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Caserma Giuseppe Passalacqua, corso Alessandria 62, Tortona

Costruita alla fine dell’Ottocento ed utilizzata fino al termine del secondo conflitto mondiale come struttura militare, a partire dal 1946 la Caserma Giuseppe Passalacqua di Tortona inizia la sua lunga attività di centro raccolta profughi.

I primi profughi arrivati a popolare le grandi stanze dell’edificio, costituito da quattro fabbricati disposti intorno a un ampio cortile centrale, provengono dalla Grecia (precisamente dalle zone di Atene, Patrasso e dal Dodecanneso). Con loro giungono nuclei di cittadini italiani ritornati dalla Libia e dai territori dell’Africa italiana e un folto gruppo di esuli giuliano-dalmati, circa 1.100 unità. Secondo i dati raccolti dal direttore del Centro Raccolta Profughi torinese delle Casermette, recatosi in visita nel 1948 in alcuni tra i principali centri di raccolta profughi del nord Italia, la Caserma Passalacqua, “attrezzata per 1.550 persone” ospita a tale data “1.440 profughi” [ASCT, Fondo ECA]. Una cifra simile a quella che si riscontra nella seconda metà degli anni Cinquanta quando, come si legge in una relazione stilata dal inviata dal direttore del campo al sindaco della città il 19 agosto 1955, “la forza presente al campo di Tortona si aggira sulle 1.450 persone”. [Archivio Storico Città di Tortona]

La caserma Passalacqua si presenta come una delle strutture più ampie all’interno dell’intero panorama dei centri di raccolta profughi italiani: si calcola infatti che siano stati almeno 20.000 i profughi che tra il 1946 e la fine degli anni Sessanta abbiano varcato i cancelli della struttura derthonina.

A fare da sfondo alla loro permanenza in campo ci sono, qui come altrove, la promiscuità, la mancanza di condizioni igieniche adeguate e una quotidianità vissuta in grandi camerate dove interi nuclei familiari vivono ammassati gli uni accanto agli altri inizialmente separati soltanto da semplici coperte, sostituite, verso la fine degli anni Cinquanta, da pareti in muratura.

Un’esistenza scandita da una fragilità estrema, cui si cerca di far fronte dotando il campo di servizi in grado di garantire agli ospiti lo svolgimento di attività essenziali: un asilo istituito e gestito direttamente dalle suore che operano all’interno del campo, una scuola elementare, formata da otto classi, che affida a “maestri pagati dall’amministrazione scolastica” l’istruzione dei bambini e alla direzione del campo la fornitura “di materiale didattico, libri, quaderni e cancelleria” [ASCT, Fondo ECA], un ufficio postale, un posto di polizia, una piccola cappella, uno spaccio di generi alimentari, un’infermeria, un locale destinato ad attività ricreative e di svago e cucine che si occupano della distribuzione del vitto. A Tortona sono infatti attive tre cucine, ognuna delle quali è chiamata a soddisfare le esigenze dei principali nuclei di profughi ospitati: la cucina giuliana si occupa dunque di confezionare i pasti per i giuliano-dalmati, quella greca per i greci e quella 'mista' per gli altri ospiti del campo. I generi alimentari sono distribuiti dal Magazzino viveri ai rappresentanti dei singoli gruppi di profughi addetti alle cucine in modo che, come si legge nella relazione stilata dal direttore delle Casermette di Torino, “ogni gruppo si confeziona il vitto secondo i propri gusti e consuetudini”. [ASCT, Fondo ECA]. La pratica rimane attiva per alcuni anni, per poi lasciare spazio alla distribuzione di alimenti in natura, alla cui cucina provvedono direttamente i profughi nelle singole camerate. Generi alimentari forniti direttamente dalla direzione del centro, protagonista di numerosi interventi in materia assistenziale che, iniziati negli anni di apertura, continuano costantemente fino alla chiusura del campo. Provvedimenti di cui si fa quasi sempre carico il locale Ente Comunale di Assistenza e che offrono ai profughi generi di prima necessità, oggetti di uso comune, vestiario e forniture alimentari, come dimostra, ad esempio, una lettera inviata dal direttore dell’ECA al prefetto di Alessandria in data 1 settembre 1955. Il documento evidenzia infatti come, “dopo aver esaminato l’elenco nominativo degli indigenti bisognosi segnalati dal direttore del Campo”, l’ECA si sia incaricata di distribuire, nei mesi di luglio e agosto, “buoni viveri per un valore complessivo di Lire 500.000”, dei quali usufruiscono “circa 160 famiglie (450 persone)”, sollevando però la protesta degli altri ospiti del campo che, come si legge nel documento, “si recano presso la direzione prospettando le loro misere condizioni e chiedendo di essere inclusi nell’elenco dei beneficiati” [Archivio Storico Città di Tortona]

