home I luoghi dell'esodo in Piemonte >Torino e provincia

Alloggiamenti ECA New, via Pesaro 15, via Tripoli 82, …, Torino

Il Centro Raccolta Profughi delle Casermette di Borgo San Paolo, le Casermette di Venaria Altessano e i baraccamenti di corso Polonia sorti lungo le sponde torinesi del Po, non sono gli unici segni della presenza dei profughi sul territorio cittadino. Lo studio delle carte dell'Ente Comunale di Assistenza, rivela infatti come essi vadano a popolare anche altri contesti abitativi caratterizzati da miseria, indigenza e desolazione. Aree nelle quali la vita quotidiana scorre ai margini, inserendosi lentamente e con molta fatica tra le maglie dei rapidi processi di trasformazione che tra il primo dopoguerra e gli anni del boom mutano radicalmente il volto economico e sociale della città. Spazi intricati e complessi, dove i profughi vivono in condizione di coabitazione e sovraffollamento con gli immigrati provenienti dal Veneto e, soprattutto, dal sud Italia, che iniziano a popolare sempre più densamente il territorio torinese. Complessi edilizi disordinati e precari, comunemente denominati Alloggiamenti ECA, poiché direttamente amministrati dall'Ente Comunale di Assistenza. Un totale di sette strutture di costruzione più o meno recente disposte, indifferentemente, nella periferia o nel centro cittadino. Luoghi all'interno dei quali, come rivela un rapporto dell'Ufficio Tecnico Comunale datato 23 settembre 1964, la "quasi totalità delle famiglie" è alloggiata "con una media di quattro componenti in una sola camera di uso promiscuo", spesso ricavata da "locali già adibiti a camerate, magazzini e uffici e adattati ad abitazioni mediante suddivisioni in muratura e tramezze di legno." [ASCT, Fondo ECA] Strutture non predisposte per l'utilizzo abitativo, prive dei sistemi di aerazione, degli impianti di erogazione di acqua e di energia elettrica, nonché delle più elementari norme di igiene dal momento che "i servizi" - come si legge nel documento - "sono in comune e ogni gabinetto viene assegnato, come media, a quattro famiglie, pari a sedici persone" [ASCT, Fondo ECA]. Abitazioni che con lo scorrere del tempo hanno creato - afferma l'Ufficio Tecnico Comunale - "innumerevoli difficoltà" relative all'abitabilità, ma che hanno comunque visto transitare per circa due decenni migliaia di individui: 613 persone nel 1947, 1.164 persone (248 famiglie) nel 1949, 1.345 persone (336 famiglie) nel 1951, 1.458 persone (336 famiglie) nel 1953, 1.432 persone (340 famiglie) nel 1955, 1.315 persone (314 famiglie) nel 1958, 2.002 persone (501 famiglie) nel 1960, 1.883 persone (482 famiglie) nel 1960, 2.000 persone (519 famiglie) nel 1964. Cifre consistenti, nelle quali i profughi, seppur rappresentati nelle loro differenti provenienze (giuliano-dalmati, greci e Africa Orientale Italiana), ricoprono una percentuale minore rispetto agli immigrati che, specialmente nel caso delle regioni del sud Italia, costituiscono da un punto di vista numerico la parte più consistente.

