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L'arrivo in Italia Agg

L'atteggiamento degli italiani nei confronti dei profughi istriani presenta tratti ambivalenti, che mescolano episodi di solidarietà con comportamenti di diffidenza ed esclusione.

Documenti e testimonianze restituiscono infatti un quadro che vede le amministrazioni comunali, le istituzioni scolastiche, il mondo dell'industria e del commercio adoperarsi per creare le condizioni necessarie ad offrire ai profughi giuliano-dalmati un'accoglienza dignitosa, operando in completa sinergia con la cittadinanza impegnata, in numerose località italiane, a fornire ai nuovi arrivati un apporto concreto che si traduce in donazioni di generi disparati (abiti, mobili, alimenti), concessione di ospitalità all'interno di abitazioni private, offerte di lavoro o, ancora, in un'attiva partecipazione alle sottoscrizioni promosse nei vari comuni da organi di stampa, associazioni professionali ed enti ecclesiastici come, ad esempio, la Pontificia Commissione di Assistenza.

Un ritratto cui fa però da contraltare un clima di ostilità e rifiuto che avvolge la figura del profugo giuliano dalmata, sulle cui spalle ricadono pregiudizi politici e ideologici, facendo maturare negli esuli un senso di delusione misto a "ingiustizia, rabbia e rassegnazione" [G. Nemec, M. Richter, 2008], che rende ancora più difficoltoso il loro già delicato inserimento nella realtà italiana.

Pregiudizi che traggono la propria linfa dall'atmosfera politica che si respira nell'Italia dell'epoca, e che, specialmente negli ambienti vicini al partito comunista italiano, tendono a produrre argomentazioni tali da far maturare un'immagine ben precisa associata fin da subito agli esuli istriani, e cioè quella di considerarli fascisti in fuga "dal paradiso della classe operaia" [N. Milani, 2008], facendo così maturare nei loro confronti un vero e proprio rifiuto ideologico e una lunga serie di stereotipi (primo tra tutti quello di istriano fascista) destinati a durare nel tempo e dai quali essi si affrancheranno con fatica.

Episodi riferiti ad atteggiamenti discriminatori sulla base di pregiudizi politici si riscontrano in molte località italiane. Quello rimasto maggiormente sedimentato nella memoria degli esuli avviene però alla stazione di Bologna il 17 febbraio 1947, quando un treno che trasporta un folto gruppo di esuli sbarcati il giorno precedente ad Ancona è bloccato per ore sui binari da una protesta dei ferrovieri bolognesi, che non permettono lo svolgimento di nessuna operazione di soccorso e di approvvigionamento, costringendo così il convoglio a proseguire per Parma dove "quanto preparato dalla Croce Rossa a Bologna" [L. Vivoda, 1998] è trasportato in stazione da alcuni autocarri militari che, a tarda notte, consentono così agli esuli di poter finalmente consumare un pasto caldo.

A fare da sfondo al clima di sospetto che accompagna i profughi giuliano-dalmati concorre però anche un altro non trascurabile elemento, e cioè il loro essere estranei alla comunità che li accoglie, presentandosi agli occhi degli autoctoni come degli scomodi concorrenti ai pochi posti di lavoro disponibili in un momento in cui il paese versa in un grave stato di indigenza ed è segnato da una disoccupazione interna radicata e diffusa. Affermazione, quest'ultima, che sembra trovare un riscontro diretto in quanto accaduto a Novara dove, come si legge in una relazione del prefetto datata 16 febbraio 1948, l'avviamento al lavoro dei profughi giuliano-dalmati "provoca un certo malcontento tra i disoccupati locali, i quali mal sopportano che un rilevante numero di profughi debba gravare sulla disoccupazione della provincia (e più specialmente della città di Novara) solo perché questo capoluogo venne a suo tempo prescelto come sede di un centro raccolta profughi". [PCM, Archivio UZC].

Ad aumentare il disagio dei giuliano-dalmati vi sono inoltre sopsetti e pregiudizi suscitati dalla condotta tenuta dagli stessi profughi che alimenta negli autoctoni la percezione di una diversità comportamentale, lontana dagli usi e dalle abitudini diffuse nei centri dove essi sono stati accolti. Si tratta di un aspetto interessante e poco indagato che, forse, meriterebbe ulteriori approfondimenti e riflessioni. Infatti molte, tra quelle raccolte, sono le testimonianze che rivelano come questo sia un aspetto riguardante soprattutto le ragazze istriane, e in modo particolare quelle che si trovano a vivere nelle regioni dell'Italia del sud, dove la proverbiale apertura e l'atteggiamento spigliato ed estroverso, simbolo di una maggiore emancipazione della donna istriana, entra in contrasto con la chiusura e la rigidità delle donne locali. Un'apertura che fa ricadere sulle ragazze profughe l'etichetta di donne dai facili costumi, portandole a ricoprire nell'immaginario collettivo degli abitanti dei territori che le accolgono un cliché ben preciso e tutt'altro che piacevole.

Agli occhi di molti italiani l'esodo istriano assume dunque i contorni tipici di un semplice fenomeno migratorio. Un evento che trascina con sé la scia di problematiche che ogni emigrazione si porta dietro, contribuendo ad alzare barriere tra nuovi arrivati ed autoctoni che, nel caso specifico dell'esodo, sembrano pronti ad abbandonarsi a giudizi stereotipati e di facciata, dimostrando nel contempo una scarsa capacità di "messa a fuoco e di solida conoscenza" [S. Salvatici, 2008] delle motivazioni che hanno spinto migliaia di connazionali a lasciare la propria terra di origine.

Una condotta che ha come primo effetto quello di rimandare i momenti di contatto e di comunicazione necessari a favorire quella reciproca conoscenza che, non senza fatica, permetterà con il trascorrere degli anni il superamento di ogni steccato e il progressivo inserimento dei profughi giuliano-dalmati nel tessuto sociale e culturale delle diverse realtà italiane in cui essi hanno ricominciato a vivere.

