home I luoghi dell'esodo in Piemonte >Alessandria e provincia

L'arrivo raccontato dai testimoni

I brani raccolti riportano le testimonianze dei profughi al loro arrivo nei luoghi che li ospitarono descrivendo quale accoglienza ricevettero se di esclusione od integrazione, se trovarono assistenza nelle difficili fasi della ricostruzione di una vita. Ci è sembrato inoltre interessante indagare sul lavoro svolto, in modo da consegnare al lettore un quadro il più possibile realistico degli avvenimenti.

Testimonianze

Accoglienza

Si, allora c’era l’UNRRA, c’era il piano Marshall che ci portava della roba e ci davano qualcosa, ... [Leggi tutto]
Si, allora c’era l’UNRRA, c’era il piano Marshall che ci portava della roba e ci davano qualcosa, non mi ricordo bene cosa ma qualcosa. Si, dei pacchi ce li davano. E anche dei pranzi organizzavano. Era un periodo che avevamo bisogno di soldi, di tutto. Non mi ricordo se a mio padre gli davano 300 Lire.
Walter
Le signore dei comitati di beneficenza a Natale si facevano vedere con il panettone, a vedere quei ... [Leggi tutto]
Le signore dei comitati di beneficenza a Natale si facevano vedere con il panettone, a vedere quei poveri bambini che insomma, le scarpe che si aveva erano passate da cinque piedi prima di arrivare a me o a un altro, non si buttava via niente. Poi arrivavano quei pacchi dell’Unrra, il latte condensato, che era buonissimo, il formaggio giallo, e poi ci mandavano nelle colonie.
Elisabetta V.
[A Tortona] io e mio fratello siamo andati alla scuola professionale, e ci hanno trattato molto ... [Leggi tutto]
[A Tortona] io e mio fratello siamo andati alla scuola professionale, e ci hanno trattato molto male. Adesso faccio proprio un esempio lampante. Noi non avevamo né quaderni, né libri, niente insomma. E chi ci dava i soldi? E chi ci dava la possibilità di inserirci nell’istruzione e nella società? Allora, io e mio fratello andiamo a scuola, che mi ricordo era sopra il cinema sociale a Tortona. Io e mio fratello eravamo in classe insieme, e ricordo che la maestra ci aveva fatto fare un tema di italiano. Abbiamo chiesto ai nostri compagni di darci almeno un foglio. Ci hanno dato il foglio, abbiamo fatto il tema e glielo abbiamo consegnato. Due giorni dopo la maestra, indignata, prende il foglio e dice: ecco, questi sono i profughi! Si vede che sono nati in una stalla! Perbacco! Io che avevo l’inchiostro lì, perché avevamo il banco che aveva il calamaio, ho preso il calamaio e gliel’ho tirato, e l’ho imbratta d’inchiostro! Non so chi mi aveva dato il coraggio, ma sentire che noi siamo nati in una stalla! Volevo vedere io se fosse stato detto a lei... Fatto sta che il preside ci ha chiamato e io sono andato con mio padre e altri ragazzi, che hanno testimoniato e hanno detto queste cose, e hanno sospeso per mesi la maestra. E non solo mio fratello e mio padre, ma son venuti anche altri profughi dignanesi a farsi le ragioni: ma come, questo è il modo di trattare i profughi? Da allora, guardi, abbiamo avuto poi tutto: matite, quaderni, tutto gratis!
Luigi D.
Diciamo che qualcuno si è lamentato perché avevamo la possibilità di entrare per quella legge ... [Leggi tutto]
Diciamo che qualcuno si è lamentato perché avevamo la possibilità di entrare per quella legge famosa. Mia moglie [ad esempio], è entrata a scuola con quella cosa lì. Cioè lei ha fatto il concorso da maestra tra la riserva dei posti, però; si, si. Ma quella cosa lì non c'era solo per i profughi, c'era anche per gli invalidi. Ma lo rinfacciavano, perché a parità di punteggio chi era profugo passava avanti. Ma non rinfacciavano però; il fatto che loro stavano bene, perché sono sempre stati bene.
Ernesto S.
