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L'arrivo raccontato dai testimoni

I brani raccolti riportano le testimonianze dei profughi al loro arrivo nei luoghi che li ospitarono descrivendo quale accoglienza ricevettero se di esclusione od integrazione, se trovarono assistenza nelle difficili fasi della ricostruzione di una vita. Ci è sembrato inoltre interessante indagare sul lavoro svolto e su come si trascorreva il tempo libero, in modo da consegnare al lettore un quadro il più possibile realistico degli avvenimenti.

Testimonianze

Accoglienza

Diciamo che goliardicamente ti facevano dire delle frasi in dialetto, che naturalmente essendo di ... [Leggi tutto]
Diciamo che goliardicamente ti facevano dire delle frasi in dialetto, che naturalmente essendo di provenienza istriana o istro-veneto, parlare il piemontese o il milanese stretto, si facevano della gran risate! Una volta sola, un signore mi aveva chiamato ustasa, che io non sapevo cos’era, l’avrò saputo vent’anni dopo, leggendo o cose così. Ecco, l’unico che mi ha dato questo titolo, che io non sapevo c’s’era. Però era quella goliardata... Come te, è come se fai parlare a un marocchino il novarese! Niente di discriminante, dai! [Verso i profughi] c’era però un certo terrore. Posso dirle che quando mia moglie mi ha presentato èai suoi genitori], mia suocera si è messa a piangere ed è andata in un angolo, perché ero un profugo. La cultura di allora, poverina, non so, una forma di razzismo. Invece lui [mio suocero] ha detto: lavora? Si, è un bravo ragazzo? Si. E allora che te ne frega! Era diverso, però io non ho avuto discriminanti.
Guerrino B.
L’ho saputo anche da altri, [l’accoglienza] non era bella, non era positiva, perché si portava via ... [Leggi tutto]
L’ho saputo anche da altri, [l’accoglienza] non era bella, non era positiva, perché si portava via il lavoro, si portava via le case. Poi, come dappertutto, il foresto, lo straniero, ti porta a guardarlo con circospezione. Voi siete venuti via, perché siete fascisti. [Era questa] la mentalità qui [a Novara]. E anche in fabbrica ricordo che ero trattato con quel modo là. Poi c’era anche [questo]: a Torrion Quartara c’era le feste da ballo, e allora noi ragazzi si andava lì, e avendo un modo [di fare] così espansivo si aveva delle conquiste. E certamente coi locali erano problemi ed erano botte, i ragazzi si picchiavano! Io ai tempi ero piuttosto gracilino e quindi ero fuori dal giro, ma altri erano violenti, perché c’era una violenza nelle persone! A parte che tra i quartieri c’era anche questa cosa qui, cioè che quando andavi in un altro quartiere erano problemi, e figurarsi per questi che parlavano dialetto! Veneto poi, e cosa c’entrava il veneto! Che qui il veneto lo parlavano solamente le mondine quando venivano a fare il riso, e allora c’era questa diversità qui... [Quindi] noi eravamo trattati male nel senso che...Uno, lo straniero che viene in casa tua, in Novara, che è agevolato nel lavoro, che ha questo modo di vivere così scanzonato che affascina, che erano sportivi, perché tanti sono arrivati...Chi nello sport, nella box, chi nel calcio, son diventati dei campioni: Udovich, ad esempio, è uno della mia classe che per Novara è una figura storica... Per dire... Per tutte queste faccende eravamo visti non bene, fino a che oggi ci si è integrati. Il nemico oggi non è né il terrone di una volta che veniva, né il profugo - che ci chiamavano fascisti - ma il pericolo oggi è i musulmani.
Rino P.