Testimonianze

Accoglienza all’arrivo in Italia

Siamo arrivati a Venezia, e lì ci hanno beccato con gli insulti. Bella roba questa, eh?! La gente, ... [Leggi tutto]
Siamo arrivati a Venezia, e lì ci hanno beccato con gli insulti. Bella roba questa, eh?! La gente, tutta: ci riempivano di tutto! Fascisti, cosa venite qui a prenderci il lavoro! Era triste sta roba, eh... Molto triste... Ma tutti! Quelli che son passati da Bologna ancora peggio, gli han tirato anche dei sassi! Almeno detto così dai nostri compaesani. E anche Torino non è che ci hanno accolto bene, dicevano tutti: eh, son venuti questi qui, chi sono, fascisti? Perché sa, Torino era tutta rossa allora. E, insomma ragazzi...
Luigi B.
[Ad Altamura] i rapporti con la popolazione son stati ottimi. I primi giorni no, non ci ... [Leggi tutto]
[Ad Altamura] i rapporti con la popolazione son stati ottimi. I primi giorni no, non ci conoscevano, ci giravano attorno. [Poi] si incomincia a conoscere la persona: noi si andava giù, loro venivano su al campo, poi son venuti su al campo e hanno aperto un chiosco di vendite, insomma, ci siamo amalgamati.
Aldo S.
Ma, in generale, il primo impatto... Adesso, dico di Mantova: noi a Mantova eravamo bene accetti ... [Leggi tutto]
Ma, in generale, il primo impatto... Adesso, dico di Mantova: noi a Mantova eravamo bene accetti anche se si andava fuori, la gente era molto propensa ad aiutare. Noi ragazzi si andava al cinema e magari si entrava senza pagare, si diceva, siamo profughi, insomma, sai, le solite cose. Magari la gente non si rendeva conto chi eravamo, cosa avevamo subito; in quel periodo non si conoscevano tanto le cose, però c’era questa voglia di aiutare e di andare incontro. Almeno nei campi che ho fatto io, non ho mai trovato astio della gente verso di noi, il respingerci o una cosa o l’altra. Magari in certe città c’è stato, magari forse a Firenze c’è stato un po’ di più, [perché ] Firenze, magari, ha un po’ più concentrato... Qualche episodio è successo: adesso torniamo indietro a Bologna, ma quello lì però penso che la cittadinanza di Bologna non era contraria, conoscendo poi la gente. E’ logico che il primo impatto che c’hai con uno che arriva come uno straniero... Come capita a noi oggi, la stessa cosa. E anche tra i meridionali e i torinesi non c’era questo amore! Anzi, noi forse eravamo protetti più di altri. Noi forse stavamo in una posizione migliore rispetto ai cittadini delle città dove eravamo. Eravamo nelle liste della prefettura, un minimo di sostentamento lo avevamo, quindi... Dopo la guerra c’erano dei problemi, c’erano delle famiglie povere che non avevano [niente], noi [invece] eravamo privilegiati rispetto a loro, perché almeno un piatto di minestra ce l’avevamo, il lavoro a noi era più garantito che a un altro - perché poi son state fatte anche le leggi che ai profughi davano diritto del 3% e del 5% -, e quindi... Poi magari eravamo anche gente che... Cioè eravamo abituati che c’era la cultura del lavoro, e non è che i piemontesi o i lombardi o i veneti o gli emiliani non erano portati al lavoro, ma insomma, erano gente più creativa, mentre noi magari davamo la sensazione - come tanti han detto - che la nostra gente erano crumiri sul lavoro. Ma era un modo per ricostruirsi - diciamo - una vita, e allora... Poi, anche la paura: sai, hai ottenuto una cosa, e te la volevi tenere dura [stretta].
Antonio V.
Poi siamo partiti e siamo arrivati in Italia, passando da La Spezia e andando alle Casermette. Su ... [Leggi tutto]
Poi siamo partiti e siamo arrivati in Italia, passando da La Spezia e andando alle Casermette. Su quel treno di cui tanto si legge - ho letto il suo libro, ma anche altri - che a Bologna - nella civilissima Bologna - non lo hanno fatto fermare, neanche per dare un po’ di acqua ai bambini, c’ero anche io. Perché in quel momento lì Bologna - come anche oggi - era abbastanza di sinistra, era anche fascista all’epoca, e tutti quelli che venivano dall’Istria erano anche fascisti. Ma per che motivo? Perché - e questa è la cosa importante - la gente, secondo i comunisti o come li vogliamo chiamare, lasciava tutto quello che aveva - perché così è stato - pur di non rimanere in un paese comunista, dimenticando tutta la propaganda italiana fatta da loro - perché in quel momento lì il fascismo non c’era più, in quanto c’era il primo governo - e hanno fatto propaganda continua invitando tutti gli abitanti italiani - o che si sentivano italiani, ma che erano italiani - a lasciare le terre e poi a venire in Italia. In quel momento lì però, per Bologna e per l’Emilia, nel treno che non han fatto fermare e che non han fatto scendere neanche per prendere un po’ di acqua - e son cose che rimangono - c’ero anche io. E siamo andati a La Spezia.
Sergio M.
Beh, in principio, vedere tutta sta gente, non sapere che o cosa, praticamente subito dopo la ... [Leggi tutto]
Beh, in principio, vedere tutta sta gente, non sapere che o cosa, praticamente subito dopo la guerra, non penso che sia stato facile neanche per loro. All’inizio si, c’è stato un po’ di... Lo sentivo dire dagli altri - io non ho mai fatto caso -, un po’ di diffidenza, ma poi è tutto rientrato. Difatti io ho un mio zio [che] lui ha subito trovato da fare l’imbianchino, ha subito lavorato, andava nelle famiglie a Lucca a fare l’imbianchino. Cioè, passato il primo momento, come ci han conosciuto, poi dopo è tutto rientrato. Poi quello dell’accoglienza [sull’accoglienza] c’è qualcuno che dice delle strane cose, che dicevano: ti faccio mangiare dai profughi, ma io non ho mai sentito nulla. Con i lucchesi ci siamo integrati bene, perché noi a scuola avevamo la scuola nel campo profughi - c’era tutto [nel campo] anche il teatro, che era sempre pieno di gente, anche in palcoscenico c’era gente che abitava, tutto pieno!-, poi però ci si frequentava perché si andava in chiesa, si andava all’oratorio - io poi ho fatto la cresima a Lucca e quindi andavo al catechismo -, poi abbiamo conosciuto tante ragazze di lì vicino. Che lì vicino c’era la piazza - la piazza la chiamavano, quella ovale - dove facevano il mercato all’aperto e allora lì abbiamo fatto amicizia con dei ragazzi che venivano a vendere, con delle ragazze. Poi si, ogni tanto ci gridavano magari profugacci, e noi [rispondevamo] piazzaioli! Ma si, si, abbiamo fatto amicizia con tante famiglie di Lucca. Poi lì vicino c’erano dei palazzi con dei giardini favolosi, proprio vicino alle mura, di fronte a dove abitavamo noi, e avran pensato: vengono a rovinarci il coso [il panorama], però poi dopo... Insomma, eravamo integrati. Siamo diventati poveri, però con dignità.
Argia B.