Con la costruzione degli alloggi di edilizia popolare non solo a Tortona, ma anche nelle vicine Alessandria e Novara, e la loro assegnazione a consistenti nuclei di profughi residenti nel campo, la Caserma Passalacqua conosce, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, un sensibile ridimensionamento delle presenze. Uno spopolamento che coincide, tra il 1959 e il 1963, con un mutamento della composizione degli ospiti, costituiti in gran parte da cittadini italiani provenienti dalla Tunisia e dall’Algeria, spinti a rientrare in patria dai mutamenti politici e statuali che in quegli anni sconvolgono paesi nei quali sono insediati da generazioni. E’ l’ultima grande ondata che precede la definitiva chiusura del campo, avvenuta intorno ai primi mesi del 1970.

Testimonianze

[Da Udine] siamo andati a Tortona. [L’abbiamo scelta] sapendo che in Alta Italia c’era più ... [Leggi tutto]
[Da Udine] siamo andati a Tortona. [L’abbiamo scelta] sapendo che in Alta Italia c’era più possibilità di lavoro; ecco perché mio papà ha scelto Tortona. A Tortona c’era un campo profughi, c’erano i cameroni divisi dalle tende - tende nere, quelle dell’esercito - e allora in uno spiazzo [grande] così, era diviso da delle tende. C’era un corridoio e ogni famiglia aveva uno spazio, e sentivi la famiglia vicina, tutti i rumori che questi facevano: le gride, le parentele, le amicizie, eccetera. Ed era tutta gente nostra, no... Si parlava il dialetto veneto, molto simile al veneziano o al triestino, si distingue un po’ ma è veneto, proprio. [Il campo] io me lo ricordo poco, perché ...Almeno, questa cosa succede per diversi... Non so, come voler cancellare, come non voler sapere del passato, e succede per diverse famiglie. Cioè, cancellare la memoria, e per tanti è successo questo. Per il campo profughi io non ricordo tanto, ricordo poco. [Ricordo che] c’era questa promiscuità, i bambini correvano e si divertivano, c’era all’interno un’infermeria e quelli che potevano uscire perché avevano un lavoro o andavano a scuola [uscivano], mentre gli altri non potevano uscire e rimanevano all’interno.
Rino P.
A Udine c’era il centro di smistamento, veniamo smistati a Tortona al centro raccolta profughi di ... [Leggi tutto]
A Udine c’era il centro di smistamento, veniamo smistati a Tortona al centro raccolta profughi di via Alessandria 62. Era una caserma [su] quattro lati, quadrata: c’era le camerate e sotto, ai primi piani, abitavano le famiglie più numerose e si vede che durante l’attività militare era armeria, fureria o alloggi dei sottoufficiali. Lì c’erano le famiglie numerose. Sopra c’era tutte le scale, scale larghe e da caserma, con grossi capannoni, fili, tende e coperte. Qualcuno aveva il proprio alloggetto, piccolo però dignitoso che ci stava tutta la famiglia. Ed erano famiglie numerose. Una donna con due figli stava in un angolino con un tavolino, con un fornellino a gas per far da mangiare, due pentole in alluminio, due brandine che si dormiva tutti assieme, tutti attaccati e un tavolino per fare i compiti. Non c’era altro spazio, e bom. Si sentiva il rumore degli altri, e tutto. [In campo] c’erano tutti: greci, ciprioti, rumeni, ungheresi, tanti che venivano dalla Libia, cioè da Tripoli e quelle zone lì, con nomi italiani.
Guerrino B.
A Tortona eravamo divisi con le coperte... Era enorme, c’era un’ala enorme, era una caserma dei ... [Leggi tutto]