Non ci accettavano. Non eravamo accettati, allora perché eravamo profughi, ma come non erano ... [Leggi tutto]
Non ci accettavano. Non eravamo accettati, allora perché eravamo profughi, ma come non erano accettati i veneti che erano tutti rasconi, quelli [che sono arrivati] col Polesine, con l’alluvione del Po, e come i meridionali dopo e come adesso gli extracomunitari. [Non ci accettavano] perché a seconda [di] come andava, eravamo o tutti democristiani o tutti comunisti o tutti fascisti. Questa era la denominazione che ci davano. Pensavano che noi eravamo venuti a mangiare il loro pane, ma il pane era anche nostro, perché eravamo tutti cittadini italiani! Noi abbiamo sempre avuto problemi coi compagni: coi comunisti abbiamo sempre avuto problemi. Vi manderemo alla Caserma Perrone a farvi mangiare dei profughi. Questo era detto allora in quegli anni lì, e quelli che erano allora così adesso sono ancora così, perché non è che han cambiato: chi era fascista è rimasto fascista, chi era comunista era comunista. [E per alcuni] noi eravamo venuti qui, pur essendo cittadini italiani, a mangiare il loro pane e ad usurpare le loro robe.
Giuliano K.
Avevamo delle agevolazioni, lo sa... Eravamo equiparati agli invalidi di guerra, alle vedove di ... [Leggi tutto]
Avevamo delle agevolazioni, lo sa... Eravamo equiparati agli invalidi di guerra, alle vedove di guerra, eccetera, eccetera. E allora io sono entrato alla Sant’Andrea per quella legge lì dei profughi. E infatti ricordo che sono andato all’ufficio di collocamento con il libretto di lavoro - perché ho lavorato anche dallo Scalzi [un’azienda] che faceva quadri elettrici qui a Novara - e questo qui [l’impiegato] mi ha detto: ah, voi profughi, voi profughi eh, agevolati! [Aveva] questa contrarietà per il fatto che sono entrato alla Sant’Andrea ai tempi.
Rino P.
Beh, i novaresi che son poi venuti ad abitare al Villaggio, parlavano poi il dialetto nostro. Sono ... [Leggi tutto]
Beh, i novaresi che son poi venuti ad abitare al Villaggio, parlavano poi il dialetto nostro. Sono loro che si sono integrati, che si sono adattati a noi! Parlano tutti il dialetto: i meridionali che sono andati al Villaggio, parlano il dialetto nostro, il giuliano - dalmata. Loro parlano come noi: se lei va al bar li sente parlare come noi!
Irene V.
Poi c’era l’attrito con i comunisti. Perché si andava sempre a ballare... Noi ballavamo sempre ... [Leggi tutto]
Poi c’era l’attrito con i comunisti. Perché si andava sempre a ballare... Noi ballavamo sempre meglio di loro, e poi dopo ogni domenica [era] una scazzottata! Ma si, per il contrasto... Loro non ci volevano, gli rubavamo le ragazze. Però poi ti dirò un’altra cosa. Aldo Panic, sai chi era? Era un marciatore, medaglia d’oro, era in campo profughi a Novara, e ha detto che quando è venuto la prima volta ha visto una donna, con un bambino che erano fuori - non erano profughi - che piangeva. E la mamma gli ha detto: guarda, se non stai zitto ti mando dentro dai profughi, loro ti mangiano! Ma è rimasto male!
Romano V.
Non ci hanno voluto bene per un po’, non ci hanno voluto bene. Sempre la storia [dei] fascisti, ... [Leggi tutto]
Non ci hanno voluto bene per un po’, non ci hanno voluto bene. Sempre la storia [dei] fascisti, fascisti... Io, forse adesso oso, ci dicevano fascisti e mi veniva da dire ma vaffanculo! Fascisti... Se uno è obbligato, se uno deve lavorare, se uno deve andare a scuola... Se le dico l’esempio, è semplice... Io abitavo vicino alla scuola, e mi dicevano: vai a casa, mettiti la cravatta e mettiti il basco, perché ero già una giovane italiana. E che dovevo fare? Prendere la professoressa e buttarla dalla finestra? Eh, non potevo... Capisce? Fascisti, fascisti, fascisti... Ci hanno accolto un po’ con il nasetto storto, sempre per la storia fascisti.
