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L'arrivo raccontato dai testimoni

I brani raccolti riportano le testimonianze dei profughi al loro arrivo nei luoghi che li ospitarono descrivendo quando e quale accoglienza ricevettero se di esclusione od integrazione, se trovarono assistenza nelle difficili fasi della ricostruzione di una vita. Ci è sembrato inoltre interessante indagare sul lavoro svolto e su come si trascorreva il tempo libero, in modo da consegnare al lettore un quadro il più possibile realistico degli avvenimenti.

Testimonianze

Quando

Siamo partiti in treno per andare fino a Trieste. Siamo arrivati alla stazione di Trieste, poi ... [Leggi tutto]
Siamo partiti in treno per andare fino a Trieste. Siamo arrivati alla stazione di Trieste, poi siamo andati alla Post-bellica per il visto e per prendere nome e cognome eccetera. E non c’ero [solo] io, c’era centinaia [di persone] che prendevano nome e cognome. Siamo arrivati la notte, e la mattina dopo siamo partiti. Aspettavamo il treno, il Torino-Venezia, che ci caricavano e ci hanno portato fino a qui a Vercelli. E da Vercelli siamo arrivati col treno a Biella e poi da Biella siamo andati su a Graglia e bel è fait! Siamo arrivati qui a Biella il 24 dicembre del 1945. Me lo ricorderò sempre, era vigilia di Natale, e c’erano ottanta centimetri di neve qui a Graglia, e dormivamo in paglia, perché non c’era né letti, né niente, non avevamo niente, non era riuscito a trovare niente mio padre.
Ilario B.
[Sono stata un anno nel campo profughi di Latina] dopo di che [una vecchia direttrice postale che ... [Leggi tutto]
[Sono stata un anno nel campo profughi di Latina] dopo di che [una vecchia direttrice postale che la conosceva ha mandato] a mia suocera un telegramma dicendo che a Cossilla dove abitava questa qui, c’era [un] posto. E allora lei ha fatto di tutto e le ha dato il posto di fare la postina a mia suocera. Allora lei è venuta su da sola, e noi siamo stati giù. Poi dopo sei mesi ha trovato una stanza e ha fatto venire su mio cognato, suo figlio, e noi siamo rimasti giù, finché poi con il tempo, dopo un anno, ha trovato un’altra stanza e siamo venuti su a Cossilla nel 1949.
Eufemia M.
A Vercelli noi siamo andati vicino alla stazione, proprio dove avevano fatto la Post-bellica per ... [Leggi tutto]
A Vercelli noi siamo andati vicino alla stazione, proprio dove avevano fatto la Post-bellica per accettare tutti quelli che venivano di fuori. E ci hanno dato altre tre coperte, perché abbiamo detto che eravamo in cinque, e così ci siamo coperti con quelle tre coperte lì. [Poi siamo] partiti da Vercelli e siamo a Graglia. A Vercelli siamo andati... Adesso non mi ricordo, era praticamente dove hanno fatto adesso il distretto militare. Lì ci han preso i nomi, han scritto qua e là, han mandato a Roma[i documenti] per dire che eravamo arrivati, e poi ci hanno dato quelle coperte lì e basta, siam venuti su a Graglia. In pullman siam venuti, in pullman da Biella a Graglia. C’era tre corse di pullman al giorno. Siamo partiti alle sette e mezza e siamo arrivati a Graglia che erano le otto e qualcosa, nevicava grosso come non so cosa e siamo arrivati lì.
Ilario B.
Vengo a Vercelli il 1° giugno del 1952, [perché ] mio papà aveva già ricevuto il posto di lavoro, ... [Leggi tutto]
Vengo a Vercelli il 1° giugno del 1952, [perché ] mio papà aveva già ricevuto il posto di lavoro, lavorava già da un mese. Papà è venuto il 1° maggio, io son venuto al 1° di giugno. E il papà ha lavorato all’Azienda del gas, che gli han dato un posto qui. [Appena arrivati] siamo andati ad abitare in viale Rimembranza, era una casa dell’Azienda del gas: erano ventiquattro alloggi, quattro del comune e venti dell’azienda. Nel frattempo avevano costruito queste case [in via Udine], che sono case dei profughi, costruite nel ’58. [Più tardi rispetto al resto d’Italia], perché vuol dire che [c’]era poco flusso di profughi qui. [C’]era quelle poche famiglie più vecchie qui, ma eravamo pochi profughi. A Vercelli le case dei profughi sono solo queste qui. E certe famiglie gli avevano dato viale Rimembranza, che erano anche quelle lì case popolari. Poi anche vicino alla Chatillon, che erano case popolari.
