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Casermette di Borgo San Paolo, via Veglia, Torino

Nel febbraio del 1947, l'improvviso afflusso in città di un primo scaglione di oltre 1.000 profughi giuliano-dalmati, rende necessaria la ricerca di un luogo adatto ad accoglierli. La giunta comunale, allora guidata dal sindaco comunista Celeste Negarville, individua nei ventuno edifici del vecchio complesso militare delle Casermette di via Veglia, nel popolare rione di Borgo San Paolo, la struttura idonea ad ospitare i nuovi arrivati. Posto fin dalla sua nascita sotto la gestione amministrativa dell'Ente Comunale di Assistenza (ECA), il complesso, che dista circa un chilometro e mezzo dalla più vicina linea tranviaria cittadina, inizia la propria attività di accantonamento il 30 novembre 1944, ospitando le popolazioni dei Comuni italiani e francesi della Valle Roja (Airoles, Olivetta, San Michele, Collabassa, Brey sul Roja, Saorges, Fontan) coattivamente deportate a Torino dai tedeschi. Circa 3.000 persone rimaste in città fino all'aprile 1945 quando, "per interessamento delle autorità svizzere"[ASCT, Fondo ECA], inizia il rimpatrio dei cittadini francesi. Nella struttura restano invece 900 italiani, ai quali si aggiungono rimpatriati dall'estero, reduci dalla prigionia ed ex internati di rientro dalla Germania, per i quali diventa necessario individuare delle aree destinate alla loro accoglienza, provvedendo "a isolarli per cautele igieniche" senza però "rendere l'ospitalità uguale a quella dei lager" [ASCT, Fondo ECA]. In proposito, il 19 maggio 1945, il Consiglio comunale decide, su indicazione del sindaco Giovanni Roveda, di riservare agli ex internati la parte sud delle Casermette, costituendovi la Casa degli Internati. Una struttura all'interno della quale essi ricevono cure e assistenza, unitamente alla "distribuzione del premio di lire 5.000, concesso a tutti i reduci dalla Germania" [ASCT, Fondo ECA] e di un pacco contenente indumenti di vario tipo. Tra il maggio e il settembre 1945, ad esempio, l'ECA consegna agli ospiti del campo "300 pantaloni, 260 giacche, 370 camicie 192 mutande, 620 calze, 310 maglie, 375 fazzoletti, 55 asciugamani, 59 cravatte, 10 cappelli, 6 sciarpe, 429 paltò e 277 scarpe". [ASCT, Fondo ECA]
Alla fine del marzo 1946 le Casermette vedono aumentare la propria popolazione in seguito all'assorbimento dei profughi provenienti dal XXI° Evacuation Camp di Moncalieri che, costituito dalle autorità alleate alla fine dell'aprile 1945 si appresta a chiudere i battenti. Il numero di arrivi sempre crescente, rende indispensabile l'ampliamento della capacità ricettiva del campo (che può contenere un massimo di 1.600 persone), attraverso la messa "in efficienza di tutti i padiglioni ancora sinistrati o parzialmente danneggiati" [ASCT, Fondo ECA].
Compito principale dell'ECA è quello di distribuire generi alimentari e di vestiario, mentre il Ministero dell'Assistenza Post-Bellica è responsabile dell'erogazione di un sussidio giornaliero della durata di un anno, la cui somma ammonta a 100 Lire per il capofamiglia e a 45 Lire per il resto dei componenti il nucleo familiare. Il Comune di Torino si fa invece carico della concessione del materiale lettericcio (brande e coperte di lana) necessario ad approntare la struttura.
Le carte del ECA conservate all'Archivio Storico della Città di Torino, consentono di quantificare il numero delle presenze nel primo biennio di attività del campo. In proposito vi sono due documenti di grande rilievo: una relazione sulla situazione delle Casermette inviata il 30 gennaio 1946 dal direttore Pietro Gemmi alla presidenza dell'ECA, e un rapporto informativo datato 9 settembre 1946 stilato dalla direzione del campo. La relazione di Gemmi propone dei dati che si snodano sul lungo periodo, indicando in 13.970 le persone che tra il 30 novembre 1944 e il 30 gennaio 1946 transitano alle Casermette. Tra essi - si legge nel documento - vi sono " "2.250 profughi, 1.825 ex internati, 298 sinistrati, 89 sfollati, 2.650 residenti all'estero (compresi i profughi francesi), 6.798 ex internati di passaggio e 60 partigiani." [ASCT, Fondo ECA] Il rapporto che la direzione del centro stila il 9 settembre 1946 restituisce invece un'istantanea che seppur legata al solo 1946 appare piuttosto precisa. Secondo quanto traspare dal documento, alla data del 31 agosto 1946 sono presenti alle Casermette 1.389 individui (892 uomini e 497 donne), comprendenti 197 nuclei familiari, per complessive 812 unità, e 577 persone isolate. I dati consentono anche di risalire alla provenienza degli ospiti (definiti nella documentazione come profughi da rimpatriare) che appaiono suddivisi cime segue: 635 provengono dalla provincia di Torino, 4 da quella di Imperia, 3 da quella di Messina, 2 da quella di Treviso 1 da quella di Frosinone e 1 da quella di Udine. Vi sono poi gli italiani residenti all'estero tra i quali i più numerosi appaiono quelli provenienti dalla Francia (396), seguiti da Marocco (43), Tunisia (21), Germania (11), Russia (7), Romania (7), Jugoslavia (6), Svizzera (5), Monaco (5), Albania (4), Manciuria (2), Algeria (1), Belgio (1), Montenegro (1), Siria (1). Vi sono poi gli italiani provenienti dalle Colonie e dai possedimenti, e quelli originari della Venezia Giulia. Tra la prima tipologia di profughi, quelli più numerosi appaiono gli italiani di Grecia (53 persone), seguiti da quelli giunti dalla Libia (33) e dall'Africa Orientale Italiana (9). Dalla Venezia - Giulia e dalla Dalmazia provengono invece 137 persone: 16 dalla provincia di Trieste, 6 da quella di Gorizia, 5 da quella di Zara, 62 da quella di Fiume e 48 da quella di Pola. Lo stesso documento consente di risalire alla professione dei profughi residenti nel campo: sui complessivi 1.389 ricoverati, sono 606 (541 uomini e 65 donne) quelli in età lavorativa. La professione più rappresentata è il meccanico (116), cui seguono quella di manovale (57), muratore (51), operai generici (47, di cui 29 uomini), impiegati (47, di cui 35 uomini), artigiani (25), falegnami (24), insegnanti (8 donne) e professionisti (6). Alto è il numero di coloro che sono censiti sotto la voce di "altre qualifiche": 191 uomini e 32 donne. [ASCT, Fondo ECA]
La concentrazione di un cospicuo numero di persone all'interno di spazi ristretti, si riflette direttamente sulle condizioni di vita dei profughi, restituite in maniera esaustiva da una relazione redatta il 13 febbraio 1946 da un funzionario dell'Ufficio Tecnico del Comune di Torino. Inviato alle Casermette per monitorare "lo stato generale della situazione" della struttura, riferisce come vi abitino "almeno 200 famiglie", che trovano spazio in locali "separati con mezzi di fortuna (steccati, corde, coperte)", presentando "gravi inconvenienti nei riguardi della pulizia, senza parlare dell'aspetto zingaresco dell'insieme" [ASCT, Fondo ECA]. Una situazione che non sembra migliorare qualche mese più tardi, come dimostra una lettera inviata alla presidenza dell'ECA dall'Ufficio Tecnico del Comune nel giugno 1946, la cui lettura fornisce una fotografia nitida della vita in campo, popolato da persone "raggruppate in nuclei familiari che presentano notevoli differenze per provenienza, stato sociale, economico e fede politica", raccolte in "grandi camere" separate "con mezzi di fortuna (steccati e coperte), che non offrono alcuna sicurezza", e "che presentano notevoli difficoltà di pulizia, oltre a un aspetto deplorevole." [ASCT, Fondo ECA] Di qui la necessità - conclude il documento - di "dare a ogni famiglia, o al più a due famiglie riunite, la possibilità di isolamento in locali separati per favorire l'unità familiare, la moralità dell'ambiente, e la pulizia dei locali." [ASCT, Fondo ECA]
Quasi un anno più tardi, il 2 maggio 1947, il direttore del campo invia alla presidenza dell'ECA il prospetto mensile contenente il numero complessivo dei ricoverati: si tratta di 2.376 persone (il campo come indicato nel documento ha nel frattempo aumentato a 2.200 posti la propria capacità ricettiva), "187 delle quali arrivate nel mese di aprile". Tra questi 175 provengono dalla Venezia-Giulia. Un dato significativo, in linea con una tendenza iniziata a partire dal febbraio 1947 , quando in concomitanza con l'arrivo di flussi sempre più copiosi, la comunità giuliano-dalmata diventa la più rappresentata tra quelle presenti nel centro di raccolta.