Alloggiamenti di via Pesaro 15
Di proprietà del Calzaturificio Spolli (con sede a Milano in via Friuli 30) che lo cede nel periodo bellico all'Amministrazione provinciale per l'impianto di una caserma di P.S., la struttura, costituita da un edificio di quattro piani, è requisito dalla prefettura di Torino per alloggiarvi le famiglie di sfollati ospitate negli edifici di via Borgo Dora che, come rivela una relazione del prefetto di Torino Ciotola datata 28 maggio 1947, "si trova in stato di assoluta inabitabilità perché pericolante" [ASCT, Fondo ECA]. L'esecuzione del decreto di requisizione è affidata al sindaco che in data 12 giugno 1947 ufficializza il passaggio del complesso al Comune di Torino che incarica l'ECA della gestione. Secondo quanto traspare da una corrispondenza intercorsa nel giugno 1947 tra il presidente dell'ECA e il primo cittadino, i locali necessitano di "opere di adattamento" (intonaco delle tramezze, costruzione di canne fumarie, forniture e posa di porte con serratura e chiave, tinteggiatura generale a calce, solo per citarne alcune) e di "opere accessorie" (creazione di cucina e distributorio minestre, creazione asilo infantile e doposcuola, sistemazione di uffici per la direzione e centro assistenza) per un ammontare complessivo di lire 4.500.000. Lavori strutturali che, conclude il sindaco, consentiranno "di offrire a ogni famiglia un alloggio di ristrette dimensioni, ma dotato dei servizi indispensabili." [ASCT, Fondo ECA] Le valutazioni del primo cittadino sembrano però non trovare un'immediata corrispondenza. Infatti secondo quanto traspare da un rapporto stilato il 22 aprile 1952 dal dr. Franco Godino, responsabile dei Servizi Alloggiamenti dell'ECA, nella struttura di via Pesaro, "che presenta servizi igienici in comune a ogni piano", gli alloggi sono distribuiti "in modo pessimo" dal momento che - come rivela il documento - "vi sono famiglie di undici componenti in alloggi di 54 metri quadrati, famiglie di nove e sei componenti in 30 metri quadrati, famiglie di cinque in 16 metri quadrati e, per contro, vi sono famiglie di due o tre componenti in 74 metri quadrati." [ASCT, Fondo ECA] L'analisi dei dati statistici presentata annualmente alla presidenza dell'ECA dall'Ufficio Alloggiamenti consente di ricavare il numero dei residenti nello stabile di via Pesaro tra il 1949 e il 1953, senza però riuscire a ricavarne la provenienza. Si tratta di 199 persone (63 famiglie) nel 1949, scese a 218 (65 famiglie) nel 1951 e a 226 (70 famiglie) nel 1952, l'ultimo anno al quale le carte fanno riferimento.