Elio H.
Dopo quel mese lì [al Silos] ci hanno trasferito a Vercelli. Noi abbiamo chiesto di andare a ... [Leggi tutto]
Dopo quel mese lì [al Silos] ci hanno trasferito a Vercelli. Noi abbiamo chiesto di andare a Vercelli perché sapevamo che qui c’era le risaie, c’era del lavoro. Insomma, era una zona più ricca che Napoli e quelle parti lì, perché tanti preferivano andare a Napoli. Napoli, Napoli, Napoli, che poi facevano - si può dire - della fame! E invece noi da Trieste ci hanno mandato a Vercelli. Perché loro - quelli che dirigevano - ti destinavano. C’era la scelta: Torino, Piemonte... E noi abbiamo scelto Vercelli, perché io ero ragazzo e mio padre era già un po’ vecchiotto, e allora tramite gente che avevano fatto la guerra, abbiamo detto stiamo in Piemonte. [Dicevano] stiamo in Piemonte, che c’è il lavoro e c’è gente brava, e così è stato. Da Trieste a Vercelli [siamo andati] col treno. Treni normali, dell’epoca, terza categoria - che una volta c’era prima, seconda e terza categoria- coi sedili di legno. Siamo arrivati a Vercelli a sto Ente Risi, ma mi ricordo bene che quando siamo arrivati a Venezia, hanno fermato il treno e ci hanno fatto andare a cena.
Giovanni R.
[Del viaggio] mi ricordo che abbiamo dormito all’Arsenale di Marina a Venezia: le donne e gli ... [Leggi tutto]
[Del viaggio] mi ricordo che abbiamo dormito all’Arsenale di Marina a Venezia: le donne e gli anziani dormivano sui lettini, e noi sull’amaca. Nella Caserma dei marinai, può capire... E poi di là - che siamo stati tre giorni - siam venuti a Vercelli. Con la febbre sono arrivato io a Vercelli, in treno. [A Venezia] siamo stati accolti benissimo, i marinai ci hanno dato da mangiare e dormire, mentre invece a Vercelli era tutta un’altra cosa. Ci chiedevano dove volevamo andare e noi abbiamo scelto Vercelli perché c’era il lavoro. Perché c’era la campagna, e i genitori nostri erano abituati a lavorare in campagna.
Pietro S.

Accoglienza

[A Graglia ci siamo sistemati] in una casa vecchia: mobilia non c’era, non c’era niente, e ci hanno ... [Leggi tutto]
[A Graglia ci siamo sistemati] in una casa vecchia: mobilia non c’era, non c’era niente, e ci hanno dato di quelle paciasse [pagliericci] con le molle per fare dei letti. Poi mia madre dal nervoso - abitavamo al terzo piano - le ha buttate giù perché erano piene di cimici e ci mangiavano come non so cosa. E allora siamo andati a farci i materassi di foglie di meliga e dormivamo per terra finchè non abbiam potuto, finché mio padre non ha potuto prendere qualcosa. Questa casa mio padre l’ha trovata perché qui c’erano i partigiani, che dopo la liberazione hanno ammazzato le duchesse Garzina. E loro erano proprietarie di tutte le case attaccate, si chiamava Canton Gabina. C’erano tutte le case e la maggior parte erano di queste donne qui, e quando le hanno uccise il comune dava le case a chi c’aveva bisogno. E a noi ci è capitata quella lì. E lì dormivamo in una stanza tutti insieme per avere caldo! Perché avevamo solo cinque coperte che ci aveva dato la Post-bellica di Vercelli.
Ilario B.
