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Goli Otok (Isola Calva) e i Monfalconesi Agg

In mezzo alle acque limpide e profonde dell'Adriatico settentrionale, poco lontano dal Golfo del Quarnaro, si allunga per circa quattro chilometri quadrati uno scoglio brullo e roccioso alto 230 metri. Un pugno di pietre bianche corrose dal sole e dalla salsedine, appena affrescato da qualche timido sprazzo di verde, sul quale il regime titino crea uno dei simboli più tristi del suo brutale apparato repressivo: il lager di Goli Otok, che in italiano significa Isola Calva, dal quale passano, tra il 1949 e il 1956, circa 30.000 prigionieri. Si tratta in gran parte di militanti comunisti che in seguito alla scomunica della Jugoslavia di Tito da parte del Cominform (l'organismo politico internazionale di informazione e collaborazione tra i partiti comunisti europei voluto da Stalin),la prima grande frattura del movimento comunista su scala internazionale datata 28 giugno 1948, decidono di schierarsi a favore di Stalin e dell'Unione Sovietica. Una scelta che molti di loro pagano a caro a prezzo con la deportazione e la prigionia sull'Isola Calva, che nei piani del regime di Tito avrebbe dovuto essere la prigione nel quale «rieducare» i comunisti contrari a sposare la via jugoslava al socialismo. Goli Otok, dove muoiono circa 4.000 persone, diventa dunque sinonimo di lacrime, sangue e morte. Un luogo dove i prigionieri sono costretti a sopravvivere in condizioni igieniche precarie, e all'interno del quale la fame la denutrizione e le continue umiliazioni diventano compagne di vita quotidiana. La «rieducazione» si svolge seguendo un rituale macabramente collaudato, che prevede sotto il sole infuocato dell'estate e i soffi gelidi della bora d'inverno, lo svolgimento di un lavoro massacrante quanto inutile consistente nel rompere le pietre per poi buttarle in mare, e l'attuazione di un sistema repressivo subdolo e crudele coinvolgente direttamente gli stessi detenuti chiamati, per riacquistare la libertà, a prendere attivamente parte alle innumerevoli violenze (botte, sputi, bastonature), alle umiliazioni e alla derisione dei propri compagni, la cui colpevolezza è sancita da farseschi miniprocessi collettivi, nel corso dei quali ogni accusato è chiamato a confessare di fronte a una giuria le proprie colpe.

Nelle quattordici baracche del campo arrivano prigionieri appartenenti a tutte le nazionalità della nuova Jugoslavia; tra di essi, vi sono anche degli italiani, il cui nucleo più consistente è rappresentato dai cosiddetti monfalconesi: circa 2.500 militanti comunisti, in larga parte provenienti dai cantieri navali di Monfalcone, che spinti dai propri ideali decidono tra il 1946 e il 1947 di trasferirsi in Jugoslavia per partecipare alla costruzione del socialismo, dando vita a un passaggio storico meglio conosciuto come controesodo dei monfalconesi. Assorbiti in molti casi nei cantieri navali di Pola e di Fiume, essi si scontrano, dopo un'iniziale euforia, con la dura realtà jugoslava scandita da fame, miseria, disorganizzazione e da un modello politico che, nei fatti, appare molto lontano da quello desiderato e per realizzare il quale molti di essi hanno deciso di partire. Una situazione che si fa ogni giorno più difficile e che precipita irrimediabilmente dopo la risoluzione del Cominform: protagonisti di una scelta «urgente e visibile, soprattutto nei luoghi, come a Fiume, dove è più massiccia la presenza italiana» [A. Di Gianantonio, T. Montanari, A. Morena, S. Perini, 2005] , la maggior parte di essi decide di schierarsi contro Tito e a fianco di Stalin finendo nel giro di poco tempo nella morsa repressiva del potere titino. Alcuni di essi abbandonano la Jugoslavia riuscendo a rientrare in Italia, dove si trovano non solo sottoposti al rigido controllo della polizia poiché considerati «dalle autorità italiane dei pericolosi sovversivi» [M. Puppini, 2008], ma anche discriminati ed emarginati dagli stessi compagni di partito, che gli impongono di consegnare al silenzio la loro drammatica esperienza, condannandoli «a una sorta di isolamento politico e di esclusione sociale»[A. Morena, 2006]. Paradossalmente, si tratta dei più fortunati. Per circa trecento monfalconesi, gli esponenti più in vista, il destino ha in serbo una sorte peggiore: arrestati e condannati per attività antijugoslava, sono internati sull'Isola Calva, dalla quale riescono a ritornare dopo lunghi anni e inenarrabili sofferenze. Ma soltanto una parte di essi riuscirà a raccontarle, perché da quel pugno di rocce in mezzo all'Adriatico non tutti riusciranno a tornare vivi.