Case basse, via Tripoli 82

Il complesso, che si estende su una superficie di 5.840 metri quadrati, è costituto da quattro baracche: le prime due sono edificate nel 1917 per ospitare i profughi di Caporetto, le altre nel 1939 come alloggi per gli sfrattati. Situati, come rivela una relazione dell'Ufficio Tecnico del Comune del 23 settembre 1964, "tra grandi palazzi di abitazioni civili", i quattro padiglioni costituiscono un "gruppo di abitazioni antigieniche e malsane" [ASCT, Fondo ECA]. La denominazione Case basse è mutuata, come si nota dalla lettura di un rapporto redatto l'11 febbraio 1947 dall'Ufficio Tecnico Comunale, sia dal fatto che i baraccamenti sono costituiti da una struttura "a piano terra", sia perché essi sorgono su un terreno "più basso rispetto alle aree circostanti" [ASCT, Fondo ECA]. Elemento, quest'ultimo, che comporta disagi soprattutto in caso di pioggia quando "si raccolgono acqua e fango in grandi quantità" che difficilmente "possono essere smaltite attraverso le fognature" [ASCT, Fondo ECA]. Dal punto di vista strutturale, ogni baracca, la cui interno vive una media di dodici famiglie, è costituita da ventiquattro camere, prive di finestre, e dunque "areate e illuminate dalla sola porta d'ingresso" [ASCT, Fondo ECA]. La distribuzione delle abitazioni non sembra avvenire seguendo una logica ben precisa se è vero, che si verificano casi in cui famiglie di "cinque o sei componenti vivono in camere di 16 metri quadrati" [ASCT, Fondo ECA]. La situazione igienica si presenta piuttosto precaria: ogni baracca è infatti munita "di due lavandini e di quattro latrine esterne in comune" le cui porte - si legge nella relazione del febbraio 1947 - "si aprono direttamente sui piazzali esterni" [ASCT, Fondo ECA]. Altre problematiche sono dovute - continua il documento - ai vespai ("ritenuti insufficienti"), alla soffittatura ("poco coibente essendo di rete metallica") , ai muri (il cui spessore è "appena di dodici centimetri"), nonché all'assenza totale di impianto a gas e di "un impianto elettrico che consenta l'uso di elettrodomestici" [ASCT, Fondo ECA]. Il 25 luglio 1946, su deliberazione del Comune di Torino, le "Case Basse" passano sotto l'amministrazione dell'ECA che nel corso della sua gestione provvede, nei limiti delle proprie disponibilità, a migliorare le condizioni di vita degli inquilini, attraverso la realizzazione di opere di strutturali che vanno, solo per citarne alcune, dalla riparazione dei tetti a quella delle canne fumarie, dalla tinteggiatura degli intonaci alla riparazione dei soffitti, dal rifacimento dei pavimenti alla costruzione di scalini di accesso alle camere. L'analisi dei dati sulle presenze annualmente forniti dall'ECA al Comune di Torino, consente di quantificare con precisione il numero dei residenti nei baraccamenti di via Tripoli: 288 persone (46 famiglie) nel 1947, 304 persone (47 famiglie) nel 1948, 311 persone (47 famiglie) nel 1949, 314 persone (53 famiglie) nel 1951 e nel 1953, 324 persone (61 famiglie) nel 1955, 270 persone (61 famiglie) nel 1958, 252 persone (58 famiglie) nel 1960 e 267 persone (61 famiglie) nel 1962, anno in cui, su suggerimento dell'ECA, il Comune decide di abbattere definitivamente i quattro edifici. Il 27 marzo 1962 le ruspe comunali entrano in azione e gli abitanti, tra i quali la presenza di profughi (nel 1953 sono censite due famiglie provenienti dalla Venezia - Giulia e dalla Grecia) appare irrisoria se confrontata con quella degli immigrati (molti dei quali - come specificano le pagine de «La Stampa»- "di origine meridionale"), sono trasferiti nelle nuove abitazioni popolari di viale dei Mughetti, alle Vallette. Palazzi "di dieci piani con ascensore" al cui interno ogni famiglia, a seconda del numero dei componenti, avrà "un appartamento di tre o sei camere, pagando un modesto canone di affitto" [La Stampa].