[Quando siamo arrivati a Graglia] ci tiravano [guardavano] come che fossimo stati i cani più ... [Leggi tutto]
[Quando siamo arrivati a Graglia] ci tiravano [guardavano] come che fossimo stati i cani più peggiori! A scuola bisognava picchiarci sempre, continuamente, fuori di scuola ci tiravano le pietre come che fossimo cani. Finché non siamo arrivati ad arrivare [essere] amici, ma ce n’è passato del tempo, prima abbiamo sofferto come non so cosa. Ci gridavano i fiumari, i fiumari, non ci potevano vedere, come che fossimo degli estranei in confronto loro. Poi dopo piano piano siamo arrivati ad essere [amici]. A forza di stare insieme, hanno capito che non eravamo delle bestie o chissà che cosa, e allora siamo diventati amici. Perché i ragazzini quando sono piccoli sono sempre cattivi: quelli più grandi ci aspettavano e mio fratello, che era più grande doveva combattere insieme a loro, e io che ero più piccolo dovevo combattere insieme a quei piccoli. Finché mia madre si è stufata, e ci ha dato un anello di quei lì, angolari. Ha tolto via l’anello, e ha detto: così, quando vi picchiano, picchiate anche voi! Allora ci ha spaccato il sopraciglio a uno, mio fratello, e allora siamo poi diventati amici. Era proprio una mentalità di Graglia, che a Graglia c’è ancora adesso questa mentalità. Non parliamo poi di quando sono arrivati i primi meridionali o i veneti, perché dopo di noi sono arrivati i veneti, che c’è stata l’inondazione del Polesine. Sono arrivati e [gli dicevano] foglie di zucca di qua, foglie di zucca di là.
Ilario B.
All’inizio dicevano fascisti, e siccome che qui a Cossato la città è di comunisti, allora ci hanno ... [Leggi tutto]
All’inizio dicevano fascisti, e siccome che qui a Cossato la città è di comunisti, allora ci hanno accettato non tanto bene. Perché , guardi, sapevano che in Istria comandavano i comunisti e ti segnavano come quello che scappava dal comunismo, ecco, e allora non eri visto bene.
Eufemia M.
Siamo stati nella prima casa dal ’46 fino al ‘53, a Graglia. Poi ci siamo trasferiti a Ponderano, ... [Leggi tutto]
Siamo stati nella prima casa dal ’46 fino al ‘53, a Graglia. Poi ci siamo trasferiti a Ponderano, poi a Ponderano ho fatto la prima casa e poi ho girato un po’ di qua e un po’ di là finché ho trovato questa e poi bom. Noi non abbiamo fatto i campi e l’unica cosa che ci hanno dato sono state cinque coperte, che dormivamo tutti per terra con cinque coperte. E poi ci hanno dato, io che andavo a scuola, perché ho ripreso di nuovo a fare la seconda a Graglia, ci passavano i quaderni e le matite. [Questo] è tutto quello che avevamo. Il comune ce lo passava, basta. Tutto quello che abbiamo avuto è quello.
Ilario B.
L’impatto per noi qui non è stato tanto bello perché uno che veniva da via era un fascista, ... [Leggi tutto]
L’impatto per noi qui non è stato tanto bello perché uno che veniva da via era un fascista, capisci? Perché qui è una città rossa, rossa... Che poi non son dei comunisti questi qui, perché professare il comunismo ed essere comunista è un’altra cosa. Son venuto qui, che il papà lavorava. Da Roma gli è arrivato il posto di lavoro all’Azienda del gas. Puoi capire qui [ai] Cappuccini [erano tutti] comunisti, [al] rione Canadà comunisti, tutti. Solo noi eravamo fascisti, capisci? Perché noi eravamo sempre segnati come pecore nere qua dentro, dei fascisti. Anche oggi giorno che ci sono le elezioni, c’è certi d’uni che vengono qui al bar... Il sindaco del Canadà mi dice: ah, vardlu lì, so già per chi vai a votare! Perché noi ai Cappuccini, era una zona che guai, non si poteva neanche andare lì se sapevano che sei un profugo. Io non so chi gli ha messo questo qui in cervello, perché lì, mia dia retta a me, uno che era veramente fascista non l’hanno lasciato andare via, gli han fatto la pelle. Uno che ha fatto del male, fascista intendo dire... Perché mio papà ad esempio, io ho un mucchio di fotografie col distintivo del partito, ma perché dovevi metterlo, magari anche perché ci teneva ad essere. Ma non fascista della prima ora - come dicono quelli che han fatto del male - ma lì per avere un posto di lavoro dovevi avere il suo distintivo. Ma si, adesso non si guarda [più] quelle cose lì. I primi anni per noi non erano belli. Anche in comune sa, qualche assessore o qualche cosa ci diceva tu sei venuto via e sei venuto a mangiare il pane nostro. Anche qui dei ragazzi hanno detto: voi, che cazzo avete da lamentarvi che vi han dato la casa, il lavoro e tutte quelle robe là. Qui, proprio nella zona, che poi mi son fatto amici che sono tutt’ora amici. Ma c’hanno sempre quelle roba in testa che noi siamo stati privilegiati, che le case per loro non c’erano ma per noi c’erano. E’ un diritto in percentuale, è vero? [E loro pensavano che noi] si, si, [gli venivamo a] rubare il lavoro. Sai perché lavoriamo - gli dicevamo - perché siamo capaci a lavorare.