A Tortona eravamo divisi con le coperte... Era enorme, c’era un’ala enorme, era una caserma dei militari e allora c’erano cameroni grossi, ed era tutto diviso con le coperte. Eravamo divisi con le coperte. Ma la vita era allegra, era sempre allegra perché siccome noi eravamo a mezz’ala, ci hanno dato un padiglione, e questo padiglione l’abbiamo diviso ognuno con le coperte. Eravamo poi come una famiglia lì: gli uomini si aggiustavano e andavano a lavorare nei campi - mio marito è andato a lavorare nei campi a prendere il grano, perché era settembre/ottobre - per portare a casa due soldini, e poi ci davano 150 Lire al giorno, e con quello ci dovevamo aggiustare, anche a cucinare da soli. E poi c’era all’interno, la cooperativa, che se non arrivavi coi soldini, avevi un libretto che ti segnava. Per dire, io sono arrivata a spendere le 300 Lire che mi davano, ne avevo spese 350, e allora ti segnava e poi quando veniva l’altro mese si aggiustavano i negozi con chi comprava. I negozi erano dentro al campo, ma poi potevamo uscire, potevamo andare via e fare tutto, eravamo liberi. Cioè ognuno si aggiustava come poteva. [Nel campo] il bagno era quello dei militari, alla turca. Poi c’erano enormi, enormi, enormi lavandini, ma enormi! Avranno avuto venti spine che andava l’acqua, e lì si lavava la roba. E invece quando dovevamo fare la doccia, si portava il mastelletto, si scaldava l’acqua e ci lavavamo. Non c’era doccia, non c’era niente. Ci aggiustavamo con le ma stellette.
Adua Liberata P.
E’ stata dura, è stata dura... Sembravamo quelli con la lebbra! A Tortona i primi anni son stati ... [Leggi tutto]
E’ stata dura, è stata dura... Sembravamo quelli con la lebbra! A Tortona i primi anni son stati duri. Eh, ci schivavano... Sono profughi, chissà che gente [sono]... Il piemontese e anche il tortonese era un po’ sulle sue, anche i primi tempi qua a Torino. Neh, sti napuli... Ancora ancora [noi] veneti eravamo considerati un po’ meglio, ma i primi tempi era dura, mi creda. E anche a Tortona sa, man mano, ci siamo integrati. Ci è voluto un po’ di anni, perché io poi andavo a cucire, queste persone ti conoscevano com’eri ci hanno voluto poi bene: io per alcuni anni ho anche avuto un rapporto bello, tute le volte che andavo a Tortona, andavo a trovare [la mia ex datrice di lavoro]. Io andavo a cucire, e man mano che si andava avanti ci hanno conosciuto, sa gente che andava a fare i lavori in casa, gente che andava in campagna, gente [che andava a fare] qualsiasi lavoro che c’era da fare, e allora han capito che gente siamo. Perché in principio era un po’ dura, cioè perché credevamo che eravamo fascisti..
Olivia M.
[A Tortona] io e mio fratello siamo andati alla scuola professionale, e ci hanno trattato molto ... [Leggi tutto]
[A Tortona] io e mio fratello siamo andati alla scuola professionale, e ci hanno trattato molto male. Adesso faccio proprio un esempio lampante. Noi non avevamo né quaderni, né libri, niente insomma. E chi ci dava i soldi? E chi ci dava la possibilità di inserirci nell’istruzione e nella società? Allora, io e mio fratello andiamo a scuola, che mi ricordo era sopra il cinema sociale a Tortona. Io e mio fratello eravamo in classe insieme, e ricordo che la maestra ci aveva fatto fare un tema di italiano. Abbiamo chiesto ai nostri compagni