E’ stata dura, è stata dura... Sembravamo quelli con la lebbra! A Tortona i primi anni son stati ... [Leggi tutto]
E’ stata dura, è stata dura... Sembravamo quelli con la lebbra! A Tortona i primi anni son stati duri. Eh, ci schivavano... Sono profughi, chissà che gente [sono]...Il piemontese e anche il tortonese era un po’ sulle sue, anche i primi tempi qua a Torino. Neh, sti napuli.... Ancora ancora [noi] veneti eravamo considerati un po’ meglio, ma i primi tempi era dura, mi creda. E anche a Tortona sa, man mano, ci siamo integrati. Ci è voluto un po’ di anni, perché io poi andavo a cucire, queste persone ti conoscevano com’eri ci hanno voluto poi bene: io per alcuni anni ho anche avuto un rapporto bello, tute le volte che andavo a Tortona, andavo a trovare [la mia ex datrice di lavoro]. Io andavo a cucire, e man mano che si andava avanti ci hanno conosciuto, sa gente che andava a fare i lavori in casa, gente che andava in campagna, gente [che andava a fare] qualsiasi lavoro che c’era da fare, e allora han capito che gente siamo. Perché in principio era un po’ dura, cioè perché credevamo che eravamo fascisti.
Olivia M.
In parte c'era la cosa del rubare il lavoro, come adesso con gli immigrati che fanno magari i ... [Leggi tutto]
In parte c'era la cosa del rubare il lavoro, come adesso con gli immigrati che fanno magari i lavori più umili e si sente dire: ma quelli, cosa fanno... Eh, ma lo fai te italiano adesso quel lavoro? No, lo fanno loro e lascialo fare a loro! La questione era che noi eravamo in una caserma, uscire non uscivamo tanto e quindi i rapporti con la gente fuori non c'erano. I rapporti sono cominciati quando abbiamo cominciato ad andare a scuola, quando abbiamo cominciato a giocare. Io per esempio ho fatto la quinta [elementare] in campo, però; già alla prima avviamento sono andato con gli altri, e quindi ho incominciato a socializzare. Poi ho cominciato a frequentare gli oratori della città, ho cominciato a giocare agli sport che si giocavano negli oratori, e molti di noi eccellevano in questi sport. [...] Io a scuola me la cavavo bene, a giocare a pallone me la cavavo bene, ero cercato e ho incominciato ad avere rapporti. All'inizio è stato diverso, ma questo anche perché noi eravamo chiusi. Come scrive molto bene nel libro l'amico Porta, noi eravamo chiusi, eravamo un villaggio nella città, con tutte le regole del villaggio che esulavano da quelle della città.
Ernesto S.
Com'era il rapporto con i tortonesi?] Ah, in principio non era tanto buono! Ci odiavano. Era come ... [Leggi tutto]
Com'era il rapporto con i tortonesi?] Ah, in principio non era tanto buono! Ci odiavano. Era come quando venivano qui [a Torino] quella della Bassa Italia e non trovavano alloggio e non trovavano niente. Noi non avevamo questi problemi di alloggio, perché noi sapevamo dove andare. Però; in principio i tortonesi credevano che fossimo delinquenti e via di seguito. Invece noi abbiamo lasciato tutto perché eravamo italiani. C'era anche un po' di amor patrio, ecco. [Comunque no], in principio [il rapporto non era buono]. Poi, quando hanno visto che eravamo brava gente e lavoratori ci hanno stimato di più. Dicevano ai bambini ti faccio mangiare dai profughi. Eravamo visti un po' come i diversi. Senz'altro. Ma io avevo tanti amici a Tortona, tortonesi, e ce li ho ancora, eh! Poi pian piano ci siamo integrati... Prendi Michelino [mio fratello], e anche gli altri miei fratelli, loro tutti quanti parlano il tortonese. Michelino è andato a lavorare in fabbrica, mio fratello Andrea [invece] ha sposato una che è veneta ma che però; era da tanti anni a Tortona, mio fratello Battista ha sposato proprio una tortonese, e ha trovato lavoro in banca. [Insomma], ci siamo tutti integrati.
Luigi V.