Elio H.
[A Varallo] ci davano tutto loro: da mangiare e tutto. Poi andavamo anche a chiederlo alle persone ... [Leggi tutto]
[A Varallo] ci davano tutto loro: da mangiare e tutto. Poi andavamo anche a chiederlo alle persone di Varallo, anche noi bambini andavamo. Andavamo a chiedere... Come andare a chiedere la carità nelle porte, e poi sta gente ci dava la roba proprio di buona volontà, perché avevano visto come eravamo, che gente buona che eravamo. Che ci davano la roba da vestire, specialmente. A noi bambini ce ne davano di roba, stavamo bene di una meraviglia, ci trattavano pure bene. Invece quando siamo arrivati poi in campagna non ci trattavano bene perché ci davano dei fascisti.
Aldina P.
La parrocchia di Vercelli si interessava per trovarci il lavoro e allora ci hanno chiamato [come] ... [Leggi tutto]
La parrocchia di Vercelli si interessava per trovarci il lavoro e allora ci hanno chiamato [come] prima famiglia noi, perché eravamo in tanti - eravamo in otto in famiglia - e ci hanno detto: andate lì in una cascina. E allora siamo andati con la corriera lì ad Oldenigo di Vercelli, e ci hanno portato col biroccio due chilometri fuori [dal] paese, in una cascina. Mia madre non è neanche scesa dal biroccio - quei birocci con le due ruote - dice: io non vengo neanche giù in questa cascina. Ha visto il fango che era alto così e dice: non vengo! Poi ci hanno fatto vedere i dormitori e mio padre dice: no, portateci di nuovo a Vercelli. Non più a Varallo ma a Vercelli dal monsignore. E così hanno fatto, ci hanno portato a Vercelli col carretto -di notte- e siamo arrivati lì a mezzanotte. E basta, siamo rimasti là, e il monsignore dice: bene, allora troviamo da un’altra parte. Dopo due giorni viene il padrone, il direttore della cascina che [c’]era a Lignana e dice: si, sta famiglia la prendiamo. E allora siamo andati lì [a Lignana], sempre col biroccio. Da Vercelli col biroccio alla cascina.
Pietro S.
C’era dei patronati che si interessavano [al nostro lavoro], e poi c’era pure il prete di Vercelli ... [Leggi tutto]
C’era dei patronati che si interessavano [al nostro lavoro], e poi c’era pure il prete di Vercelli che si interessava per farti dare la roba da vestire: si andava dal patronato del prete e ci dava tutta la roba da vestire, si, si. Finché uno ha avuto bisogno, poi una volta che uno ha cominciato a lavorare poi dopo uno si aggiustava da solo. Però nel momento in cui siamo arrivati, sti patronati si davano da fare. Il patronato era in Vercelli, vicino al duomo grande: c’era una piccola casetta vicino al duomo grande, e lì c’era il patronato del prete che ci dava la roba.
Aldina P.
La gente [per] prima cosa a Vercelli non ci conoscevano, perché essendo città non ci conoscevano e ... [Leggi tutto]
La gente [per] prima cosa a Vercelli non ci conoscevano, perché essendo città non ci conoscevano e però nessuno ha detto mai niente. Invece a Lenta ci davano dei fascisti. Erano malfidenti, non si fidavano di noi perché dicevano che eravamo dei fascisti, che siamo venuti via di là perché eravamo fascisti. Non sapevano tutta la vicenda, tutta la storia com’era, e allora dicevano che eravamo dei fascisti e ci trattavano male. E poi invece hanno capito che noi non eravamo fascisti, ma ci è voluto qualche anno. E poi avevano paura. Perché noi abitando a Lenta, che lì era circondato di campagna, loro pensavano: questi qui ci ruberanno tutto. E invece noi non abbiamo mai toccato niente di nessuno. Eh, ci trattavano male. Non ci davano fiducia nel parlare, se davi il buongiorno non rispondevano neanche, cose così.
Giovanni R.
