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La guerra e la fame Agg

Andar di qua e di là, chiedendo pasta, frutta, riso, uva e vino. Pagar senza esitar qualunque prezzo che ci chiede il contadino. E' così che vive l'italian: compra sotto man la polenta e il pan». Queste parole, modellate sulle note della celebre Canzone dei sommergibili, motivo assai caro al regime, evidenziano, con la forza tagliente della satira, le privazioni e i disagi con cui molti italiani sono costretti a convivere durante gli anni del conflitto quando, insieme alle bombe e a una violenza ogni giorno più dilagante, si affaccia sulla scena un altro nemico destinato a scandire la loro esistenza: la fame.

Restrizioni, file davanti ai negozi, diete monotone e limitazioni alimentari, fanno da sfondo a una quotidianità che il regime, utilizzando slogan intrisi di retorica, cerca di rendere meno aspra attraverso reti di approvvigionamento ogni giorno più fragili, razionamenti e carte annonarie. Misure deboli, non sufficienti ad impedire che buona parte della popolazione del paese precipiti in una condizione di precarietà tale da compromettere pesantemente la possibilità di raggiungere livelli nutrizionali adeguati. Le 950 calorie pro capite [F. Colombara, 2007] raggiunte giornalmente non bastano a tirare avanti e fanno dell'approvvigionamento alimentare un ulteriore problema da risolvere. Inizia dunque una nuova battaglia, quella per il cibo, diventato ossessione e pensiero fisso per famiglie intere, chiamate a combattere su nuovi fronti. In prima linea, in questa lotta quotidiana ci sono le donne: fronteggiare la fame diventa infatti l'occupazione principale di madri e mogli che intraprendono «viaggi lunghi, quasi infiniti» [R. Pupo, 2010] dalle città dell'Istria non solo verso le campagne dell'interno e del vicino Carso, ma anche verso quelle del Veneto e del Friuli, alla disperata ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Il tutto mentre imperversa, quasi ovunque, la borsa nera che da semplice elemento integrativo delle forniture alimentari distribuite dal regime, diventa una prassi abituale e un fenomeno di massa cui si rivolge una quota sempre più consistente di popolazione. Il ricorso al mercato nero comporta per molte famiglie giuliano-dalmate un impoverimento del proprio patrimonio, dal momento che il tenore dei prezzi, decisamente elevati, richiede un sacrificio economico non indifferente. Nasce così, tra venditori e acquirenti, un rapporto che si pone ben al di fuori dei principi monetari, assumendo i caratteri di un baratto vero e proprio, destinato ad arricchire i primi e a indebolire gli altri. Un sistema che vede il cibo non venduto, ma spesso e volentieri scambiato: a dettare le condizioni non c'è più il denaro, ma ci sono olio, farina, carne e cereali, messi sul piatto e ceduti in cambio di oro, gioielli e corredi, oggetti dal grande valore affettivo e simbolico. Una separazione dolorosa e forzata, legittimata però dalla consapevolezza che essi rappresentano l'unico modo per nutrire la propria famiglia.

Testimonianze

Fino a un certo periodo noi siamo stati bene, perché mio papà facendo il pescatore, e quando ... [Leggi tutto]
Fino a un certo periodo noi siamo stati bene, perché mio papà facendo il pescatore, e quando andavano a Fiume facevano tanti scambi: col pesce prendevano che so, il grano, la pasta, il riso, insomma tutte quelle cose e noi finché c’era vivo mio papà noi stavamo bene. [Quando mio papà è morto], da quel momento lì è cominciata a venir la fame: [mangiavamo] tanta polenta, tanta polenta! C’è mio fratello che per vent’anni o trenta non ha più voluto mangiar polenta, per trent’anni penso che non ha più voluto assaggiarla. Allora c’era polenta e pesce, polenta e latte; c’era quelle cose lì e uno si arrangiava e mangiava. Mancava il pane e quelle cose lì. Il pane era con la tessera, pertanto c’era delle code da fare e a noi giovani il pane mancava. Cercavamo di adattarsi un po’ e di fare come si poteva, di racimolare quello che si poteva.
Mario M.
Io mi ricordo che durante la guerra c’erano le tessere di Mussolini. C’erano le tessere: andavi lì, ... [Leggi tutto]
Io mi ricordo che durante la guerra c’erano le tessere di Mussolini. C’erano le tessere: andavi lì, ti tagliavano il talloncino e ti davano un pezzettino di pane. Mi ricordo che mi mettevo anche in fila, perché era la guerra, e purtroppo era così la cosa.