Amedea M.
[A Novara ci hanno accolti] con molto distacco. Intanto non ti dicono mai niente: pensano e parlano ... [Leggi tutto]
[A Novara ci hanno accolti] con molto distacco. Intanto non ti dicono mai niente: pensano e parlano ma non ti dicono mai niente, poi sotto sotto ti tagliano i panni addosso. Questa è proprio una caratteristica [dei novaresi]. Tanto è vero che nei tanti anni che ho passato coi miei colleghi alla De Agostini, noi eravamo un gruppo di cromisti, una dozzina di persone. Tante cene, nei vari trattorie e ristoranti ma mai un novarese - dopo quindici o venti anni - che mi avesse chiamato in casa. In casa sono andato di gente che era venuta come me dal meridione, ma di novaresi no. Il novarese è molto cortese però ti lasciava dove ti trovi. [Poi il fatto del fascista], quello era sottinteso! Non te lo dicevano ma lo pensavano.
Otello S.
[L’accoglienza è stata] tragica! Perché io, adesso parlo per me. Quando andavamo a scuola, finchè ... [Leggi tutto]
[L’accoglienza è stata] tragica! Perché io, adesso parlo per me. Quando andavamo a scuola, finchè eravamo in campo profughi - io ho fatto fino alla terza elementare - eravamo tutti uguali, e perciò non si poteva dire niente, tutto bene. Quando poi sono uscita, che ho fatto la quarta e la quinta elementare qui alla Rosmini, era tutto diverso. Perché ti dicevano: ah, quella lì è del campo profughi, quella lì viene dal campo! Eravamo emarginate, non eravamo viste bene. No, no, i primi tempi non eravamo visti bene. Specialmente poi quando hanno fatto il Villaggio Dalmazia qui non lo volevano le persone, non volevano proprio che si costruisse. La gente del posto non voleva, poi bisogna sempre vedere se è vero... [All’inizio] si, all’inizio si [ci hanno emarginato]. Ma perché non ci conoscevano, poi col tempo quando hanno cominciato a conoscere le persone hanno visto... Poi hanno sempre detto che siamo fascisti, sempre ci hanno dato dei fascisti. E mia mamma una volta l’ho sentita dire: per forza che eravamo fascisti, eravamo tutti fascisti! Se volevi vivere, tuo malgrado, dovevi esser fascista. Se volevi vivere.
Irene V.
La gente aveva cappotti e maglie, e [per] chi aveva tre o quattro figli era un aiuto. Era un aiuto: ... [Leggi tutto]
La gente aveva cappotti e maglie, e [per] chi aveva tre o quattro figli era un aiuto. Era un aiuto: un cappotto. Tutti avevamo quattro soldi, perché il sussidio c’era: un piatto di pane, un piatto di mortadella c’era. E allora la gente... Dopo, si capisce, ognuno si è sistemato facendo qualche lavoretto o qualcosa, e poi dopo sempre meno. Però, insomma, davano. Davano, e davano anche sussidi.
Amedea M.
Solo quando c’era le feste di Natale davano quei pacchi. Ma non di vestiti, più che altro di ... [Leggi tutto]
Solo quando c’era le feste di Natale davano quei pacchi. Ma non di vestiti, più che altro di giochi. Quello dei giochi mi ricordo anche che un anno avevano sbagliato: noi eravamo tre femmine, e ci avevano dato un pacco per un maschio! Giustamente, c’era un cavallino e così... E una di noi non lo volevamo, ci eravamo messe a piangere. Poi mia mamma ha fatto in modo di cambiare, aveva cambiato perché avevano sbagliato, ci avevano dato macchinine e cose così. Ecco, quello si, è un bel ricordo di questi pacchi. Si, a Natale ce li davano, l’ECA o [le] associazioni così.
