Anita B.
L'esodo rappresenta un momento di svolta, un punto focale per l'intera popolazione italiana dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, che da questo momento in poi si trova ad essere divisa in due parti, comunemente definite come esuli e rimasti. Se alle vicende dei primi sono stati dedicati studi e ricerche che hanno contribuito a fornire all'argomento precise coordinate storiografiche, uno spazio minore è stato invece riservato a quella parte di italiani che dopo i drammatici rivolgimenti della seconda guerra mondiale decide di restare nella propria terra di origine, senza seguire la scia tracciata dalla gran parte dei propri connazionali.
Un passaggio che li porta ad essere testimoni di un radicale stravolgimento, la cui prima conseguenza è la pressoché totale cancellazione di identità e tradizioni radicate da secoli su territori verso i quali, subito dopo l'esodo, si orienta una massiccia ondata migratoria proveniente dalle altre regioni della Jugoslavia.
Un processo di cambiamento dai riflessi traumatici per l'intera comunità italiana trovatasi, improvvisamente, a vivere in un contesto dai contorni irriconoscibili diventando una minoranza che, vedendo preclusa ogni forma di gestione politica ed economica, subisce una«profonda rottura nel suo equilibrio interno» [O. Moscarda, 2005].
Proprio come quella di partire, la scelta di restare rappresenta un passaggio traumatico e lacerante che presenta «un variegato panorama di opzioni» [G. Paiano, 2005] legato a dinamiche soggettive ed esistenziali troppo spesso avvolte da una visione semplicistica e stereotipata, tendente ad individuare dietro tale decisione esclusivamente motivazioni politiche ed ideologiche. In realtà tra coloro che restano, solo una minima parte lo fa in funzione di opportunità politiche o in nome di un'ideale. Nella gran parte dei casi la scelta di restare poggia le proprie basi su fattori profondamente differenti come la condizione di scoramento seguita alle ripetute respinte della domanda di opzione da parte delle autorità jugoslave, il forte attaccamento che lega le famiglie contadine alla propria terra, il timore di lasciare tutto ciò che si possiede per andare incontro ad un avvenire incerto, la paura di trovarsi improvvisamente in una realtà estranea a quella in cui si nati e vissuti per anni, l'impossibilità di partire per via delle pressioni delle autorità jugoslave e la volontà di non spezzare, tentando di mantenerli uniti, legami affettivi e familiari. Tentativo, quest'ultimo, non sempre riuscito visto che l'esodo rappresenta per intere famiglie un punto di rottura che provoca strappi e lacerazioni non sempre rimarginate, figlie delle tensioni che stanno alla base della scelta contrapposta di partire o di restare. Tensioni esplose in tutto il loro fragore nel periodo successivo all'esodo e la cui eco, in certi casi, si ritrova ancora oggi nei rapporti che definiscono il legame tra le due parti. Un quadro che però in questi ultimi anni sembra andare incontro a un'inversione di rotta, lasciando spazio a un significativo percorso di riavvicinamento in grado di liberare il campo da visioni preconcette e ingessate e di favorire un tentativo di rielaborazione più serena degli avvenimenti, in cui trovano maggior comprensione le dinamiche che stanno alla base dell'una e dell'altra scelta.