Romana B.
La prima famiglia di profughi giuliani giunge a Casale Monferrato il 21 febbraio del 1947: si tratta di una giovane coppia costituita da una casalinga e da un operaio elettricista impiegato presso la Fabbrica Cementi Marchino di Pola. A darne notizia sono le pagine del quotidiano locale «Il Popolo Monferrino», unica fonte, tra quelle consultate, capace di fornire elementi utili a ricostruire le vicende dei giuliano-dalmati nel comune monferrino. E sarà proprio l’Unione Cementi Marchino, storico marchio casalese nato nel 1933 e diventato in breve tempo “il secondo gruppo italiano del settore” [G. Subbrero, 1995], a ricoprire un ruolo determinante nell’arrivo dei profughi giuliano-dalmati a Casale. Infatti a Pola l’Unione Cementi Marchino possiede uno stabilimento in piena attività e offre ai lavoratori decisi a lasciare l’Istria la possibilità di essere riassorbiti, una volta giunti in Italia, negli opifici di proprietà dell’azienda tra i quali vi è, appunto, anche quello di Casale Monferrato, dove quindi la gran parte dei profughi è costituita da operai che “lavoravano nello stabilimento Marchino di Pola e che continueranno a lavorare presso la ditta Marchino nella nostra città” [«Il Popolo Monferrino, 1947»].
Il 4 marzo del 1947, a bordo di un treno proveniente da Milano, arriva a Casale uno scaglione composto da venti profughi giuliani: si tratta, come si legge sulle pagine de «Il Popolo Monferrino», di “donne, bimbi e vecchi, componenti di dodici famiglie operaie” destinate ad essere presto raggiunte dai capifamiglia, “ancora occupati presso gli Stabilimenti Marchino di Pola, ma pronti ad essere assunti dall’Unione Cementi Marchino di Casale” [«Il Popolo Monferrino, 1947»].
Ad accogliere i giuliano-dalmati alla stazione vi sono, oltre al sindaco Angelino, anche alcuni rappresentanti del Comitato Italiano Femminile (C.I.F.) dell’Unione Donne Italiane (U.D.I.) e della Pontifica Commissione di Assistenza (P.C.A.), enti che si occuperanno anche delle operazioni di sistemazione e di prima assistenza da destinare ai nuovi arrivati.
Inizialmente i profughi trovano una sistemazione provvisoria in alcuni locali della Casa di Riposo, considerati dall’amministrazione comunale, dalle forze politiche locali, dall’Unione dei commercianti, dalla Camera del lavoro, dall’U.D.I., dal C.I.F. e dalla P.C.A., riunitisi in assemblea il 10 febbraio 1947, il luogo idoneo ad “ospitare questi nostri fratelli italiani che arriveranno in città” [«Il Popolo Monferrino, 1947»]. Si tratta, molto presumibilmente, di una fase transitoria visto che le testimonianze rivelano come, successivamente, i giuliano-dalmati siano poi trasferiti nei capannoni di un ex deposito dell’aeronautica militare, oggi abbattuto, ubicato nel rione di Porta Milano sulla direttrice stradale per Valenza e meglio conosciuto dai casalesi come Cansa. Le autorità casalesi si preoccupano anche di provvedere ai più elementari bisogni dei profughi: a tale scopo la direzione de «Il Popolo Monferrino» istituisce una sottoscrizione alla quale è invitata a partecipare l’intera cittadinanza, chiamata con donazioni di indumenti, alimenti o con offerte in denaro “a lenire i bisogni di questi nostri fratelli” [«Il Popolo Monferrino, 1947»], supportando in tale senso l’attività del locale Ente Comunale di Assistenza, l’organo al quale sono affidate le principali pratiche di carattere assistenziale destinate ai giuliano-dalmati. Infine occorre sottolineare come si muova in favore dei profughi anche il mondo dell’industria, dal momento che la sezione locale della Confederazione dell’Industria invita i propri associati a “voler svolgere opera di assunzione presso le aziende di operai specializzati provenienti dalla provincia di Pola” [«Il Popolo Monferrino, 1947»].