Io, giovane così, non ho avuto difficoltà, [ma altri ne hanno avute]: non è che eravamo guardati ... [Leggi tutto]
Io, giovane così, non ho avuto difficoltà, [ma altri ne hanno avute]: non è che eravamo guardati come i profughi che tutti quanti erano aperti e ci accoglievano a braccia aperte. Qualcuno aveva dei pregiudizi su di noi, perché , insomma, pensava diversamente. Erano convinti che eravamo della gente diversa, invece no. Diversa nel senso... Non so, che magari quelli che sono scappati di là erano della gente poco di buono, o che avevano certe tendenze politiche. Invece lì la maggioranza... C’è n’era anche della gente che era scappata per motivi politici, senz’altro, perché c’era qualcuno che non è venuto regolarmente e si arrangiava. Però chi è venuto come noi che siamo venuti per cercare di migliorare e di trovarsi una sistemazione, per noi, insomma, cercavamo di comportarci [correttamente]. Non abbiamo mai avuto problemi noi. Non abbiamo mai visto polizia o carabinieri che fossero entrati nel campo per cercare delle persone che hanno commesso qualche reato o qualche cosa.
Mario M.
E’ stato molto difficile, tutto, la quotidianità, la crescita, il diventare grandi...Io le faccio ... [Leggi tutto]
E’ stato molto difficile, tutto, la quotidianità, la crescita, il diventare grandi...Io le faccio un esempio. Abitavo alle Casermette San Paolo, e ho conosciuto mio marito alle case popolari, che mio marito aveva una drogheria, cioè sua mamma. Io l’ho conosciuto, però ero [considerata] una straniera: io non ero valida, ero una titina, ero una croata, ero una comunista. Secondo i genitori, io ero segnalata, ero una comunista. Ecco, capisce? Questo non era valido solo nel mio campo, [ma anche] nel campo del lavoro.
Nirvana D.
Ma, le dico che [a Cava dei Tirreni] siamo stati accolti bene. All’inizio qualcuno... sa com’è, sa ... [Leggi tutto]
Ma, le dico che [a Cava dei Tirreni] siamo stati accolti bene. All’inizio qualcuno... sa com’è, sa i meridionali come sono, ti guardavano sempre un po’ in cagnesco perché eri profugo. Poi invece, lavorando, siamo stati accolti bene e ci han trattato benissimo. Perché io mi ricordo benissimo che tanta gente, allora, nei negozi faceva il librettino per andare a comprare, e pagavi un tanto al mese, lo ricordo benissimo quello. E ti facevano tutti credito, perché mia mamma era statale, c’è anche quell’inghippo lì. Quindi sapevano che lo stipendio ogni quindicina - perché pagavano ogni quindici giorni e mia mamma la chiamava la quindicina - cioè, sapevi che ogni quindici giorni avevi il tuo acconto, i tuoi soldi li avevi. Alimentari, pane, macellaio e tutta via di seguito. No, no, assolutamente. Difatti adesso ho anche degli amici che ci telefoniamo - specialmente un amico d’infanzia- e no, no, assolutamente, siamo stati accolti bene. Questo non posso dire che non è vero. A Cava dei Tirreni siamo stati bene, siamo stati accolti bene e ben visti. Questo posso dirlo.
Giuseppe S.
Quando eravamo al campo profughi, sia a Servigliano, sia a Torino mia madre piangeva tutti i ... [Leggi tutto]
Quando eravamo al campo profughi, sia a Servigliano, sia a Torino mia madre piangeva tutti i giorni, veramente! [Piangeva] perché noi lì avevamo un bell’alloggio in una palazzina signorile, [una casa] bella, con le scale in marmo, con i bagni all’interno. E quindi mia madre pensava a tutto quello che aveva lasciato. Però i marchigiani li ho trovati molto gentili: [a Servigliano] partecipavamo alle feste del paese, si andava tutti: il pesce in piazza, o a far rotolare il formaggio lungo le strade, e questo tutti gli anni si faceva, lo facevano quelli del paese, e noi andavamo. I marchigiani erano molto gentili e molto cordiali e difatti qualcuno si è sposato con delle persone di lì: ragazze con ragazzi dell’interno, e viceversa.
Adriana S.
Quando i bambini facevano i cattivi - sai i bambini di un anno o due - i baresi dicevano: stai ... [Leggi tutto]
Quando i bambini facevano i cattivi - sai i bambini di un anno o due - i baresi dicevano: stai bravo sennò ti faccio mangiare dal profugo! Si, ma era relativo, non è che quando passavi ti buttavano all’acqua! Ma questo la popolazione ignorante, il popolino, perché uno che aveva un po’ di sale nel cervello [diceva] povera gente, guarda che fine ha fatto! [Però] discriminazione nonc’è n’era, no. Noi vivevamo all’estero, invece [in Istria] era Italia, era un’altra cosa.
Achille C.
Ci fermammo una notte a Trieste, dal fratello di mia mamma a Villa Opicina e poi di lì, il giorno ... [Leggi tutto]
Ci fermammo una notte a Trieste, dal fratello di mia mamma a Villa Opicina e poi di lì, il giorno dopo, prendemmo il treno ed andammo a Verona, che impieghiamo un giorno e una notte, perché le ferrovie erano disastrate. E non le dico che viaggio, coi vagoni senza vetri, che in un certo momento siamo scesi prima della stazione e poi mia madre con in testa le valigie e io con quello che potevo portare con i miei quattordici anni... Abbiamo fatto non so quanti chilometri a piedi e poi, finalmente, siamo arrivati al mattino a Isola della Scala. Arrivammo a Isola della scala e in carrozza con P. - era venuto [a prenderci] un signore che si chiamava P. a prenderci con la carrozza scoperta e due cavalli - [andammo] dove lavorava mio padre. Che lì coltivavano il tabacco, ma facevano il tabacco da pipa. E allora andammo poi a questo Pontepossero di Sorgate, tra Mantova e Verona, a venti chilometri tra Mantova e Verona. [A Pontepossero] il padrone aveva dato a mio padre una stanza, e avevamo il letto e sotto il focolaio. Era la stanza di quello che aggiustava le cose dei cavalli, del sellaio, e ci siamo adattati lì. E lì mia mamma si fermò qualche giorno e poi ritornò a casa, e poi venne subito [dopo], a febbraio o marzo del ’47. Lei ha preso la nave, e poi [è andata] al Silos di Trieste... E l’avrebbero mandata in qualche campo profughi, ma mio padre guai a parlargli di campi profughi! Perché [lui] si ricordava quelli della guerra mondiale, e per carità le sue figlie in un campo profughi!? Però non aveva neanche casa dove ospitarci, e difatti dovemmo dormire qualche giorno [in una camera in una] trattoria: mio padre, mia madre e noi bambine in una stanza. E dopo, finalmente, si fece un alloggio vuoto, però era da pulire. Insomma, non le dico, non le dico.
Nives P.
Noi siamo arrivati a Pontepossero di Sorgate, in provincia di Verona, che lì il mio papà era andato ... [Leggi tutto]