Renato L.
Uh, [la fame]! [C’]era la tessera, davano la tessera coi punti e ti davano tanto pane al giorno per ... [Leggi tutto]
Uh, [la fame]! [C’]era la tessera, davano la tessera coi punti e ti davano tanto pane al giorno per quanti eri. E io mi ricordo quanta coda che ho fatto per il pane! Ci alzavamo la mattina e mia mamma mi mandava a fare la coda, andavo io, con la tessera. Pane di grano turco! Ci davano una struseta così - una pagnotta, che noi diciamo struciola - per tutti. Eh beh, in quel periodo si, un po’ di fame l’abbiamo [patita].
Olivia M.
[Della guerra ricordo] l’annonaria! Si, perché non c’era da mangiare, però c’era il razionamento. ... [Leggi tutto]
[Della guerra ricordo] l’annonaria! Si, perché non c’era da mangiare, però c’era il razionamento. Mi ricordo - io avevo dodici tredici anni - che un giorno mia madre mi ha fatto da magiare - che schifo! - delle patate lesse con la marmellata. Non gliele auguro a nessuno! [Mia madre] aveva degli zii nell’interno dell’Istria, cioè in quella che era l’ex contea di Pisino [e ] noi portavamo dei vestiti smessi, per [avere in cambio] che so patate... Nelle campagne, andavamo nei villaggi di campagna, è ovvio: si andava dal parentado per dire. Ci vedevamo solo in quell’occasione. Però è chiaro, perché a un certo punto, come in tutta Italia, c’era il razionamento. Ma guarda che c’era il razionamento anche sotto Tito, eh! E forse [era] anche peggio!
Otello S.
Specialmente l’ultimo anno [di guerra], non c’era più niente da mangiare: il pane non c’era, farina ... [Leggi tutto]
Specialmente l’ultimo anno [di guerra], non c’era più niente da mangiare: il pane non c’era, farina non c’era, non c’era più niente! E quindi, in particolare, zio, che era fratello di mamma, ci dava un po’ di latte, ci dava le mele, ci dava le noci e le castagne... Le castagne... L’ultimo anno, io odio le castagne, [mangiavamo] le castagne nel caffelatte perché non c’era altro, o [mangiavamo] il radicchio condito con lo strutto...Ah, che roba! Ma non c’era altro, non c’era... Pane non c’era, non c’era niente... E poverina, mamma, come faceva... Una delle prime cose che mi è venuta in mente ricordando il passato è come faceva mia madre a prepararci il pranzo o la cena che non aveva niente, non lo so!
Romana B.
Noi finché eravamo a Zara la fame non l’abbiamo mai patita perché noi avevamo un po’ di campagna, e ... [Leggi tutto]
Noi finché eravamo a Zara la fame non l’abbiamo mai patita perché noi avevamo un po’ di campagna, e quindi avevamo patate, cavolfiori, verze. Insomma, la campagna dà sempre qualche cosa, anche se brucia, perché poi là l’aria e l’atmosfera bruciava tutto. Mia nonna poi avevano molta più terra, quindi loro avevano olio perché avevano le olive e quindi diciamo che mancavano si quelle cose... [Cioè] non vedevi la frutta, ma le mandorle, le noci i fichi e queste cose qui noi le avevamo, perché avevamo degli alberi che si seccavano, però la frutta fresca non c’era, non c’era per nessuno. Ecco, il pane era difficile. Gli ultimi giorni che siamo stati a Zara mi ricordo che mangiare il pane bianco era un po’ [difficile]: farina non c’è n’era più, e si faceva il pane di orzo, il granoturco. Però, onestamente, quando son stato a Zara non ho mai sofferto la fame. C’erano delle cose... Per esempio, liquori, c’è n’erano a sufficienza! Io mi ricordo i tre valletti Sarti - non so se hai mai visto quella pubblicità - che c’erano due valletti che portavano a spalle la bottiglia di Sarti, liquore, cognac. Quindi noi di liquore ne avevamo parecchio e al mattino si faceva lo zabaione con il cognac dentro. Poi invece quando siamo andati a Fiume, lì abbiamo sofferto la fame. Ecco, a Fiume abbiamo sofferto la fame, perché non eravamo sul nostro territorio, eravamo fuori, c’era la guerra e non c’era niente per nessuno: io andavo in coda al mattino presto a star delle ore per prendere il pane, che c’era la tessera e ti davano il pane. Però non si trovava da mangiare, nemmeno per gli altri. C’era la borsa nera e si vendeva quello che si aveva. Se avevi qualcosa da scambiare andavi magari nelle campagne e trovavi qualcosa da mangiare. Quindi non so, oro e cose così, [perché ] soldi non c’era niente. Dovevi portare se avevi lenzuola, se avevi coperte, quello che avevi in casa e quello lo cambiavi, ti cambiavano facilmente. I soldi non li voleva nessuno, perché non avevano nessun valore oramai i soldi!