[Con i tortonesi è andata] benissimo, [anche se] c'era un po' di rivalità...Ci si trovava sulla ... [Leggi tutto]
[Con i tortonesi è andata] benissimo, [anche se] c'era un po' di rivalità...Ci si trovava sulla campagna sopra... Che sulle colline di Tortona, c'è un castello di Barbarossa, un rudere. E allora ci si trovava lì i tortonesi e noi profughi, perché c'era un po' di rivalità. Come anche qua [a Torino] alle Casermette. Un po' di rivalità c'era...E allora [ci scontravamo] con le fionde, un po' di sassaiole, e via! Andavamo a casa con un po' di bernoccoli e poi ne prendevamo ancora! Però; mi son trovato bene, perché ho fatto le elementari e nel periodo estivo andavo a lavorare, che ho trovato una famiglia di mobilieri, una certa famiglia B. E lì, proprio sotto, c'era un mobiliere che aveva una grande negozio e ho fatto un po' di apprendistato. E lì, diciamo, mi han voluto bene fino all'ultimo e poi, a un certo punto, hanno aperto le porte alla Fiat e [con i miei fratelli] veniamo qui a Torino. Siamo già nel 1951 o 1952.
Luigi P.
[Con i tortonesi] qualche baruffa succedeva quando andavano a ballare qui a Tortona, che ogni tanto ... [Leggi tutto]
[Con i tortonesi] qualche baruffa succedeva quando andavano a ballare qui a Tortona, che ogni tanto facevano a botte, [perché i tortonesi] non volevano che [le ragazze] ballassero coi profughi. C'era mio fratello che lui aveva la fidanzata a Tortona e [i genitori di lei] dicevano piuttosto che far sposare una figlia con un profugo l'ammazzo! [...] Vede, il diverso è sempre mal visto in qualsiasi posto. E noi all'inizio eravamo i diversi. Però; c'è anche da dire che i lavori più brutti li facevano sempre i profughi, perché quelli di Tortona arrivavano al Foro Boario - che cercavano dei lavoratori - i tortonesi non volevano fare tutti i lavori, invece i profughi partivano, si facevano dieci chilometri e andavano a scaricare i vagoni. Che c'era un bar dove [andavi] se volevi cercare di fare dei lavori. E andavano sempre i profughi. I tortonesi, invece, magari tribolavano, potevano anche mangiar meno, però; non andavano a scaricare i sacchi con lo stoccafisso. Capisce? Si, all'inizio comunque eravamo visti un po' così, però; sa, dipende anche dalle popolazioni. I tortonesi sono abbastanza chiusi, ma [in generale] i piemontesi sono chiusi. [...] Son diffidenti!
Luigi B.
C'era questa legge che ci dovevano assumere, e allora questi qua [i tortonesi] non ci potevano ... [Leggi tutto]
C'era questa legge che ci dovevano assumere, e allora questi qua [i tortonesi] non ci potevano vedere, perché dicevano che gli portavamo via il lavoro. Dicevano: ah, siete profughi, siete profughi, siete profughi, c'avete la casa, il lavoro e tutto! Perché noi abbiamo la qualifica di profughi. E le fabbriche si, ti prendevano: chi aveva la qualifica di profugo lo prendevano, se dovevano - metti caso - assumere cinque operai, tra questi doveva esserci dei profughi, per legge.
Elisabetta D

Lavoro

Mi ricordo il 1949-1950, un inverno tremendo, si pregava sempre in giro: fai che nevichi stanotte, ... [Leggi tutto]
Mi ricordo il 1949-1950, un inverno tremendo, si pregava sempre in giro: fai che nevichi stanotte, perchè gli uomini andavano a pulire i binari per 2.000 lire facendo la notte, per spalare la neve. E mio suocero, che era padrone di otto pescherecci a Veglia, andava a Spinetta Marengo a portare i sacchi per 1.000 lire al giorno alla Montecatini. Perciò, era dura, però i nostri vecchi ci hanno dato un esempio bellissimo, che hanno affrontato la vita dura per farci studiare e farci star bene.