In città [a Vercelli è andato] tutto abbastanza bene. Perché noi a Vercelli siamo stati ben poco - ... [Leggi tutto]
In città [a Vercelli è andato] tutto abbastanza bene. Perché noi a Vercelli siamo stati ben poco - otto-dieci giorni - e a Varallo un mese, ma anche lì ci hanno accettato bene. Si andava nell’osteria a bere un bicchiere, ci trattavano bene e anzi, ci davano ancora da vestire quando han saputo che non avevamo niente. Ci davano chi una giacca, chi un paio di pantaloni e cose così.
Pietro S.
[Arrivati a Vercelli] c’era il vescovado e quella gente lì, c’era dei preti che erano venuti e ... [Leggi tutto]
[Arrivati a Vercelli] c’era il vescovado e quella gente lì, c’era dei preti che erano venuti e tutta quella gente lì. Ci hanno dato da mangiare e poi da dormire e poi destinavano, decidevano loro dove andare con destinazioni scelte. Cioè chiedevano se eravamo contenti di andare lì in un posto e [noi siamo stati mandati] a Lenta [anche] perché lì era una zona di campagna, e allora era più facile inserirsi nei lavori tramite qualcuno che aveva bisogno. Ma poi a noi il governo ci dava anche un sussidio. Leggero, ma ci passava qualcosa. Non è che ci hanno lasciato morire di fame.
Giovanni R.
A Vercelli ci hanno dato scarpe e vestiti, perché non avevamo niente, noi arrivati così con la ... [Leggi tutto]
A Vercelli ci hanno dato scarpe e vestiti, perché non avevamo niente, noi arrivati così con la borsetta. Perché noi siamo non profughi, esuli. Siamo arrivati esuli noi; invece gli altri sono profughi, quelli che sono venuti dopo. I vestiti [ce li diede] la parrocchia, [cioè] la Pontificia Commissione di Assistenza, loro.
Pietro S.

Lavoro

[I giuliano-dalmati] sono andati a lavorare chi nelle fabbriche chi il manovale, si sono adattati a ... [Leggi tutto]
[I giuliano-dalmati] sono andati a lavorare chi nelle fabbriche chi il manovale, si sono adattati a imparare. [Hanno fatto] tanti lavori: anche] mio marito e mio cognato [ne hanno fatti tanti] prima di andare a fare il postino. Si sono adattati a fare tutti i lavori. E io mi sono adattata a fare tutti i lavori: a fare le pulizie, ad andare a stirare, poi dopo, con il tempo, sono andata in fabbrica tessile qui vicino, a Quaregna.
Eufemia M.
[I primi tempi] non ci vedevano bene, poi quando che siamo diventati amici insieme ai ragazzi, ai ... [Leggi tutto]
[I primi tempi] non ci vedevano bene, poi quando che siamo diventati amici insieme ai ragazzi, ai bambini, ci dicevano: vieni ad aiutarmi, vieni ad aiutarmi? E ci pagavano, ci davano un pezzo di burro, delle patate e ci guadagnavamo tutta la giornata. Andavamo a fare le fascine. Mia madre aveva fatto dei guanti con la stoffa, le prendevamo così e le facevamo: che di gasia ne facevi meno, ne facevi quaranta-quarantacinque, mentre di quelle di nocciolo e di castagno ne facevi anche cento al giorno ed erano 300 Lire. Servivano per fare il pane nei forni, perché i forni erano tutti fatti a legna, e ce n’è ancora adesso a Graglia di forni che fanno il pane a legna. E’ il più buono di tutti. Poi andavamo anche a spalare al neve. Ci presentavamo con la pala davanti al comune di Biella per spalare la neve sulla ferrovia che va a Oropa, e fin dove arrivava il trenino andava tutto bene, poi arrivavamo noi quaranta o cinquanta persone e buttavamo via la neve sui fianchi che la rotaia venisse pulita. E c’erano undici chilometri da pulire, che da qui ad arrivare a Oropa ci son quasi undici chilometri, e noi pulivamo tutto finché non arrivavamo in cima. Ci davano da mangiare, perché partivamo alla mattina che erano magari le quattro, e arrivavamo su a mezzogiorno o alla una e mezza a seconda di quanta neve c’era. E poi il comune ci pagava. Avevo quattordici anni quando facevo quel lavoro lì, perché d’estate facevo il bocia dei muratori e d’inverno qui non si lavorava, perché faceva troppo freddo. E chi aveva la vacca va bene, ma quelli che non c’avevano niente andavano a far fascine oppure a prendere le foglie prima che arrivasse al neve, e facevamo cestoni di foglie per fare la scorta alle vacche. E poi c’era la neve anche a Biella e la spalavamo, la spalavamo proprio. C’era un squadra a Biella, però tutti volevamo andare su a Oropa, perché sapevamo che lì si arrivava sopra e c’era il ristorante già caldo e pronto e poi, in più, ci davano più soldi che a Biella. Mio padre appena arrivato qui ha cercato...[E’ andato] a scaricare alla Vandero, che era proprio nella stazione di Biella, che lì c’era un grosso capannone di oltre mille metri quadrati ed era tutto della Vandero. E scaricava carbone. E lì arrivavano i treni da scaricare. Finchè non ha potuto andare a lavorare ai lanifici Rivetti, e da là non si è più mosso, perché qui da muratore non c’era neanche tanto lavoro. Ha iniziato negli anni Cinquantacinque- Sessanta il grande boom dei muratori, se no anche di qui partivano e andavano in Francia come è andato mio nonno quando c’era la crisi qua in Italia: andavano a Grenoble o giù di lì a lavorare.