Antonio V.
[A Zara] venivano i contadini dall’interno, ti offrivano un pacco di farina, un po’ [di] frumento ... [Leggi tutto]
[A Zara] venivano i contadini dall’interno, ti offrivano un pacco di farina, un po’ [di] frumento per mangiare e noi [in cambio] le davamo la roba: la roba più bella è sparita così, ma cose belle eh! Purtroppo... Noi dopo siamo rimasti senza niente.
Alma M.
Io no [la fame non l’ho sofferta], perché quando [c’]era la guerra siamo andati in un paese ... [Leggi tutto]
Io no [la fame non l’ho sofferta], perché quando [c’]era la guerra siamo andati in un paese dell’interno che si chiama Diklo, che mio padre ci ha mandato lì da certi parenti. E allora lui facendo il pane per i tedeschi e per i partigiani, portava sempre il pane. Proprio fame, fame, io non l’ho mai fatta, il pane lo avevamo sempre, perché lui [mio padre] si aggiustava sempre andando su e giù: da Diklo a Zara portava sempre qualcosa da mangiare, quindi proprio fame io non ho fatto.
Adua Liberata P.
Perché non ho fatto la fame? Perché avevo il papà che lavorava, la mamma che lavorava e avevo anche ... [Leggi tutto]
Perché non ho fatto la fame? Perché avevo il papà che lavorava, la mamma che lavorava e avevo anche mio nonno [che] era portuale, era ormeggiatore che tirava dentro le navi. E io andavo anche con le donne - perché ero minorenne - a Trieste. Andavo [da Fiume] a prendere farina, patate. Si, le patate le andavo a prendere in Istria, non ricordo il paese, ma era in Istria. [Prendevo] e portavo a casa, poi qualche cosa regalavamo. Per noi è logico che quando si è nei rioni si dice: beh, cià, ti g’hai i fioi, ciapa, magna, magna anche ti farina! E la farina non era bianca, ma era buona! [Poi c’era] noi facevamo [anche un po’ di] borsa nera: chi aveva due soldi pagava, chi no diceva guarda, impegno questo, ti do questo. Però noi facendo quasi in privato non è che avevamo proprio quel gran commercio.
Amedea M.
Mi ricordo che tante mamme andavano in Istria - anche la mia è andata - a vendere l’oro e a vendere ... [Leggi tutto]
Mi ricordo che tante mamme andavano in Istria - anche la mia è andata - a vendere l’oro e a vendere la biancheria, per poter portare farina, olio e patate, quel che si poteva. Però si faceva tante e tante ore di treno, anche se non era tanto lontano, però a quell’epoca i mezzi... Poi si prendeva la tradotta, si prendeva il treno militare, non è che si poteva fare un viaggio bello, eh! Andavano a vendere l’oro, la biancheria e quello che c’era per poter prendere qualcosa da mangiare, [perché ] non c’era farina, non c’era olio, [non c’erano] le cose essenziali. Uno scambio, un baratto e non c’era altro. [Si faceva così perché ], prima di tutto [i soldi] non c’erano, poi comunque loro non li volevano. Volevano l’oro. Poi [a Fiume] c’era il mercato della borsa nera, però quello lì era al centro, nella città vecchia, ma quello lì non so, perché non andavo. Ero bambina e non è che frequentavo.
Livia B.