Le prime tracce di profughi giuliano-dalmati nel complesso di Borgo San Paolo risalgono al 1946, anno in cui la loro presenza ammonta a 137 unità. Numero destinato a crescere sensibilmente a partire dal 1947 quando, come rivelano i dati contenuti negli Annuari Statistici della Città di Torino, essi raggiungono alla data del 31 dicembre le 1.480 presenze, diventate 1.654 nel 1948 e 1.604 nel 1949. L'utilizzo incrociato di differenti tipologie di fonti, evidenzia la progressiva diminuzione dei profughi giuliano-dalmati ospitati nei padiglioni delle Casermette: 1.461 unità nel 1951, 1.359 nel 1953, 1.304 nel 1954, 78 nel 1956, fino ad arrivare, nel 1957, alla loro totale assenza nella struttura. Una flessione che inizia intorno ai primi anni Cinquanta e che raggiunge il proprio apice nel biennio 1955- 1957, trovando la principale motivazione nel massiccio e progressivo trasferimento delle famiglie giuliane nelle abitazioni di edilizia popolare messe a loro disposizione nel quartiere di Lucento, uno spazio cittadino che prenderà il nome di Villaggio di Santa Caterina. Operazione, quest'ultima, che consente un riordinamento del Centro: la parte Nord viene consegnata al Ministero dell'Interno e da esso assegnata alla Polizia di Stato, la parte Sud è invece destinata ad ospitare parte delle famiglie abitanti nei vari baraccamenti cittadini, primo tra tutti quello di corso Polonia.
Le Casermette sono dotate di servizi necessari ad agevolare la vita quotidiana degli ospiti: all'interno del campo sono infatti attive una cucina che, per mano di "quattro suore missionarie coadiuvate da ospiti del campo retribuiti" provvede al confezionamento e alla distribuzione dei pasti, un'infermeria, dotata di una capacità ricettiva di venti posti letto (equamente divisi per genere) e di due camere d'isolamento "della capacità di dodici posti complessivi per gli eventuali casi infettivi", un ambulatorio per visite e medicazioni e un consultorio pediatrico la cui attività è portata avanti sotto "la vigilanza dell'Opera Maternità e Infanzia"[ASCT, Fondo ECA]. L'educazione e l'istruzione dei bambini è invece affidata ad altre due strutture interne al campo: la scuola materna e la scuola elementare. Diretta dalle suore Missionarie della Consolata, che si occupano anche dell'attività pedagogica e di insegnamento, la scuola materna è attiva dal gennaio 1945 ed è frequentata da bambini di età compresa tra i due e i cinque anni. Sorta in appositi locali interni al campo e posta fin dal gennaio 1945 sotto la direzione didattica della scuola Baricco, la scuola elementare (con annesso doposcuola quotidianamente funzionante) vede aumentare negli anni il numero dei suoi allievi passati dalle 150 presenze del 1946 alle 279 del 1953. A questo proposito si noti un promemoria redatto dal direttore del campo nel 1947, che evidenzia le condizioni di estremo sovraffollamento delle classi (sono attive due prime, due seconde, una terza, una quarta e una quinta) la cui media di iscritti si aggira "sui sessantotto allievi per la prima, cinquantaquattro per la seconda, trentacinque per la terza e quarantotto per la quarta e la quinta" creando un comprensibile disagio per gli insegnanti che, nominati direttamente dal provveditorato, non sembrano essere per il direttore "in condizioni di svolgere proficuamente il loro lavoro" [ASCT, Fondo ECA]. La presenza delle suore della Consolata non si limita alle sole funzioni educative e di preparazione del cibo: esse, insieme al sacerdote del campo, forniscono "con particolare cura morale" assistenza religiosa, praticata in un'apposita cappella e sono anche responsabili di una scuola di taglio e cucito, istituita per tutte le ragazze dagli otto ai sedici anni. Nel 1953 la scuola, alla quale l'ECA fornisce "tela e filo per la confezione dei manufatti che vengono consegnati alle iscritte a titolo assistenziale" [ASCT, Fondo ECA] conta circa un centinaio di iscritte. Con l'obiettivo di realizzare "la massima occupazione delle profughe che per diverse ragioni non possono recarsi al lavoro in città", le religiose (che, così come il sacerdote, ricevono dall'ECA un compenso mensile pro capite), istituiscono anche un laboratorio di cucito che, dotato di sedici macchine, confeziona "indumenti vari per gli assistiti dell'ECA e per altre ditte private". [ASCT, Fondo ECA]. Per agevolare la formazione professionale dei profughi e favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro, l'ECA, attiva nel centro di raccolta anche un corso di qualificazione per disoccupati, che nel 1953 conta circa una cinquantina di iscritti.
Il campo è inoltre dotato di spacci interni per la vendita di alimentari (frutta, verdura, latte, carne, ecc.) e di una rivendita di sali e tabacchi che, allestiti direttamente dall'ECA, responsabile "del controllo dei prezzi" [ASCT, Fondo ECA], sono gestiti dagli stessi profughi. Alle Casermette sono infine attivi luoghi di svago come una sala cinematografica di dimensioni ridotte, direttamente gestita dal cappellano del campo, alla cui apertura contribuisce, insieme all'ECA, anche il Comune di Torino, una biblioteca e un circolo ricreativo delle ACLI, costituito da tre locali e fornito di bar, biliardo e campi per il gioco delle bocce. Una squadra di polizia è invece responsabile del mantenimento dell'ordine pubblico nel campo, al cui interno è in funzione un vero e proprio ufficio di Commissariato di P.S. (inaugurato il 1 febbraio 1946) nel quale un commissario, un brigadiere e sei agenti provvedono "alla pubblica sicurezza e al disimpegno delle normali mansioni di polizia giudiziaria e amministrativa" [ASCT, Fondo ECA]. La loro attività è supportata da una squadra di vigili urbani che oltre a svolgere mansioni di vigilanza, provvedono anche al "disbrigo delle numerose pratiche degli ospiti, in collegamento con gli uffici anagrafici e annonari del Municipio di Torino" [ASCT, Fondo ECA].
Le testimonianze raccolte e la lettura delle carte d'archivio, dimostrano come le Casermette continuino ad essere anche dopo molti anni dalla loro apertura un contesto all'interno del quale le famiglie, divise soltanto da coperte, si trovano a vivere in grandi cameroni le une accanto alle altre. Una situazione instabile, ben rappresentata in una lettera inviata nel novembre del 1953 a Mario Dezani, direttore dell'ECA, da un avvocato torinese impegnato nella difesa di un profugo, che descrive l'abitazione del suo assistito come "una modesta stanza in cui sono costretti a vivere (sarebbe meglio dire a morire) ben dieci persone formanti due famiglie. E' una situazione che fa pietà anche alle mura che si addossano quell'agglomerato di infelici. Non è possibile che questo possa durare, per decoro della nostra città e per dignità nostra." Precarietà e disagi che però non impediscono la nascita di una forte socialità che porta gli abitanti del campo a stringere profondi legami di solidarietà e amicizia.
Nell'ambito di un piano di riordino del decoro urbano cittadino, il sindaco democristiano Giuseppe Grosso decide nel corso del consiglio comunale del 19 gennaio del 1966 il risanamento dell'area delle Casermette, restituendone l'uso all'esercito: vengono così sgomberati ed abbattuti i capannoni che, a tale data, ospitano ancora 282 nuclei familiari, costituiti in maggioranza dalle fasce più disagiate degli immigrati arrivati in città dalle regioni del Sud Italia. Circa 1.500 persone che si trasferiscono in parte nei padiglioni metallici costruiti dal Comune nei cortili dei vecchi Quartieri Militari e in quelli dell'Ex Laboratorio Chinino di Stato, mentre altre si stabiliscono nelle case Gescal a Mirafiori Sud, nelle case popolari di via Arquata e in quelle costruite dal Comune in via Artom, corso Cosenza e piazza Sofia.

Testimonianze

Quando sono arrivata a Torino, che ho visto sta caserma, io son scappata via, mio papà è venuto a ... [Leggi tutto]
Quando sono arrivata a Torino, che ho visto sta caserma, io son scappata via, mio papà è venuto a prendermi, ha dovuto prendermi in braccio per entrare dentro le Casermette. Quando poi ho visto che ci han dato quella specie di stanzone, io non ci volevo dormire. Ho fatto dannare mia mamma e mio papà tutto il tempo, non li ho fatti dormire, non volevo stare lì, perché per un bambino è forse più scioccante che per un grande, e quindi io non è che mi sono subito trovata bene. Io sono stata alle Casermette per cinque anni. Non erano stanze, era un camerone grosso, diviso: noi avevamo metà finestra, e l’altra signora metà, e i più fortunati avevano le stanzette. Le stanze erano divise prima da coperte, poi ci han messo il compensato. Compensato tutto intorno, ma era come se fossi stati tutti in una stanza, perché sentivi tutto. C’era il corridoio in mezzo che ti portava nei bagni, nel gabinetto, quei gabinetti tipo i soldati.