Testimonianze

Tre dei nostri paesani sono stati [presi]... Cioè, son tornati, ma li hanno prelevati: il comunismo ... [Leggi tutto]
Tre dei nostri paesani sono stati [presi]... Cioè, son tornati, ma li hanno prelevati: il comunismo li ha prelevati, e li hanno fatti sparire. Per tre anni sono stati ai lavori forzati. [Li hanno mandati] a Goli Otok! Erano tre: P.-i, P.-o - che abitava vicino a noi ed era sempre a casa nostra - e Pi., tre ragazzi. Sono andati lì perché la pensavano un po’ come mio papà, vedevano che questa cosa faceva acqua, non era corretto quello che succedeva. Io adesso non so dirglielo [il motivo] proprio con precisione, perché a noi bambini ci tenevano un po’ nascoste queste cose, però da quello che ho capito diventando grande, loro la vedevano un po’ diversamente. Mia sorella era molto amica di questo P.i, [che] era senza figli, e sua moglie lavorava all’essiccatoio tabacchi di Valle. Erano molto amiche la moglie con mia sorella, perché hanno la stessa età. [Il marito] non scriveva mai, forse scriveva una cartolina una volta al mese oppure ogni due o tre mesi. Non sapevano dov’era. Poi quando è tornato, qualcosa è trapelato attraverso la moglie che ha detto a mia sorella [che il marito] ha preso - scusi la frase - tante di quelle sputacchiate dai suoi compagni... Perché dovevano fare così: era un lager, una galera terribile! Tre anni li hanno tenuti lì.
Antonietta C.
Su [un libro] di Pansa - che ultimamente si è convertito! - c’è il nome di un nostro parente, che ... [Leggi tutto]
Su [un libro] di Pansa - che ultimamente si è convertito! - c’è il nome di un nostro parente, che era Ferruccio N.. Lui è andato a finire a Goli Otok, all’isola Calva, insieme a tutti i veri duri comunisti di allora. Li hanno messi lì perché dopo la rottura tra Tito e Stalin, chi ha voluto mantenere le idee tradizionali del comunismo era malvisto in Jugoslavia, e li hanno mandati là. Lui era un nostro cugino di secondo grado, che pure lui è andato a finire a Goli Otok, da dove è tornato vivo, grazie a dio. E lui sicuramente è rimasto lì [in Istria] per motivi politici, qui non ci piove.
Gianfranco M.
Ah, quei de Monfalcone, si, si, ho inteso. Però quei là sono andati a finire ad Albona oppure nelle ... [Leggi tutto]
Ah, quei de Monfalcone, si, si, ho inteso. Però quei là sono andati a finire ad Albona oppure nelle fabbriche, ma nel mio paese [a Portole] no, no. Però ad Albona in miniera sono arrivati certi di loro. Perché poi anche in miniera ti forzavano ad andare a lavorare: mio fratello, ad esempio, ha dovuto andare a lavorare ad Albona in miniera forzatamente. Perché ti mandavano l’avviso, dopo ti chiamavano in ufficio la polizia e dopo ti facevano firmare davanti a loro [un documento] che dovevi andare in miniera. E tu dovevi firmare se no restavi dentro. E lì, mi ha detto mio fratello, sono venuti [anche] questi di Monfalcone, che mi contavano che loro si lamentavano tanto, sia sul cibo, sia sulla paga, sia sul trattamento. Insomma, su tutto! Dicevano: avemo lasciato questa roba qua e adesso guarda che roba! Poi in Jugoslavia non i’era cosa mangiare i primi anni, niente! Ti davano invece del pane... Invece del pane ti davano la polenta!