Imperava la borsa nera! E prima della guerra, essendo noi [a Fiume] una zona franca, tutte le ... [Leggi tutto]
Imperava la borsa nera! E prima della guerra, essendo noi [a Fiume] una zona franca, tutte le nostre mamme e le nostre mogli, facevano contrabbando! Cioè contrabbando... Per quel motivo lì che avevi il prodotto a basso a prezzo e poi tu potevi venderlo, si arrangiavano tutti. Io la borsa nera non l’ho mai fatta, ero troppo piccolo. Però chi la faceva la faceva per arrotondare e dopo la guerra non c’è stata più. Finita la guerra non c’era più borsa nera. [Durante la guerra] dovevi andare nelle campagne e lì la gente di Fiume si è mangiata quel poco che aveva tra oro eccetera per prendere patate, fagioli e tutte quelle menate lì. Si sono privati di quello che avevano per andare a barattare con il cibo, come succedeva anche in Italia, perché io ho conosciuto gente che è stata bombardata a Cassino e compagnia bella, che [mi hanno detto]: Giuliano, voi avevate fame, ma anche qui c’era fame nera! Non era che eravamo solo noi, dove son stati bombardati che c’era guerra, erano tutti in quelle condizioni. Noi avevamo dei cugini di mia nonna in Slovenia - e mia nonna era maestra ed essendo maestra veniva fuori da una famiglia che era già benestante - e andavamo da sti parenti e loro ci macellavano la roba lì e riuscivamo [a cavarcela]. Io fame non l’ho mai fatta, né là ne qua, né là né qua.
Giuliano K.
Non ho partito la fame, perché mio papà andava a comprare anche a borsa nera, [e anche] mia mamma ... [Leggi tutto]
Non ho partito la fame, perché mio papà andava a comprare anche a borsa nera, [e anche] mia mamma andava a borsa nera! Perché con quello che ti davano non è che potevi [magiare tanto]. C’era la tessera, mia madre andava con la tessera, e quando ti davano la tessera, era poco tutto. So che mia mamma diceva che era poco: la carne quando la vedevi? Mai! [Poi so] che mia mamma aveva dei braccialetti e delle collanine, e andava dalle contadine. [A Fiume] mlekaritze si chiamavano, che venivano dalla montagna e ti portavano patate, roba... Loro venivano dal Montenegro, da su di là, non erano proprio fiumane: facevano [il latte] su, lo portavano e contrattavano. Però il latte per darlo a me, [mia mamma] doveva faticare: non glielo volevano dare. E qualche volta pagava coi soldi, ma anche si è privata di braccialetti che aveva, di perle che erano state di sua mamma - di mia nonna - e così non aveva più niente di oro mia mamma. A parte la fede, che ha dovuto darla a quello stronzo di Mussolini che le scioglievano! Però non trovavi zucchero. Il caffè [sembrava] cicoria: [era] una cosa nera che mia mamma beveva e a me non me l’ha mai data, [era] schifosa.
Fernanda C.
Eh si, [la borsa nera] me la ricordo. Eh, come funzionava... C’era chi andava direttamente a ... [Leggi tutto]
Eh si, [la borsa nera] me la ricordo. Eh, come funzionava... C’era chi andava direttamente a vendere e c’era chi veniva a comprare dalla città.
Nives P.
Si sapeva che [c’erano] quelle che facevano le strozzine, le chiamavano. Potrei dirle nome e ... [Leggi tutto]
Si sapeva che [c’erano] quelle che facevano le strozzine, le chiamavano. Potrei dirle nome e cognome, però non era tutto il paese! Andavano a vendere... Andavano a piedi [da Valle d’Istria] a Pola sa? Erano venti chilometri! Eh, [le chiamavano] strozzine perché [facevano] strozzinaggio!
Anna Maria P.
Mah, borsa nera... C’era gente che veniva da Pola a Dignano e cambiavano. C’era uno che veniva con ... [Leggi tutto]
Mah, borsa nera... C’era gente che veniva da Pola a Dignano e cambiavano. C’era uno che veniva con le uova: portava tante uova e voleva l’olio. Si davano delle cose in cambio... Ma tutti a Dignano si arrangiavano, avevano la campagna e a cambiare venivano da Pola, dalla città.
Maria D.
Si, la borsa nera c’era. Però sa, noi [a Dignano] eravamo contadini, per cui dico non che non ci ... [Leggi tutto]
Si, la borsa nera c’era. Però sa, noi [a Dignano] eravamo contadini, per cui dico non che non ci mancava [niente], però... Insomma, non avevamo tutto ma non ci mancava niente. Però non so, del pane, il granoturco eccetera si scambiava, chi aveva dei formaggi li scambiava coi formaggi, ma comunque non era proprio una borsa nera, [di] quella che si approfittava. Sapevamo come dovevamo trattarli, che erano tra virgolette fratelli, eravamo a otto chilometri di distanza e siamo praticamente tutti parenti. La borsa nera esisteva, e qualcuno ne aveva anche approfittato, soprattutto con l’olio. Siccome Dignano produceva molto olio, vino, e anche di qualità, allora sicuramente ne approfittavano.
