Maria G.
E’ il 29 gennaio 1947 quando la prefettura di Cuneo trasmette al comune di Mondovì un telegramma della Presidenza del Consiglio con il quale il sottosegretario Paolo Cappa comunica la volontà del Ministero dell’Interno di utilizzare gli stabili delle caserme Del Carretto, Pastore e Galliano, ubicate sul territorio monregalese, “per la sistemazione di circa 3.000 profughi giuliani” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Si tratta di una decisione accolta non certo con favore dal sindaco di Mondovì, che affida le proprie preoccupazioni per l’eventuale arrivo di un così grande contingente di profughi giuliano-dalmati a una lettera inviata il giorno seguente al prefetto di Cuneo. Nella lettera il primo cittadino informa il prefetto dell’ impossibilità del comune di mettere a disposizione i fabbricati in questione: infatti la caserma Del Carretto appare destinata, in seguito a un provvedimento del Ministero della Guerra, “ad essere riconsegnata al comune, proprietario dello stabile” che intende “adibirla a sede del ricostituito tribunale”, mentre la caserma Galliano, “parzialmente occupata da un battaglione di fanteria”, risulta “oggetto di trattative per la sua cessione al comune” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Oltre a fornire informazioni di carattere tecnico circa l’indisponibilità degli stabili in questione, il documento presenta anche alcune interessanti riflessioni del sindaco sulla situazione che si verrebbe a creare a Mondovì qualora arrivasse in città “un’ingente massa di profughi” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Profughi che, secondo quanto afferma il primo cittadino, “non potrebbero trovare a Mondovì quella necessaria e particolare assistenza doverosa verso chi in circostanze così tragiche abbandona volontariamente la terra d'origine per non sottostare a un regime contrario al nostro sentimento nazionale”. Infatti l’arrivo di “una così ingente massa di immigrati”, trascinerebbe con sé una serie di problematiche di non semplice risoluzione relative all’assistenza sanitaria, che si troverebbe ad avere compiti “di primo piano che il nostro attrezzamento ospedaliero è lungi dal potervi provvedere” e alle condizioni igieniche, rese difficoltose dallo stato in cui verte l’acquedotto locale che “a causa delle contrazioni delle acque correnti, obbliga l'azienda municipale ad erogazioni ridotte, intervallate da chiusura degli impianti e da altre restrizioni del genere”. Per tali motivi il sindaco invita il prefetto a “farsi carico delle circostanze per cui la città, suo malgrado, deve declinare l'onore di assolvere l'alto e doveroso compito nazionale oggetto del telegramma della Presidenza del consiglio” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. E’inoltre interessante notare come contemporaneamente a quella con il prefetto, il sindaco di Mondovì intraprenda anche un fitto scambio di corrispondenza con l’onorevole democristiano Giovan Battista Bertone, nel tentativo di scongiurare l’arrivo in città di un imponente quantitativo di profughi giuliano-dalmati. Il 30 gennaio 1947 l’onorevole Bertone riceve un telegramma dal comune di Mondovì con la preghiera di voler aiutare l’amministrazione a “stornare un grave pericolo che sovrasta la città” e cioè l'intenzione del Ministero dell'Interno “di sistemare nella caserma del Carretto ben 3.000 profughi giuliani” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Il 1° febbraio Giovan Battista Bertone informa l’amministrazione comunale di aver contattato il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, pregandolo vivamente “a nome del sindaco e dell’amministrazione comunale” di “far nota la situazione al Ministero onde possa provvedere diversamente alla sistemazione dei poveri fratelli giuliani” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Il 7 febbraio è lo stesso De Gasperi a scrivere la parola fine alla vicenda informando Bertone (con una lettera in risposta alla missiva datata 1° febbraio) che “la Caserma del Carretto di Mondovì non è stata presa in considerazione per la sistemazione dei profughi giuliani, in quanto è già stata destinata a divenire sede del ricostituito tribunale” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Il 10 febbraio 1947 la prefettura di Cuneo invia quindi al sindaco di Mondovì un telegramma rendendo noto che, “come comunicatoci dalla Presidenza del Consiglio”, la Caserma Del Carretto “dovrà ritenersi indisponibile per la sistemazione dei profughi” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Pochi giorni più tardi, il 15 febbraio, la prefettura di Cuneo riceve dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri un telegramma il cui intento sembra quello di voler limitare al minimo i flussi di giuliano-dalmati verso i comuni del cuneese, un’area definita “particolarmente gravata dall'esodo dei profughi della limitrofa zona di Briga e Tenda” e verso la quale “non sarà destinato alcun contingente di profughi giuliani” [Archivio Storico Comunale di Mondovì]. Affermazione, quest’ultima, che trova un riscontro diretto anche sulle pagine del settimanale cattolico «L’Unione Monregalese» riportanti la notizia che “non