Guido C.
Si [anche a Zara] sono arrivati [i monfalconesi]. Io avevo un insegnante di italiano, che era ... [Leggi tutto]
Si [anche a Zara] sono arrivati [i monfalconesi]. Io avevo un insegnante di italiano, che era italiano proprio, ed era venuto giù con la famiglia. Che classe era? La quinta, la sesta, forse, non ricordo... Quando son passato all’ottava classe, di lui non abbiamo saputo più niente: è andato via? E’ ritornato? La sua famiglia? Non abbiam saputo più niente... E lui era di quei monfalconesi che poi sono andati in Istria e a Fiume dove c’era le industrie. A Zara lo ricordo e magari anche lui, chi lo sa, è andato sull’Isola Calva! E lui si, da Monfalcone era venuto a Zara a insegnare: era insegnante, non era insegnante? Non lo so, lui [però] ci insegnava l’italiano. Ecco, questo lo ricordo.
Rino P.
I monfalconesi son venuti lì, ma loro sbandieravano! Perché la propaganda è terribile! [Alle] case ... [Leggi tutto]
I monfalconesi son venuti lì, ma loro sbandieravano! Perché la propaganda è terribile! [Alle] case rosse [a Fiume], dove che la gente andava via, l’alloggio restava vuoto, e glielo davano a loro. Loro erano privilegiati, perché quelli lì non erano altro che i comunisti italiani che andavano lì, capisce? Perché credevano che il comunismo è chissà che cosa, capisce? Come i comunisti italiani che sono andati in Russia e gli han fatto la pelle o li hanno mandati nei lager dei lavori forzati. Ma molti monfalconesi dopo non li volevano lasciar tornar via, capisci? Dicevano, vai via e che ré clame mi fai di qui? Mi capisci?
Elio H.
Loro miravano ad andare a Pola che c’erano i cantieri, e quelli di Monfalcone erano quasi tutti che ... [Leggi tutto]
Loro miravano ad andare a Pola che c’erano i cantieri, e quelli di Monfalcone erano quasi tutti che lavoravano nei cantieri. E allora andavano a Pola: di famiglie non me le ricordo a Rovigno, andavano a Pola perché avevano tutto l’interesse di andare lì. Madonna, lavorava tanto quel cantiere! Scoglio Olivi... Sa, c’era la propaganda grande e loro, come tutti - perché anche il contadino era pressato dalle tasse - si pensava che Tito portava il benessere, che non ci sarebbero state tante tasse, perché si pagavano. E loro son venuti... Saranno stati non dico comunisti, ma antifascisti, e avranno detto: andiamo lì che si stava bene, perché la propaganda è propaganda, c’è poco da dire. Ma a Rovigno, sa, non c’è n’erano tanti.
Gina P.
Ma anche noi - e questa è una cosa che ricordo sempre e la racconto - avevamo dei contatti col ... [Leggi tutto]
Ma anche noi - e questa è una cosa che ricordo sempre e la racconto - avevamo dei contatti col regime. Il fratello di mia madre ai tempi dell’Italia doveva andare militare, ma il militare lui non lo ha voluto fare ed è scappato in bosco, coi partigiani. Lì è stato evidentemente indottrinato, perché lui di cose politiche [non sapeva] ed è arrivato su coi partigiani. Infatti alla fine della guerra lui era il prefetto di Zagabria! E il prefetto di Zagabria, in quella posizione lì, allora, era il padrone della città! E quando mio papà ha cercato di venire via, è andato a Zagabria da lui, che gli aveva detto: ma tu sei un P.- ch, tu sei slavo e non sei italiano. E mio padre gli rispondeva: ma come no, io sono italiano! E allora lui gli ha risposto: tu ringrazia il tuo dio - perché , naturalmente, era ateo - che sei il marito di mia sorella, perché altrimenti a quest’ora tu non ci saresti stato. E infatti, chi non era aderente alla cosa spariva dalla circolazione. E invece nel 1955 siamo riusciti a venire via, ma lui, tra l’altro, era caduto in disgrazia. [E’ caduto in disgrazia] perché era del Cominform, cioè a favore di Stalin, ed è finito all’Isola Calva e ha fatto lì all’Isola Calva un bel po’ di anni, non so se tre anni o quattro. [Dell’Isola Calva] non raccontava niente neanche ai miei: come dire, voleva cancellare quel periodo là. E’ tornato a Zara e il governo gli ha dato l’incarico di distribuire i tagliandi ai contadini dell’interno, che quando venivano a vendere avevano il loro spazio. Arrivavano a vendere la frutta, la verdura e la mercanzia, e lui distribuiva, a pagamento, questi tagliandi, questi permessi. Il periodo brutto era che i suoi quando lo hanno incarcerato non avevano niente, né pensione né niente. Lui aveva una moglie e una figlia che vivevano della carità dei