Luigi D.
Papà era [lavorava] in centrale [del latte a Pola], e lì faceva un po’ di tutto: lui portava anche ... [Leggi tutto]
Papà era [lavorava] in centrale [del latte a Pola], e lì faceva un po’ di tutto: lui portava anche il ghiaccio in giro col motocarro. C’era anche il ghiaccio, e forse anche un po’ col ghiaccio trafficava il papà: invece di darti due chili te ne dava cinque e l’altro magari ti dava mezzo pollo, perché funzionava così, neh! [C’]era borsa nera in tempo di guerra! Chi aveva soldi spendeva, chi non aveva soldi barattava. O lavoravi per avere un pollo. Però c’era sto latte, e c’era sto famoso latte condensato, che era una rarità. E lo barattava: io so che di notte partiva, lui e tanti altri e andavano in campagna. Perché di giorno eri a rischio, perché i tedeschi ti fermavano. E di notte, senza luci, partivano, e so che papà arrivava con la farina. E noi, mi ricordo, noi si mangiava tanto polenta. Perché non c’erano i supermarket, tutta roba alla buona, eh!
Franco D.
So che i contadini andavano a vendere a Pola e a Rovigno i loro prodotti. Andavano a venderli ... [Leggi tutto]
So che i contadini andavano a vendere a Pola e a Rovigno i loro prodotti. Andavano a venderli perché a Pisino non riuscivano, non era numerosa la città, e andavano spesso in treno. [Ricordo che le autorità fasciste] avevan detto che mia nonna faceva del contrabbando, e che l’avevano vista portare qualcosa in casa. Allora sono venuti [in casa], ci hanno portato via in carcere al paese, hanno guardato dappertutto, anche nell’orto e nel giardino se c’era qualche buca o qualcosa, poi però non hanno trovato niente e ci hanno rilasciato. Questo mi è rimasto in mente, perché avrò avuto, non so, quattro anni, cinque anni. Un po’ dappertutto [c’era] il contrabbando. Però della mia famiglia ho solo sentito il fatto che siamo stati portati [in prigione].
Adriana S.
Mia mamma fino a quando non è venuta a Pola abitava in campagna. E loro facevano questa [cosa] qui, ... [Leggi tutto]
Mia mamma fino a quando non è venuta a Pola abitava in campagna. E loro facevano questa [cosa] qui, e cioè il grano non lo consegnavano tutto, perché se no all’ammasso ti davano una miseria. E allora mio nonno [lo] tagliava di notte, quando però non era ancora maturo maturo, perché c’era i fascisti che guardavano. Lo tagliavano un po’ qui e un po’ là e poi lo portavano in cantina e lo tenevano per loro, non lo davano via. E loro fame poco volte l’hanno patita, con il grano e il gran turco che non davano all’ammasso. Poi lì c’è tanto pesce, tiravi una bomba a mano nel mare e mangiavi finché ne volevi, non è mica come adesso!
Giulio R.
La fame no, [non l’ho sofferta], perché i miei fratelli si arrangiavano abbastanza, andavano per le ... [Leggi tutto]
La fame no, [non l’ho sofferta], perché i miei fratelli si arrangiavano abbastanza, andavano per le campagne - tutti facevano così - a scambiare: gli davano la farina e il prosciutto e noi gli davamo la roba da vestire. [Però esisteva la borsa nera], hai voglia! Ogni domenica i miei fratelli partivano [da Pola] in bicicletta e andavano a cambiare, e poi la sera mi ricordo che tornavano con le bottiglie d’olio, di vino, di grappa, chi portava un pezzo di prosciutto, di maiale. Avevo dei fratelli che erano grandi, che conoscevano tutte la zone. Fame si, c’era fame, ma ricordo quando i miei amici mi vedevano mangiare il panino col burro, insomma, ero già fortunato! [Quindi] io la fame, davvero, non l’ho sentita.
Luigi B.