Irene V.

Lavoro

A Novara ho incominciato i primi lavori coi rumeni, che era tutta gente che, quasi tutti, facevano ... [Leggi tutto]
A Novara ho incominciato i primi lavori coi rumeni, che era tutta gente che, quasi tutti, facevano i pavimentisti. Facevano i pavimentisti ed io non avendo ancora i quattordici anni, a dodici andavo dietro ai rumeni, portavo il secchio di calcine e le piastrelle, facevo quello che dicevano e gliele avvicinavo. Da dodici [anni] ho fatto un sacco di lavori: dopo i rumeni sono andato a fare il garzone di un imbianchino con le tapparelle in legno, cioè lui era fuori che pitturava ed io dovevo fargliele scendere, adagio adagio, sempre alla stessa altezza. Poi, prima dei quattordici anni sempre, sono andato in una carrozzeria, e lì tutto il giorno dovevo mettere la mano nell’acqua e la carta smeriglio, quella fine del carrozziere, a carteggiare e rendere liscio che poi lui pitturava. E questo mi dava talmente poco che ho fatto quindici giorni di lavoro. Alla fine dei quindici giorni mi chiama, mi da 500 Lire e mi dice: tieni la mancia. E io gli ho detto: e la paga quando me la dà? Questo mi dice: no, non c’è la paga, sei qui che impari! Al compimento dei quattordici anni, me lo ricordo, vado a fare il libretto del lavoro e c’era R. all’ufficio di collocamento, che a Novara questo nome è un’istituzione. Mi dice: cosa vuoi fare? Da ragazzino, con le idee confuse gli dico: meccanico! E mi ha dato subito il lavoro, mi ha detto: vai domani alla Scotti e Brioschi, che era una società consorziata alla General Elettric americana, faceva trasformatori elettrici. Sono andato alla Scotti e Brioschi e ho fatto otto anni, con tutto l’iter: scuola professionale, corsi di formazione che però era sempre la stessa cosa, infatti al quinto anno non studiavo più. Ci davano poi un riconoscimento alla fine del corso di 5.000 Lire ai meritevoli, e mi hanno coinvolto a fare il rappresentante sindacale degli apprendisti, che c’era movimento. Quando siamo entrati avevamo quattordici giorni di ferie, in cinque anni sono diventati trenta! C’era i primi movimenti... Sono stato iscritto quasi subito alla CGIL, perché c’era un grande amico - tutt’ora - che invece che Gesù Cristo aveva la collana con falce e martello. Bravo uomo, bravo, un amico. Mi ha fatto iscrivere alla CGIL come rappresentante dei trenta apprendisti della Scotti e Brioschi, e ne vado orgoglioso perché la prima cosa che abbiamo fatto è stato parlare dei problemi dei giovani. E sono andato con il segretario della FIOM di Novara - che non c’è più, Fortina - a Bologna e lì ho l’onore di poter dire di aver stretto la mano a Di Vittorio, c’era anche lui. Io, naturalmente, tutte le mie richieste le ho dette a Fortina, e lui ha fatto l’intervento sindacale, mentre io ero solo ad assistere per poi dire ai trenta apprendisti del Brioschi le nostre cose. Chiaro che per quei tempi era un successo, perché da quattordici abbiamo portato nel giro di cinque anni a trenta giorni le ferie!
Guerrino B.
[Siamo andati a lavorare] dappertutto: noi fiumani - che eravamo i più intelligenti! - siamo andati ... [Leggi tutto]
[Siamo andati a lavorare] dappertutto: noi fiumani - che eravamo i più intelligenti! - siamo andati a lavorare nelle ditte private, invece gli istriani sono andati in ferrovia, all’Enel e in tutti i posti statali, che poi son stati molto più considerati di noi, son stati sempre più in gamba. Difatti noi di gente che lavorano per lo stato ce ne sono stati pochi.