Noi siamo arrivati a Pontepossero di Sorgate, in provincia di Verona, che lì il mio papà era andato a lavorare in un’azienda agricola che coltivava tabacco, era il suo lavoro. I primi tempi, fin quando l’azienda agricola non ci han dato una casa, i miei genitori dormivano in un albergo, e portavano anche me: dormivamo nel lettone, tutti e tre, e niente. E poi dopo c’è stata la casa. Lì eravamo vicini a Isola della scala, dove c’è il famoso riso vialone nano, e mia mamma ha lavorato anche in risaia. Lei mondava e le mie sorelle, d’estate, infilzavano il tabacco, facevano le stanghette di tabacco. Io lì ho fatto la prima elementare e poi finita la prima elementare, nel ’49, siamo state in collegio: io e la mia sorella Irene siamo andate a Venezia, poi c’era un ‘altra sorella che era in un altro collegio a Venezia. Io e mia sorella Irene eravamo in un collegio insieme, invece la maggiore era in un altro, e al seconda figlia era andata a lavorare presso una famiglia di dalmati, di nobili dalmati, sempre lì a Venezia. E noi invece [in collegio] eravamo tutte profughe, tutte, non c’era distinzione. Eravamo tutte di Fiume, di Pola e di Zara, e poi c’era qualcuno del Dodecanneso, di Rodi, qualcuna che era venuta da Cipro. Una si chiamava M. e sapeva parlare greco e veneto, naturalmente! Io ho imparato la storia, cioè poi studiando storia ho capito com’era la questione, perché c’erano ragazze di Fiume che parlavano tedesco... Insomma, dopo ero contenta, dopo, però lì non mi piaceva stare! Dico la verità, che non mi piaceva stare in collegio. Era un collegio fatto proprio per i bambini profughi, per le bambine. So che c’entrava la prefettura, però non era l’Opera Nazionale Profughi, quelle ufficiale. So che c’erano tante ragazze che venivano dal centro profughi Foscarini, che a Venezia ce n’erano due: il Foscarini e il Giacinto Gallina. E quelle che stavano in campo profughi venivano lì. E poi mentre io ero in collegio, i miei si sono trasferiti a Torino e sono andati alle Casermette.
Anna Maria P.
[A Barletta ci hanno accolto] non male, io dico la verità. Molti dicevano i profugacci, ma molti ... [Leggi tutto]
[A Barletta ci hanno accolto] non male, io dico la verità. Molti dicevano i profugacci, ma molti venivano... Perché dato che da noi si ballava... Lì invece per il corso, dove che vendevano ste radio, i dischi e quello lì che attaccavano la musica, vedevi ballare. Coppie di ragazzi con ragazzi, e noi guai, sa! Come le nostre ragazze quando andavano al mare, ci venivano a spiare, perché le sue andavano coi vestiti praticamente, e le nostre in costume. E molti ragazzi - quasi tutti i sabati si ballava da noi - gli amici, ci siamo fatti delle amicizie anche a Barletta. Era brava gente, io non posso dire niente di male. Perché certiduni trovano da dire, ma dove sono andato io grazie a dio ho trovata brava gente. Barletta, io non posso dire niente di male.
Elio H.
Voglio essere sincero: a Bari ho avuto una buona impressione. L’accoglienza era un’accoglienza tra ... [Leggi tutto]
Voglio essere sincero: a Bari ho avuto una buona impressione. L’accoglienza era un’accoglienza tra poveri, perché quando siamo venuti e siamo andati alla caserma che ci hanno dato le coperte, ci hanno dato le brande e poi hanno cominciato a darci il sussidio con la minestra e queste robe qui. [Non siamo mai stati discriminati], assolutamente no. Io, di Bari, tutto quel periodo, pur nella povertà, ho un ricordo positivo.
Simone P.
C’era la propaganda anche qua [in Italia], diciamo la verità, le parlo chiaro! La Democrazia ... [Leggi tutto]
C’era la propaganda anche qua [in Italia], diciamo la verità, le parlo chiaro! La Democrazia Cristiana... Vede,io ho sentito molto da parte di mia madre che essendo anticomunista, una volta arrivata in Italia l’unico partito che le è sembrato era quello, perché fascista mia madre [non lo è mai stata]. Mi diceva: coi fascisti mai! Mio padre s’immagini, assolutamente. Quindi [la Democrazia Cristiana] era l’unico partito che ci salvaguardava.
Rita L.
[Come ci hanno accolto]? Per carità! A Catania uscivamo [dal campo] la mattina, e facevamo la ... [Leggi tutto]
[Come ci hanno accolto]? Per carità! A Catania uscivamo [dal campo] la mattina, e facevamo la sassaiola fino alla sera coi catanesi. Perché loro già soffrivano, tu pure e quindi... No, [a Catania non c’è stata una bella accoglienza], ma neanche quando siamo arrivati a Torino.
Gigi B.
[A Catania] era... un casino! Io andavo al cinema vicino al porto, e dentro là, specialmente quando ... [Leggi tutto]
[A Catania] era... un casino! Io andavo al cinema vicino al porto, e dentro là, specialmente quando c’erano delle ragazze, scappavano via tutte e dai posti di sopra buttavano giù roba, era un casino da matti! [Questo succedeva] perché eravamo dell’Alta Italia. Eravamo dell’Alta Italia, e allora... Le donne erano tutte per loro, erano tutte donne che potevano prendersele quando volevano - secondo loro- e sai, facevano casino. A Giarre già andava meglio, era un paesotto. E lì io sono andato a lavorare da un principe in campagna, in una vigna, a zappare la vigna. [Guadagnavo] 100 Lire al giorno e mezzo litro di vino a mezzogiorno. Avevamo pochi contatti all’inizio [con la popolazione], perché era un paesotto. Mio papà aveva un po’ di confidenza col barbiere e con altra gente lì che bazzicava dal barbiere, però contatti con la gente io non ne ho avuti.
Giorgio B.
Non [ci hanno accolto] tanto bene, non tanto bene. Ci consideravano... Perché tutti quella volta, ... [Leggi tutto]
Non [ci hanno accolto] tanto bene, non tanto bene. Ci consideravano... Perché tutti quella volta, siccome il comunismo ha vinto, tutti volevano essere comunisti! C’era un conte, il conte Arduini, non di Mantova, ma [di] un paese di là di Mantova, e veniva a prendere noi giovani perché i suoi contadini facevano sciopero, e allora ci portava in questo paese che non mi ricordo più il nome. Il conte Arduini ci portava e noi andavamo a fare solo erba per le bestie, perché se no le bestie morivano. E ci voleva bene. Era un fascista! E noi gli raccontavamo le nostre avventure, così, e qualche volta andavamo anche nel suo ufficio a Mantova - non in paese, ma a Mantova - a domandargli qualche soldo, e lui ci dava, 10.000 o 20.000 Lire. E ci voleva tanto bene.[Però] no, non ci volevano bene perché c’eran persone che ci volevano bene, ma per lo più eran tutti comunisti. So che una volta a Mantova ci guardavano male, ci chiamavano fascisti. E un giorno, quella volta, chi era comunista nel ’48? Togliatti? Ecco si, Togliatti, e tutte le strade erano tappezzate [di scritte] viva Tito, viva il comunismo, viva Stalin. E un giorno ci hanno detto che entreranno in campo e che ammazzeranno tutti noi. E allora noi siamo andati in curia, e ci hanno dato delle armi: eravamo tutta la notte sugli spalti coi fucili pronti a sparare se vengono. E niente, siamo rimasti a Mantova un paio d’anni, mi pare, e siamo venuti [a Torino] nel ’51.
Giovanni R.