Case Basse di via delle Maddalene

Situato nel quartiere del Regio Parco, il complesso, costruito nel 1929 per alloggiare i cittadini sfrattati da abitazioni in corso di demolizione, consta di due padiglioni che, come si evince da una relazione stilata dall'Ufficio Tecnico Comunale il 23 settembre 1964, presentano "le medesime caratteristiche di costruzione delle case basse di via Tripoli" [ASCT, Fondo ECA]. Lo stesso documento giudica "pessime" le condizioni igieniche, evidenziando nel contempo lo stato di degrado in cui si trovano le strutture che oltre ad avere "ostruiti i due gabinetti", presentano gravi danni "alla copertura in eternit del tetto e alla gran parte dei pavimenti" [ASCT, Fondo ECA]. La distribuzione delle famiglie - molte delle quali come afferma il documento presentano "una moralità pessima, una situazione disciplinare mediocre e una grave condizione economica" - non sembra seguire un criterio legato alla grandezza del nucleo, dal momento che vi sono famiglie di sette componenti concentrate in camere di 17 metri quadrati, mentre due famiglie di quattro componenti occupano camere di 34 metri quadrati. Condizione comune a tutti gli abitanti sembra essere, come rivela una nota dell'Ufficio Tecnico dell'ECA datata 23 settembre 1964, "l'uso promiscuo delle camere" e quello dei servizi igienici, ciascuno dei quali "viene assegnato, come media, a quattro famiglie, pari a sedici persone." [ASCT, Fondo ECA] L'ECA, che assume la gestione delle Case Basse il 25 luglio 1946, si impegna attraverso la realizzazione di opere di adattamento, a migliorare l'abitabilità dei locali senza però riuscire a ottenere i risultati sperati, dal momento che nel 1962 essi sono ancora definiti edifici "non predisposti per l'abitazione di famiglie" [ASCT, Fondo ECA]. Il numero degli abitanti - per i quali, salvo nel caso di una famiglia di profughi giuliano-dalmati, la documentazione non consente di rilevare la provenienza - si mantiene pressoché costante nell'arco degli anni come si nota dai dati statistici inerenti le presenze annualmente stilati dall'ECA, che censiscono 165 residenti (31 famiglie) nel 1947, 161 (31 famiglie) nel 1948, 311 (31 famiglie) nel 1949, 150 (31 famiglie) nel 1951, 135 (35 famiglie) nel 1955, 123 (35 famiglie) nel 1959 e 131 (33 famiglie) nel 1960. Nel 1962, nell'ottica di un piano di risanamento di alcune tra le aree cittadine più degradate, il Comune decide di intraprendere per le Case Basse di via Maddalene, la stessa strada percorsa per quelle di via Tripoli. Il 28 marzo dello stesso anno l'area viene abbattuta non lasciando più alcuna traccia "di quel povero mondo che vi ha vissuto." [La Stampa] Gli abitanti, 137 persone per un totale di 37 nuclei familiari, sono trasferiti "in moderni e confortevoli alloggi alle Vallette" [La Stampa].

Alloggiamento di via Savigliano 7

Il complesso, uno stabile civile a quattro piani fuori terra precedentemente adibito ad abitazione per i dipendenti dell'acquedotto municipale, è costituito "da dieci alloggi con servizi igienici, parzialmente indipendenti, e da otto soffitte con servizi igienici in comune" [ASCT, Fondo ECA]. Una relazione stilata dall'Ufficio Tecnico Comunale il 23 settembre 1964 giudica "discreta" la distribuzione degli alloggi, benché il documento riveli la presenza di un nucleo di "dodici componenti che occupa una camera di 30 metri quadrati" e una famiglia di undici persone alla quale è affidato uno spazio di 36 metri quadrati" [ASCT, Fondo ECA]. All'interno dello stabile, le cui "condizioni di manutenzione sono pessime", mentre la situazione igienica è definita "buona per gli alloggi e pessima per le soffitte" [ASCT, Fondo ECA]. Nel 1947 lo stabile ospita 103 persone per complessivi 18 nuclei familiari. Cifra tendente a diminuire negli anni successivi come si nota dalla lettura dei dati presentati dall'ECA, che censiscono 95 persone (18 famiglie) nel 1948, 96 (18 famiglie) nel 1949, 106 (18 famiglie) nel 1951, 94 (17 famiglie) nel 1953, 83 (19 famiglie) nel 1955, 68 (19 famiglie) nel 1959, 63 (19 famiglie) nel 1960 e 64 (19 famiglie) nel 1964. Nel 1966 nell'ambito di un piano destinato a "cancellare dalla città le bidonvilles" [La Stampa], la struttura viene sgomberata e i suoi abitanti trasferiti in alloggi comunali in via Artom e in altri 68 appartamenti costruiti in svariate aree della città dalla Gestione Case per Lavoratori (Gescal).