Giuliano K.
Quando qui a Novara cominciava a muoversi il lavoro, forse i profughi avevano anche qualche libro ... [Leggi tutto]
Quando qui a Novara cominciava a muoversi il lavoro, forse i profughi avevano anche qualche libro di scuola in più! E allora han cominciato, finito la scuola, subito a lavorare.
Romano V.
Mio papà è subito andato a lavorare, dopo [che è arrivato] qui ha fatto di tutto! E’ andato subito ... [Leggi tutto]
Mio papà è subito andato a lavorare, dopo [che è arrivato] qui ha fatto di tutto! E’ andato subito nei cantieri, ha fatto il muratore, il cantoniere in giro per le strade, ha fatto di tutto. E poi è andato alla Sant’Andrea, alle Officine Meccaniche. Prima lo hanno messo in fonderia, e poi l’han messo in un altro reparto, e ha lavorato alla Sant’Andrea tutti gli anni, ecco. E’ andato in pensione lavorando lì. Da questo lato [del lavoro] i profughi possono dirsi anche fortunati. La maggior parte di quelli che conosco io - parlo di quelli del Villaggio - hanno avuto bei posti: De Agostini, Enel, Telecom e Posta. Che anche noi siamo una famiglia di postali e quello che mi dispiace che ho due figli, e adesso uno fa il portalettere, però non fisso, ma ancora trimestrale, e invece l’altro è a Granozzo qui vicino, in ufficio, dopo dieci anni che era a Gozzano. Romano ha fatto l’autista alle poste, che almeno la qualifica di profugo che abbiamo è servita a qualcosa. Sia a lui che anche io, perché anche io sono pensionata alle poste da poco. E da questo lato qui devo dire grazie allo stato che ci ha dato la possibilità di [trovare], cioè ci ha dato l’aiuto nel lavoro. [Poi] c’era Scalfaro che veniva al Villaggio, questo famoso Scalfaro! Che i miei non sono mai andati perché - tante volte lo dice ancora adesso- mio papà diceva: io non devo dire grazie a nessuno, non sono mai andato a chiedere a nessuno. Lui, però tanti - dobbiamo dire la verità - si sono approfittati. Tanta gente andava a chiedere, e forse anche giustamente. Eh, non so, quando c’era le votazioni mi ricordo che veniva a parlare, faceva i comizi qui al Villaggio Dalmazia. Era venuto lui a inaugurare il Villaggio Dalmazia. E so che tanti sono andati da questo Scalfaro, e lui però li ha aiutati. Però questi che sono andati a lavorare in questi posti non so come hanno fatto. Io parlo per me delle Poste, che quando abbiamo fatto la domanda abbiamo fatto il concorso normale, e ho allegato questo fatto della qualifica [di profuga] e invece di essere in graduatoria, ho avuto qualche punteggio in più e sono andata tra i primi.
Irene V.
La nostra gente istriani e dalmati - perché noi siamo istriani, giuliani o dalmati -, i primi soldi ... [Leggi tutto]
La nostra gente istriani e dalmati - perché noi siamo istriani, giuliani o dalmati -, i primi soldi che hanno dato di sussidio in campo, hanno comprato la pala e si son messi a spalare la neve! Invece adesso vanno prima a prendere i soldi, poi prendono il caffè e alla fine vanno a prendere la pala! E poi vogliono anche la casa! La nostra gente si è data da fare: certo, qui il Doppieri mi ha risposto che avevo vent’anni e dovevo essere un’operaia. E io non gli posso neanche dire che ho fatto quelle tre semplici scuole commerciali, perché la scuola è bruciata, il fuoco si è portato via i documenti veri, passaporti e quelle robe lì. E quindi io cosa ho fatto? Ho fatto in una passamaneria, che ho accettato, e mi hanno insegnato a fare i fiocchi sui tappeti e quelle robe. E allora li portavo a casa: papà ha fatto un asse così, coi chiodi... Lavoravo a domicilio, ma era tutto per i capricci miei, della mamma e del fratello. Sono andata a lavorare dopo vecchia, quando avevo già quarant’anni alla Incom, a fare la donna delle pulizie in forza, ma per un semplice fatto: perché mio marito lavorava in proprio, e quando si lavora in proprio c’è un po’ di [rischio]. E io ho sentito tante di quelle parole quando sono andata a lavorare! E gli ho detto: guarda che tuo figlio vuole andare all’accademia, il perito aeronautico non lo fa, l’accademia costa, così con quei pochi soldi della busta paga, andiamo a trovarlo e facciamo le ferie. Ecco, e allora ho lavorato quindici anni alla Incom lì.