So che un sacco di gente faceva borsa nera, specialmente le donne... Non dico mia zia, ma [altri ... [Leggi tutto]
So che un sacco di gente faceva borsa nera, specialmente le donne... Non dico mia zia, ma [altri miei] parenti facevano borsa nera: portavano olio, uova e farina, in cambio di qualcosa, oppure vendevano, non so. Ma nella mia famiglia non è mai capitato, anche perché mio papà aveva qualche olivo vicino al paese, ma non tanti, perché ha sempre fatto l’operaio, non aveva campagna. [Invece] dalla parte di mia mamma avevano tanta campagna, particolarmente uva per far vino, però non hanno mai fatto borsa nera. So però che esisteva.
Assunta Z.
La borsa nera la facevano, si, si. [A Valle d’Istria] venivano a comprare un po’ d’olio e quelle ... [Leggi tutto]
La borsa nera la facevano, si, si. [A Valle d’Istria] venivano a comprare un po’ d’olio e quelle cose lì, poi venivano i pescatori da Rovigno che portavano il pesce. Perché una volta non era ricco come adesso, il pescatore [una volta] non è che faceva una vita tanto agiata. Mi ricordo che venivano con ste cassette in testa con il pesce e allora chiedevano in cambio olio, farina per fare la polenta, o tutte quelle cose lì.
Argia B.
[A Rovigno borsa nera] c’era, c’era. Come funzionava non lo so, però so che anche la carne si ... [Leggi tutto]
[A Rovigno borsa nera] c’era, c’era. Come funzionava non lo so, però so che anche la carne si comprava a borsa nera. La carne, perché a casa mia - essendo mio papà contadino - non ci mancava il pane, l’ultimo a morire era il contadino. Ma la carne... Poi è stata tesserata, ma capitava qualche volta che un’amica ti diceva: vuoi un po’ di carne? Si, si, come no! Adesso io non so esattamente cosa si pagava, però era borsa nera, da noi si faceva. Anche mia mamma: le dava il vino e aveva il pesce. Pesce, eh, perché la carne era tesserata, ma il pesce no. I pescatori dicevano: me lo dai un litro di vino e io ti do del pesce? Si, si. Era proprio uno scambio, una cosa naturale per quell’epoca.
Gina P.
Noi essendo contadini non abbiamo patito la fame, anche perché nascondevamo la roba e poi la ... [Leggi tutto]
Noi essendo contadini non abbiamo patito la fame, anche perché nascondevamo la roba e poi la tiravamo fuori un po’ per volta! C’era anche la tessera, che anche noi che avevamo il grano, il grano turco e quella cosa lì, non si poteva andare al mulino per macinare: davano la tessera, e più di quel tanto non si poteva, perché poi la rimanenza la prelevavano i fascisti. Si nascondeva, si faceva dei buchi e si nascondeva la roba. [Dalla città] venivano quasi tutti i giorni a cercare uova, a cercare l’olio, a cercare da bere il vino, perché c’era anche il vino da noi, eh! Buono... C’era chi poteva fare il cambio e aveva con cosa contraccambiare, e c’era anche chi aveva fior di quattrini per avere qualche chilo di farina gialla per fare la polenta e farina bianca per farsi il pane. Era un disastro! Perché adesso il sale è sul mercato, ma in quell’epoca lì per un chilo di sale bisognava darle un litro d’olio. C’era uno scambio di cose: uno dava la legna, l’altro gli dava l’olio, e loro portavano in cambio il riso e il sale. E certe volte [portavano] pezzi di stoffa per fare vestiti, perché oramai nei negozi non c’era più niente.
Giovanni R.
La borsa nera... Il sale mancava sempre e allora venivano. Però non era facile venire, perché si ... [Leggi tutto]
La borsa nera... Il sale mancava sempre e allora venivano. Però non era facile venire, perché si rischiava. Perché andare da noi fino a Sicciole [alla saline] che si andava a prendere il sale nelle saline, non era facile. E allora venivano loro, perché loro non avevano il grano, non avevano di cosa mangiare e sapevano che se portavano il sale si faceva il cambio. C’era il cambio, così. Però roba de poco, che si andava con le biciclette. Da noi prendeva il grano e ti davano il sale. Poi sai cosa c’era? Avevi la tessera, e tanto ti lasciavano per persona - per famiglia - di grano, di frumento e tanto di questo. E il resto all’ammasso. Però sempre si nascondeva qualcosa: il maiale [ad esempio] si notava [dichiarava] uno e se ne ammazzava due o tre, capisci? Veniva anche il controllo, eh! Veniva la finanza a controllare, e una volta sono venuti anche da noi a controllare, ah, ah! Quella volta sono venuti a controllare e hanno trovato tutte le cose che non erano dichiarate: hanno trovato dei maiali, del grano e tutte le cose. Le hanno prese e le hanno portate via, e mi ricordo che - mamma mia - in quell’anno ho mangiato il pane di orzo, perché avevano portato via il grano. Lo hanno portato via il grano.