Walter
Qui [a Tortona] hanno aperto il portone per noi, perché era vuoto! Perché i militari non c'erano ... [Leggi tutto]
Qui [a Tortona] hanno aperto il portone per noi, perché era vuoto! Perché i militari non c'erano più. Non c'era niente. Andavamo in fila a prendere il mangiare e poi si cominciava a lavorare. Però; ci davano [un sussidio] di 100 lire al giorno, però; se beccavano che uno lavorava, gli tiravano via la 100 lire, è logico! Noi a pianterreno avevamo un camerone di dieci metri per sei, ed eravamo una famiglia sola. Sopra erano tutti camerini lunghi, e lì erano tutti divisi con le coperte: avevano messo dei pali, e lì dividevano con le coperte. Facevano da mangiare e dormivano, tutto là. Si figuri lei che fortuna hanno avuto che fino al '59, quando l'han chiuso, che non è successo mai niente. Che lì era tutto in promiscuità, capisce? Che poi noi siamo rimasti in tre - da otto siamo rimasti in tre - e ci hanno messo una famiglia dentro [la nostra stanza]. Mi ricordo che un giorno il direttore arriva e dice che questi devono venire a stare con noi. Arrivavano dalla Jugoslavia [Il testimone si riferisce, con tutta probabilità, ai profughi arrivati dalla Venezia-Giulia e dalla Dalmazia.]. Che prima ci han messo un sarto col figlio che a mezzanotte si metteva a cucire: han diviso [la camera], han preso i pali piantati dentro il pavimento, alti due metri, e han diviso con le coperte. Si figuri come si viveva! Poi è andato via il sarto, e sono arrivati due sposini di vent'anni con la bambina. Però; io son stato poco lì, perché son partito militare. [...] Io ho fatto le scuole al campo, c'erano le scuole elementari all'inizio e io ho fatto la prima a dieci anni, d'altronde cosa devo fare?! Poi davano da mangiare, davano cinque chili di legna al giorno per scaldarsi di inverno, ma si figuri, quando accendevi la stufa in un camerone di dieci metri alto sei, dopo mezz'ora il fuoco [non c'era già più]! Poi c'erano i letti tutti in fila, e dopo quindici giorni ti cambiavano la paglia ai materassi. Poi dopo tanti anni sono riusciti - in sette od otto [profughi] - ad aprire una cooperativa nel campo e allora si comprava lì. Poi ci hanno levato la cucina, cioè perché prima ci si metteva in fila per il mangiare. Poi han tolto la cucina e ognuno a casa sua si arrangiava: ci davano quelle 100 lire al giorno e uno si aggiustava, cioè hanno tolto il mangiare e ci davano 100 lire. Però; se uno lo beccavano a lavorare gli levavano le 100 lire.
Luigi B.
Siamo arrivati al Silos. Al Silos siamo rimasti una notte sola, che io ho dormito per terra perché ... [Leggi tutto]
Siamo arrivati al Silos. Al Silos siamo rimasti una notte sola, che io ho dormito per terra perché non c’era posto. Poi siamo andati da una famiglia di Trieste che conoscevamo, ci ha tenuto una notte e poi siamo andati a finire a Udine. E da Udine siamo andati ad Altamura. Da Altamura poi siamo andati a finire a Tortona: abbiam chiesto il trasferimento, ho fatto quasi tutto l’inverno ad Altamura e poi siamo andati a Tortona, e da Tortona a Torino. Tortona era già una cittadina, una bella città, noi non eravamo isolati come eravamo ad Altamura. Si è trovato anche lavoro saltuario. A Tortona lavoro saltuario si trovava: c’era la Montubi che metteva il gasdotto che passava fuori Tortona e noi si andava a lavorare. Ci hanno anche pagato le marchette.
Aldo S.
Io sono andata a lavorare alla Liebig dove facevano i dadi. In fabbrica me ne facevano di tutti i ... [Leggi tutto]
Io sono andata a lavorare alla Liebig dove facevano i dadi. In fabbrica me ne facevano di tutti i colori: quando prendevo la maniglia da aprir la porta, mi mettevano mezzo chilo di grasso perché mi infangassi tutta e non potessi più aprire la porta. Poi mi parlavano in dialetto che io non capivo più neanche il mio, tanto che ero spaurita. Avevo paura, tutto quello che vedevo mi faceva paura. Mi parlavano in dialetto: pia susi, pia il cuciarun e mi non sapeva cos'era sta roba, sto dialetto che parlavano. Perciò non è stata una bella accoglienza, sul lavoro.