di darci almeno un foglio. Ci hanno dato il foglio, abbiamo fatto il tema e glielo abbiamo consegnato. Due giorni dopo la maestra, indignata, prende il foglio e dice: ecco, questi sono i profughi! Si vede che sono nati in una stalla! Perbacco! Io che avevo l’inchiostro lì, perché avevamo il banco che aveva il calamaio, ho preso il calamaio e gliel’ho tirato, e l’ho imbratta d’inchiostro! Non so chi mi aveva dato il coraggio, ma sentire che noi siamo nati in una stalla! Volevo vedere io se fosse stato detto a lei... Fatto sta che il preside ci ha chiamato e io sono andato con mio padre e altri ragazzi, che hanno testimoniato e hanno detto queste cose, e hanno sospeso per mesi la maestra. E non solo mio fratello e mio padre, ma son venuti anche altri profughi dignanesi a farsi le ragioni: ma come, questo è il modo di trattare i profughi? Da allora, guardi, abbiamo avuto poi tutto: matite, quaderni, tutto gratis!
Luigi D.
[Alla Caserma Passalacqua] siamo stati sette anni, mio papà trovava qualche lavoretto così, ci ... [Leggi tutto]
[Alla Caserma Passalacqua] siamo stati sette anni, mio papà trovava qualche lavoretto così, ci davano un piccolo sussidio e si lavorava. Intanto i miei fratelli sono cresciuti e poi, crescendo, si sono trovati da lavorare, sa, in sette anni... Mio fratello, il più grande, un anno ha fatto il tipografo a Tortona, [e poi] ha lavorato non so quanti anni a Spinetta Marengo. Io lavoravo da una signora che faceva le borse di pelle, io e Lucia, anche lei una profuga, greca. Questa signora - Giuletta C. si chiamava - ci ha prese e noi tagliavamo i pezzettini di pelle.
Olivia M.
Il campo era una caserma: ti davano un camerone, che noi avevamo diviso sempre con delle coperte. ... [Leggi tutto]
Il campo era una caserma: ti davano un camerone, che noi avevamo diviso sempre con delle coperte. Allora, da una parte dormivamo tutti noi [figli], dall’altra c’era il letto di mia mamma e mio papà, e in mezzo facevamo da cucina. E i bagni, di caserma, comuni! Proprio comuni, quelli proprio da caserma, con il lavandino lungo che sembrava l’abbeveratoio di animali, quelli erano i bagni. Poi lì c’era un’infermeria - che c’era il dottore che veniva se avevi bisogno - cera la cappella, c’era la polizia che controllavi se entravi o se uscivi. Che lì eravamo misti: c’erano greci, di tutto eravamo! E si andava d’accordo, abbiamo vissuto bene.
Olivia M.
Io sto [in campo profughi] a Calambrone [vicino a Tirrenia] un anno e mezzo, poi dopo arriva il ... [Leggi tutto]
Io sto [in campo profughi] a Calambrone [vicino a Tirrenia] un anno e mezzo, poi dopo arriva il momento che volevamo avvicinarci e venire a Torino, perché a Torino c’erano i miei zii, la sorella di mia madre. Però per raggiungere lo stesso campo profughi dovevamo prima fare una domanda, e andavamo a carico dei miei zii. Ma questo, però viene in seguito, perché nel 1950 arriviamo alla Caserma Passalacqua. E ricordo che siamo arrivati di novembre, con una nebbia fittissima, e questa ce l’ho proprio presente, con quei grandi cameroni... Ci avevano messo al secondo piano, in un camerone dove non c’erano neanche i vetri, e quindi un freddo! Giuro che abbiamo patito veramente il freddo, un freddo pungente, con la nebbia che entrava di sera dentro. Eravamo trattati peggio dei prigionieri, perché a Tortona era molto severo il campo: era impossibile uscire anche di giorno dal campo, dovevamo chiedere il permesso. Volevano che so, andare in duomo a sentire la messa? No, [non si poteva] perché avevamo la chiesa interna. A Tortona siamo stati, devo dire, non tanto bene, anche perché non eravamo trattati proprio bene bene come a Tirrenia, perché a Tirrenia essendo piccolo il campo, invece la Caserma Passalacqua era immensa, ed eravamo non so quante persone.