parenti. Mentre mi ricordo che sua moglie si era invece specializzata nelle calze nylon: cioè aveva questo fungo e quando si smagliavano le calze, lei le rimetteva insieme. E questo qui aveva un costo, un prezzo e allora viveva anche con questo, con le calze nylon, che ai tempi le signorine portavano. E si smagliavano spesso, e allora c’erano queste che facevano questo lavoro. E poi ricordo anche la bambina, [la figlia], che veniva sotto le finestre di mia madre [e gridava]: Tetana, Tetana - parlava croato - gramasa, sono affamata, ho fame! Questa fame loro l’ han sofferta parecchio nel periodo in cui lui era incarcerato, ma ai tempi, quando era invece prefetto di Zagabria [no]. E poi è caduto in disgrazia con quella storia lì.
Rino P.
Se può essere di utilità, non so, una curiosità. Mia madre aveva prestato la sua carta d’identità ... [Leggi tutto]
Se può essere di utilità, non so, una curiosità. Mia madre aveva prestato la sua carta d’identità ad una delle sue cognate per trafficare [in borsa nera], con la scusa che era di nome croato. Ecco, loro l’hanno beccata, e di notte sono venuti a prenderla a casa e l’hanno portata all’OZNA, che era la polizia titina di allora. Si è trovata, combinazione, ad essere capo di questa sezione un suo amico che era di una cascina vicina alla sua prima della guerra, che gli ha detto: Anna, cosa fai!? Ma lo sai che è pericolosissimo? Adesso vai via perché ci sono io qua, ma hai corso un brutto rischio e non farlo più! Però, voglio dire, è tornata a casa, e tutto tranquillo. Questo ragazzo qua, che era un suo vicino di cascina, che ha fatto tutta la guerra partigiana con Tito, quando poi mia madre è andata su la prima volta per trovare i suoi genitori, ha chiesto di questo ragazzo qua. Sparito. Ma non durante la guerra, dopo la guerra. Poi ho capito che era uno di quelli che non hanno accettato il passaggio di Tito, che si era tolto dal Cominform. E probabilmente lui non l’ha accettato e ne ha pagato le conseguenze. Sparito eh!
Mario B.
Un mio fratello è andato a finire a Goli Otok. E’ andato a finire a Goli Otok la prima volta, la ... [Leggi tutto]
Un mio fratello è andato a finire a Goli Otok. E’ andato a finire a Goli Otok la prima volta, la seconda volta, in due sono scappati con la barca a remi da Rovigno e noi eravamo già in Italia. Son scappati a remi, si regolavano con le stelle, poi avevano messo una corda lunga in terra, perché mentre voghi se vedi la corda che si gira e vedi dove la corrente ti porta. E han puntato, finchè son stati raccolti dalle barche di Chioggia, che li hanno imbarcati e li hanno portati a Venezia. Io, nel frattempo ero in contatto qui in Questura con l’Ufficio stranieri, perché era rimasto giù mio fratello e mia mamma. Non è andato in quanto cominformista, no. Lui è arrivato a Rovigno quasi nel ’50, perché era in Marina ed è rimasto in Marina, sia lui che l’altro fratello più vecchio. Son tornati poi dopo finita la guerra, regolarmente. E allora lui, lavorando, si è espresso che qui si doveva fare un plebiscito, per la gente italiana, mettere la firma voglio questo o voglio quell’altro, un plebiscito. E l’hanno beccato per questo e l’hanno mandato a Goli Otok. A Goli Otok è andato a finire due volte: si è fatto un anno e poi, stia a sentire questa! E’ uscito, noi eravamo già in Italia e lui viveva un po’ dai parenti, di origine slava; un connubio tra italiani e slavi che si ritrova, perché praticamente tutti avevano un aggancio col popolo slavo. Come mia nonna che era di origine slava e invece i genitori di mia mamma erano friulani. E lì da questi parenti andava ogni tanto, e così via. Poi è scappato con la barca, è arrivato in Italia e si è presentato in questura. La questura qua ci chiama: guardi che suo fratello è arrivato in Italia, lo accettate? Come no, per l’amor del cielo! Avevamo già preso anche la casa popolare... E invece poi, dopo un paio di giorni, ci chiama la questura e ci dice: guardi che suo fratello l’hanno di nuovo portato in Jugoslavia. E’ stato il periodo che tra Italia e Jugoslavia han trovato gli accordi politici ed economici. E, di conseguenza, lo han riportato indietro di nuovo. Indietro di nuovo ed è andato la seconda volta a Goli Otok. E la seconda volta è riuscito a scappare di nuovo oltre il confine, è venuto in Italia, qui a Torino; ce l’ha fatta, si è sposato e poi è morto.