Fernanda C.
Da La Spezia siamo venuti a Torino, alle Casermette, e lì abbiamo patito la fame: c’erano delle ... [Leggi tutto]
Da La Spezia siamo venuti a Torino, alle Casermette, e lì abbiamo patito la fame: c’erano delle tessere particolari, che poi ti davano qualcosa [da mangiare]. Tanto per fare un esempio: lo zucchero che davano, non bastava neanche per me che avevo un anno, e invece lo davano per sei persone, per cui si, si sopravviveva, ma la fame si è fatta. Siamo venuti senza niente, in sei persone in trenta metri quadri... Ricordo che c’era uno stanzone con una stufa, con i letti ammassati, con compensati e coperte da una parte e dall’altra, e poi non mi ricordo se avevamo qualche armadio o se invece no, anche perché non è che lì ci fosse molto spazio, era un ammasso! C’era una stufa che mi ricordo, perché bisognava sempre stare attenti, c’era questi letti che erano uno attaccato all’altro, e c’erano queste coperte. Poi c’hanno montato dei mobiletti e dei ripiani dove uno accatastava qualche coperta, qualche lenzuola e tutte quelle cose lì.
Sergio M.
Le Casermette mi hanno fatto effetto,  questi casermoni color grigio, grigio fumo! Poi neve, ... [Leggi tutto]
Le Casermette mi hanno fatto effetto,  questi casermoni color grigio, grigio fumo! Poi neve, freddo, niente caldo perché all’interno [delle stanze] non c’era né legno né niente. Mi ricordo che piangevo, piangevo! Che mia mamma mi diceva: ma stai brava, vedrai. Piangevo, non ne volevo sapere di stare lì , per carità, quanto è stato difficile! Pensi che non avevamo neanche le scarpe...Io, ragazza di sedici, diciassette o diciotto anni, parlo di Torino quando ho conosciuto mio marito: per uscire io, dovevo chiedere a mia sorella le scarpe, perché c’era quello. Meno male che avevamo tutte e due il trentasette-trentotto, ma c’era un solo paio di scarpe.
Nirvana D.
Essendo a Chiavari in una colonia, al mare, sto campo [le Casermette] è stato un po’una cosa grigia ... [Leggi tutto]
Essendo a Chiavari in una colonia, al mare, sto campo [le Casermette] è stato un po’una cosa grigia per dire, mi ha fatto impressione quello: sto cancello lì - allora dicevamo un’altra parola, la garitta, quella dei militari - che c’era il custode, e vedere tutti sti capannoni, che era un campo di militari... Era pieno. A Chiavari avevamo sette lettini ed eravamo chiusi dalle coperte col filo, mentre invece qui a Torino ci hanno dato uno stanzone, la nostra stanza, separata da una parete di cartone. Che noi la fortuna è che eravamo in sette, e allora ci han dato questo camerone da soli con la finestra. Per noi è andata già bene, veramente! Però Chiavari era meglio, mi trovavo il mangiare pronto, e tutto! Mentre a Torino dovevamo fare da magiare noi. [Alle Casermette] c’erano due campi: noi eravamo nel campo dove c’era la chiesa e l’infermeria. E nell’altro campo c’erano gli uffici, dove si andava a fare le docce e il campo di pallone. E in quel campo lì è andata anche mia zia, perché lì era per le vedove, che le mettevano separate. Perché poi anche gli scapoli erano separati, loro erano nel nostro campo, li separavano.
Maria Mn.
Il campo era fatto... Dunque, caserma, hai idea di una caserma no? E allora cosa hanno fatto? Hanno ... [Leggi tutto]
Il campo era fatto... Dunque, caserma, hai idea di una caserma no? E allora cosa hanno fatto? Hanno fatto dei grandi padiglioni e c’era una specie di giardino con degli alberi e dei viali. E i padiglioni dentro cosa facevano? Dividevano: c’era una porta con il legno che divideva la parete e il corridoio e all’interno cosa facevano? Mettevano in mezzo delle coperte militari che dividevano una famiglia dall’altra. E insomma, si sentiva tutto quello che dicevi. E in questo piccolo posticino che tu avevi, tu dovevi avere il tavolo, il letto, la cucina, insomma tutto quello che potevi. Dico, ti rendi conto? Poi si mangiava anche in Casermette: facevamo la coda, ci davano da mangiare, che io odio i ceci. Ci davano minestra di ceci con i vermi sopra. Ho preso anche i pidocchi, mi ricordo. Poi dopo abbiamo iniziato a cucinare noi.
Livia B.
Alle Casermette c’erano di tutte le nazionalità: tunisini, piemontesi - perché i piemontesi che ... [Leggi tutto]
Alle Casermette c’erano di tutte le nazionalità: tunisini, piemontesi - perché i piemontesi che avevano la casa rotta andavano lì - tutti eravamo.
Fernanda C.
Con i greci le uniche discussioni che si facevano era quando si giocava al football, perché sono un ... [Leggi tutto]
Con i greci le uniche discussioni che si facevano era quando si giocava al football, perché sono un pochettino duri! Ma se no come rapporti erano abbastanza [buoni]. Ci son dei miei amici che si sono sposati con delle ragazze greche, pertanto... Si, poteva partire una battuta o cosa, ma che ci sia stato dell’astio no. Assolutamente.
Mario M.
C’era anche una caserma dei greci, con antagonismi divertenti visti da un bambino. I rapporti [con ... [Leggi tutto]
C’era anche una caserma dei greci, con antagonismi divertenti visti da un bambino. I rapporti [con loro] erano conflittuali. Anche se poi si era amici, perché poi alla fine eravamo tutti disperati! Però, quando noi eravamo in un campo e i greci in un altro campo vicino, ricordo che - non tanto noi piccolini - ma quelli che già avevano dodici, tredici, quattordici anni, passavano a vie di fatto. Cioè, era abbastanza normale che ci fossero delle spedizioni da un campo all’altro, e che la gente si picchiasse. Era un picchiarsi normale, non con bastoni o cose, oppure con fionde... E queste battaglie che facevamo, spesso erano tra gli istriani e i greci. Per cui, c’era un rapporto abbastanza conflittuale, e per quello che sentivo io, i greci non erano visti molto bene dalla mia gente, non lo so se a torto o a ragione. Diciamo che quello che dicevano era che mentre da noi si era comunque riusciti, nonostante tutte le difficoltà, a metterci in piedi e a vivere in modo decente, pulito, dalla parte dei greci era tutto un campo sporco. Greci, sporchi, insomma... I greci erano sempre, insomma, più violenti, più forse abituati a un tipo di vita meno tranquilla, meno rilassata. Però erano molto più violenti, per cui il rapporto tra i greci e gli istriani, anche dopo anni e anni è sempre stato abbastanza conflittuale.
Sergio M.
Da Porta Nuova ci hanno portato con un camion alle Casermette di Borgo San Paolo, in uno stanzone ... [Leggi tutto]
Da Porta Nuova ci hanno portato con un camion alle Casermette di Borgo San Paolo, in uno stanzone che avevamo della gente greca, ne avevamo di tutte le razze alle Casermette San Paolo. Non erano solo giuliani e dalmati, ma anche greci.
Nirvana D.
C’era l’infermeria dove mettevano la gente che aveva bisogno di qualche cura o della gente anziana. ... [Leggi tutto]
C’era l’infermeria dove mettevano la gente che aveva bisogno di qualche cura o della gente anziana. Poi c’era la chiesa, i campi sportivi, un circolo - l’ACLI -, c’era anche il cinema.
Mario M.
C’era la scuola, e io ho fatto fino alla quinta elementare lì, perché non l’ho fatta a Fiume. Poi ... [Leggi tutto]
C’era la scuola, e io ho fatto fino alla quinta elementare lì, perché non l’ho fatta a Fiume. Poi c’era la mensa che ti davano la brodaglia e quello che c’era. Poverini, facevano quel che potevano, ero io che sono schizzinosa e non volevo mangiare!
Fernanda C.
Alle Casermette c’era dei negozietti interni che davano le cose a debito. Si facevan debiti: ... [Leggi tutto]
Alle Casermette c’era dei negozietti interni che davano le cose a debito. Si facevan debiti: pagherò, pagherò, pagherò e alla fine abbiam pagato tutti tutto, perché abbiam cominciato a lavorare tutti quanti un pochino.
Sergio V.
