[A Roma siamo rimasti] un anno. Siamo arrivati a Cuneo nel 1949. E a Cuneo non siamo andati alla Caserma Leutrum, perché mio padre lavorava da un po', però; ti garantisco che non era meglio, non credo! Perché abitavamo al Cappello Verde, alla locanda del Cappello Verde. [Era] una classica osteria: entravi nel cortile, classico cortile piemontese coi balconi a ringhiera e le stanze che si affacciavano su questi balconi. Quindi noi avevamo una stanza al primo piano su questo balcone. Una stanza, naturalmente, coi travi di legno che sporgono dal soffitto, i travi di una volta. E, quello che c'era in abbondanza erano gli scarafaggi! Di cui ho sempre avuto il terrore: da piccola non avevo tanta paura, ma ora come ne vedo uno muoio! E allora mi ricordo che mio padre [quando] entravamo [nella stanza] la sera, lui apriva la porta al buio, prendeva la scopa che era nell'angolino dietro la porta e poi di scatto accendeva la luce e incominciava l'inseguimento! Erano tempi così. E mia madre, astutissima, aveva i suoi sistemi: metteva una bacinella con acqua e aceto con dei pezzi di stoffa che pendevano, bagnati, e questo era a quanto pare un richiamo: si annegavano tutti! E poi li buttava nel water e buonanotte. [Quello era] un vecchio albergo, con il campo non c'entrava nulla, assolutamente. Era la stanza d'albergo in cui abitava [mio padre] e in cui siamo venuti anche noi. E anche lì abbiamo abitato meno di un anno, perché nel frattempo il Comune stava costruendo la sua casa per i dipendenti, la provincia pure...Era inizio anni Cinquanta. E quindi ci siamo trasferiti già alla primavera successiva in queste case, perché in quanto dipendenti comunali abbiamo avuto diritto alla casa, noi e altri. [Anche se] lì nella nostra casa eravamo gli unici [profughi].
Adriana S.