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L'arrivo documentato negli archivi

A Novara l'arrivo dei profughi giuliani è accompagnato da manifestazioni di solidarietà che, insieme ai privati cittadini, vedono mobilitarsi istituzioni politiche, militari e religiose attive, fin dai primi mesi, a raccogliere fondi e a donare assistenza ai nuovi arrivati.

Il primo passo è compiuto già nel dicembre del 1946, quando un patronato formato da eminenti personalità cittadine legate agli ambienti ecclesiastici, finanziari e politici, lancia una pubblica sottoscrizione con l'intento di raccogliere vestiario e offerte in denaro da destinare ai profughi. Una proposta che sembra incontrare i favori di molti novaresi, se è vero che alla chiusura della sottoscrizione la somma raccolta attraverso le donazioni di privati cittadini ammonta a Lire 800.000 [L. Peteani, 1988], una cifra, per i tempi, piuttosto consistente. Altre sottoscrizioni sono poi promosse dal provveditorato, che riesce a raccogliere 100.000 Lire tra gli studenti delle scuole cittadine con le quali provvedere "all'assistenza di bambini, malati e donne incinte" [L. Peteani, 1988] e dal «Corriere di Novara», l'organo della sezione locale del partito liberale italiano, che nel marzo del 1947 lancia ai propri lettori un appello volto a raccogliere i fondi necessari a donare "immediato aiuto a questi italiani che lasciano una terra che era stata finora nostra e loro" [«Corriere di Novara», 1947]. A tali richiami non restano insensibili nemmeno il mondo politico e quello militare, che nel 1947 fanno sentire la propria voce attraverso donazioni in denaro elargite dal gruppo giovanile novarese della Democrazia Cristiana e dal II Reggimento di Artiglieria da Campagna Cremona. Qualche anno più tardi sono invece gli ambienti industriali a dare il proprio contributo: nel 1952, l'Unione Industriale di Verbania raccoglie in favore dei profughi giuliani la cospicua somma di Lire 200.000.

Accanto alla raccolta di somme in denaro, vi è anche la distribuzione di vestiario e di indumenti. Una pratica, quest'ultima, che vede impegnato, tra gli altri, l'Ufficio Provinciale di Assistenza Post Bellica, che tra il 1 luglio 1948 e il 31 marzo 1949 distribuisce ai profughi giuliani residenti a Novara "667 vestiti confezionati da uomo, 1.306 scarpe da uomo, 843 camicie da uomo, 458 scarpe da donna, 13.08 tagli di vestito da uomo, e 4 pantaloni da uomo confezionati"[ASNo, Fondo Prefettura].

Non si deve infine dimenticare la fondamentale opera portata avanti dalla chiesa novarese, che ha nella figura di Monsignor Ossola, vescovo della città, il suo alfiere principale: egli non solo consente ai profughi di poter usufruire dell'assistenza medica, sanitaria e legale del comitato "Carità del Vescovo" [L. Peteani, 1988], ma si rende protagonista di un gesto dal grande valore simbolico quando, il 1° novembre del 1947, officia personalmente la comunione e la cresima a circa un centinaio di bambini profughi residenti nella Caserma Perrone. La cerimonia, alla quale prendono parte le più alte cariche cittadine, rappresenta un momento molto significativo non solo per il valore puramente religioso, ma soprattutto perché la presenza di padrini e madrine scelti tra i cittadini novaresi, permette di cementare il legame tra i profughi e la cittadinanza in un momento in cui, nonostante le molte prove di solidarietà, il rapporto tra la popolazione autoctona e i nuovi arrivati conosce più di un'incrinatura. Infatti anche a Novara i profughi giuliani sono vittime di atteggiamenti discriminatori che sembrano essere principalmente basati da una parte sullo stereotipo del profugo inteso come colui "che non ha voglia di lavorare facendosi mantenere dallo stato" [P. Lebra, 2003], e dall'altra su pregiudizi politici atti a individuare nei giuliani un residuo del fascismo. Un punto, quest'ultimo, che accompagna la loro parabola in quasi tutte le realtà italiane. Divergenze destinate però ad essere accantonate, attraverso la fruizione e la frequentazione di spazi comuni, come quelli del lavoro e del tempo libero, che consentono di costruire un importante percorso conoscitivo in grado di contribuire ad avvicinare progressivamente i giuliani al resto della cittadinanza.