Nel campo c’erano la scuola, l’oratorio, il cinema parrocchiale. E’ stato molto importante ritengo ... [Leggi tutto]
Nel campo c’erano la scuola, l’oratorio, il cinema parrocchiale. E’ stato molto importante ritengo in quegli anni lì e in quelli successivi - nei primi anni del villaggio - la chiesa con gli oratori, perché la nostra vita è stata quella, ed è quella che ci ha consentito, forse, di non prendere altre strade. Lì c’era don Macario, don Pierino, don Michele ed altri preti.
Sergio M.
C’era il campo sportivo, e poi io andavo dalle suore, perché le suore ci davano il gelato, le ... [Leggi tutto]
C’era il campo sportivo, e poi io andavo dalle suore, perché le suore ci davano il gelato, le gallette - dovevano essere quelle americane , quelle gallette grosse - e io andavo lì solo per quello! Poi andavo dalle suore a fare teatro e mi ricordo anche che c’era dei preti che, se volevi andare, ci portavano a fare dei viaggi.
Fernanda C.
Sono venuto da Mantova a Torino, nel ‘52. A Mantova ho sentito parlare del Grande Torino per la ... [Leggi tutto]
Sono venuto da Mantova a Torino, nel ‘52. A Mantova ho sentito parlare del Grande Torino per la prima volta, quando son morti, nel ’49. Caduto il Grande Torino e lì abbiamo ascoltato anche i funerali il giorno 6 [di maggio], perché il 4 sono morti e il 6 hanno fatto i funerali. Abbiamo ascoltato la radio e può immaginarsi. Cioè, c’era gente che aveva sofferto non so che cosa, eravamo ancora in un campo profughi e ci saremmo stati ancora per anni - perché abbiam fatto dodici anni di campo profughi - eppure piangevamo per il Grande Torino. Questo per dirle... Io non sapevo neanche cosa fosse il calcio, cioè giocavamo a pallone con le palle di stracci e cose così, ma non avevo mai messo piede in uno stadio, per esempio. E poi dopo io e mio fratello siamo andati in Collegio a Viadana. Un anno dopo lui è andato a Torino e io non vedevo l’ora di andare a Torino, perché avevo sentito parlare del Filadelfia e volevo vedere la città del Grande Torino e tutte queste cose qui. Ho aspettato un altro anno in collegio e poi dopo son venuto a Torino alle Casermette a San Paolo. Nel ’52 a Torino al campo profughi delle Casermette ogni tanto veniva lì un dirigente del Torino. Veniva a chiamarci per andare a fare una partita di allenamento coi ragazzi del Torino che avevan bisogno e che dovevano andare a Viareggio [A Viareggio ogni anno si disputa nel periodo di carnevale la Coppa Carnevale, prestigioso torneo calcistico cui partecipano i settori giovanili delle più importanti società italiane e straniere]. Allora si chiamavano i federati, non era come adesso [che si chiama] Primavera, si chiamavano i federati. E tra l’altro la prima volta che ci chiamò fu per inaugurare l’impianto di illuminazione nuovo del Filadelfia. E a me sembrava un sogno! Perché prima di allora io volevo a tutti i costi andare a vedere il Filadelfia. E allora sono andato con un amico e altri ragazzi che conoscevano la zona - perché erano a Torino prima di me - e quindi siamo andati per vedere sto stadio. Era un giovedì perché giocavano anche la partitella di allenamento. Abbiamo fatto con un sasso... Dunque c’era corso Allamano, che le Casermette fanno angolo tra corso Allamano e via Guido Reni. Noi abitavamo proprio in uno di quei due padiglioni lì vicino e avevamo fatto - rompendo il mattone - una scaletta sia all’interno che all’esterno, per salire. [Questo] per non passare dal cancello principale, perché eravamo dei ragazzini e ti fermavano e ti dicevano: siete ragazzini, i vostri genitori lo sanno che uscite? E allora uscivamo di straforo così, dal muro: ci calavamo giù. Ci sono ancora adesso quei segni! Ancora adesso, son passato a vederli, e c’è ancora dopo tanti anni quella scaletta che avevamo fatto! Attraversavamo i campi, perché non c’eran case - c’è n’eran pochissime -, campi di grano dove c’è via Guido Reni e in quel punto lì erano tutti campi di grano. E allora arriviamo davanti allo stadio e dico al mio amico: bello! E il mio amico fa: no, questo non è il Filadelfia, questo è lo stadio dell’altra squadra, che è la Juventus! Siamo andati al Filadelfia che giocavano la partitella, e mi son messo in mezzo alla gente perché aprivano soltanto la gradinata centrale di fronte alla tribuna, perché dall’altra parte ci andavano i dirigenti, gli addetti ai lavori. E a me sembravo degli dei vederli giocare! E quindi per la prima volta nella mia vita ho messo piede in uno stadio, e quello stadio era il Filadelfia. Mi è rimasto proprio nel cuore il Filadelfia. Si sentiva ancora parlare nel ’52, perché era recente la tragedia, si sentiva ancora parlare: ma chi a l’è cul lì, chi a l’è, perché , insomma, il Grande Torino, il confronto con questi super campioni... E quindi io mi dicevo: ma quanto saran stati bravi quelli lì se questi qui li criticano, e a me sembrano già bravissimi! Noi avevamo all’interno [del campo] tre squadre dilettantistiche, una era la Fiumana che portava il nome della Fiumana di Fiume che nel ’29 aveva fatto la seria A e nel ’43 aveva fatto la serie B e nel ’44 la C, ma perché sono andati tutti in guerra i giocatori. Son rimasti i ragazzi, han giocato la serie C coi ragazzi e han sfiorato il ritorno in serie B. E han saputo che c’eran questi ragazzi: due erano istriani Bosi e Rimbaldo, e uno era un tunisino - uno degli italiani reduci da Tunisi -, Gianmarinaro, e quindi c’era un po’ una rappresentanza di giocatori di un certo livello anche in un piccolo campo profughi, dove c’erano, non lo so, 1.500 persone. C’era molta attività sportiva. Poi, per esempio, tra le ragazze c’era la Sesto che giocava in nazionale di pallacanestro, era una delle colonne. Poi c’è stato un momento che Sesto, Paosic, Persi e Delmestre eran colonne della nazionale e son tutte profughe.
Sergio V.
A me piaceva sentire la radio, ma lì [alle Casermette], a una certa ora, ci toglievano la luce: ... [Leggi tutto]
A me piaceva sentire la radio, ma lì [alle Casermette], a una certa ora, ci toglievano la luce: alla sera la accendevano a una certa ora e al mattino la spegnevano, per cui non potevo [sentirla]. Però ricordo che si andava a ballare nei padiglioni, che veniva mia mamma a prendermi per i capelli e mi trascinava a casa! E poi poi dopo qualcuno andava ad avvisare il prete e non si ballava più! C’era un ragazzo con la fisarmonica che lo tormentavamo [per suonare]. Suonava quasi sempre nel suo padiglione, ma meglio così, così brontolavano solo lì e dall’altra parte non brontolavano. E poi, niente, magari d’estate ci riunivamo, si passeggiava, si stava lì a chiacchierare.
Argia B.
C’era uno di Valle, che suonava la fisarmonica, nell’atrio, praticamente. Che diceva: domani si ... [Leggi tutto]
C’era uno di Valle, che suonava la fisarmonica, nell’atrio, praticamente. Che diceva: domani si balla nel padiglione sette, e mettevano magari il sabato l’avviso che si ballava nel padiglione.
Mario M.
Si ballava sempre il sabato, tutti i sabati, e anche la domenica pomeriggio. C’era uno con la ... [Leggi tutto]
Si ballava sempre il sabato, tutti i sabati, e anche la domenica pomeriggio. C’era uno con la fisarmonica, Libero di Valle, che suonava e noi ballavamo. Ed è anche lì la faccenda, che sul più bello, che ho imparato a ballare ho conosciuto mio marito! E quindi niente, perché lui andava poi a giocare al pallone! Vede cos’è anche bello, che si andava tutti in gruppo, però ci si aiutava e se uno non aveva che gli mancava quelle poche lire gliele si dava, e si andava a ballare tutti in gruppo. Eravamo più che fratelli.
Maria Mn.
Noi tra ragazzi, trovavamo il modo di distrarci un pochino. C’era una che ci aveva insegnato a ... [Leggi tutto]
Noi tra ragazzi, trovavamo il modo di distrarci un pochino. C’era una che ci aveva insegnato a giocare a pallavolo: si, si, ho giocato anche a pallavolo. Poi in fondo dove andavi a lavare i piatti, c’era un grande lavatoio - dove dovevi lavare sia la roba che i piatti- e lì tutti si incontravano e [allora] le chiacchiere e i pettegolezzi, puoi capire, tutti quelli che c’erano! Però da ragazzi non si dava retta a queste cose, anche perché le donne facevano i pettegolezzi, ma noi eravamo ragazzi e queste cose non ci toccavano.