Aldo S.
Intanto al cantiere navale erano arrivati i monfalconesi, perché il cantiere navale, era rimasto ... [Leggi tutto]
Intanto al cantiere navale erano arrivati i monfalconesi, perché il cantiere navale, era rimasto privo della forza lavoro. Erano qualche migliaia, si che però poi dopo anche loro hanno avuto la brutta sorpresa del Cominform, e son finiti anche all’Isola Calva! Ma meno male, son contento per loro voglio dire.
Otello S.
Mio marito quando è tornato da Goli Otok, è tornato malato, ci siamo sposati e poi siamo andati ad ... [Leggi tutto]
Mio marito quando è tornato da Goli Otok, è tornato malato, ci siamo sposati e poi siamo andati ad abitare vicino a mia mamma. E là, vicino a mia mamma, c’era anche - proveniva da Goli Otok - un amico di mio fratello defunto, che però conosceva bene anche mio marito. Conosceva mio marito per anno di nascita, per scuole e cose così, e con mio fratello [era amico] perché eravamo vicini di casa. E quando sono tornati da Goli Otok, nessuno li voleva prendere a lavorare: allora questo amico era un maestro, e dice: devo cambiare mestiere, perché magari in qualche ufficio mi prendono. E allora si è messo a imparare il bilancio - entrate, uscite, così - perché magari qualcuno mi prende, e mio marito gli insegnava. Perché mio marito prima di andare a Goli Otok era capo ufficio, e gli insegnava questo e quello. La mattina mi hanno chiamato all’UDBA e [mi hanno chiesto]: cosa viene a fare Armando a casa vostra? E io [rispondo]: non so, a chiacchierare con mio marito, e poi ho detto, viene anche che gli insegniamo a fare i bilanci - entrate, uscite e tutto -, perché spera che qualcuno lo assuma. No, no [mi dicono]: perché quando viene Armando tu vai via? Io abitavo vicino a mia mamma e sapevo che loro dovevano lavorare. Per il resto ero tranquilla, perché avevano tanta paura addosso che non dicevano neanche beh del passato, perché ci andava la vita di mezzo. E io dicevo: beh, finché voi fate questo e quello - preparavo la moka del caffè - io vado da mia mamma. E qualcuno sapeva che quando veniva Armando io andavo da mia mamma, e allora secondo loro, loro complottavano qualcosa contro i drusi che io non dovevo sentire. E allora la mattina mi chiamavano all’UDBA e [mi chiedevano] ma perché questo, perché quello, perché , perché ... Non era mai finito! E poi grazie a me, la mia amica che era capoufficio nell’ impresa le ho detto: sai che è tornato Armando? Lui era già sposato con una figlia. E le dico: non trova lavoro, non trova lavoro. E lei mi dice: ma lui era maestro, che cosa gli facciamo fare? E dico: guarda che andava da mio marito a farsi insegnare questo e quello. E lei: e allora te lo prendi con te; se te lo prendi con te e le insegni io non ho niente in contrario. Dico: ma guarda che ti metti nei guai neh? Lei era una di questi che erano venuti nel ’47, dalla Dalmazia. Però era una persona molto intelligente, apolitica al cento per cento, perché avrebbe detto quello che non doveva, si guardava bene e cercava di fare carriera nel suo lavoro. Lei era slava, però parlava italiano benissimo, era pro Italia, con tutto che era della Dalmazia. Ma in Dalmazia c’era gente così. E l’hanno preso a lavorare sto ragazzo, che è gia morto, perché - che io so - di quelli che erano al Goli Otok, c’è ancora il mio e uno a Pola, il resto son morti. [Mio marito a Goli otok è stato] nove mesi. E lui non l’hanno mangiato i pesci, è venuto a casa. Mal conciato ma è venuto. Un altro - che sua mamma era amica di mia mamma -, sempre un maestro, gli erano nati due gemelli nel periodo che lui era a Goli Otok, e lo hanno mandato a casa in cassa, e gli hanno detto alla mamma anziana che era morto di polmonite. Mio marito è uno dei pochi che ha avuto la fortuna di tornare.