Stereotipi: "Dicevano che son tutti fascisti..."

Io ho fatto l’esperienza di Bologna... Eh si, dovevi passare da Bologna, tutti passavano da lì! ... [Leggi tutto]
Io ho fatto l’esperienza di Bologna... Eh si, dovevi passare da Bologna, tutti passavano da lì! Solo che non è che l’han fatto con un treno solo, ma con tutti i treni lo faceva quella gente lì. E anche nelle Marche ci han fatto una bella accoglienza eh! Eh si, ti sputavano in faccia, ti dicevano fascisti. Ma a bambini di tre anni, come puoi dirle fascista!? Come puoi dirle così? Che le donne andavano poi a chiedere l’acqua e le dicevano - me lo contava mia mamma - non vi diamo neanche questa! Li insultavo, venivi insultato. Per loro andavi via dal paradiso terrestre, dal paradiso della Jugoslavia, dalla nuova patria. Praticamente, siamo andati via dal comunismo, lì!
Giulio R.
Ancora oggi c’è la mentalità in qualcuno. Io vedo qua nel chiosco dei giornali, e li sento ... [Leggi tutto]
Ancora oggi c’è la mentalità in qualcuno. Io vedo qua nel chiosco dei giornali, e li sento borbottare contro la gente nostra che c’è nelle case popolari: quei profughi, fascisti. Sempre fascisti. Siamo sempre stati figli di nessuno. E’ rimasto un marchio, si. E’ rimasto un marchio, perché noi per loro eravamo solo fascisti e nient’altro. E non è mica vero, eh! In assoluto.La convinzione, era una convinzione. Perché si deve partire dal principio: ma come, il comunismo era la libertà, quello che ha buttato giù il fascismo. E allora sta massa di gente che son venuti via, son tutti fascisti. Era quella la mentalità che avevano. Il marchio era quello ed è rimasto quello. Ancora adesso.
Aldo S.
[Dicevano] che son tutti fascisti. Ma adesso ti spiego: quelli che son scappati, sono stati ... [Leggi tutto]
[Dicevano] che son tutti fascisti. Ma adesso ti spiego: quelli che son scappati, sono stati strumentalizzati e utilizzati solo dalla destra. Perché i compagni con la faccenda di Tito hanno tenuto separate le cose. A l’han sempre daje ‘d fasisti, questa è la realtà. E molta di questa gente era italiana, ma non fascista. Han lasciato tutto là, e son venuti via con niente. E la destra... Loro erano l’unica maniera per avere voti: da chi li han presi? Dai profughi!
Antonio P.
[A Padova] siamo stati fino al novembre del ’46. Io mi ricordo lì quando c’era, quando c’è stato il ... [Leggi tutto]
[A Padova] siamo stati fino al novembre del ’46. Io mi ricordo lì quando c’era, quando c’è stato il referendum, nel ’46. E noi, zaratini... Gli zaratini erano tutti... Tutti i giovani che erano in campo erano della X Mas, erano tutti armati e dentro [al campo] giravano armi, la polizia dentro difficilmente entrava perché , insomma... Poi i dalmati, insomma, erano tutta gente [grossa]! Però, c’era un certo ordine, c’era una certa disciplina, un rispetto delle cose, che difficilmente puoi immaginare che oggi succeda in un campo CPT. Perché noi eravamo tutti di una certa cultura, con un certo dialetto e tutte ste cose qui. Poi di lì ci hanno mandato a Mantova. Siamo andati a Mantova nel novembre del ’46. E Mantova era provincia rossa e [la gente diceva]:adesso sono arrivati i fascisti, e queste cose [qui]. Lì ho cominciato a sentire sono arrivati i fascisti, perché a Padova [non l’avevo mai sentito]. Padova era una città forse un po’ più a destra, i padovani, e quindi non si sentiva questa cosa qui. Invece a Mantova si sentiva molto di più. Io mi ricordo le prime elezioni che ci son state a Mantova, che hanno detto: se vincono i fascisti, oppure se perde la sinistra - allora c’era il PCI -, bruciamo il campo. E allora la Prefettura aveva armato anche gli uomini dentro, che non serviva armarli perché avevano già le armi sue dentro, eh, perché quelli che sono andati via che erano della X Mas, delle camicie nere erano tutti armati, avevano pistole e tutto! Comunque, li hanno armati. E c’era la ronda - e c’è gente qui che ancora si ricorda che ha fatto la ronda tutta la notte - perché non succedesse niente, e non è successo niente. Ci son state le elezioni, c’è stato lo spoglio e le cose son rimaste com’erano prima. E allora i mantovani han cominciato a ragionare, perché , insomma: ma come, noi avevamo paura dello spostamento di voti qui nella zona, e non è successo niente, e allora questi non sono tutti fascisti! E allora c’è stata questa apertura. Poi noi al campo, la prima cosa, campo sportivo, sala da ballo, si invitava l’orchestra, le feste e le tradizioni andavano sempre avanti, e allora c’è stata sta apertura. Han cominciato a venire dentro a ballare la sera, a giocare al pallone, questi scambi, questi matrimoni misti e ste cose normali come è successo da tutte le altri parti. Ma sai, quando non conosci... Come adesso, con l’immigrato che viene e non sai chi è, e per prima cosa son ladri, delinquenti e tutto. I soliti luoghi comuni.
Antonio V.
Magari pensavano ed erano convinti che avevamo delle tendenze politiche un po’ diverse, ... [Leggi tutto]
Magari pensavano ed erano convinti che avevamo delle tendenze politiche un po’ diverse, qualcheduno. Però a quell’età noi, la gioventù nostra, la maggioranza della gioventù quelle idee non le aveva. Poi c’è n’erano - naturalmente - tra le gente più anziana che avevano le idee più chiare di noi, e magari poteva esserci qualcuno che era venuto [via] anche per motivi politici.
Mario M.
Poi [ci dicevano] fascisti... Non a me... Ma a un assessore qua a Torino che era anche lui alle ... [Leggi tutto]
Poi [ci dicevano] fascisti... Non a me... Ma a un assessore qua a Torino che era anche lui alle Casermette, a lui glielo dicevano, e lui si arrabbiava. Diceva: se son venuto qua... Se ero fascista, andavo in Germania, stavo con loro! Ma si che lo dicevano, si. A mio papà, quando lavorava alle Poste, diceva che certi glielo dicevano. Io non lavoravo, quindi non me lo potevano dire, ma me lo dicevano alle Casermette: ah, croata, tutti fascisti sono venuti qui a rovinare. E io una volte le ho detto: l’Italia era tutta fascista, perché se non eri fascista non trovavi lavoro né niente - l’ho detto a uno più grande -, è inutile che mia mamma mi dica di star zitta, perché tanto lo dico lo stesso! E lui: non come a Fiume. Eh certo, Fiume... Ti leccheresti le dita se venissi a Fiume, come stavi bene!
Fernanda C.
[Mi ricordo] per esempio che quando andavamo a giocare con la Fiumana ci gridavano fascisti, nei ... [Leggi tutto]
[Mi ricordo] per esempio che quando andavamo a giocare con la Fiumana ci gridavano fascisti, nei paesi. Almeno, ai primi tempi era così: fascisti! Noi non abbiamo mai reagito, non abbiamo mai fatto niente. Però poi dopo le cose si sono aggiustate, appianate.
Sergio V.
C’era il fatto dei fascisti... Cioè in faccia no [non me l’hanno mai detto]... Appena venuti nel ... [Leggi tutto]
C’era il fatto dei fascisti... Cioè in faccia no [non me l’hanno mai detto]... Appena venuti nel ’47, ’48, ’49, ’50, quelli che sono venuti dalla Venezia Giulia erano tutti fascisti, tutti fascisti, qui non c’era scelta. E questo ha cominciato la politica tutta, perché poi fa cordata. Però Bologna, che non volevano fermare il treno, che i bambini erano senza latte e tutte queste cose poi si sono divulgate. Anche a Firenze hanno avuto tanti problemi, con tutto che c’erano le tabacchine, però... In faccia non me l’hanno mai detto, però lo senti addosso che la gente lo pensa, per qualunque cosa.
Maria Man.
Ho il ricordo a Bologna, su un treno, che eravamo fermi e dove non ci lasciavano scendere perché ... [Leggi tutto]
Ho il ricordo a Bologna, su un treno, che eravamo fermi e dove non ci lasciavano scendere perché c’erano le cosiddette squadre rosse di Bologna che non ti lasciavano scendere perché noi per loro eravamo fascisti. Mi ricordo solo che avevo fame e sete e non ci lasciavano scendere da questo treno e poi so che ci tiravano della roba, mi ricordo una cosa del genere. Mamma poi mi aveva fatto leggere su un libro, che avevano scritto persino qualcosa [su questo episodio], ma non saprei dire. Non lo so, i polesani che erano venuti qua, cioè quelli che erano lì [sul treno] la chiamavano [riferendosi a queste persone] la banda della piccola Russia. Però, più di tanto, guardi non è che mi [ricordi]. Poi so che ho rivisto il mare, perciò dovevamo essere dalla parte del Tirreno, perché dopo siamo andati a La Spezia. [Ma] lì siamo stati poco noi, perché mio zio voleva andare in America, il fratello di mio papà voleva invece andare in Australia. E invece non siamo andati né in America né in Austrailia, e con questo mio zio e la famiglia siamo venuti a Montanaro. E siamo stati lì [a La Spezia] qualche giorno, ma pochissimo, e poi ci hanno portato alle Casermette di Torino, e alle Casermette siamo stati un giorno , un giorno e mezzo.