saranno inviati profughi a Mondovì perchè si riserva tutta la provincia di Cuneo ai profughi di Briga e Tenda.” [«L’Unione Monregalese», 1947] Quanto accadrà pochi giorni più tardi sembra però smentire queste affermazioni. Infatti il 15 marzo del 1947 il settimanale «La Gazzetta di Mondovì» dirama la notizia dell’arrivo in città di “un gruppo di famiglie italiane profughe da Pola, in totale una quarantina di persone”, accolte dai membri della Commissione Pontificia di Assistenza” e sistemati, in maniera provvisoria presso “il posto di pernottamento preparato alla Caserma del Carretto, messa a disposizione dal Municipio con attrezzamento di brande e coperte fornite dal Comando del Distretto Militare di Mondovì” [«La Gazzetta di Mondovì», 1947]. Secondo quanto riportato dall’altro foglio locale, «L’Unione Monregalese», è la stessa Commissione Pontificia di Assistenza ad occuparsi della sistemazione delle famiglie giuliano-dalmate: tre di esse “sono sistemate a Villanova, due a Vicoforte” mentre per le altre “sono già stati predisposti alcuni posti di sistemazione” [«L’Unione Monregalese», 1947]. A Mondovì restano invece “quattro famiglie”, probabilmente le stesse cui fa riferimento il sindaco in una lettera inviata nel febbraio del 1947 all’Ufficio Provinciale di Assistenza Post Bellica per soddisfare la richiesta di ques’ultimo circa “il numero di profughi giuliano-dalmati residenti nei comuni della provincia”. [ASCn, Fondo Prefettura] La Pontificia Commissione di Assistenza sembra svolgere un ruolo di primo piano anche nelle operazioni di carattere assistenziale dal momento che, secondo quanto indicato da «La Gazzetta di Mondovì», fornisce ai nuovi arrivati “alcune razioni di minestra calda al giorno e qualche sussidio per le spese più gravi della loro sistemazione.” [«La Gazzetta di Mondovì », 1947] Il primo scaglione di profughi giunto in città nel febbraio del 1947, è seguito da altri arrivi negli anni successivi. E’ questo quanto traspare da una lettera inviata dal sindaco di Mondovì al prefetto di Cuneo il 19 maggio del 1955 contenente alcune informazioni circa la costituzione, nel proprio comune, di un Comitato destinato a prendere in esame l’eventuale “sistemazione lavorativa e alloggiativa dei profughi provenienti dalla zona B.” [ASCn, Fondo Prefettura]. Secondo quanto scritto dal sindaco, a Mondovì è presente una nutrita colonia di profughi giuliano-dalmati: 15 famiglie alle quali “è stato concesso alloggio ed occupazione stabile in città”. Secondo quanto affermato dal sindaco “i quattro nuclei familiari arrivati in città nel 1947”, sono seguiti, nel 1949, da un gruppo più consistente di profughi che al loro arrivo sono sistemati in “alloggi di fortuna” [ASCn, Fondo Prefettura] e, nel 1952, negli edifici di edilizia popolare “costruiti di recente dall’ INA CASA” [ASCn, Fondo Prefettura], riuscendo così a migliorare notevolmente la loro condizione. Il possibile arrivo di altri profughi dalla Zona B, sembra suscitare nel sindaco più di una perplessità legata sia alla loro sistemazione sia alle possibilità occupazionali. Relativamente alla loro sistemazione l’unico spazio disponibile ad accoglierli è individuato nel fabbricato della palestra scolastica; una soluzione che, qualora attuata, creerebbe più di un problema dal momento che dal 1954 la struttura è utilizzata come locale per le scuole elementari. Non sembra nemmeno percorribile la strada che porterebbe ad assegnare ai nuovi arrivati degli alloggi veri e propri dal momento che, come afferma il sindaco, “non ne esistono nella zona antica della città, né si può pensare per l’avvenire, poiché non si parla ora di costruire fabbricati INA Casa o Case Popolari che possano alleviare sia pur minimamente la crisi alloggiativa per poter così sopperire all’invio di nuove famiglie” [ASCn, Fondo Prefettura]. Una situazione alla quale si aggiunge una fase economica piuttosto delicata, in grado di offrire ai profughi poche opportunità lavorative. Un quadro a tinte fosche, caratterizzato dall’eccedenza di manodopera appartenente a categorie specializzate come fonditori e ceramisti, settori industriali che sono da sempre “i più rappresentati in città” [ASCn, Fondo Prefettura]. L’industria della ceramica “attraversa una grave crisi, data la minima richiesta di materiale, sicchè le industrie hanno dovuto ridurre la produzione e bloccare le assunzioni”. Una crisi che non sembra essere passeggera, se è vero che “la maggiore industria, la Richard Ginori, pensa ai licenziamenti anziché alle assunzioni”. Un’aria migliore non si respira nel settore meccanico che si trova a fare i conti con il trasferimento da Mondovì a Fossano del più grande apparato produttivo della zona, la Bongiovanni, e con il conseguente aumento di “maestranze specializzate e generiche rimaste senza lavoro” [ASCn, Fondo Prefettura]. Il sindaco conclude quindi la sua lettera affermando che Mondovì “non può prospettare una possibilità di assorbimento di nuove famiglie provenienti dalla Zona B” [ASCn, Fondo Prefettura], non essendo in grado di provvedere “in nessun modo, alla sistemazione alloggiativa e a una occupazione” [ASCn, Fondo Prefettura] per le famiglie dei profughi.