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"Bisogna aiutare i profughi di Pola", «Gazzetta del Popolo», 8 febbraio 1947 del 08/02/1947

Giungono in questi giorni a Torino i primi scaglioni di profughi polesani. Sono specialmente operai e artigiani, accompagnati da famiglie numerose, i quali hanno lasciato la loro terra assegnata dal Trattato di pace alla Jugoslavia e vengono fra noi, fiduciosi di rifarsi una nuova vita.
E' questo l'episodio più drammatico e commovente della nostra sconfitta. Nessuno ha cacciato i polesani dalle loro case: ma avendo essi compreso nei 45 giorni dell'occupazione jugoslava di Pola, alla fine della guerra, di non poter vivere sotto il regime di Tito, spontaneamente hanno abbandonato ora ogni loro avere per trovare in Italia quell'atmosfera di libertà, di civiltà e di umanità della quale sentono di non poter fare a meno.
I profughi di Pola, in altre parole, vogliono continuare a vivere tra italiani, a sentirsi in famiglia. Bisogna quindi, ora che sono fra noi, dare a questi sventurati connazionali la sensazione che veramente si trovano in famiglia. Bisogna trattarli da fratelli, porgere loro una mano soccorrevole, aiutarli a trovare lavoro ed a rifarsi un'esistenza. Essi vengono tra noi senza pretese e senza illusioni: sono pronti ad affrontare un duro lavoro, sanno che tutta l'Italia ha sofferto per la guerra danni materiali e morali enormi, e si attendono soltanto quella cordialità e quell'aiuto spontaneo che sono espressione di fraternità umana e nazionale.
Torino è una grande città dotata di un grande cuore, come ha dimostrato pure recentemente quando questo giornale ha aperto una sottoscrizione per offrire un aiuto immediato alle persone che più hanno bisogno di assistenza: siamo certi pertanto che questo grande cuore la nostra città vorrà dimostrarlo anche nel dare una fraterna assistenza ai profughi polesani.
Per quest'opera di aiuto, che non è beneficenza, noi non intendiamo aprire una sottoscrizione: si tratta oggi di un'esigenza diversa e diversi debbono essere anche i mezzi per soccorrere i fratelli giunti fra noi. Si tratta di dare innanzitutto un tetto, un alloggio conveniente alle famiglie e poi di trovare al più presto un'occupazione agli uomini che chiedono soltanto di lavorare. Il nostro appello quindi si rivolge soprattutto a coloro che sono in grado di offrire ospitalità e di dare lavoro ai profughi istriani. Abbiamo ricevuto ieri da Masserano l'offerta di un impiegato - il signor Giovanni Baltera - che si dice disposto ad accogliere in casa sua due profughi, abbiamo ricevuto poi una lettera delle Officine Genisio di Courgné che si propongono di assumere un aggiustatore meccanico profugo da Pola, e una richiesta di un professionista che desidera prendere in casa un piccolo polesano.
Sono nobili esempi dell'assistenza che oggi è necessaria. Li segnaliamo alla cittadinanza con la certezza che saranno largamente seguiti, specialmente dagli industriali che hanno la possibilità di assumere nelle proprie aziende gli ottimi lavoratori istriani.
C'è dell'altro: l'operaio Carlo Cairo di Ceva ci manda cento Lire; l'Unione Industriale di Torino ne manda 50 mila. Tutto è buono: ospitalità, lavoro, indumenti, denaro.
La Gazzetta - con lo spirito di tutte le sue opere di assistenza e con un sentimento anche più vivo di affetto per questi fratelli crudelmente colpiti da una guerra perduta e da una pace ingiusta - si mette a disposizione dei lettori per attuare in fattiva collaborazione quelle opere di solidarietà che ci diano ancora l'orgoglio di sentirci italiani.