Franco V.
[Mio padre] non è mai stato fascista, è sempre stato uno molto moderato, ha sempre votato ... [Leggi tutto]
[Mio padre] non è mai stato fascista, è sempre stato uno molto moderato, ha sempre votato Democrazia Cristiana, essendo stato allevato dai salesiani... La sinistra italiana ha sempre rifiutato, non ha mai cercato di capire [queste vicende]. Che poi toh, il fatto che stesso che l’unico che si occupasse degli esuli era Mirko Tremaglia, che naturalmente era del MSI e automaticamente ecco [che si pensava che fossero fascisti]. E poi invece no, loro [i miei genitori] non votavano assolutamente MSI, votavano democristiano. Tutti quelli che io ho conosciuto votavano democristiano. Perché il loro sentimento di italianità, non era un sentimento fascista: loro erano orientati mediamente in altro modo. Almeno, parlo per quelli che ho conosciuto io che erano tutti tranquillissimi! A Cuneo votavano tutti DC, ma figurati, quando mai! Al massimo non so, la sinistra DC!
Adriana S.
[A Calambrone] tutti [ci hanno accolto] con molta diffidenza, tutti, tutti. A partire, diciamo da ... [Leggi tutto]
[A Calambrone] tutti [ci hanno accolto] con molta diffidenza, tutti, tutti. A partire, diciamo da quando siamo arrivati, che tutti dicevano: ma cosa vogliono questi, vengono a mangiare il pane nostro? Mamma mia, [eravamo considerati] fascisti. E ancora oggi passiamo per fascisti, ma dico, io non so neanche cosa voglia dire fascismo! E lì c’era questa cosa, si, si, c’era, eccome! [Però] poi a Marina di Pisa c’erano gli inglesi, e anche a Livorno, per cui si stava bene, qualche cosa ci mandavano e ci portavano... Ma poi c’erano anche quelli delle colonie che ci portavano qualcosa, perché dicevano: poveri profughi!
Luigi D.
Fascisti, penso... Tutti quelli che sono venuti qui in Italia io penso che teniano al ... [Leggi tutto]
Fascisti, penso... Tutti quelli che sono venuti qui in Italia io penso che teniano al fascismo, per me, poi non lo so. Io penso che [anche] mio marito tenea per loro, poi non lo so. Penso che tutti quelli che sono scappati erano fascisti. Poi se adesso hanno cambiato [bandiera] quello è un altro discorso, è un altro discorso. Per me chi è venuto è perché si sentiva fascista, per me. Poi che adesso cambiano... Perché anche io ho un’amica [qui vicino] che è fiumana: coi loro figli e [coi] loro nipoti dicono che loro non son fascisti... Ma sei venuta per quello dai, parlemose chiaro! Poi adesso che cambi è un altro discorso, hai un’altra mentalità con gli anni. [Se sei diventata] socialista o comunista non me ne frega, ma che dici che non eri fascista mai... Dai, non me rompere!
Adua Liberata P.
Me lo sono chiesto diverse volte se è uno stereotipo o no. Il fatto di essere fascisti, per gli ... [Leggi tutto]
Me lo sono chiesto diverse volte se è uno stereotipo o no. Il fatto di essere fascisti, per gli istriani, non era una militanza fascista. Voglio dire, non è che uno era proprio indottrinato e convinto, aderente al 100% a una causa scelta. Era uno stato di nascita: uno è nato in quel modo e non ha altre visioni, non ha altri paragoni. Il considerarli fascisti, derivava sostanzialmente proprio dal fatto che uno ha fatto la scelta addirittura di lasciare tutto, cioè la casa e tutti i beni... E la scelta di fare questo, agli occhi di molte persone, denotava una specie di assoluta adesione a un regime. Perché uno dice: come, se lasci tutto è perché ci credi da matti, se no restavi lì! E quindi il discorso era: ma come, rinunci al sol dell’avvenire... [Direi] che questa etichetta [di fascisti] deriva dal fatto che comunque la nostalgia degli istriani per la loro terra e per il loro modi di vivere nella loro terra, li caratterizza per fascisti perché , comunque, è nel loro dna, non per scelta ideologica, ma per scelta naturale. Io sono arrivato a questa conclusione. Poi uno gli dice: ma tu sei fascista, ma perché sei fascista? Eh, perché i comunisti mi hanno cacciato dalla mia terra. Ma lui lo era già prima che arrivassero i comunisti, ma lui non lo sapeva che cos’era!
Giuseppe M.
Io e i miei genitori delle Marche [non abbiamo un buon ricordo]. Loro dicevano ai bambini: fai ... [Leggi tutto]
Io e i miei genitori delle Marche [non abbiamo un buon ricordo]. Loro dicevano ai bambini: fai attenzione che ti mangiano i profugacci! Quindi ci hanno proprio visto male. Ma, probabilmente, erano anche quelle zone un po’ comuniste, e quindi vedendo questi qua che erano considerati fascisti... Insomma, c’era, la politica c’era che manovrava abbastanza. Io ho sentito sempre l’odio verso di me, un odio politico, certo. [Un odio] proprio politico: siete dei fascisti! Chi è venuto via di là è un fascista: io ho sempre sentito un roba del genere, ma soprattutto da gente che ha un certo livello culturale, che è di sinistra, sa di quelle persone che sono anche snob. E’ una cosa che io ho sentito. Io poi voglio bene a tutti, non me ne frega niente, però l’ho sentito [questo], ma non dalla gente del popolo, [piuttosto] da questi un po’ più intellettuali, un po’ più chic. Cioè, ho sentito molto queste contraddizioni.
Rita L.
A noi ci han preso per comunisti, fascisti e compagni bella. Ma quelli che son venuti via dopo il ... [Leggi tutto]
A noi ci han preso per comunisti, fascisti e compagni bella. Ma quelli che son venuti via dopo il ’45, i profughi giuliano-dalmati, non erano fascisti, perché i fascisti son scappati prima della fine della guerra, se no Tito li accoppava tutti, son rimasti solo gli operai. La nostra gente ha sofferto ad abbandonare tutto: abbandonare i terreni, i possessi... A noi quando siam venuti ci chiudevano nei vagoni e non gli davano ai bambini neanche da mangiare e bere, non gli davano neanche l’acqua a Bologna! I compagni... Qui a Novara [le mamme] dicevano ai figli: vi porteremo a farvi mangiare alla Caserma Perrone! E non c’era tanta differenza da adesso, perché è un procedimento che abbiamo passato prima noi come profughi, poi i veneti, poi son passati i meridionali e adesso ci sono gli extracomunitari. Perciò questa è la storia che si ripete, no? Ognuno poi la interpreta alla sua maniera, ma ci son passati tutti.
Giuliano K.
Io mi sono trovata subito bene a Monza, anche perché eravamo trattati bene, perché nel frattempo ... [Leggi tutto]
Io mi sono trovata subito bene a Monza, anche perché eravamo trattati bene, perché nel frattempo avevano capito che gli istriani non erano né fascisti né ladri, che gli piaceva lavorare e che si sono tirati su le maniche. Non tutti, ci sarà stato qualcuno che non gli piaceva, ma la maggioranza lavoravano. A dire la verità non eravamo trattati male, anche perché erano passati oramai un po’ di anni, e la gente si era fatta un concetto di questi disgraziati istriani! Perché sa, i primi tempi magari non li volevano. Gli istriani non li volevano, mentre invece quando c’ero io, venivano da Milano a prendere le donne per lavorare. E io poi sono andata a lavorare nelle case, a servizio.
Gina P.
[A Mantova] Quando andavamo dal campo profughi in centro, che c’era la nebbia, cantavamo Faccetta ... [Leggi tutto]
[A Mantova] Quando andavamo dal campo profughi in centro, che c’era la nebbia, cantavamo Faccetta Nera! E delle volte, forse, avevano anche ragione a darci dei calci nel sedere! [Però] sai, avevi anche vent’anni... Non avevamo rapporti coi mantovani, perché noi di amici ne avevamo già fin troppi lì dentro [al campo], e non è che andavi a cercarli fuori.
Gigi B.
E per andare ad Altamura... Io, partigiano, siamo scesi dal treno dove c’era lo smistamento, a ... [Leggi tutto]
E per andare ad Altamura... Io, partigiano, siamo scesi dal treno dove c’era lo smistamento, a Bologna. Siamo scesi dal treno e dovevamo prenderne un altro, e c’era i ferrovieri che ci maltrattavano: fascisti! Ma come, io partigiano che son preso [trattato] da fascista?! E allora ho dovuto litigare con uno che non credeva che ero partigiano: no, tu eri fascista, scusa, se eri partigiano cosa fai qui, dovresti essere dalla parte di là. Solo per dirne una, ecco.
Aldo S.