Violetta I.
[Io e mia sorella] siamo stati una notte a Napoli e poi siam partiti, perché ci han detto: [quelli ... [Leggi tutto]
[Io e mia sorella] siamo stati una notte a Napoli e poi siam partiti, perché ci han detto: [quelli della vostra famiglia] sono ad Alessandria. Non han detto Tortona, han detto: sono ad Alessandria. E allora ci siamo rimessi in viaggio, abbiam fatto il viaggio a rovescio, sempre verso le Marche, e poi Bologna e alla sera siamo arrivati alla stazione di Alessandria e ci hanno detto non sono qui, sono a Tortona. Erano le otto di sera e allora ci siamo messi a dormire in stazione. E in stazione ci han rubato la valigia. E la cosa per me melodrammatica, è che dentro a questa valigia c'era una famosa torta, che la zia quando siamo partiti dal Veneto ci aveva dato, dicendoci: la mangerete tutti quanti insieme. E io rognavo, dicevo quando mangiamo sta torta? Quando la mangiamo? Se la sarà mangiata qualcun altro! Arrivo a Tortona, e ho rivisto la mia famiglia qui a Tortona nell'aprile del ' 47. [Questa cosa certo che mi ha fatto effetto!] Ero un bambino di cinque anni che va via, e ne trovano uno quasi di dodici...Quasi da non conoscersi più... [A Tortona ci siamo sistemati] in una camera della Caserma Passalacqua. E' stata aperta dei mesi prima, nell'ottobre del '46, e c'era un andirivieni di persone: molti erano trasferiti, altri chiedevano di essere trasferiti...Comunque era sempre piena: 1.300 persone c'eran sempre, di media.
Ernesto S.
[Alla Caserma Passalacqua] siamo stati sette anni, mio papà trovava qualche lavoretto così, ci ... [Leggi tutto]
[Alla Caserma Passalacqua] siamo stati sette anni, mio papà trovava qualche lavoretto così, ci davano un piccolo sussidio e si lavorava. Intanto i miei fratelli sono cresciuti e poi, crescendo, si sono trovati da lavorare, sa, in sette anni... Mio fratello, il più grande, un anno ha fatto il tipografo a Tortona, [e poi] ha lavorato non so quanti anni a Spinetta Marengo. Io lavoravo da una signora che faceva le borse di pelle, io e Lucia, anche lei una profuga, greca. Questa signora - Giuletta C. si chiamava - ci ha prese e noi tagliavamo i pezzettini di pelle.
Olivia M.
La caserma era fatta a quattro padiglioni e a tre piani. E poi noi siamo arrivati, e la prima volta ... [Leggi tutto]
La caserma era fatta a quattro padiglioni e a tre piani. E poi noi siamo arrivati, e la prima volta ci hanno fatto dormire [per terra]. Poi alla mattina c'era un direttore, c'era la polizia, è come se fosse stata una cittadina. [...] Lì c'erano delle camerate grosse, molto lunghe,[...] c'erano famiglie divise con le coperte da militare. Poi nel campo c'era anche la scuola: c'erano le suore, e c'erano anche gli insegnanti che arrivavano da Tortona, da fuori. No, no, come servizi c'era tutto. C'era tutto, c'erano anche i bagni che erano in comune. Perché prima là c'erano i militari, e quelli non è che andavano [separati]. Invece adesso il comune ha tutto rimodernato!
Elena G.