Livia B.
La vita alle Casermette per un bambino, credo che sia stata una vita piacevole e divertente, perché ... [Leggi tutto]
La vita alle Casermette per un bambino, credo che sia stata una vita piacevole e divertente, perché eravamo in qualche migliaio, con questi quattro campi attorno, per cui uno usciva ed entrava, e conosceva tutti, grandi e piccoli. I bambini li conoscevi, andavi a giocare, correvi... Era meglio di quella che poteva essere la vita di un paese, perché lì era più di un paese. Non c’era nulla: non c’eran le macchine, per cui uno correva, usciva e andava, ed era libero, perché essendo tutto chiuso anche i genitori [stavano tranquilli]... Per cui la vita di un bambino lì era una vita piacevole, perché si giocava, si giocava, si giocava! Quindi la mia vita da bambino è stata, devo dire, divertente, per me. Riconosco che è stata molto pesante per chi invece bambino non era. Però noi giocavamo, e ricordo benissimo - anche perché qualche volta ci si faceva male - che tiravamo con le fionde: c’erano delle bande da una parte e dall’altra con le fionde e con gli archi e noi passavamo ore ore a giocare e a divertirci. A giocare a pallone, scalzi perché le scarpe non c’erano, però è stata una vita, per quello che mi ricordo io da bambino divertente. Nulla a che vedere con la vita, ritengo io, dei bambini di oggi. Lì si viveva in assoluta libertà, c’erano appunto nella mia caserma non so quante centinaia di persone e uno correva da una parte, entrava dall’altra, come se fossero quelle famiglie che oggi è di moda dire allargate. Eravamo tutti di noi, e quindi si viveva bene.
Sergio M.
Alle Casermette eravamo tutti uniti, una cosa da non credere! Perché c’erano i ragazzi all’oratorio ... [Leggi tutto]
Alle Casermette eravamo tutti uniti, una cosa da non credere! Perché c’erano i ragazzi all’oratorio e noi donne - ragazze - andavamo a imparare a cucire, ci tenevano occupati. Perché la maggior andava a scuola - molti han fatto la quinta - e molti andavano a Torino all’[Istituto] Plana. Andavano lì a studiare, ragazzi e ragazze. Tanti. Io no, per il fatto che ero la più grande, e mia mamma aveva bisogno, perché sa, i ragazzini e poi mio papà l’hanno chiamato subito dopo quindici giorni a lavorare.
Maria Mn.
[Nel campo] c’era tutto: c’era la scuola, c’era l’infermeria... [Alle Casermette] c’era molto ... [Leggi tutto]
[Nel campo] c’era tutto: c’era la scuola, c’era l’infermeria... [Alle Casermette] c’era molto rispetto, molta educazione, anche nel parlar forte. Poi l’igiene, la pulizia, il rispetto per noi ragazze, i giovani, questi prati ben tenuti, gli anziani che facevano le pulizie per le pattumiere così prendevano qualche soldino dalla prefettura, che mi sembra [che il campo] fosse gestito dalla prefettura, allora, tipo quello che chiamano adesso i servizi sociali. C’erano le docce per la parte degli uomini e delle donne, e poi i servizi: ogni due o tre famiglie si aveva un gabinetto con la chiave che lo usavi, e c’erano anche i lavatoi. Come i militari, no! Però poi c’era anche con questi mobili, diviso, mentre la parte centrale era proprio con la chiave, fatta, come si usa dire, con del perlinato. E poi, è logico, dove la famiglia era grossa avevano tutto il camerone, se no, dove c’erano due famiglie mettevano gli armadi che facevano da divisore [tra una famiglia e l’altra].
Nives P.
C’erano due campi: uno [era] arrivando da Torino a destra, e quello a destra aveva due palazzine, ... [Leggi tutto]
C’erano due campi: uno [era] arrivando da Torino a destra, e quello a destra aveva due palazzine, proprio all’ingresso, e lì stavano gli impiegati. E noi eravamo tutti in fila uno dietro l’altro: c’erano i gabinetti al fondo, proprio come i militari! Poi c’era una parte dove cucinavano, un’altra parte però, sempre dentro al campo però da un lato: c’era un’altra costruzione, un edificio dove c’erano delle cuoche che cucinavano, c’erano delle docce dove andavamo a fare la doccia lì quando volevamo. E poi [c’era] l’oratorio nell’altro campo e noi andavamo sempre perché ci divertivamo. C’era di tutto: pattini, calcio balilla. Al calcio balilla io ho sempre giocato, poi i pattini! No, per quello mi piaceva, come tutti i ragazzini, eh! I genitori, papà e mamma [hanno patito di più]. Perché papà ha cercato il lavoro, e la mamma doveva tirare avanti una famiglia. Io avevo tredici o quattordici anni e sono stata alle Casermette fino a quindici anni.
Adriana S.
Alle Casermette c’era un campo [da calcio] proprio con le porte, con tutto. Poi c’era l’oratorio, ... [Leggi tutto]
Alle Casermette c’era un campo [da calcio] proprio con le porte, con tutto. Poi c’era l’oratorio, noi avevamo quello femminile e poi c’era quello maschile. Non eravamo insieme all’oratorio, perché un padiglione era delle suore - che vivevano in una palazzina - e lì c’era il cortile, l’altalena, il calciobalilla e quelle cosa là. Le femmine erano lì, e i maschietti [stavano] vicino alla chiesa, anche loro avevano il loro oratorio, avevano, diciamo, i loro giochi.
Assunta Z.
In campo profughi c’erano i greci, non tanti, non ricordo che ce ne fossero tanti. Probabilmente ... [Leggi tutto]
In campo profughi c’erano i greci, non tanti, non ricordo che ce ne fossero tanti. Probabilmente erano diversi di carattere dal nostro, da come mi ricordo, ma anche lì non è che sia successo chissà cosa. Perché ricordo quando facevano le processioni, e mi ricordo che c’erano anche gli inni greci, nel senso che anche loro manifestavano il loro modo di cantare, di fare la processione in un certo modo, ma non ricordo che ci siano state grandi baruffe, quello no.
Assunta Z.
[Le Casermette]: una famiglia in due metri quadri, con le coperte militari e il nome attaccato lì ... [Leggi tutto]
[Le Casermette]: una famiglia in due metri quadri, con le coperte militari e il nome attaccato lì sulla carta. Su e giù tutto il giorno, un freddo cane! Disinfettavano due volte al giorno, che questo odore mi pare di sentirlo ancora adesso sto disinfettante. Un freddo cane! E lì ci portavano da mangiare i militari, me lo ricordo.
Franco D.
Alle Casermette eravamo divisi con le coperte, e quella che era vicino a noi cucinava tutta la ... [Leggi tutto]
Alle Casermette eravamo divisi con le coperte, e quella che era vicino a noi cucinava tutta la notte, perché attaccava quei fornelletti elettrici perché non saltasse la luce, perché se ti attaccavi quando eravamo tutti accesi [la luce] saltava, allora cucinava di notte. Una puzza! Poi ci rubava l’olio, rubava l’olio a mia madre che controllava... Insomma, una vita!
Franco S.
[Delle Casermette ricordo] un freddo cane, e poi sti separè con la corda e le coperte tra una ... [Leggi tutto]
[Delle Casermette ricordo] un freddo cane, e poi sti separè con la corda e le coperte tra una famiglia e l’altra.
Bruno D.
La Casermette siccome io ci venivo d’estate, mi piaceva, perché era tutto bello: c’erano le partite ... [Leggi tutto]
La Casermette siccome io ci venivo d’estate, mi piaceva, perché era tutto bello: c’erano le partite di pallone, giocavo con gli altri bambini, insomma eravamo sempre fuori all’aperto. Poi facevano i tornei di pallone, poi [c’erano] i grandi, gli amici delle mie sorelle, che poi due erano già sposate, che avevano già la Vespa, e ci facevano fare il giretto in Vespa. Insomma, d’estate c’erano tante attività: c’era l’oratorio dove le ragazze ricamavano e i ragazzi facevano il traforo o altri lavoretti, e poi io mi sentivo libera alle Casermette. Si andava a far la doccia - c’era l’edificio dove si faceva la doccia -, poi accompagnavo mia madre a stirare in stireria e, insomma, tutto sommato d’estate era bello. D’inverno un po’ meno, ma d’estate era bello. E mi ricordo bene la messa del fanciullo: alle otto e mezza la messa del fanciullo, quindi bisognava andare ben vestiti, con il vestito stirato... E, adesso che ci penso, eravamo proprio belli! Tutti insieme, non so, mi piaceva e mi dispiaceva poi ripartire. Eravamo sempre tra di noi, ristretti, tanto che io ho provato l’impatto con Torino da grande, non da piccola. Ma da grande [vuol dire] diciassette - diciotto anni, perché [prima] eravamo sempre tra di noi, e quindi eravamo in un ambiente protetto. Cioè, sotto certi aspetti eravamo protetti e quindi l’impatto con Torino è stato poi sul lavoro e su tutto [il resto].
