatiscenti, manca la luce, gli ascensori non camminano e sono anche tenuti dalle prime famiglie che sono entrate, gente che non sapeva neanche cos'era la luce e cos'era un ascensore... Insomma, poi loro giù mi dicono che sono venuti tutti sti bosniaci, che dice hanno delle pretese, e son prima loro in tutto e per tutto, dai medici alle cure. Hanno una bella cosa che l'Italia dovrebbe [adottare] per gli anziani: dai sessantacinque anni in su non paghi più il bus per la città, hai un tesserino e non paghi niente. Hanno delle agevolazioni, ma poche. Invece non ce l'hanno nella medicina, nella sanità. Poche cose, e poi ci sono ancora delle concorrenze anche con loro, perché quello c'è."