[In campo profughi] c'era la polizia sempre alla porta, che controllava: noi avevamo il tesserino ... [Leggi tutto]
[In campo profughi] c'era la polizia sempre alla porta, che controllava: noi avevamo il tesserino di profughi, e la polizia controllava quando uscivamo e quando entravamo e via di seguito. [...] Io arrivo nel '46 e ci davano sempre la sbobba, e poi abbiamo deciso di fare le cucine separate. Per i greci e i tunisini una cucina, per i dalmati e quelli della Venezia - Giulia un'altra cucina. E allora capitava - a me capitava una volta al mese - di essere di corvé, e cioè di andare in cucina a lavare le pentole e via dicendo. E avevamo un greco che preparava tutti i mangiari che andavano bene per noi. [I cibi erano], ad esempio, pastasciutta e queste cose qua. Invece i dalmati mangiavano crauti, salsicce e queste cose qua, che a noi non è che piacessero tanto, noi eravamo [abituati] a una cosa diversa. E per questo avevamo deciso di fare due cucine. Poi alla fine - avevamo la Commissione Interna dentro al campo profughi - avevamo deciso di non prendere più la cucina. [In cambio] ci davano il riso e la pasta. Ogni famiglia, [dicevano], quanti siete? E ci davano la pasta e il riso, ma ce la davano tutta anticipata. E così uno si cucinava da solo [usando] quelle spiritiere che si pompava petrolio e si cucinava, [ma] solo con un fuoco soltanto. Lei pensi, una pentola grande così [come due braccia in cerchio] con soltanto una candela sotto! Quando mai cuoce! Poi abbiamo comperato una cucina economica - i putagé li chiamano qui -, uno spaker, che c'ha tanti fuochi, che andava col carbone e si cucinava con quella. [E con quella] ci scaldavamo anche, perché un freddo a Tortona!
Luigi V.
A Tortona mio papà ha trovato subito lavoro: aveva quel mestiere lì [di] saldatore elettrico e ... [Leggi tutto]
A Tortona mio papà ha trovato subito lavoro: aveva quel mestiere lì [di] saldatore elettrico e autogeno. Una volta usavano l’autogeno con due bombole, una di gas e una di altro materiale e saldavano. E ancora adesso io vedo le autobotti che c’è scritto Mazziol Tortona, [che è] una fabbrica di autobotti, facevano le autobotti per i camion e lui ha trovato lavoro subito lì. Io [invece] avevo già finito le medie e ho trovato lavoro da elettricista , avevo sedici o diciassette anni.
Rino P.
[Nel campo di Tortona], c'era tre cucine diverse: una per i dalmati, una per i greci e per i ... [Leggi tutto]
[Nel campo di Tortona], c'era tre cucine diverse: una per i dalmati, una per i greci e per i libici, e un'altra mista. Perché magari c'erano abitudini diverse di mangiare e allora si andava lì con la famosa gavetta a farsi dare il cibo. Poi dopo l'han soppresso e ognuno si arrangiava. Poi qualcuno ha cominciato anche ad andare a lavorare. Diciamo che secondo chi le ha organizzate i greci e i libici dovevano mangiare allo stesso modo, non c'era un criterio culinario preciso. Perché poi alla fine fine non c'era. Non è che i libici facessero il cous cous...Adesso io non mi ricordo, perché ero piccolo, faccia conto che arrivo a Tortona nel '47, nell'aprile del '47.
Ernesto S.
[I profughi] facevano le cose più umili, quelle che adesso fanno gli immigrati. Eravamo noi gli ... [Leggi tutto]
[I profughi] facevano le cose più umili, quelle che adesso fanno gli immigrati. Eravamo noi gli immigrati, anche se eravamo italiani!
Ernesto S.
C'era fiumani, istriani, greci e basta. Ma noi greci eravamo in minoranza, [eravamo meno numerosi ... [Leggi tutto]
C'era fiumani, istriani, greci e basta. Ma noi greci eravamo in minoranza, [eravamo meno numerosi degli altri], saremmo state una decina di famiglie. Ci avevano dato questi spazi, dove noi facevamo le feste: si ballava, si rideva. Poi uscivamo anche, eh! Non è che eravamo [confinati lì dentro]. Si, c'era un orario [di uscita e di entrata da rispettare] però; uscivamo. Perché poi c'erano anche parecchi politici, cioè profughi politici, ma quelli però; erano più controllati. Poi c'era la scuola di taglio e cucito, poi le scuole elementari, l'asilo che c'erano le suore.
Elena G.