L'inserimento dei profughi giuliani all'interno del mercato lavorativo novarese, caratterizzato nei primi anni del dopoguerra da un'economia che poggia le proprie basi sulla produzione agricola (in particolar modo su quella del riso) e su un apparato industriale e commerciale alle prese con una lenta quanto faticosa ripresa, rappresenta per la città un'ulteriore sforzo da sostenere.

Se il problema dell'occupazione non sembra porsi per quella fascia, assolutamente minoritaria, di profughi già impiegati nelle loro terre di origine nella pubblica amministrazione e che quindi, anche a Novara, possono godere "di trasferimenti automatici nelle sedi da loro stessi prescelte" [L. Peteani, 1988], la gran parte dei giuliani arrivati in città si trova invece a fare i conti con dinamiche differenti che, inizialmente, li portano ad essere il serbatoio ideale per rifornire le sacche dei tradizionali settori legati al lavoro precario. Una situazione destinata però a non durare a lungo, sia per l'entrata in vigore di un'apposita normativa statale obbligante le aziende ad assumere al loro interno una determinata percentuale di profughi, sia per l'intervento di ambienti politici che instaurano un legame diretto con le aziende e, non per ultimo, per la presenza tra i profughi stessi di artigiani (fabbri, falegnami, muratori) qualificati e di operai specializzati (come, ad esempio, quelli provenienti dal Silurificio di Fiume), che favorisce un loro progressivo inserimento nelle sfere industriali novaresi, all'interno delle quali inizia ad essere assunto tanto nel settore operaio quanto in quello impiegatizio un buon numero di profughi.

Il Lavoro

L'inserimento dei profughi giuliani all'interno del mercato lavorativo novarese, caratterizzato nei primi anni del dopoguerra da un'economia che poggia le propriebasi sulla produzione agricola (in particolar modo su quella del riso) e su un apparato industriale e commerciale alle prese con una lenta quanto faticosa ripresa, rappresenta per la città un'ulteriore sforzo da sostenere.

Se il problema dell'occupazione non sembra porsi per quella fascia, assolutamente minoritaria, di profughi già impiegati nelle loro terre di origine nella pubblica amministrazione e che quindi, anche a Novara, possono godere "di trasferimenti automatici nelle sedi da loro stessi prescelte" [L.Peteani, 1988], la gran parte dei giuliani arrivati in città si trova invece a fare i conti con dinamiche differenti che, inizialmente, li portano ad essere il serbatoio ideale per rifornire le sacche dei tradizionali settori legati al lavoro precario. Una situazione destinata però a non durare a lungo, sia per l'entrata in vigore di un'apposita normativa statale obbligante le aziende ad assumere al loro interno una determinata percentuale di profughi, sia per l'intervento di ambienti politici che instaurano un legame diretto con le aziende e, non per ultimo, per la presenza tra i profughi stessi di artigiani (fabbri, falegnami, muratori) qualificati e di operai specializzati (come, ad esempio, quelli provenienti dal Silurificio di Fiume), che favorisce un loro progressivo inserimento nelle sfere industriali novaresi, all'interno delle quali inizia ad essere assunto tanto nel settore operaio quanto in quello impiegatizio un buon numero di profughi.

Immagini

Amedea M., fiumana, in Vespa in via Magnani Ricotti di fronte alla porta centrale della Caserma Perrone, Novara, 1950
Amedea M., fiumana, in Vespa in via Magnani Ricotti di fronte alla porta centrale della Caserma Perrone, Novara, 1950
Profughi giuliani della Caserma Perrone ballano durante una gita sul Ticino, Novara, 1949
Profughi giuliani della Caserma Perrone ballano durante una gita sul Ticino, Novara, 1949
Gita di profughi giuliani della Caserma Perrone a Galliate, 1949
Gita di profughi giuliani della Caserma Perrone a Galliate, 1949

Giornali

Articolo di giornale Profughi Giuliani, «Il Corriere di Novara», 5 marzo 1947 [Leggi l'articolo completo]

Riferimenti archivistici

 Archivio di Stato di Novara, Fondo Prefettura, Affari Generali, Busta 358, fascicolo 10, Sussidi Comitato APB, 1949.

Riferimenti bibliografici

 P. Lebra, Storia di un esodo. I profughi giuliani a Novara (1946-1956), tesi di laurea, a.a. 2002-2003, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Storia.
 L. Peteani, I profughi giuliani e dalmati, in Il dopoguerra nel novarese 1945-1950, Atti del Convegno di studi 40 anni della Costituzione 1948-1988, Amministrazione Provinciale di Novara, Istituto storico della resistenza in provincia di Novara "Piero Fornaia", Novara, 1988.