Ilario B.
Mia suocera che conosceva, [ha fatto entrare] mio marito alle poste...Però mio marito lo hanno ... [Leggi tutto]
Mia suocera che conosceva, [ha fatto entrare] mio marito alle poste...Però mio marito lo hanno chiamato a fare il militare. Nel 1950, lo ricordo, io ero vestita da carnevale, vengo a casa e mio marito mi dice: sei vestita da carnevale? Si, dico. Domani devo partire e devo andare a fare il soldato. Allora mi sono adattata a fare tutti i lavori: sono andata in fabbrica che era al Bottalino, vicino a Biella, una fabbrica tessile che poi è andata in fallimento e allora sono stata a casa. Poi mi sono adattata a fare qualche lavoro, un po’ di qua e un po’ di là, perché [senza] non si poteva stare. E poi dopo siccome che mio marito aveva il papà che faceva anche lui il procaccia postale e siccome il nonno di mio marito aveva lavorato tanti anni nelle poste, allora lo hanno praticamente assunto qui a Cossato nelle Poste. E allora nel 1950 siamo venuti ad abitare qui a Cossato.
Eufemia M.
Quando siamo arrivati qui a Graglia, nel ’46, c’era una crisi che non finiva più, eh! Chi aveva le ... [Leggi tutto]
Quando siamo arrivati qui a Graglia, nel ’46, c’era una crisi che non finiva più, eh! Chi aveva le cascine allora bevevano e mangiavano, ma chi no... Mio padre andava a scaricare la notte al Mulino Gaida la farina, per prendere dei pezzi di lardo che lì avevano dei porci di sette o otto quintali. [Con quei pezzi] loro facevano il sapone, noi lo mangiavamo così col grasso, bell’è che fosse stato rancido. Gli dava la polenta per paga, e questo pezzo di lardo, e mangiavamo. Ma non avevamo tanto da fare,eh! Poi ci siam messi a prendere un pezzettino di terra e abbiamo fatto l’orto, piano, piano, e poi è arrivato anche che mia sorella a tredici anni è andata a lavorare in fabbrica anche lei e allora arrivava uno stipendio in più, e poi abbiamo iniziato a lavorare anche noi, e allora pian piano abbiamo preso.
Ilario B.
Io [qui a Vercelli] ho fatto un po’ il meccanico, ma non andava, perché lì dove lavoravo [a Fiume] ... [Leggi tutto]
Io [qui a Vercelli] ho fatto un po’ il meccanico, ma non andava, perché lì dove lavoravo [a Fiume] era tutta un’altra cosa, un’altra specie di meccanica. Poi un signore, un profugo che lavorava all’Azienda del Gas e faceva anche l’autista del presidente, mi ha trovato un posto di lavoro al Municipio. E han detto così: Elio, andrai ad accendere le caldaie, e va bene vado ad accendere le caldaie. Poi mi presento e quello che doveva assumerci dice: no, devi andare negli stradini. E vado negli stradini; sa, non ero ancora preso, e sono andato a comperarmi il badile. Il mattino che mi presento alle Scuole Principe, viene un signore e dice. Chi si chiama Elio H.? Sono io. Vieni con me nella squadra dei pittori. Sono andato nella squadra dei pittori e son rimasto nella squadra dei pittori: ho cominciato tutto il mio tirocinio, son passato operaio qualificato, specializzato, capo operaio, ho preso i sette anni, li ho salutati e sono andato in pensione. Perché vai via Elio? Perché - gli ho detto - qui non è più lavoro, qui è tutto preferenza dei partiti. E ho parlato col sindaco Biardi - questo qui era una brava persona, era un comunista - e mi fa: gli ho detto Ennio - pensi, era sindaco e voleva che gli dia del tu, io ero capo operaio! - sti sette anni, cosa pensi? Elio, vai via, perché qui si prevedono anni brutti. Sa, lui poi aveva anche contatti con Roma, una robe e l’altra... Se avevo pochi anni magari non andavo via, ma avendo ventotto anni di servizio e sette trentacinque... Poi ventotto anni no, perché ho fatto il militare... Sono andato via con la pensione e bon.
