Gianfranco M.
Il 18 agosto 1946, la Società Sportiva Remiera Pietas Julia organizza un raduno sportivo nel corso del quale si sarebbero dovute svolgere gare di nuoto e di canottaggio. L'evento, che coniuga il significato sportivo con quello patriottico in una fase molto delicata per le sorti della città (da lì a poco tempo, l'esodo degli italiani si tramuterà da possibilità ventilata a fatto reale e concreto), richiama sulla spiaggia di Vergarolla un gran numero di polesani. Nella vicina pineta e sul bagnasciuga, l'atmosfera è quella spensierata di una tipica domenica di agosto trascorsa in riva la mare: famiglie, amici, ragazzi e ragazze chiacchierano, mangiano, prendono il sole e fanno il bagno. Un clima rilassato e cordiale destinato però a trasformarsi in tragedia. Infatti quello stesso pomeriggio alle ore 14,10 un boato fragoroso sferza l'aria e le fiamme avvolgono la superficie del mare, dal quale si leva una spessa coltre di fumo. Lo scoppio è provocato dall'improvvisa esplosione di circa una trentina di mine di profondità, lasciate dai tedeschi e mai rimosse fino a quel giorno né dai titini né dalle autorità anglo-americane. Gli ordigni, depositati da due anni lungo l'arenile, diventano parte integrante del paesaggio, al punto da essere utilizzate da molti bagnanti che hanno l'abitudine di sedervisi sopra convinti che esse siano vuote. Invece sono piene zeppe di tritolo, che compie tragicamente il suo dovere disegnando uno scenario di sangue, corpi dilaniati, morti (almeno sessanta) e feriti (circa un centinaio) di ogni età. L'episodio scuote profondamente la città, i cui abitanti iniziano fin da subito a domandarsi come tutto ciò possa essere successo. L'ipotesi dello scoppio accidentale causato dal caldo torrido di agosto o da un eventuale urto che possa avere innescato qualcuno dei detonatori, non convince la componente italiana, nella quale si fa invece strada la convinzione che lo scoppio non sia frutto del caso, ma di una strategia programmata a tavolino dagli jugoslavi. Le autorità anglo-americane avviano immediatamente un'indagine ufficiale, che pur escludendo la possibilità dello scoppio accidentale, non riesce però a fare chiarezza sulle esatte dinamiche dell'accaduto, ancora oggi avvolto da una patina di mistero. Appare invece chiaro il suo effetto sulla popolazione italiana che, già profondamente segnata dalla triste esperienza delle foibe, è gravata da un ulteriore peso che contribuisce a rafforzare i meccanismi psicologici innescati dalla paura, tanto importanti nelle dinamiche dell'esodo, facendo maturare in essa la convinzione che la permanenza in città sarebbe stata quanto meno difficile se non impossibile. Per gran parte dei polesani, quanto accaduto il 18 agosto rende ancora più profondo il solco aperto con i sostenitori della causa jugoslava, e viene dunque interpretato come un vero e proprio segnale politico, il cui messaggio appare chiaro: restare non si può, l'unica soluzione è andare via. E la quasi totalità di essi deciderà di farlo