Amedea M.
Mah, si faceva quei lavori che capitavano: portare il carbone nelle cantine, portare i cesti di ... [Leggi tutto]
Mah, si faceva quei lavori che capitavano: portare il carbone nelle cantine, portare i cesti di frutta al mercato all’ingrosso. Io per esempio ho preso parte alla canalizzazione del gas tutta intorno a Novara. Ma tutti lavori, come dire, a termine insomma. Qui, a parte il fatto del lavoro precario, c’era chi era già andato che avvisava gli altri: c’era un passaparola per questi lavori qua. Per quanto riguarda invece il lavoro da sistemarsi, c’era una legge che diceva che una parte delle assunzioni deve essere riservata ai profughi. Io non mi è mai piaciuto chiamarmi profugo, ho sempre preferito chiamarmi esule, perché è stata anche una scelta politica. Come mi rifiutavo di indossare la divisa balilla, peggio ancora quell’altra! Ma perché non faceva parte della mia etnia. Io per esempio sono entrato perché avevo la licenza di un avviamento professionale, e allora avevo le carte in regola, ma è molto facile che abbia... Io non lo so, voglio dire, ho fatto la domanda e mi hanno assunto. Non so se sono rientrato in quella percentuale oppure andava bene quello che avevo come individuo.
Otello S.

Tempo libero

[Andavo] a ballare. Io andavo a ballare per cuccare, non è che sono un Fred Aster! Sul lavoro ci si ... [Leggi tutto]
[Andavo] a ballare. Io andavo a ballare per cuccare, non è che sono un Fred Aster! Sul lavoro ci si integrava, tra giovani, non c’era più la difficoltà che potevamo avere coi genitori... Sedici - diciassette anni [avevo io], sedici diciassette anni [aveva] il ragazzo novarese, e valeva anche per la ragazza novarese. Tra i giovani non era sentita [la rivalità], il più era tra i genitori, come sempre, da generazioni. Qualcuno mi ha anche detto che io sono un profugo anomalo, perché io parlo anche il dialetto novarese. Ho un sacco di amici novaresi, come li ho qua li ho anche da altre parti. Mi sento integrato al tutto per tutto, tant’è che a volte posso anche dire di essere una memoria storica a Novara, sono cinquant’anni che siamo qua! Tutto il cambiamento di Novara lo abbiamo vissuto. Poi io mi sento novarese, sinceramente. [E] non perché ho sposato [una] novarese, mia moglie è novarese...Ho la nostalgia per l’Istria, però dopo che vai lì una settimana o due, non avendo legami profondi mi annoio. Preferisco venire qui tra le risaie, qui ho amici ho conoscenti. Il mio vissuto e le mie radici son qua, oggi.
Guerrino B.