Stereotipi: "gli esuli rubano il lavoro..."

Mio padre ha avuto un’accoglienza terribile di cui non mi ha mai parlato. E questo [è successo] al ... [Leggi tutto]
Mio padre ha avuto un’accoglienza terribile di cui non mi ha mai parlato. E questo [è successo] al municipio a Cuneo, che quando è arrivato, alla prima riunione del Consiglio comunale [c’è stata] un’immediata delibera di rifiuto: non volevano assolutamente saperne di un impiegato capitato loro tra capo e collo da chissà dove. Una lettera durissima [che diceva] che loro rifiutavano, che chiedevano al ministero di recedere da questa decisione. Dicevano che non volevano, che non avevan bisogno, che eran tempi di difficoltà per cui figurarsi, un impiegato in più. Insomma, proprio un rifiuto totale! Perché, figurati, in una piccola città come Cuneo, vedersi arrivare un profugo all’epoca nel ’48, non era evidentemente nella mentalità del posto. I cuneesi non sono gente che ti accoglie immediatamente. Però poi devo dire che nonostante mio padre abbia poi conservato amicizie con i suoi conterranei, aveva anche delle belle amicizie con i suoi colleghi.
Adriana S.
A Roma la cosa che ricordo di più è che nel campo frequentavo anche gente delle mie parti: c’era ... [Leggi tutto]
A Roma la cosa che ricordo di più è che nel campo frequentavo anche gente delle mie parti: c’era una bambina con cui ero molto amica, si chiamava Marinella ed è rimasta a Roma. C’era poi altra gente, però non ricordo i romani. Invece ricordo molto bene Pio XII. Da censura! Perché questa brava persona, ha indetto un giorno l’incontro con i profughi giuliani. E allora noi siamo partiti tutti, e da Centocelle si prendeva il trenino, perché c’era il trenino per andare in centro e a Città del Vaticano. E quindi siamo partiti tutti al mattino, per andare a Città del Vaticano. Poi [quando siamo arrivati] ci hanno piazzati tutti a far ressa in un enorme atrio, tutti dietro le transenne in attesa e abbiamo aspettato per delle ore. Poi a un certo punto si è aperta una porta in fondo, è comparso lui sulla sedia gestatoria portato a spalle, ci è passato davanti facendo il segno e benedicendo di qua e di là, non ci ha detto crepa - e me lo ricordo bene - ed è passato dritto fino a un’altra porta grande che si è richiusa alle sue spalle. Questo è stato l’incontro con Pio XII. Poi, a quanto pare, è andato invece a tenere un discorso in una sala dove probabilmente c’erano i rappresentanti dei profughi. Ecco, ma a noi [ci avesse detto] una parola che fosse una! Poveretti, non so, pregherò per voi...Intendo dire, non gli mancano le parole a un papa! Invece niente, ed erano tutti incavolati neri! Perché tu perdi la tua giornata, ti prendi il treno, stai lì ad aspettare come un cretino… Invitato eh, perché ci avevano invitato all’incontro coi profughi. E nulla, invece. E quindi questo me lo ricordo benissimo, e mia madre se l’è ricordata per tutta la vita ed era furibonda anche lei. Quindi questo è l’incontro romano più interessante che abbiamo avuto con papa Pacelli.
Adriana S.
Io sono stata privilegiata, ma invece i nostri familiari...La nostra gente, [comunque], ha subito: ... [Leggi tutto]
Io sono stata privilegiata, ma invece i nostri familiari...La nostra gente, [comunque], ha subito: subito di qua e subito di là. I nostri profughi hanno perso di là, perché hanno perso tutto, e poi anche di qua sono stati calcolati non quello che erano. Perché sono stati calcolati quasi tutti fascisti, e invece non è così, non è così.
Antonietta C.
Con noi non mi ricordo di gente che ce l’ha avuta a male, con mia sorella forse si, perché lei era ... [Leggi tutto]
Con noi non mi ricordo di gente che ce l’ha avuta a male, con mia sorella forse si, perché lei era maestra e ha preso il diploma nel ’45-’46, [ed] è diventata maestra. E quando è venuta qui - anche nel veneto - lei per il fatto di essere profuga aveva avuto dei punti in più. E questo la faceva malvedere dai suoi colleghi, perché gente che magari aveva più anni di anzianità, che pretendeva il posto fisso e non più la supplenza, veniva magari superata da lei e in quel caso mi ricordo che mia sorella era malvista dai suoi colleghi. Per questo fatto che c’è stata questa regalia, questo omaggio, fatto dal governo italiano a noi profughi e in particolare a mia sorella maestra. Lei diceva sovente che aveva avuto problemi con questi punti che le sono stati regalati, che poi era suo diritto ottenerli, ma che ci facevano mal vedere un po’ dai locali che si trovavano un po’ baipassati da noi altri che arrivavamo sicuramente da fuori, se non dall’estero.
Gianfranco M.
Ma, il fatto che potessero pensare quello [che portavamo via il lavoro], io non l’ho mai pensato, ... [Leggi tutto]
Ma, il fatto che potessero pensare quello [che portavamo via il lavoro], io non l’ho mai pensato, ma senz’altro si, una parte, perché quando si è poveri nel mucchio, il pezzo di pane... Diciamo che in quegli anni lì era gente che il lavoro non ce l’aveva, che viveva appunto in posti chiusi, con quelle che erano le sussistenze. Quindi, anche lì, prima di avere un posti di lavoro, di anni ne son passati. Poi uno si, ha trovato dei posti di lavoro; non so se li ha portati via. Non penso, in quegli anni, visto oggi. Però capisco che magari qualcuno potesse vedere nel mucchio dei poveri altri poveri che potessero, in qualche modo, mettere a rischio la loro sopravvivenza.
Sergio M.
Era un altro mondo! Siamo venuti in Italia e siamo stati tranquilli. Si, poi c’erano anche parole ... [Leggi tutto]
Era un altro mondo! Siamo venuti in Italia e siamo stati tranquilli. Si, poi c’erano anche parole che volavano: adesso vengono qui i titini e ci portano via il lavoro. I triestini dicevano [questo]: adesso vengono i titini qua e ci portano via il lavoro. E i titini eravamo noi dell’Istria, è un dispregiativo, un disonore. Perché dice: vengono qui e perché non potevano stare lì? Si, c’era casino a Trieste. Io sentivo la voce, sentivo che i triestini non erano tanto contenti che arrivavamo lì. C’era a Trieste la paura che rubavamo il lavoro, purtroppo si. A Trieste c’è solo lavoro d’estate, al porto e sulle navi, durante l’inverno c’è poco lavoro, anche oggi. In estate si lavora in porto con le navi, non c’è tanto lavoro, e per questo anche noi, nel ’60 siamo venuti a Torino, che c’era richiesta.
Renato L.
Il primo lavoro che mio marito ha fatto è andato a spalare la neve, perché non c’erano tutti i ... [Leggi tutto]
Il primo lavoro che mio marito ha fatto è andato a spalare la neve, perché non c’erano tutti i macchinari che ci sono adesso: appena arrivato si è subito iscritto all’ufficio di collocamento e tutti e tre gli uomini sono andati a spalare la neve. Ecco, quello è stato il primo lavoro. E lì le cose sono state un attimo come si può, perché poi si era iscritto al collocamento come ragioniere e, insomma, cose così. Poi la gente diceva: son venuti per portarci via [il lavoro], perché anche da noi, c’era miseria, finita la guerra, era un periodo [difficile]. Sto leggendo un libro di Nuto Revelli, Le due guerre, che io di Mondovì e di Cuneo mi immedesimo in loro, e già quella volta pensavo: hanno anche ragione, c’è miseria, c’è fame e arriva gente che non sanno né dove, né cosa, né come né che. Comunque, ci siam dati da fare, a far servizio, lavar scale, pulire la neve e questo era fine ’48 inizio ’49. Poi - dev’essere tra fine del ’49 e inizio del ’50 - si era presentato un posto in Comune e allora avevano fatto un bando di concorso per titoli, di cui io ho fatto subito domanda. Poi - dev’essere tra fine del ’49 e inizio del ’50 - si era presentato un posto in Comune e allora avevano fatto un bando di concorso per titoli, di cui io ho fatto subito domanda. Ho presentato i documenti e in più per il fatto di essere profuga... Andava via una signora, una signorina che si sposava ed espatriava e c’era il posto in Comune come impiegata. Io ho presentato tutti in documenti e sarebbero stati costretti a prendermi in quanto profuga, perché quello come punteggio era più alto, [cioè] oltre a tutti i titoli che a loro servivano c’era ancora quello. Il posto è stato vuoto per anni, per secoli. Si è opposto il sindaco e si è opposto uno del partito repubblicano, e così il posto è stato vuoto. Ecco, questo è stato un fatto contro di noi. Beh, ecco, [credo che si sia opposto] perché non eravamo del posto, perché non eravamo di là. Per il fatto che lui sapeva che piemontesi c’è n’era qualcuno che aveva bisogno, e io venivo da via, non sapendo né cosa, né dove, né che... Io l’ho sempre messa su quel piano lì, e me lo conferma ancora di più il libro di Revelli, perché anche lui parla del principio e della fine della guerra e [di] quello che c’era. E io dico, è logico, tu ti vedi magari un figlio che è nato qui, ha studiato qui e potrebbe essere assunto e viene uno che è un estraneo che non sappiamo né dove né cosa, perché ancora oggi qualcuno non sa [dov’è l’Istria].
Maria G.