Elio H.
[Da Varallo] siamo andati alla Veneria, a lavorare la campagna, nel riso, perché il lavoro era lì. ... [Leggi tutto]
[Da Varallo] siamo andati alla Veneria, a lavorare la campagna, nel riso, perché il lavoro era lì. Loro ti dicevano: dove vuoi lavorare? In campagna? E il lavoro era lì, a Vercelli, sulla Padana. E lì abbiamo cominciato la nostra vita di nuovo: dopo un mese si lavorava, si prendeva la paga, un mese si comprava la camera, un mese si comprava la cucina, un mese si comprava un’altra roba e abbiamo ricominciato la nostra vita.
Aldina P.
[Per trovare lavoro] bisognava venire a Gattinara - da Lenta venire a Gattinara - e mettersi al ... [Leggi tutto]
[Per trovare lavoro] bisognava venire a Gattinara - da Lenta venire a Gattinara - e mettersi al collocamento, in lista per essere assunti in qualche posto. E solo che era dura, perché lavori in quell’epoca non c’è n’era tanti e allora bisognava adattarsi a qualsiasi lavoro. Anche lavoro di campagna, adattarsi anche a quello, adoperare il badile, e chi era fortunato da avere poi il lavoro c’era la Ceramica Pozzi. Che poi io dopo anni, nel 1956, son riuscito a entrare lì, e lì poi ho fatto la vita. [Io sono entrato] tramite il collocamento, [però] c’era quelli ingranati. Chiaro che quelli che erano ingranati bene stavano meglio. Erano ammanicati, era gente più anziani di me, io ero un ragazzo, avevo ventisei anni.
Giovanni R.
Io sono andata in collegio, che dovevo finire la scuola, [ma] poi sono ritornata a undici anni che ... [Leggi tutto]
Io sono andata in collegio, che dovevo finire la scuola, [ma] poi sono ritornata a undici anni che avevo finito le elementari. Sono andata pure in campagna a lavorare, a portar da bere [alle mondine]: portare da bere col bariletto sulla bicicletta. Noi, ragazzi più giovani, andavamo a fare questo [lavoro]: dai tredici anni fino ai sedici anni, sempre a portare da bere in campagna, col bariletto sulla bicicletta. Andavamo a prendere l’acqua all’acquedotto. [Alla Veneria] si stava di un incanto: mia mamma e mio papà lavoravano - metti che abbiano cominciato a lavorare dal ’47, subito - perché alla monda del ’47 si lavorava già. [Mia mamma] era mondina, [invece] papà [lavorava] in campagna con le mucche, o nelle stalle, di notte. Mia mamma è stata quarantanove anni lì, finché è morto mio papà. E’ stata dal ’47 fino al ’95.
Aldina P.
[Come] lavoro [andavamo] tutti in campagna! Portare il fieno, mungere le mucche. Mio fratello ... [Leggi tutto]
[Come] lavoro [andavamo] tutti in campagna! Portare il fieno, mungere le mucche. Mio fratello faceva il cavallante - andava in campagna col cavallo e il carro - e invece io - dato che avevo un po’ di mestiere - sono andato in officina a fare il fabbro - maniscalco. E così ho fatto lì nove anni e qualcosa, ed ero l’unico che non andava in campagna.
Pietro S.