Anna Maria P.
Al fondo delle Casermette c’era un camerone molto lungo, diviso a metà: da una parte c’era i ... [Leggi tutto]
Al fondo delle Casermette c’era un camerone molto lungo, diviso a metà: da una parte c’era i lavandini, e allora tutti si dovevano lavare lì il bucato e dall’altra parte [c’]erano i gabinetti, anche lì messi tutti in fila in comune. E beh, insomma, non era simpatico... Noi eravamo bambini, ma anche gli adulti hanno avuto i loro problemi, probabilmente. E poi c’era una sala dove si andava a stirare, perché la luce di giorno non c’era. E io non so se facevano code o meno, perché gli abitanti erano tanti, e forse ci si prenotava a giorno: tale giorno la baracca numero tre, tale giorno la quattro, e per stirare i bucati si andava tutti lì, che c’erano i ferri e gli assi, perché la luce di giorno non c’era. E di sera se si attaccava qualsiasi cosa, anche solo una radio, saltava. Ed era, insomma... Non credo che i nostri genitori abbiano goduto là dentro!
Assunta Z.
Come entravi c’erano due caserme dove c’erano gli uffici e la polizia, che da una parte abitavano e ... [Leggi tutto]
Come entravi c’erano due caserme dove c’erano gli uffici e la polizia, che da una parte abitavano e dall’altra c’era l’altro. Poi andavi dentro e c’era delle grandi distese e in fondo c’era il campo di calcio, me lo ricordo come fosse qui. Che da una parte, quando si entrava, c’era una grande palestra dove si andava a prendere da mangiare. Poi c’erano cinque caserme, con le scale davanti che poi la sera ci si metteva lì a chiacchierare. Poi andavi dentro, ti guardavi, ti davano una corda e ti dicevano: mettete le coperte e dividete il vostro pezzo. Eran dolori, eran dolori veramente: io le prime notti non dormivo, mia madre per l’amor di dio! Poi dovevi sistemarti, [dicevi] va bene lì faccio da mangiare, mentre poi il bagno era lì in fondo... Era triste, era molto triste. Il campo per noi [bambini] era pesante, perché dovevi andare a mezzogiorno a prendere da mangiare, a fare la coda perché dovevi prendere da mangiare. E certo che per i genitori è stato peggio, molto peggio [che per noi]: immagini andare a prendere con una gamellina da mangiare.
Luigi B.
C’era il corridoio e i laterali erano tutti di legno a una certa altezza, perché sopra, siccome ... [Leggi tutto]
C’era il corridoio e i laterali erano tutti di legno a una certa altezza, perché sopra, siccome sono alte le baracche, era libero, e le voci si sentivano. Noi eravamo in sei, avevamo la nostra camera e da una camera da letto alla cucina mettevamo dei divisori con del cartone ondulato o con delle coperte, in modo da lasciare la camera dei genitori con la coperta e quelle dei figli e quella della nonna.
Assunta Z.
[A Tortona siamo stati] due anni e mezzo, quindi poi siamo passati a Torino. Però per passare a ... [Leggi tutto]
[A Tortona siamo stati] due anni e mezzo, quindi poi siamo passati a Torino. Però per passare a Torino abbiamo chiesto l’autorizzazione ai parenti se ci davano la garanzia, quindi loro prestavano il nome e noi dovevamo entrare a Torino. E siamo arrivati, appunto, presso le Casermette Borgo San Paolo, richiesti da un certo mio zio che ci ha garantito, che ha garantito la nostra famiglia che non eravamo dei delinquenti, che non avevamo la [fedina] penale sporca. E bom, chiuso, ci ha garantito e siamo arrivati a Torino. in campo profughi siamo stati anche molto bene: [a Torino] avevamo due campi e in un campo c’era il campo sportivo e dall’altra parte c’era invece il campo dove c’era la chiesa. Ed io ero, mi ricordo, al settimo padiglione secondo braccio, era questa la nostra ubicazione. Intanto ci siamo trovati molti di noi istriani, ma soprattutto dignanesi e quindi ci siamo sentiti più una famiglia.
Luigi D.
Io credo che appena arrivati se la gente non aveva lavoro, in qualche modo avevano un sussidio, ... [Leggi tutto]
Io credo che appena arrivati se la gente non aveva lavoro, in qualche modo avevano un sussidio, perché [altrimenti] come si poteva vivere? Un sussidio ci sarà stato, senz’altro. Poi ricordo che quando c’è stata l’alluvione nel Polesine, hanno portato là dentro alle Casermette moltissimi alluvionati. E arrivavano giocattoli, e li prendevamo anche noi, perché chi va a vedere! Ricordo che in questi scatoloni di giocattoli ci siamo serviti anche noi bambini [giuliani], perché quando mai avevamo giocattoli? Io mi facevo le bambole con la stoffa... Facevamo le bambole con una pezza di stoffa, non avevamo neanche le bambole, perciò quando sono arrivati questi regali per il Belice, noi bambini ci siamo serviti. E credo che nessuno ci abbia sgridati.
Assunta Z.
Alle Casermette - non so se glielo hanno detto - c’era il campo dei sinistrati, che erano i ... [Leggi tutto]
Alle Casermette - non so se glielo hanno detto - c’era il campo dei sinistrati, che erano i torinesi che poi di torinesi ce n’erano sempre pochi, perché c’erano tanti meridionali o veneti già venuti o emigrati a Torino, e dall’altra parte c’erano i giuliani e dalmati con i tunisini e i greci, rimpatriati come li chiamano. Ed era tutto così... Però era bellissimo! Forse anche perché eravamo giovani: andavamo a lavorare, sabato in genere si lavorava fino a mezzogiorno, e si andava a far la doccia. Noi ragazze si faceva un po’ di cultura, nel senso che io che ero anche dell’Azione Cattolica ho imparato tante cose e poi c’erano anche le partite di calcio della Fiumana e della Julia che si andavano a vedere. Io nel disagio mi sono divertita!
Nives P.
C’erano sti cameroni, c’era sto corridoio lungo, e c’erano questi cameroni da una parte e ... [Leggi tutto]
C’erano sti cameroni, c’era sto corridoio lungo, e c’erano questi cameroni da una parte e dall’altra, e ogni camerine lo avevano transennato, avevano fatto un paravento di legno. Aprivi la porta, e a sua volta il camerone era diviso in due: chi aveva gli armadi li metteva due da una parte e due dall’altra e c’era la divisione fatta. Perché , mi pare, che [le camere] fossero fatte per tre persone: tre persone da una parte e tre persone dall’altra, e chi aveva di più aveva qualcos’altro di più, [mentre] chi era solo in due aveva anche qualcos’altro di meno. Quindi mi ricordo anche con i nostri vicini, che avevamo mezza finestra a testa e, insomma, bisognava anche mettersi d’accordo per aprire la finestra, [si doveva] parlare sempre sottovoce, anzi, se non parlavi era ancor meglio! Era dura, sa? Si sentiva la radio di tutti e quella di nessuno, si sentiva litigare. E c’era tanti greci, e dicevamo: che cattivi che sono questi greci, litigano sempre! E c’era anche qualcuno che sentivi che si picchiavano tra di loro, insomma, era dura. Se uno voleva parlare di segreti, doveva andare in mezzo ai prati! Veramente, si, si, [c’era] proprio mancanza, assoluta [di intimità]. I bagni... C’era solo il gabinetto, no il bagno. C’erano i lavandini da una parte e i gabinetti dall’altra, quelli alla turca, lunghi lunghi e tutti in fila, e noi avevamo la chiave. Avevamo [un gabinetto] per camerone: noi eravamo in due [famiglie] e allora la chiave si appendeva in un posto neutro e chi aveva bisogno andava!
Anna Maria P.
