"Mi chiamo [Nicoletta V.] e sono nata a Patrasso l'8 marzo 1941".
1) Lei mi diceva di aver sposato un fiumano...
R.:"No, mio marito è dell'isola di Cherso. Con lui mio son trovata bene perché a lui piace la nostra cucina e a me piacciono tante cose della sua cucina. A mio marito della nostra cucina piacciono i pomodori al forno e la soupa avgolemona, che è la tipica zuppa greca fatta con tacchino e uova sbattute. Come ha detto mia sorella, a me piacciono molto le palacinke, gli gnocchi, il brodetto di pesce, le alici in savor, che le alici le abbiamo sempre mangiate. Mi ricordo mia mamma che andava in pescheria e ne prendeva una cassetta intera, perché eravamo in dieci e una cassetta bastava si e no. Metà le faceva fritte e metà le faceva andare crude in olio limone e pepe. Crude, marinate, diventavano bianche. Però io, naturalmente, ho anche adottato le usanze di qui: agnolotti, funghi, bistecca alla milanese, ma più che altro agnolotti, poi tutto finisce là. Io poi ho adottato la polenta di mio marito, perché in Grecia polenta non c'era, non si usava. Poi io sono arrivata in campo che avevo cinque anni, ho fatto le scuole elementari e dopo le scuole elementari mia mamma non mi ha più fatto studiare, ma mi ha mandato dalle suore."
2) Dalle suore?
R.:"Si, dalle suore che abitavano a fianco a noi. Avevano due o tre camere e la cucina. E loro cucinavano per la gente del campo che era senza famiglia. Erano della congregazione del sacro cuore. E loro si occupavano di guardare anche i bambini, circa cinquanta - sessanta bambini avevamo. Io guardavo i piccolini e li facevo giocare: io avevo 13 anni e giocavo con loro. L'unica cosa che non mi mancavano erano i fidanzati. Però avevano tutti cinque o sei anni! Io andavo dalla maestra , chiedevo se c'era qualche bambino che aveva problemi di stomaco e poi andavo a dirlo in cucina. Poi quando era pronto li portavo a tavola, li avevo marciare un pochettino fino a che la minestra si raffreddasse e poi mangiavano. Erano dei bellissimi bambini. Io sono stata dalle suore per diciotto anni, quindi per me non c'era fuori Tortona o Tortona, ho vissuto sempre dentro al campo. Qualche cinema io qualche ballo magari."
3) Lei andava a ballare?
R.: "Qualche cinema si, ma sempre accompagnata dai miei fratelli. Il ballo invece si ballava dentro al campo: chi portava i biscottini, chi i savoiardi e così. Si metteva un letto sopra all'altro e facevamo il posto per ballare. Con le mamme che stavano la sedute e davano l'assenso, perché c'erano anche i ragazzi."
4) Mi racconta qualche esperienza legata al suo lavoro con le suore?
R.:"A un certo punto sono arrivati da Aversa circa un centinaio di uomini soli: giovani scapoli senza famiglia. Allora Don Remotti si è trovato in una situazione difficile per il fatto che erano soli e non sapevano cosa cucinarli. Allora è andato dalla suora che gli ha detto: senti, cose le devo fare a questa gente? Don Remotti allora ha detto alla suora: senti, vai dalla signora [Ventura], mia mamma, che fa da mangiare sempre per undici, per tanta gente, quindi qualche cosa ti potrà insegnare. Allora la suora va da mia mamma e le dice: signora, cosa devo fare? Mia mamma allora le dice: signora, il baccalà costa poco, perché adesso è da signori, ma una volta era il pane dei poveri. Baccalà, poi patate, pomodori prezzemolo e tutti quei profumi e il piatto è fatto. E la suora le dice: ma dove lo faccio? E mia mamma: ti do le pentole io, che noi avevamo le pentole larghe, ne avevamo cinque. Allora lei le prendeva, perché alla fine il mangiare lo faceva mia mamma, e faceva il misto di cipolle affettate, pomodorini, prezzemolo e poi ci metteva dentro, in mezzo, il baccalà con sopra un altro strato di patate e poi lo mandava al forno a cuocere, con l'estratto di dado che davano dall'America. E allora la suora mi faceva dare il pane a questi scapoli, c'era un panino a testa. Mi ricordo che erano in refettorio e dicevano grazie signorina , quando andavo dai giovanotti, perché c'erano scapoli anziani e giovani, loro mi dicevano: signorina, me lo da un altro panino? Io diventavo tutta rossa e guardavo Don remoti, perché i panini erano contati e allora lui mi diceva: daglielo, daglielo. Poi però il pane mancava, allora mi mandavano in fretta e furia da Cumo, una panetteria, a comprare quattro o cinque chili di pane. E mi ricordo che la suora diceva a Don Remotti: tutti questi soldi, da dove li prendo? E lui le diceva: te li darò io Pina. Poi la suora mi ha detto: te non vieni più a servire, perché ci mandi in rovina! E in mezzo a tutta questa gente c'era una persona particolare: il mozzo di mio padre del peschereccio in Grecia. E quando lui ha visto il pesce con le patate e il profumo, l'ha odorato, l'ha baciato e ha detto: questo è della mia Euframia, della moglie del mio capitano. Mangiate e sentirete come è buono. E lui, sempre, mangiava prima il pesce, la pietanza, del brodo. E sa perché? Perché, lui diceva, se muoio mangio prima il secondo che è più buono. Poi non sono più andata a servire anche perché mio papà non voleva. Sa, erano tutti giovanotti..."