Tempo libero

A ballare non andavo. Andavo a vedere il cinema, oppure a Graglia c’era la festa di Campra, la ... [Leggi tutto]
A ballare non andavo. Andavo a vedere il cinema, oppure a Graglia c’era la festa di Campra, la festa della Madonna delle Nevi, che viene ad agosto. Eravamo ragazzi di dodici, tredici, quattordici anni, mangiavamo pane e formaggio, compravamo le bottiglie di vino, ci ubriacavamo e poi cantavamo tutta la notte, e bel è fait! Il nostro divertimento era quello. [Poi] andavamo anche all’oratorio. Però non andavamo tanto perché all’oratorio praticamente non c’era niente dentro, facevano più dottrina o quella roba lì che divertimenti. Facevano dottrina, e difatti fino a poco tempo fa sapevo la messa in latino, ma adesso non me la ricordo più!
Ilario B.
[Ci siamo integrati] con le amicizie: ti fai gli amici e quelle cose lì. Andavamo in un bar - il ... [Leggi tutto]
[Ci siamo integrati] con le amicizie: ti fai gli amici e quelle cose lì. Andavamo in un bar - il bar Parenti - che era nominato il bar dei fascisti, a Vercelli, in generale. E chissà come, primo impatto, tac, in piazza Cavour andavi nel bar lì. E’ dove andavano quasi tutti i profughi; quasi tutti i profughi andavano al bar Parenti. Poi io e il mio amico Piero [andavamo] tutte le sere al cinema. Poi andavamo a vedere la Pro Vercelli di domenica, facevamo la nostra partita a biliardo - ero accanito giocatore di biliardo, mi piaceva molto giocare al biliardo - andavamo al bagno al Sesia.
Elio H.
Poi è cominciata la faccenda del ballo. Lì eravamo quattro giovanotti: ce n’era due che erano da ... [Leggi tutto]
Poi è cominciata la faccenda del ballo. Lì eravamo quattro giovanotti: ce n’era due che erano da Pola e che erano una spanna più alti di me. Quella volta lì, non è che uno poteva andare a ballare come adesso, libero, dappertutto. Quella volta lì se uno andava in un altro paese a ballare, veniva fuori, lo aspettavano e lo grattavano [picchiavano]! Noi non le abbiamo mai prese perché eravamo sempre pronti e decisi a difenderci. Poi c’erano anche i giovanotti degli altri paesi vicini, hanno cominciato a capire che non eravamo gente che cerca brighe una cosa e l’altra e allora si è cominciato a fare amicizia con questi qui dei paesi qui intorno e abbiamo cominciato a fare amicizia. Io avevo dodici o tredici amici: abitando lì a Lenta , sulla strada tra Lenta e Rovasenda, ho cominciato ad andare a Rovasenda a messa le domeniche. Andavo a messa e poi si è cominciato a fare una parola con uno, una parola con l’altro e così abbiamo fatto amicizia con tanta gente. [Andavo a ballare] quando si poteva, quando si poteva! Perché non c’era i soldi! E allora poi quando ho cominciato ad aver qualche liretta, ho cominciato a comprarmi la bicicletta e allora poi si andava a ballare a Gattinara - all’Enel lo chiamavano, il dopolavoro - per cui si conosceva già della gente, si faceva amicizia con uno, con l’altro, e con le ragazze, che ancora adesso ci conosciamo.[Mia moglie] si, [l’ho conosciuta] ballando! A Fara Novarese, lontano. Avevo la Vespa e andavo fuori, anche perché poi ho fatto amicizia con ragazzi di Lenta, ragazzi di Rovasenda: avevo un sacco di amici, e poi venivano perfino a cercarmi.
Giovanni R.
C’era il lavoro, il bar, in chiesa alla domenica e mangiare e dormire. E se si voleva dei ... [Leggi tutto]
C’era il lavoro, il bar, in chiesa alla domenica e mangiare e dormire. E se si voleva dei divertimenti bisognava andare a Vercelli, o se no noi al sabato lì in cascina, dato che era grande, si ballava e, qualche volta, c’era anche il cinema. Poi c’era anche il dopolavoro, si giocava alle carte, si guardava la televisione, no, no, era abbastanza organizzata bene. Si, [si ballava] col giradischi. Avevamo un bel salone e la gente veniva anche da fuori: da Lignana, da Ronsecco e da tutti i paesi intorno. E poi venivano anche dalla cascine, da tutte le cascinette piccole che c’erano. Venivano tutti là il sabato. La domenica e il sabato si ballava. Ero un ballerino io, eh! Ho poi conquistato [mia moglie] che era la figlia del fattore!”
Pietro S.