Guido C.
Mia mamma si arrangiava perché faceva la sarta; andava nei paesi ad aiutare questi contadini, che ... [Leggi tutto]
Mia mamma si arrangiava perché faceva la sarta; andava nei paesi ad aiutare questi contadini, che mentre loro raccoglievano le patate o facevano le vendemmie e quelle cose così - dato che lei era brava sia per cucinare, fare dolci e cucire - andava lì e gli dava una gran mano a questa gente, e veniva a casa sempre col zaino pieno di burro, patate e tutta roba da mangiare. E si taconava, come dire, per la fame. Perché loro, quando che si andava in questi paesi, la gente andava coi soldi, e i soldi non li volevano loro; loro volevano o l’oro o un indumento, o un paio di scarpe, un lenzuolo, un cappotto. E mia mamma - lei qualche cosa portava- si rendeva a questa gente utile così, facendo queste cose. [Questa gente erano] contadini. [A] San Pietro del Carso andava mia mamma, che sarebbe da noi chiamato Cragno., in dialetto. [Erano] italiani.
Elio H.
C’era la fame, non che non c’era. Mia madre faceva [la borsa nera]. Partiva da Fiume e andava su ... [Leggi tutto]
C’era la fame, non che non c’era. Mia madre faceva [la borsa nera]. Partiva da Fiume e andava su per Belluno, per Treviso e per Udine e contrabbandava. Noi c’avevamo tanto zucchero e caffè, e loro ci davano fagioli, patate e quella roba lì, e portavano a casa. Praticamente si, [uno scambio]. Poi c’era qualcuno che dava roba da vestire, ma roba da vestire non c’era tanto, c’era più il mangiare. Allora lei andava su di lì e contrabbandava: lei dava il caffè , dava zucchero - che noi ce n’avevamo di zucchero finchè volevamo- e loro ci davano patate, fagioli, lardo, salami e quelle cose lì.
Ilario B.
Per [avere] i generi alimentari vendevano i mobili, i vestiti, quello si me lo ricordo perché anche ... [Leggi tutto]
Per [avere] i generi alimentari vendevano i mobili, i vestiti, quello si me lo ricordo perché anche mia mamma comprava. Mia mamma diceva: poveri cittadini che non g'ha ne botti, né sacchi né pile, perché noi tenevamo l'olio nella pila di pietra. Non g'ha in città ste robe, e senza ste robe l'è la fame! Noi almeno quello l'avemo! [A Valle] si, [venivano i cittadini a comperare]. Come funzionasse proprio in dettaglio [la borsa nera] non te lo so dire, però gli scambi c'erano sicuramente: vendevano quel po' che avevano per sfamarsi, senz'altro. E so che anche le donne del nostro paese, portavano a Rovigno l'olio e un po' di farina, e magari portavano a casa - che ne so io - un po' di tazzine.
Antonietta C.
Dal punto di vista alimentare per Fiume [la guerra] è stata veramente una tragedia, perché con ... [Leggi tutto]
Dal punto di vista alimentare per Fiume [la guerra] è stata veramente una tragedia, perché con l’entroterra partigiano e i tedeschi in casa, da mangiare non ne trovavi assolutamente. L’unica cosa era che in quegli anni il golfo del Quarnaro era pescosissimo, e allora la popolazione locale si è proprio salvata in questo modo, col pesce. [In proposito ti racconto un’altra cosa]: mia nonna aveva una casetta che aveva venduto. L’aveva venduta e aveva preso i soldi di questa casetta. Durante la guerra ha trovato una contadina con un chilo di burro, e per quel chilo di burro le ha dato i soldi della casa. Un’intera casa per un chilo di burro, e ancor grazie!
Adriana S.

Riferimenti bibliografici

 F. Colombara, Si cantava per esorcizzare la tragedia. Quella fame terribile tra fascismo e guerra, in "Patria indipendente", a. LVI, n. 11, 16 dicembre 2007, disponibile anche in versione on line in www.ani.it/patria_2007/011.htm.
 R. Pupo, Trieste '45, Laterza, Bari, 2010

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