5) Le chiedo solo più questo: suo marito è dell'Isola di Cherso. Cosa le ha raccontato dell'esodo?
R.:"Mio marito è del '30 ed è venuto via che aveva sedici anni. Lui è venuto via perché... Allora, lo zio di mio marito era maestro e podestà e l'hanno ammazzato. Una notte son venuti a prenderlo, insieme al farmacista e a una ragazza e non son più tornati indietro. E quindi mia suocera, essendo vedova, ha detto: cosa vado, mica per me che ho già un'età, ma per i miei figli, e quindi lei è andata via per i figli, anche perché le avevano portato via tutto, non avevano più niente. Sono andati via, e poi non so se lo sa ma Cherso, in Istria, è stato il posto che ha avuto il maggior numero di esodanti, il 98%."
6) Come ultima cosa le chiedo questo: lei si ricorda dio queste tre cucine nel campo?
R.:" No, non mi ricordo. So però che mia mamma diceva che non si trovavano bene, perché facevano un calderone di tutto, e veniva una sciacquatura micidiale, una brodaglia. C'era la cucina greca e la cucina tunisina. C'era uno che faceva da mangiare per i greci e uno che lo faceva per i tunisini, ma poi alla fine hanno visto che non funzionava e hanno preferito dare dei soldi in lire e ognuno si cucinava. Solo che mia mamma si alzava all'alba, perché aveva solo un fuoco e faceva prima il sugo alla mattina alle cinque o alle sei, perché prima che bollisse...era un sugone, per undici! E poi dobbiamo ringraziare una cosa: che mia mamma magari faceva il sugo per due giorni, e diceva suor Pina tienimelo per domani, perché le suore avevano il frigo. E noi non avevamo corrente nel campo: pensi che venivano i carabinieri in giro a vedere se la usavi di nascosto. E una volta hanno beccato mia sorella che stirava le camicie e volevano mandarci via. Poi hanno fatto una camera dove gli scapoli andavano a mangiare e il pomeriggio si poteva andare a stirare. Ma la luce era talmente minima che non si vedeva. Poi quello che ricordo del campo sono i gabinetti. Gabinetti militari, lunghi, che se uno si chinava l'altro lo guardava. Noi ragazze dovevamo accucciarci in un camera dove c'erano sei, sette bagni e mio papà da quel momento, quando li ha visti, ha detto niente, si fa in casa. Poi un'altra cosa che mi ricordo e che mi ha dato molto fastidio è stata quando hanno messo l'obitorio in campo. Non li tenevano all'ospedale, li mandavano in campo dove avevano fatto una camera mortuaria. Quella stanza non è mai stata vuota, solo dopo hanno deciso di chiuderla. E poi una cosa sulla scuola e Tortona: mio fratello ha fatto le elementari non alle scuole del campo, ma a quelle di Tortona, in città. E lì c'erano la sezione maschile e quella femminile, però non per un fattore di democrazia o di modernità, i profughi facevano le classi miste, perché non dovevano contaminare gli altri allievi tortonesi, tanto i profughi erano abituati alla promiscuità!".