I primi anni sì, ci davano il sussidio: lo davano a chi non lavorava, anche se i primi due anni lo ... [Leggi tutto]
I primi anni sì, ci davano il sussidio: lo davano a chi non lavorava, anche se i primi due anni lo davano quasi a tutti, perché non si trovava [lavoro]. Poi, man mano che la gente riusciva a lavorare, toglievano il sussidio. [A lavorare] andavano nelle ditte. Per esempio c'era Orsi che [era una fabbrica] e quando c'erano le assunzioni i profughi avevano come adesso gli handicappati, e cioè [ad esempio] su duecento operai [nuovi assunti] ci dovevano essere trenta profughi di qualunque nazionalità. Poi c'era chi faceva il barista, e altri mestieri, però; quando c'erano le assunzioni nelle fabbriche, le fabbriche avevano l'obbligo dell'assunzione [di una certa quantità di profughi]. C'era la Liebig e ci lavorava parecchia gente, più che altro le donne. C'era la Liebig, c'era la plastica - anche se questa fabbrica è venuta dopo -, c'era Orsi che faceva i trattori, c'era anche un pastificio in corso Alessandria. Si, c'erano parecchie ditte, e i profughi lavoro lo trovavano.
Elena G.
[In campo profughi] uno si alzava, andava a scuola e le persone più grandi andavano a lavorare. ... [Leggi tutto]
[In campo profughi] uno si alzava, andava a scuola e le persone più grandi andavano a lavorare. Perché qui davanti a noi, davanti alla Caserma, c'era un grande deposito di frigoriferi, e allora quando arrivavano i treni con la roba sotto ghiaccio [loro andavano a scaricarli], anche perché i tortonesi per lavorare sono un po' sinistri [non avevan tanta voglia]! Noi invece andavano lì a lavorare, una giornata, se c'era lavoro. Poi qua c'era anche la Manifattura Tabacchi e loro [cioè i profughi] andavano al mattino: se avevan bisogno lavoravano, se non avevano bisogno tornavano casa. Andavano a scaricare il tabacco, a fare manovalanza. In più in un altro paese qui vicino, a Bozzolo Formigaro, prima di Novi, c'erano i grandi magazzini e se c'era bisogno di scaricare i vagoni qua e là, questi qui partivano con la bicicletta e andavano a scaricare. Cercavano di lavorare.
Luigi B.
[In campo] c'era qualcuno dell'Albania - profugo dell'Albania - , poi c'erano i profughi di Rodi, ... [Leggi tutto]
[In campo] c'era qualcuno dell'Albania - profugo dell'Albania - , poi c'erano i profughi di Rodi, sempre della Grecia, c'erano i profughi di Corfù, dell'isola di Corfù, e poi c'erano i dalmati e quelli della Venezia - Giulia. Eravamo in 2.200. E poi c'erano i tunisini, e c'era anche qualche famiglia dalla Romania. Della Grecia, più o meno, eravamo una decina di famiglie, non eravamo di più. Perché quando siamo arrivati eravamo sei o sette famiglie, poi sono arrivati degli altri che si sono fatti trasferire da altri campi profughi, come ad esempio da Firenze che son venuti su. Non eravamo di più: più di dieci famiglie non eravamo. Poi, tra parentesi, i greci si son sposati con i dalmati, come le mie sorelle, ad esempio.
Luigi V.
A Tortona ho iniziato a lavorare prima in una gioielleria che andavo a fare le commissioni - ... [Leggi tutto]
A Tortona ho iniziato a lavorare prima in una gioielleria che andavo a fare le commissioni - portavo ad aggiustare gli orologi e cose così - poi sono andata a lavorare alla plastica, all'Iroplastica e lì son stata cinque anni. Poi mi son sposata, son venuta a Torino e non ho più lavorato per dodici anni. Poi ho lavorato nelle scuole, come collaboratore scolastico finché non sono andata in pensione. Questa cosa qui [questo lavoro] l'ho avuto nello Stato, [cioè] ho preso servizio io come profuga. Ad esempio, su cinquanta persone, prendevano la metà invalidi, profughi o cose così, e l'altra metà li prendevano con la graduatoria. Era solo quello che c'era il favoritismo, ecco.
Adriana D.