Luigi D.
I primi anni quando siamo arrivati lì, c’era le cucine che facevano da mangiare, e c’era ... [Leggi tutto]
I primi anni quando siamo arrivati lì, c’era le cucine che facevano da mangiare, e c’era un’allegria! Eravamo allegri anche, con tutto che vivevamo lì! Io mi ricordo che c’era una casa bassa e un grande salone e si ballava! Guardi, io ero giovane, però era un’allegria, una comunità, stavi bene, non era che tu litigavi, no, no. E difatti, anche lì son nati dei matrimoni. E lì poi ste cucine le hanno tolte, e ci passavano questo sussidio.
Olivia M.
Prima siamo andati a Frosinone. Siamo stati lì poco tempo in attesa di essere mandati a Tortona. ... [Leggi tutto]
Prima siamo andati a Frosinone. Siamo stati lì poco tempo in attesa di essere mandati a Tortona. Poi a Tortona ci siamo stabiliti lì con tutti i nonni e fortunatamente, essendo una famiglia numerosa, eravamo tutti dentro lo stesso camerone diviso in tre pezzi. Ce l’ho davanti agli occhi! Si entrava e c’era una porta di legno, un piccolo ingessino dove c’erano le tre coperte che facevano da porta agli altri spazi e in ogni pezzo c’era una famiglia di qua, una di là e papà e mamma. Poi mia mamma con gli anni ha avuto altri tre figli - io ero la prima, eravamo quattro figli in tutto - e allora ha vinto un appartamento tutto per se, ed eravamo felicissimi quella volta. Perché [eravamo] dentro uno stanzone tutto con le mura, e quindi ci sentivamo privilegiati. La vita in campo - per noi bambini almeno - era tutto sommato serena. Perché in questo campo c’erano i corridoi, c’era questo grosso cortile e tra l’altro per noi piccoli attraversare la caserma era come fare un viaggio, andare all’estero, perché da un lato all’altro era un viaggio. Dovevi chiedere il permesso per andare fino dall’altra parte. E giocavamo. Lì c’era questi ippocastani, la fontanella e poi c’era l’asilo all’interno, e vivevamo lì. Poi c’era anche la scuola, ma io la scuola non l’ho fatta lì, perché quando ho compiuto sei anni mio papà ha vinto la casa - INA Casa- della Fiat e siamo venuti finalmente a Torino in una casa decente.
Ginevra B.
C'era questa legge che ci dovevano assumere, e allora questi qua [i tortonesi] non ci potevano ... [Leggi tutto]
C'era questa legge che ci dovevano assumere, e allora questi qua [i tortonesi] non ci potevano vedere, perché dicevano che gli portavamo via il lavoro. Dicevano: ah, siete profughi, siete profughi, siete profughi, c'avete la casa, il lavoro e tutto! Perché noi abbiamo la qualifica di profughi. E le fabbriche si, ti prendevano: chi aveva la qualifica di profugo lo prendevano, se dovevano - metti caso - assumere cinque operai, tra questi doveva esserci dei profughi, per legge.
Nicoletta V.
Per me era umiliante andare con la gamella come al militare. Mi ricordo [che ci davano da mangiare] ... [Leggi tutto]