Maria Man.
Io avevo un moroso che era segnato dal Cominform, altra parola che lei sa. Era segnato dal ... [Leggi tutto]
Io avevo un moroso che era segnato dal Cominform, altra parola che lei sa. Era segnato dal Cominform, è stato arrestato, e non eravamo fidanzati per la mi famiglia, e invece per la sua si. E allora mia suocera veniva ad aspettarmi fuori dall’ufficio alle due che l’accompagni alle carceri a portare la roba da mangiare e tutto. E quelli dell’UDBA ogni giorno fotografavano sta fila che stava fuori dalle carceri e quindi io ero segnalata fotograficamente. E quindi volevano sapere, [anzi] sapevano - perché lui sono venuti a prenderlo in ufficio, lui lavorava al secondo piano, io al primo - chi venivo a vedere. Poi sa, le spie son più brave di noi! E allora quando mi chiamavano mi dicevano: tanto noi sappiamo - e mi facevano vedere le foto -, cosa vai a trovare quello lì che tra qualche giorno lo facciamo fuori. E questo qua e quello, e tutto contro di lui e che se ritiro l’opzione e non parlo più con la famiglia né con loro - perché lui è stato a Pola due mesi e poi è andato a Goli Otok, ci siamo? -, e tutte queste parole che più non si poteva dire. Tutto perché dovevo ritirare l’opzione. E allora siamo andati avanti così per parecchio tempo: mi hanno licenziata, [mi hanno lasciata] senza tessere e senza niente, e poi mia mamma è andata da questa sua amica che suo marito era [un funzionario] e le ha detto: ma non vi vergognate? Dillo a tuo marito che si vergogni. Io ho ancora altri due piccoli a casa, e fare stare a casa mia figlia così! Io non stavo bene, perché quando hanno arrestato mio marito - perché quel ragazzo è mio marito adesso, da cinquantacinque anni -, mia suocera che veniva seguita e tutto, io mi son presa un esaurimento coi fiocchi. Mancava solo che mi licenzino... Loro facevano di tutto, ostacolavano e sapevano delle cose che non so... Lui [mio marito] era un farabutto, era un traditore, era un uomo da poco, e invece quando son venuti ad arrestarlo lui era vicedirettore dell’impresa dove si lavorava. Nemico del popolo è la parola giusta... E allora questo [funzionario] qua, quando mia mamma è andato a dirgli tutte queste cose, le ha detto: vuole proprio che sua figlia vada a lavorare? Si. Allora la sistemo io. [Su] una strada che si chiamava - e si chiama ancora - via Medolino, per andare verso fuori, c’era una casa di quattro piani, sola in mezzo agli orti. Orti ci verdura e di tutto. E lì c’era, noi dicevamo l’educatorio. Ma non era un educatorio così era per tutti i ragazzi che facevano parte delle giovani italiane e dei giovani fascisti: i più poveri mangiavano e dormivano là dentro, e quelli che invece stavano bene restavano a casa. E c’erano quelli che suonavano nella banda, quello che suonava il silenzio, quello che suonava il clarinetto, e stavano lì. E c’erano tutti sti orti in giro che la gente lavorava: quella volta c’era l’orto di guerra, l’orticello di guerra. Però dopo quando son venuti i drusi, lì non c’erano più quei ragazzi dei balilla, e hanno fatto non so che cosa in quella casa là, però gli orti venivano lavorati dai condannati, dai prigionieri. E lui mi ha dato il nullaosta per andare a zappare lì. Era d’estate: io ho subito portato i certificati medici, ma non li hanno considerati, perché io essendo proprio di città conoscevo e tutto e ho corrotto qualcuno. Questo per loro. Anche perché io facevo la volontaria in uno studio medico e avevo