Alloggiamento corso Tassoni 58

Stabile a tre piani fuori terra, anticamente adibito a cinta daziaria, è costituito da "dieci alloggi", ciascuno dei quali assegnato a una famiglia, "con servizi igienici in comune ad ogni piano" [ASCT, Fondo ECA]. Dopo essere stato abbandonato dal dazio nel 1912, anno che segna il passaggio della cinta da corso Tassoni a via Pietro Cossa, lo stabile diventa ricovero "per le famiglie povere". Nel 1947 ospita 58 persone, diventate 65 nel 1948, anno in cui si registra la maggiore affluenza. A partire dal 1949, anno in cui vivono nello stabile 63 residenti, il numero delle presenze diminuisce come dimostrano i 58 abitanti del 1951, i 55 del 1953 e i 48 del 1955, ultimo anno al quale le carte fanno riferimento. Nel 1958 il comune decide l'abbattimento del palazzo e il trasferimento delle dodici famiglie che ancora vi risiedono "nelle nuove case costruite a Lucento" [La Stampa] , ovvero nel lotto SB1 adiacente al Villaggio di Santa Caterina.

Alloggiamento via della Brocca 10

Situato in zona precollinare a poca distanza dalle sponde del Po, la struttura occupa parte della caserma Monte Nero. E' costituita da quattordici stanze con servizi igienici in comune, assegnate ad altrettante famiglie. Secondo i dati dell'ECA ospita 61 persone nel 1959, 53 nel 1960 e 60 nel 1964, per complessivi 14 nuclei familiari uno dei quali "recentemente immigrato dal meridione" [ASCT, Fondo ECA]. E' sgomberato nel 1966.