Abbiamo fatto una vita felice noi bambini alle Casermette, perché la tristezza del genitore non ce ... [Leggi tutto]
Abbiamo fatto una vita felice noi bambini alle Casermette, perché la tristezza del genitore non ce l’avevamo. I bambini non hanno patito così tanto il viaggio dell’esodo: noi non capivamo mica niente... Per noi sarà stato un viaggio come gli altri... Però le Casermette pur crescendo, pur diventando ragazze, avevano in fondo tutto. Logicamente la parrocchia non mancava, perché quella ci ha seguiti tutta la vita: avevamo i nostri sacerdoti - ci portavano anche in gita -, avevamo le nostra processioni, le nostre feste di pasqua, di natale, l’oratorio e le suore. All’oratorio pattinavamo, c’era l’altalena, c’era il passavolante, ci facevano ricamare... Si vede che il comune dava la stoffa e i fili da ricamo, e le suore al pomeriggio, dopo la scuola, da una certa ora a una certa ora dovevamo andare all’oratorio noi bambini e ci insegnavano a fare la tovaglietta, a ricamare in modo da essere impegnate e non stufarsi. Però era carino, insomma. Non mi son trovata male, sinceramente. La nostra fanciullezza non ne ha risentito, non abbiamo subito degli shock. Anche perché il nostro popolo era molto gioviale, e ci si aiutava moltissimo a vicenda e c’era molto affiatamento tra di noi. Io non ho mai sentito baruffe. Invece per le persone più anziane il campo profughi è stato durissimo. La persona anziana nei paesi nostri era nata per lavorare la campagna, e perciò il fatto di non potersi alzare alla tre di notte, di preparare il carro con i buoi, fare magari chilometri e poi guardare l’uva, pulire e tutto quello che fanno nelle campagne, per loro è stata una tristezza paurosa... Cosa facevano questi qui alle Casermette, poveretti? Cioè, vedo, mio papà il tempo l’ha sempre passato [con] il coro, il gioco di bocce, la partita a carte, ma i nonni, più anziani ancora, che avranno avuto settant’anni... E, insomma, a settant’anni è stata dura portarli via.
Assunta Z.
Eh, le Casermette erano... Eh, anche là coperte, c’era il padiglione degli scapoli, il primo ... [Leggi tutto]
Eh, le Casermette erano... Eh, anche là coperte, c’era il padiglione degli scapoli, il primo padiglione, dove [c’]eravamo io e tutti gli altri scapoloni. Cera un bar abbastanza attrezzato, e c’era un fiumano [che lo gestiva]. Anche là [ricevevamo] un sussidio, da mangiare, però dovevi avere la tessera, il tesserino. Un tesserino che usavano al campo. [Noi che eravamo fuoriusciti] lo avevamo perché giocavamo a pallone, eravamo giovanotti, eravamo simpatici, per cui ci aggiustavamo ed avevamo avuto, di nuovo, il permesso di stare nel campo.
Simone P.
[Alle Casermette] c’era un certo M., che insieme a G. - un libico - che era un allenatore del ... [Leggi tutto]
[Alle Casermette] c’era un certo M., che insieme a G. - un libico - che era un allenatore del Torino e avevano formato anche una squadra. C’era tutto: il calcio, la banda, il cinema e c’erano anche tre preti che organizzavano anche delle gite.
Luigi D.
Io arrivo [alle Casermette] nel ’50 o [nel] ’51, e siamo rimasti lì fino al ’56. Le Casermette ... [Leggi tutto]
Io arrivo [alle Casermette] nel ’50 o [nel] ’51, e siamo rimasti lì fino al ’56. Le Casermette erano organizzate come un ghetto - diciamolo - e quindi con un muro di cinta che circondava questi baraccamenti. Le famiglie venivano sistemate in queste caserme, suddivise da tramezze o tende, dove la privacy era ridotta proprio al minimo, con servizi igienici in comune e con, comunque, una vita sociale abbastanza accettata: non c’erano tensioni. [Le] Casermette - e lo ricordo perché ero ragazzo - avevano la chiesa, la farmacia, la scuola, la stazione dei carabinieri, il campo di calcio, quindi erano assolutamente autonome in tutto e per tutto. All’inizio venivano serviti pasti in un refettorio comune - pasti che arrivavano non so da chi, insomma, dalle autorità italiane - fino a che, piano, piano, la gente ha incominciato a organizzarsi anche per conto proprio. C’era anche il cinema, però la parrocchia organizzava il cinema a tutti i ragazzi che prima andavano in chiesa; perciò prima tutti in chiesa - c’era un sacco di gente, un sacco di bambini - e poi tutti quelli che erano andati in chiesa potevano andare al cinema. Quindi scuola, assistenza sanitaria, attività religiosa e ricreativa, tutto all’interno di questo campo.
Giuseppe M.
[A Bari avevo già preso la liquidazione di uscita dal campo, quindi] non avevo diritto, eh già! ... [Leggi tutto]
[A Bari avevo già preso la liquidazione di uscita dal campo, quindi] non avevo diritto, eh già! Siamo stati nascosti, anche perché mica alla porta ti chiedevano [i documenti]. Si era umanitari, [vuol dire che] ti lasciano stare lì [in campo] per senso di umanità. Potevi mica andare a dormire per la strada, capisci? E allora chiudevano un occhio, d’altronde non è che rubavamo niente! C’è n’era posto alle Casermette, c’è n’erano padiglioni vuoti! Cameroni grossi con brande. Anche lì [erano] cameroni grossi divisi con tramezzine di legno, o di coperte: tanti erano di legno, tanti erano di coperte. E ogni famiglia aveva il suo pezzettino, quattro o cinque metri. C’è n’era di tutte le razze! E si andava d’accordo, tant’è vero che lì dentro io ho conosciuto mia moglie. E’ lì dentro che ho avuto il primo figlio io!
Achille C.
Alle Casermette eravamo amici, assolutamente, non c'è mai stato problema. Oddio, [ogni tanto si ... [Leggi tutto]
Alle Casermette eravamo amici, assolutamente, non c'è mai stato problema. Oddio, [ogni tanto si faceva] qualche litigata quando giocavamo al pallone - rivalità di sport - ma sarebbe niente. Eravamo tutti amici. Quando entravi nel bar [delle Casermette], che era un bar grosso, c'era il posticino dei greci che parlavano greco, c'era poi gli slavi [n.d.r. Il testimone si riferisce in realtà ai profughi provenienti dalla Venezia - Giulia e dalla Dalmazia.] [e cioè quelli arrivati dalla Venezia - Giulia e dall'Istria], i russi, sentivi tutte le lingue del mondo! Ma come riferimento, eravamo tutti amici, non ci sono mai stati problemi. Molti greci hanno sposato fiumane, istriane e [viceversa] gli istriani [hanno sposato molti greci]. Mio cognato - che ha sposato mia sorella - è istriano, anche mia figlia ha sposato un istriano. Non c'è mai stata nessuna divergenza, assolutamente, solo che ognuno aveva le sue storie, le sue sofferenze. Loro [in Istria] hanno passato guai molto seri, sai li hanno trucidati. Però; una parte anche di loro ha collaborato col fascismo, neh! La maggior parte no, ma una piccola parte c'era. In Grecia quasi niente, invece.
Andrea D.
Nel campo profughi - adesso non so dirle di preciso la percentuale - c’erano queste varie origini, ... [Leggi tutto]
Nel campo profughi - adesso non so dirle di preciso la percentuale - c’erano queste varie origini, che io le ho poi viste quando è stato costruito poi il villaggio di Santa Caterina, e allora a quel punto si son ben identificati i greci, eccetera, eccetera. Ma non ci sono mai state tensioni, di nessun genere. Perché tutti erano in attesa - secondo le promesse che qualcuno aveva fatto - di una sistemazione.
Giuseppe M.
Ne avevo poco di tempo libero io... Si guardava un po’ di tele, c’era il bar dentro alle ... [Leggi tutto]
Ne avevo poco di tempo libero io... Si guardava un po’ di tele, c’era il bar dentro alle Casermette, la sera c’era il cinema che era gratis... C’era il cinema gratis tutte le sere [alle Casermette], poi c’era un salone grosso dove giocavamo alle carte, c’era il biliardino. Poi giocavamo a pallone: avevamo tre squadre, la Julia, la Fiumana e la Fie. La Fie, Figli Italiani Estero, era la nostra. E facevamo i derby, facevamo campionato con le altre squadre [cittadine], sempre dilettantistiche, eh! Eravamo un mucchio, dove dovevamo andare? Rimanevamo sempre là dentro [al campo profughi].
Achille C.
Nel '49 [sono andato a vivere] a Mola di Bari. Lì mi son sposato e ho avuto il primo figlio e ho ... [Leggi tutto]
Nel '49 [sono andato a vivere] a Mola di Bari. Lì mi son sposato e ho avuto il primo figlio e ho capito che non c'era futuro, e allora era arrivato un italo-greco come me da Torino che lavorava alla [Fiat] Mirafiori, si chiamava Antonio E. E mi ha detto: vieni a Torino, ti do il mio indirizzo, che quando son venuto non mi ha neanche aperto la porta! Comunque mi sono arrangiato a dormire sotto i ponti. Un bel giorno ho incontrato un italo-greco come me e mi ha portato alle Casermette. E lì son stato quattro anni. Uh madonna, via Veglia! Da una parte erano profughi della Jugoslavia [cioè] di Fiume, Istria, erano tutti lì. Da questa parte [da un'altra parte] eravamo un misto: dalla Francia, dalla Grecia, dalla Libia e da altre varie località dall'estero di italiani. [Noi eravamo lì], dove eravamo trattati anche malissimo. Questi dell'Istria li avevano dichiarati una forza forte contro il comunismo e tutte queste balle, mentre da noi eravamo un misto con idee piuttosto un po' di sinistra. Io per il primo anno non avevo diritto di dormire alle Casermette. [Si], potevo entrare, ma dormire niente, e allora dormivo di contrabbando attraverso le amicizie. Anzi, con un amico - tanto per dirti - dormivamo insieme in una branda: gabinetto a trenta metri, bagno non ti dico! E questa è stata la sofferenza del primo anno.