Per me era umiliante andare con la gamella come al militare. Mi ricordo [che ci davano da mangiare] la fetta di mortadella, un pezzo di pane, come al militare. Infatti quando nella mia vita lavorativa mi dicevano, hai fatto il militare? Io rispondevo si, cinque anni, alla Caserma Pssalacqua a Tortona, e rimanevano tutti di stucco. Allora c’era l’UNRRA, c’era il piano Marshall che ci portava della roba e ci davano qualcosa, non mi ricordo bene cosa ma qualcosa, dei pacchi ce li davano. E anche dei pranzi organizzavano.
Walter
Eh, prima di noi penso che lì in Corso Alessandria ci sarà stati i cavalli! Eravamo affamati. ... [Leggi tutto]
Eh, prima di noi penso che lì in Corso Alessandria ci sarà stati i cavalli! Eravamo affamati. Eravamo in un padiglione dove non i'era solo mi, i'era altre cinque o sei persone, dieci, non mi ricordo più quanti ce n'era. E ci davano una coperta alla sera, era così anche a Padova e a Trieste, e alla mattina ce la ritiravano. Poi alla sera, non mi ridavano più la mia, ma me ne davano un'altra che era piena di pidocchi, e li ho presi, che avevo i capelli lunghi e me li han dovuti tagliare. C'era una stanza divisa dalle coperte, che si metteva un filo, un ago di sicurezza e poi l'altro l'apriva. Io poi dopo avevo una cameretta da sola, perché avevo due gemelle, piccole. Perché mi sono sposata in campo con uno che veniva de Tripoli, poi però mio marito è morto nel '52 che io avevo già le bambine e mi han dato una cameretta mia, autonoma. In campo pensa che ti davano un chilo di legna. E cosa ti scaldi con un chilo di legna, anche verde, che non prendeva. E il mangiare? C'era una crema di piselli che si poteva attaccare anche i manifesti per Tortona, era colla! Veniva come il cemento, neanche con il cacciavite veniva più via! [Si mangiava] quello che passavano: minestrone, poca carne, ma poco, poco. C'era una cucina militare grande e poi dopo ci davano qualcosa in soldi e abbiam dovuti arrangiarci noi, la cucina l'hanno chiusa. Però c'era una cucina mista, cioè c'erano tre cucine: greca, giuliano-dalmata e una che la chiamavano mista. Cioè cucinavano per i greci, per i giuliano dalmati e una per i misti che erano ebrei, libici e tunisini. Cioè era la stessa cucina che cucinava la stessa roba in maniera diversa. C'era un marmittone grosso e si buttava tutto lì dentro, ma ripeto, era la stessa roba cucinata diversamente. Poi c’era Don Remotti, un prete, che prendeva i nostri bambini e li portava al seminario dove il suo vice le dava qualche cosa da mangiare, gli dava un pasto per le feste sempre, a Natale, alla befana, gli dava qualcosa da mangiare ai bambini, che loro non volevano neanche mangiare perché piangevano per i genitori che non avevano da mangiare a casa. Di pacchi arrivava qualcosa alla befana, ma poco.
Violetta I.
[Siamo partiti] da Zara a Fiume con un piroscafo. A Fiume siamo stati imbarcati con un camion fino ... [Leggi tutto]
[Siamo partiti] da Zara a Fiume con un piroscafo. A Fiume siamo stati imbarcati con un camion fino a Trieste, al Silos, e poi da Trieste a Udine. Due notti. E allora lì ci han chiamato in direzione e mio padre ha detto:in Piemonte ho dei parenti, e allora ci han dato Tortona. Il 5 agosto 1947 siamo partiti e l’11 agosto eravamo a Tortona. Siamo stati in campo fino al 1952, cinque anni. Però abbiamo avuto la fortuna di avere una cameretta e ci siamo sistemati da soli. Era un campo grosso, c’erano 2.000 persone.
Walter