modo di conoscere. Io dovevo andare là a zappare e mi avrebbero dato la tessera annonaria, e io non mi sono presentata, non mi son presentata. Ecco, allora voglio dire adesso una cosa a favore dei monfalconesi. A parte una squadra di calcio che erano venuti e che erano simpatici all’italiana! Perché per noi vedere in mezzo a quelle gente là sti ragazzi che parlavano tutti italiano, cantavano in italiano, giocavano tutti al calcio: sembrava una vampata di aria buona! Io conoscevo tanta gente, perché sono andata a scuola lì in città, ho sempre lavorato, e ho conosciuto una signora di una certa età venuta da Monfalcone. Era membro del partito ma con un incarico abbastanza [importante] che da Monfalcone è stata trasferita a Pola. L’ho conosciuta e mi è piaciuta. E le ho raccontato la mia storia: in [una] settimana sono andata a lavorare, non a zappare, ma nell’impresa dove lavorava lei. E lì i suoi - perché lei essendo venuta da Monfalcone, con la tessere del partito, con una cultura perché aveva quarant’anni quando noi ne avevamo venti - mi portavano tutti sul palmo della mano, perché la Antonietta ha raccomandato la signora Maria; la signora Maria è stata raccomandata da Antonietta. E allora lì ho incominciato di nuovo a lavorare, ad avere la tessera, ma grazie a quella, e non grazie a quelli di Pola che han fatto carriera sul sangue dei nostri ragazzi e sulla pelle della nostra gente.
Maria Man.

Riferimenti bibliografici

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 Berrini, Noi siamo la classe operaia. I duemila di Monfalcone, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2004
 Bonelli, Fra Stalin e Tito. Cominformisti a Fiume 1948-1956, Istituto Regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia-Giulia, Trieste, 1994
 G. Germani, Nanò. Il giorno dopo, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale “Leopoldo Gasparini”, Gorizia, 2007
 M. Gilas, Compagno Tito, Mondadori, Milano, 1980
 Giuseppini, Il sogno di una cosa. Contadini e operai friulani e monfalconesi nella Jugoslavia di Tito, Amis, Radioparole, Assessorato alla Cultura Regione Friuli-Venezia Giulia, 100’, Italia, 2006
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 A Di Giananatonio, T. Montanari, A. Morena, S. Perini, L'immaginario imprigionato. Dinamiche sociali, nuovi scenari politici e costruzione della memoria nel secondo dopoguerra monfalconese, Consorzio Culturale del Monfalconese, Irsml, Ronchi dei Legionari, 2005
 A. Giuseppini, Il sogno di una cosa. Contadini e operai friulani e monfalconesi nella Jugoslavia di Tito, Amis, Radioparole, Assessorato alla Cultura Regione Friuli-Venezia Giulia, 100', Italia, 2006
 A. Morena (a cura di), La valigia e l'idea. Memorie di Mario Tonzar, Consorzio Culturale del Monfalconese, Ronchi dei Legionari, 2006
 M. Puppini, Il "controesodo" monfalconese in Jugoslavia tra Trattato di Pace e Risoluzione del Cominform, in M. Puppini (a cura di), Il mosaico giuliano. Società e politica nella Venezia Giulia del secondo dopoguerra (1945-1954), Centro isontino di documentazione storica e sociale Leopoldo Gasparini, Consorzio Culturale del Monfalconese, Irsml, Comune di Monfalcone, Gorizia, 2003
 M. Puppini, Costruire un mondo nuovo. Un secolo di lotte operaie nel Cantiere di Monfalcone, Comune di Monfalcone, ANPI-Monfalcone, Centro isontino di documentazione storica e sociale Leopoldo Gasparini, Gorizia, 2008

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