Andrea D.

Immagini

Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, febbraio 1947
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 2 febbraio 1957
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 2 febbraio 1957
Alunni davanti all'ingresso della scuola elementare, Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949
Alunni davanti all'ingresso della scuola elementare, Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949
Una ragazza posa insieme ad una Fiat 1100 davanti ad una delle porte d'ingresso delle casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1954
Una ragazza posa insieme ad una Fiat 1100 davanti ad una delle porte d'ingresso delle casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1954
Casermette di Borgo San Paolo, un funerale tra i padiglioni del campo Torino, s.d.
Casermette di Borgo San Paolo, un funerale tra i padiglioni del campo Torino, s.d.
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, s.d., gruppo di donne istriane
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, s.d., gruppo di donne istriane
Casermette di Borgo San Paolo, interno di una camerata, Torino, prima metà anni '50
Casermette di Borgo San Paolo, interno di una camerata, Torino, prima metà anni '50
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949: momento di svago al circolo del campo
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949: momento di svago al circolo del campo
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 23 luglio 1949, gruppo di donne istriane
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 23 luglio 1949, gruppo di donne istriane
Vita quotidiana, Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 8 aprile 1949
Vita quotidiana, Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 8 aprile 1949
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 12 maggio 1949, foto di gruppo di tre giovani profughe vallesi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 12 maggio 1949, foto di gruppo di tre giovani profughe vallesi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 8 ottobre 1950: Partita di calcio Julia vs Fiumana
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 8 ottobre 1950: Partita di calcio Julia vs Fiumana
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 3 marzo 1951, foto di gruppo
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 3 marzo 1951, foto di gruppo
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, luglio 1950, foto di gruppo di profughi vallesi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, luglio 1950, foto di gruppo di profughi vallesi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1947. Gruppo di giovani profughi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1947. Gruppo di giovani profughi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949, bambina sulle scale di entrata al padiglione
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1949, bambina sulle scale di entrata al padiglione
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 20 aprile 1952, un matrimonio
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 20 aprile 1952, un matrimonio
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 22 aprile 1951. Mamma con la figlioletta.
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 22 aprile 1951. Mamma con la figlioletta.
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 2 ottobre 1954. Due anziani esuli di Valle d'Istria
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 2 ottobre 1954. Due anziani esuli di Valle d'Istria
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 12 luglio 1953: foto di gruppo di 4 cantanti del Coro Istriano
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 12 luglio 1953: foto di gruppo di 4 cantanti del Coro Istriano
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 25 ottobre 1953: foto di gruppo dei bambini dell'oratorio
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 25 ottobre 1953: foto di gruppo dei bambini dell'oratorio
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 28 giugno 1953: foto di gruppo. Sullo sfondo il padiglione numero 5
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 28 giugno 1953: foto di gruppo. Sullo sfondo il padiglione numero 5
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 28 giugno 1953
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 28 giugno 1953
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1951, la formazione della Fiumana prima di una partita
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1951, la formazione della Fiumana prima di una partita
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 25 giugno 1950: foto di gruppo all'esterno del campo profughi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 25 giugno 1950: foto di gruppo all'esterno del campo profughi
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1952. Ragazza in bicicletta
Casermette di Borgo San Paolo, Torino, 1952. Ragazza in bicicletta
Prima Comunione alle Casermette di Borgo San Paolo
Prima Comunione alle Casermette di Borgo San Paolo
Carnevale alle Casermette di Borgo San Paolo
Carnevale alle Casermette di Borgo San Paolo
Famiglia di profughi giulano-dalmati a bordo di una Topolino
Famiglia di profughi giulano-dalmati a bordo di una Topolino
Donne profughe  dalla Libia alle Casermette di Borgo San Paolo
Donne profughe dalla Libia alle Casermette di Borgo San Paolo
Giovani profughi al bar delle  Casermette di Borgo San Paolo
Giovani profughi al bar delle Casermette di Borgo San Paolo
Giovani profughi alle  Casermette di Borgo San Paolo
Giovani profughi alle Casermette di Borgo San Paolo
Famiglia di profughi alle Casermette di Borgo San Paolo
Famiglia di profughi alle Casermette di Borgo San Paolo
Profughi alle Casermette di Borgo San Paolo
Profughi alle Casermette di Borgo San Paolo

Giornali

Articolo di giornale Saranno abbattute le Casermette, «Gazzetta del Popolo», 20 gennaio 1966 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Abbattere le Casermette significa sanare una grande piaga cittadina, «Gazzetta del Popolo», 21 gennaio 1966 [Leggi l'articolo completo]
Articolo di giornale Si sgombrano Casermette e Casermone, «La Stampa», 30 luglio 1966 [Leggi l'articolo completo]

Riferimenti archivistici

 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1105, Fascicolo 1, Richieste ad autorizzazione Prefettura per lavori 1946-1955.
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1107, Fascicolo 3, Smobilitazione e chiusura CRP. 1955-1956.
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1108, Fascicolo 1, Campo profughi casermette: vitto, assistenza e corrispondenza varia (1944-1946).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1108, Fascicolo 2, Campo profughi Casermette: assistenza, corrispondenza e pratiche varie, 1947.
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1112, Fascicoli 2-8 [comprensivi di notizie sugli spacci].
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1113, Fascicolo 1, Spacci: latteria Gianmarinaro (1949-1955).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1113, Fascicolo 2, Spacci: Verson Felice, spaccio di bevande alcoliche, ACLI, SILCA, spaccio di carni e salumi, Pasquali Carlo, posto di ristoro con annesso bar. (1949-1956).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1114, Fascicolo 1, Corrispondenza varia (1948-1966).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1119, Fascicolo 1, Cinematografo (1948-1951).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1119, Fascicolo 2, Scuola materna. Refezione scolastica. Varie. (1953-1969).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1232, Fascicolo 1, Corrispondenza con la Prefettura (1945-1947).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1266, Fascicolo 1, Denunce P.S., posta in arrivo, posta in partenza: corrispondenza (1946-1955).
 Asct, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1117, Fascicolo 1, Dimissioni e accettazioni di profughi al C.R.P. Corrispondenza (1951-1956).
 Asct, Atti Municipali del Comune di Torino, Contributo per l’arredamento di un cinematografo al Centro Raccolta Profughi delle Casermette di Borgo San Paolo, seduta 11 del 29 marzo 1948.
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1114, Fascicolo 3, Campo profughi Casermette: relazioni 1944-1955
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1117, Fascicolo 1, Dimissioni e accettazioni di profughi al C.R.P. Corrispondenza (1951-1956)
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1117, Fascicolo 2, Rapporti informativi alloggiati. Specchietti relativi a persone sole presenti nel CRP, 1955-1964
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 1737, Fascicolo 1, Elenco degli indumenti distribuiti a ex internati, reduci, rimpatriati e sinistrati ospiti del CRP delle Casermette San Paolo, 1945-1946
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 2054, Casermette Borgo San Paolo 1945-1954
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 2159, Casermette di Borgo San Paolo: statistiche delle presenze 1945-1959, Fascicolo 1, Situazioni delle presenze e statistiche del giorno delle presenze 1946
 Archivio Storico della Città di Torino, Fondo Ente Comunale di Assistenza, Cartella 2159, Casermette di Borgo San Paolo: statistiche delle presenze 1945-1959, Fascicolo 2, Statistiche del giorno delle presenze, gennaio-luglio 1947

Riferimenti bibliografici

 Città di Torino, Divisione Lavoro e Statistica, Annuari statistici 1947-1957, Torino, Città di Torino, 1946-1957.
 E. Miletto, Con il mare negli occhi. Storia, luoghi e memorie dell’esodo istriano a Torino, Franco Angeli, Milano, 2005.
 E. Miletto, L’Istria, l’Italia, il mondo. Storia di un esodo: istriani, fiumani, dalmati a Torino, Istituto piemontese per la storia della resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti", Provincia di Torino, Torino, 2005.
 E. Miletto, La diaspora degli istriani in Italia. Torino: un punto di arrivo, in R. Marchis (a cura di), Le parole dell’esclusione. Esodanti e rifugiati nell’Europa postbellica. Il caso istriano, Seb 27, Torino, 2005.

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