Adriana S.
«La bomba è una mano gigante, che viene a portare via i palazzi e le case» [A. Celestini, 2005]. Una mano che non bussa per chiedere permesso, ma che demolisce e distrugge, che irrompe nella vita di migliaia di uomini e donne portandosi dietro angosce e paure nuove. Bombardare intere città diventa così una precisa strategia militare che porta la bomba ad essere non solo l'arma «più usata nella seconda guerra mondiale» [G. Gribaudi, 2005], ma anche quella attraverso la quale il conflitto entra in maniera spettacolare e tragica nella quotidianità della popolazione civile che, suo malgrado, inizia a dover convivere con gli ordigni. La bomba si trasforma: da eventualità remota ed estranea, entra progressivamente nelle dinamiche del conflitto bellico, diventandone in breve tempo elemento cruciale ed espressione diretta. Una realtà sempre più vicina che lacera, spezzandola, l'esistenza di intere comunità piegate da un vivere che assume i contorni del ronzio tetro dei bombardieri che grattano il cielo, delle corse, disperate e veloci, nei rifugi e delle nuvole di fumo che avvolgono palazzi e strade. Edifici dai quali affiorano nugoli di macerie e morti, perché le bombe non sono infallibili, non colpiscono soltanto apparati industriali od obiettivi bellici, ma allargano il campo e piombano dritte sulle case spianando quartieri interi. Esse insegnano ad avere paura e incutono«terrore e rabbia nella popolazione civile» [A. Portelli, 1999] tendente, ogni giorno che passa, ad identificarle come un crudele atto gratuito nel quale si mescolano orrore e spettacolo.
Un'esperienza debilitante e traumatica, che non risparmia le città istriane e dalmate, come dimostrano i casi di Pola, Fiume e, soprattutto, Zara.
A Pola, la cui importanza strategica gravita intorno alla presenza in città di numerose industrie (su tutte il cantiere navale di Scoglio Olivi, attivo ancora oggi) e del porto militare, le bombe alleate iniziano a piovere nei primi giorni del 1944: dal 9 gennaio, data della prima incursione, al 3 marzo del 1945, la città è investita da diciotto bombardamenti che, uniti ai mitragliamenti, provocano, oltre al danneggiamento e alla distruzione di numerosi edifici, anche la morte, tra militari e civili, di circa 280 persone [R. Marsetic, 2004].
Nemmeno Fiume è risparmiata dall'aviazione alleata: a partire dai primi mesi del 1944 fino al termine del conflitto, si abbattono sulla città trenta incursioni che, miranti a colpire obiettivi sensibili quali il porto e le strutture produttive della città, prime tra tutte il Silurificio Whithead, il cantiere navale di Cantrida e la Raffineria R.O.M.S.A., si lasciano alle spalle uno scenario di desolazione e distruzione. Gli ultimi bombardamenti, antecedenti al maggio 1945, provocano infatti la morte di 112 civili e il danneggiamento di circa il 90% delle strutture industriali cittadine, cui se ne aggiungono altre 1.700 tra edifici pubblici e abitazioni private. [M.Grguric, 2009].
E però Zara, bombardata cinquantaquattro volte tra il 2 novembre 1943 e il 31 ottobre 1944, a pagare il prezzo più alto. L'aviazione alleata scarica sulla piccola città dalmata 584 tonnellate di bombe causando la distruzione dell'85% delle abitazioni e la morte di circa 2.000 abitanti. [O. Talpo, S. Brcic, 2000] Una vicenda, quella che avvolge la città dalmata, che si porta dietro ancora oggi un inquietante interrogativo, e cioè che l'accanimento dei bombardieri alleati non fosse dovuto a ragioni di strategia militare, quanto piuttosto a pressioni dell'esercito di liberazione jugoslavo che, amplificando la portata bellica dell'obiettivo, avrebbe sollecitato l'intervento alleato con il preciso scopo di eliminare l'unico centro compattamente italiano presente sulla costa dalmata. Un sospetto tramutatosi in assoluta convinzione negli ambienti degli esuli giuliano - dalmati, ma che, non può essere avvalorato sul piano storiografico, in quanto la documentazione disponibile non consente di effettuare una precisa ricostruzione delle dinamiche che hanno portato allo svolgimento degli eventi.