Alloggiamento via Verdi 24

Considerato come il maggiore degli alloggiamenti, sorge nei locali della Caserma Carlo Emanuele I, ricevuta dal Comune di Torino da parte dell'autorità militare nel settembre 1946. Lo stabile, parte del quale è stato danneggiato dalle incursioni aeree avvenute durante il secondo conflitto mondiale, è costituito da "un gruppo di corpi di fabbrica, per la massima parte a tre piani fuori terra, e non cantinati" e da un gruppo di altri elementi minori "a due piani fuori terra" [ASCT, Fondo ECA]. Nel cortile principale - come recita il verbale di consegna redatto dall'autorità militare il 4 settembre 1946 - trovano spazio due torri ottagonali destinate ai servizi igienici in corrispondenza dei vari piani, mentre nel cortile minore sorge uno stabile di dimensioni ridotte "indicato a uso cucina" [ASCT, Fondo ECA]. All'atto del passaggio al Comune la struttura presenta condizioni di manutenzione definite "pessime" a causa della mancanza "quasi totale di porte e finestre", del "crollo di tramezzi e intonaci" e dell'assenza "parziale degli impianti idraulici ed elettrici" [ASCT, Fondo ECA]. Il Comune di Torino che, come si legge nel verbale di assegnazione, provvede a eseguire i lavori necessari "a rendere abitabili i locali e a rimettere in funzione tutti gli impianti elettrici", utilizza la Caserma Carlo Emanuele I come luogo nel quale sistemare e accogliere le famiglie "sinistrate rimaste senza tetto" e gli "inquilini sfrattati dagli stabili lesionati, che devono essere abbattuti d'urgenza per scongiurare pericoli di crollo" [ASCT, Fondo ECA]. Si tratta nella gran parte dei casi di individui versanti in condizioni di indigenza, "bisognosi di aiuto, avendo numerosi figli a carico", e privi "delle indispensabili suppellettili." [ASCT, Fondo ECA] La loro assistenza è affidata all'ECA, che dal 1946 risulta assegnatario e amministratore dell'alloggiamento che resta però di proprietà del demanio.
La struttura si compone di 146 camere che, come accade per gli altri alloggiamenti, non sembrano essere assegnate in base all'ampiezza dei nuclei familiari: infatti, come dimostra una relazione del 22 aprile 1952 a firme del responsabile dei Servizi Alloggiamenti dell'ECA, famiglie di "sei,sette, otto componenti" vivono "in camere di 35 metri quadrati", mentre nuclei familiari più ridotti (due o tre componenti) godono di camere più spaziose "di circa 50 metri quadrati" [ASCT, Fondo ECA]. I servizi igienici sono situati all'altezza di ogni piano e sono utilizzati "in comune" da un minimo di due a un massimo di otto famiglie. Lo stesso documento si sofferma successivamente sulla condotta degli ospiti, giudicata "mediocre" così come la "loro moralità", al punto che l'autore della relazione propone di segnalare alla Buon Costume, "i molti abitanti notoriamente conosciute per palese contegno immorale" [ASCT, Fondo ECA], provvedendo successivamente al loro allontanamento dall'alloggiamento. Parole che non sembrano rappresentare una novità, dal momento che già nell'ottobre 1947, lo stesso ECA segnala in una lettera inviata al Comune, il problema della "moralità degli ospiti", tra i quali sembrano manifestarsi "mancanza di civismo e immoralità" [ASCT, Fondo ECA]. Una situazione che colpisce in primo luogo "i giovani e i bambini", categorie di assistiti verso i quali l'ECA sembra dedicare particolare attenzione: da una parte si cerca di facilitare e accelerare l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, mentre dall'altra si cerca di incoraggiare all'adempimento dell'obbligo dell'istruzione elementare", vista l'alta percentuale di coloro che frequentano "irregolarmente la scuola". [ASCT, Fondo ECA]
A tale scopo, dopo i primi anni di funzionamento, nella struttura è creato, grazie alla collaborazione gratuita di alcuni studenti universitari, un doposcuola, suddiviso in due turni, frequentato nel 1956 da 90 bambini, tra i quali appare consistente (circa 60 unità) la presenza femminile. Bambini che fin dal 1947, grazie alla collaborazione di svariati enti tra i quali vanno menzionati la Pontificia Commissione di Assistenza, la Croce Azzurra, e l'Oratorio Salesiano, sono invitati ogni estate, gratuitamente, nelle colonie estive, dove possono "godere di soggiorni salubri e divertimenti vari" [ASCT, Fondo ECA]. La Pontificia Commissione di Assistenza e l'oratorio Salesiano non sono però le sole istituzioni di matrice religiosa a operare all'interno del complesso di via Verdi, dove è attivo un gruppo di suore al quale è affidata l'educazione religiosa "dei bambini ospiti" [ASCT, Fondo ECA]. Suore che, come si legge in una relazione inviata il 6 luglio 1955 dal responsabile dell'Ufficio Economato dell'ECA alla presidenza dell'ente, tengono anche un corso di taglio e cucito frequentato, a tale data, da circa "20 bambine dagli otto ai quattordici anni", che si dedicano "a lavori di cucito, rammendo e ricamo" [ASCT, Fondo ECA]. Secondo quanto traspare dall'analisi dei dati statistici elaborati dall'ECA, le presenze all'interno degli alloggiamenti di via Verdi appaiono piuttosto elevate: 525 persone (126 famiglie) nel 1947, 520 (14 famiglie) nel 1949, 556 (145 famiglie) nel 1951, 514 (153 famiglie) nel 1953, 533 (142 famiglie) nel 1955, 506 (136 famiglie) nel 1958, 510 (131 famiglie) nel 1960 e 480 (130 famiglie) nel 1964. Tra i nuclei familiari residenti nell'alloggiamento, molti dei quali, come rivela un rapporto del responsabile degli alloggiamenti dell'ECA datato 10 maggio 1963, sono definiti "di recente immigrazione dal meridione" [ASCT, Fondo ECA], vi sono anche dei profughi, la cui percentuale appare però decisamente ridotta. Si tratta, complessivamente, di tre famiglie: due provenienti da Pola e una dall'Africa Orientale Italiana.
Nel marzo del 1966, poco prima che il Comune ne decreti la definitiva chiusura, gli alloggiamenti di via Verdi sono al centro di un'inchiesta condotta da «La Stampa», le cui pagine restituiscono una precisa istantanea di quella che viene definita "un'isola di miseria nel cuore della città" [La Stampa]. Un luogo che accoglie "133 famiglie, per un totale di 575 persone di cui 190 sono bambini inferiori ai dodici anni", che si trovano a vivere in "un desolante disagio" [La Stampa]. Il ritratto del dipinto dal quotidiano è impietoso: le stanze "sono buie e fredde", il riscaldamento centrale non esiste e ovunque regnano "sfacelo, umidità e sporcizia" [La Stampa]. Un quadro di miseria assoluta, nel quale trovano però spazio contraddizioni "che lasciano sconcertati" e cioè la presenza, in molte famiglie, non soltanto di frigoriferi e radio, ma anche di automobili "di grossa cilindrata", che alla sera compaiono nel cortile "trasformatosi in garage" per poi scomparire il mattino seguente. Beni di lusso, frutto di proventi "dall'origine misteriosa" anche perché, ironizza l'articolo "parecchi abitanti di via Verdi, passano metà dell'anno in carcere" [La Stampa]. Una situazione dove "miseria materiale e miseria morale" [La Stampa] sembrano convivere e alla quale il Comune decide di porre fine decretando il trasferimento degli abitanti in edifici di edilizia popolare ubicati in varie porzioni del territorio cittadino. Una pratica conclusa nell'estate del 1966, alla quale segue, nel 1971, il progressivo abbattimento dell'area sulla cui superficie sorgerà, come rivela una corrispondenza intercorsa tra l'Intendenza di Finanza e la presidenza dell'ECA, "la nuova sede delle facoltà umanistiche" [ASCT, Fondo ECA].