[A Bologna avevamo preso il morbillo] e siamo stati all'ospedale quindici giorni. I nostri genitori ... [Leggi tutto]
[A Bologna avevamo preso il morbillo] e siamo stati all'ospedale quindici giorni. I nostri genitori li avevano invece alloggiati in una scuola, e li portavano da mangiare. E avevano paura del contagio del morbillo. Poi noi siamo stati dimessi e ci hanno mandati a Novara, alla Caserma Perrone, e siamo stati otto mesi a Novara! Però; lì siamo stati pochi mesi, e ricordo che facevamo la fila per il mangiare. Siamo stati otto mesi a Novara e poi ci hanno portato a Tortona. Allora [mentre venivamo] col treno, siamo passati da Novi, ma Novi non ci volevano, perché c'era la caserma anche a Novi. Ma non ci volevano. E non ci volevano neanche a Voghera, non ci voleva il sindaco di allora, diceva che non voleva i profughi. Allora questo che si chiamava Mario Scilla e che era il sindaco di Tortona, ha detto: ma sta gente non può; andare su e giù! C'era una caserma che era vuota, non c'era nessuno ed era grossa, prende quattro vie! E allora queste famiglie - venti o trenta - di greci con i loro bambini che erano stati all'ospedale, siamo andati dentro questa caserma. Siccome era vuota, ci hanno fatto scegliere, e noi abbiam scelto il pianterreno, per non fare scaloni. E io son stato là dodici anni, dal '46 al '58.
Luigi B.
[Il campo] era amministrato dalla Prefettura di Alessandria, che aveva designato un direttore, ... [Leggi tutto]
[Il campo] era amministrato dalla Prefettura di Alessandria, che aveva designato un direttore, aveva distaccato degli impiegati e li aveva messi nei vari uffici che erano necessari per la gestione del campo. C'erano poi i servizi: c'era l'infermeria [con] due medici a disposizione, c'era la scuola. All'inizio c'era anche la scuola elementare, e infatti io dovevo fare la quinta - perché avevo perso due anni tribolando per l'Italia - e ho finito la quinta al campo profughi. Terza, quarta e quinta c'era là. Che le han tenute tre o quattro anni e poi le hanno accentrate presso le scuole di Tortona. Sempre però; divisi, i profughi da una parte e i tortonesi dall'altra, maschi da una parte e femmine dall'altra. C'erano le suore, poi c'era un corso di taglio e cucito e poi c'era una cooperativa e delle persone che avevano delle bancarelle, che magari comperavano la roba all'ingrosso e poi la rivendevano.
Ernesto S.
[Nel campo di Tortona] son stata quattro anni, dal '55 al'59. Era una caserma, era fatta come tutti ... [Leggi tutto]
[Nel campo di Tortona] son stata quattro anni, dal '55 al'59. Era una caserma, era fatta come tutti i casermoni. A noi - devo dire la verità - appena venuti ci sembrava brutta [rispetto a] quella che avevamo lasciato, però; poi ci siamo adattati.
Adriana D.
Erano a Tortona i nostri familiari, sia questa vedova e sia il fratello di mio papà. Erano a ... [Leggi tutto]
Erano a Tortona i nostri familiari, sia questa vedova e sia il fratello di mio papà. Erano a Tortona, hanno fatto il campo profughi a Tortona. [Mi raccontavano] di [aver patito] tanto freddo, tanto freddo...Questo isolamento, questo divisore con le coperte...Tanta sofferenza, tanta sofferenza. Dalla loro casa che hanno lasciato - per poveri che siamo, perché non abbiamo niente di grande, però; vivevamo col nostro ed era già qualcosa per l'epoca - al campo profughi...
Antonietta C.
A Tortona in campo profughi] il 60% erano profughi giuliani. Poi c'erano i greci e i libici. Noi ... [Leggi tutto]
A Tortona in campo profughi] il 60% erano profughi giuliani. Poi c'erano i greci e i libici. Noi libici eravamo 508 persone, e queste 508 persone erano quelle che avevano cercato di ricongiunsi alla famiglia, se no non ci saremmo stati noi libici.
Ernesto S.
Qui [a Tortona, di profughi greci] saremmo stati venti o trenta famiglie, neanche, perché poi non ... [Leggi tutto]
Qui [a Tortona, di profughi greci] saremmo stati venti o trenta famiglie, neanche, perché poi non sono più arrivati. Dopo cominciano ad arrivare prima quelli dell'Istria - nel '50-'51 - quelli dei territori di là. Qui eravamo 1.200 persone.
Luigi B.