Immagini

Bambini nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Bambini nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Bambina gioca nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Bambina gioca nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Foto di gruppo delle partecipanti al corso di taglio e cucito, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Foto di gruppo delle partecipanti al corso di taglio e cucito, Caserma Passalacqua, Tortona, 1950
Veduta della Caserma Giuseppe Passalacqua, Tortona fine anni Quaranta
Veduta della Caserma Giuseppe Passalacqua, Tortona fine anni Quaranta
Foto di gruppo di ragazzi profughi in un giorno di festa, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Foto di gruppo di ragazzi profughi in un giorno di festa, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Prima comunione con il Vescovo Angeleri, Don Ballerini e il direttore del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Prima comunione con il Vescovo Angeleri, Don Ballerini e il direttore del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Interno di una camerata della Caserma Passalacqua, Tortona, 1956
Interno di una camerata della Caserma Passalacqua, Tortona, 1956
Scolaresca di profughi nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Scolaresca di profughi nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, prima metà anni Cinquanta
Foto di gruppo di ragazze profughe nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, seconda metà anni Cinquanta
Foto di gruppo di ragazze profughe nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, seconda metà anni Cinquanta
Il coro musicale canta in occasione della festa di San Vito e Modesto, Caserma Passalacqua, Tortona, 1956
Il coro musicale canta in occasione della festa di San Vito e Modesto, Caserma Passalacqua, Tortona, 1956
Una Lambretta nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, seconda metà anni Cinquanta
Una Lambretta nel cortile del campo, Caserma Passalacqua, Tortona, seconda metà anni Cinquanta
Profughe giulano-dalmate nel cortile della Caserma Passalacqua
Profughe giulano-dalmate nel cortile della Caserma Passalacqua
Interno di una camerata del campo profughi di Tortona
Interno di una camerata del campo profughi di Tortona
Profughe del centro raccolta profughi di Tortona durante il corso di taglio e cucito
Profughe del centro raccolta profughi di Tortona durante il corso di taglio e cucito
Messa nella cappella del campo profughi di Tortona
Messa nella cappella del campo profughi di Tortona
Ragazzi giuliani nel cortile del campo di Tortona
Ragazzi giuliani nel cortile del campo di Tortona
Profughe giuliano-dalmate per le vie di Tortona
Profughe giuliano-dalmate per le vie di Tortona
Profuga giuliano-dalmata con gli sci nel cortile della Caserma Passalacqua a Tortona
Profuga giuliano-dalmata con gli sci nel cortile della Caserma Passalacqua a Tortona
Profughe giuliano-dalmate nel cortile del campo profughi di Tortona
Profughe giuliano-dalmate nel cortile del campo profughi di Tortona
Profughi giuliano-dalmati nelle vie di Tortona
Profughi giuliano-dalmati nelle vie di Tortona

Riferimenti archivistici

 Archivio Storico Città di Tortona, Sezione II, Serie VII, Sfollati e profughi, Fascicolo III, Profughi e Centro di Raccolta
 Archivio Storico Città di Tortona, Sezione II, Serie VII, Sfollati e profughi, Fascicolo V, Chiusura del Centro di Raccolta Profughi, 1955
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1114, Fascicolo 3, Campo profughi Casermette: relazioni 1944-1955

Riferimenti bibliografici

 A. Anetra, B. Boniciolli, F. Calamia, G. Gatti, Corso Alessandria 62. La storia e le immagini del Campo profughi di Tortona, Microart’s Edizioni, Tortona, 1996.
 M.G. Milani, La Caserma Passalacqua, Istituto di Istruzione Superiore "Guglielmo Marconi", Tortona, 2003.
 F. Pillone, Un approdo nella tempesta: "Corso Alessandria 62" : profughi istriani a Tortona nel dopoguerra, Tesi di laurea , relatore Giovanni De Luna, Torino, Università degli Studi, Facoltà di Scienze della Formazione, anno accademico 2006-2007.
 E. Miletto, L’Istria, l’Italia, il mondo. Storia di un esodo: istriani, fiumani, dalmati in Piemonte, Istoreto, Isral, Isrn, Torino, 2007.

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