Immagini

Case Basse di via Maddalene, Torino 1962
Case Basse di via Maddalene, Torino 1962
Sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Le operazioni di sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Le operazioni di sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Momenti dell'abbattimento delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Momenti dell'abbattimento delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Maddalene, 28 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Tripoli, 27 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Tripoli, 27 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Tripoli, 27 marzo 1962
Sgombero delle Case Basse di via Tripoli, 27 marzo 1962

Giornali

Articolo di giornale Nuova operazione per eliminare le baracche intorno alla città, «La Stampa», 29 gennaio 1958 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Trasloco in massa da via Tripoli, «La Stampa», 29 marzo 1962 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Le 'case basse' spianate dai bulldozer. 440 inquilini accolti in alloggi civili, «La Stampa», 29 marzo 1962 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Il piano per eliminare le «casermette», «La Stampa», 28 ottobre 1966 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Presto sarà sgomberato il 'casermone' di via Verdi, «La Stampa», 4 marzo 1966 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Si sgombrano Casermette e Casermone, «La Stampa», 30 luglio 1966 [Leggi l'articolo completo]

Riferimenti archivistici

 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1090, Fascicolo 1, 1946-1966: affidamento in gestione ex caserma Carlo Emanuele nel luglio 1946
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1090, Fascicolo 7, Asilo infantile e doposcuola 1961-1966
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1091, Fascicolo 3, Relazioni, prospetti, elenchi sulla situazione degli alloggiamenti 1947-1954
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1091, Fascicolo 2, Corrispondenza con l'I.S.P.E.S., il prefetto, il dott. Baima con il sindaco di Torino, relativa allo sgombero dei locali, 1966-1971
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1092, Fascicolo 1, Elenchi di bambini alloggiati, dei capifamiglia, elenchi per acquisto stufe, corrispondenza per contributi affitti e corrispondenza varia, 1946-1954
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1095, Fascicolo 1, Alloggiamento di via Pesaro 15: assegnazione stabile da parte della Prefettura. Corrispondenza varia con ospiti dell'alloggiamento, 1942-1954
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1098, Fascicolo 4, Alloggiamento di via Savigliano 7. Asilo sfrattati, corrispondenza varia, 1946-1966
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1098, Fascicolo 7, Alloggiamenti vari: statistiche 1947-1962
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1099, Fascicolo 4, Demolizione case basse di via Tripoli, via Maddalene. Trasferimento di famiglie in case popolari, 1960-1962

Contributi lasciati su questo documento