Si andava a ballare e si andava al cinema, ma le risorse erano poche! Io ai tempi ricordo che ... [Leggi tutto]
Si andava a ballare e si andava al cinema, ma le risorse erano poche! Io ai tempi ricordo che andavo a comperare dal tabaccaio qui al Villaggio due sigarette, che le vendevano sciolte. Poi c’eran quelli che lavoravano già e avevano più possibilità rispetto a me. Perché poi c’era anche diverse estrazioni: la nostra estrazione di lavoratori e operai, e poi invece c’era anche di quelli che erano invece già integrati in città, o erano studenti o andavano all’università, e c’era una diversa estrazione tra le varie [tipologie di profughi], e io posso raccontare a fondo solo questa nostra. Si andava a ballare, si andava al cinema, quando si aveva possibilità. E poi, un’altra cosa anche: da noi c’era questa tradizione del bere, e si beveva parecchio. Poi qui c’era anche dei profughi rumeni, della Romania, e questi qui erano tutti piastrellisti: alla mattina andavano lì al bar e si bevevano dei grappini così, prima di andare al lavoro! E’ una cosa qui che non c’era uso. E dei ragazzi che sono andati a fare i piastrellisti, avevano la paga settimanale, avevano possibilità, erano pagati in nero. Invece quelli che erano in regola, come nel mio caso...Che mio papà preferiva che io fossi in regola in fabbrica e oggi posso vantare la pensione rispetto ad altri che allora spendevano e spandevano con noi e ti dicevano: ah, ti non ha soldi mi ne ho! Ed erano invidiati, mentre oggi le cose sono diverse!
Rino P.
La gioventù ha cominciato a sposare qualche novarese, poi un novarese ha sposato qualche fiumana. ... [Leggi tutto]
La gioventù ha cominciato a sposare qualche novarese, poi un novarese ha sposato qualche fiumana. Ci sono stati i matrimoni, si, si, ci sono stati. No, no, per quello ci siamo integrati. [Come passavo il tempo libero?]: eh, niente, andavamo in giro. C’è una foto che siamo in ventuno- ventidue con la bicicletta, pronti per andare a fare il giro per campagne. E allora qualche volta era un pic-nic con le merende, abbiamo girato tutta la valle con le biciclette. [Poi si ballava]: si andava ai Combattenti, al Vittoria, ai Mutilati e ancora a un altro che non mi ricordo. Andavo io con mio marito, il mio defunto cognato - che ha sposato una novarese - e andavamo in questi balli, ed era tutto qui in giro. A capodanno si veniva a casa alle 6,00, ma tranquilli e beati, insomma... Insomma, ci siamo integrati anche con fiumani che non si conosceva. No, no, ci siamo integrati con quel gruppo di novaresi. E poi col figlio nel pomeriggio eravamo sempre in giro con un’amica fiumana che ha sposato un novarese, e portavamo i figli fuori. No, no, dopo ci siamo integrati, ma i primi due mesi - tre mesi, sono stati pesanti, perché c’era sempre sta storia fascista, fascista! E sa, quando è un chiodo è un chiodo, eh!
Amedea M.
Allora quando c’era la festa, facevamo i nostri gruppi, cioè ragazze e ragazzi insieme... Ma non, ... [Leggi tutto]
Allora quando c’era la festa, facevamo i nostri gruppi, cioè ragazze e ragazzi insieme... Ma non, come dire... Noi avevamo un cameratismo che qua non c’era. E allora andavamo, pigliavamo, affittavamo a carnevale una stanza dietro a un’osteria, c’era il giradischi, noi portavamo da bere, le ragazze portavano i panini e si ballava, si faceva i giochi di società, sa, quei giochi a premi e quelle stupidaggini là. E il padrone del locale ci diceva: se volete, ci sono le stanze di sopra! E noi gli abbiamo fatto una risata in faccia. Si, c’erano quei ragazzi che oramai erano già fidanzati, però, in compagnia, non si permettevano di appartarsi come poi ho visto fare qua un sacco di volte, o una ragazza che si stringe a me poi bam, si stacca con la mamma che aspetta che finisca di ballare. Capisci? Per cui era tutto un altro rapporto, ci divertivamo come potevamo, alla fine.
Otello S.