Stereotipi: "Le nostre donne le credevano tutte facili..."

[Le nostre ragazze erano considerate] di facili costumi, però bisognava provare! Può darsi che sia ... [Leggi tutto]
[Le nostre ragazze erano considerate] di facili costumi, però bisognava provare! Può darsi che sia stato detto, ma tra il dire e il fare ci sta di mezzo il mare! Però, vede, quando venivano da noi dentro che si ballava, erano tutti contenti, perché loro guai! Lei mi trova giusto che loro - dato che guardano molto - la mamma va al cinema con la figlia e il fidanzato, e poi molte le vedeva incinte? Perché le nostre ragazze erano libere, però avevano la testa. Invece quelle lì appena potevano gli scappava il peccato, inutile che le dica cosa facevano! Le nostre invece ragionavano, erano serie e brave ragazze. Prima di dartela sa, ci pensavano, invece quelle lì appena trovavano il momento, track, gli scappava il figlio! Vede che roba?!
Elio H.
Le donne nostre erano più chiacchierate, ma non perché erano diverse... Diciamo che quando siamo ... [Leggi tutto]
Le donne nostre erano più chiacchierate, ma non perché erano diverse... Diciamo che quando siamo arrivati noi Novara era un grosso paesone del Piemonte quello più stretto, non era emancipato. E vedere una ragazza bionda che metteva le scarpe col tacco e che andava a ballare erano scandalizzati. Loro avevano ancora il foulard! C’era un po’... Cioè, secondo me, la nostra venuta è servita a emancipare un po’ la cultura del novarese degli anni ’55-’60, che era chiusa. C’era ancora il pullman di notte che scendeva il bigliettaio - l’autista - con la lampada per portare l’autobus talmente la nebbia era spessa. E questi [sono] traumi che un ragazzino non li vede. [Comunque] si, si, [le nostre ragazze] le vedevano facili però non cuccavano niente! Le vedevano anche belle, esotiche! Belle, dell’est, venivano corteggiate. E ne avevamo qualcuna bellissima, eh!
Guerrino B.
[Le nostre ragazze] erano più espansive e quindi calcolate male. A me personalmente non mi è mai ... [Leggi tutto]
[Le nostre ragazze] erano più espansive e quindi calcolate male. A me personalmente non mi è mai successo, no, no. [Ma questa cosa], l’ho sentita anche io.
Olivia M.
La donna parlava con gli uomini e veniva scambiata per un poco di buono. E si, nel sud può ... [Leggi tutto]
La donna parlava con gli uomini e veniva scambiata per un poco di buono. E si, nel sud può capitare, capita ancora adesso! Al sud era dovuto al fatto che erano al sud, perché io credo che qui al nord non sia mai capitata una cosa del genere. A me non è mai successo niente di simile, né a scuola né in giro, insomma, mi è andata bene. Ero, forse, anche troppo piccola. Probabilmente le ragazze che allora avevano vent’anni, magari parlando con i ragazzi si potevano forse fare altre idee, non so. Ma noi bambine non avevamo di questi problemi. E poi c’è da dire che le nostre madri sono andate quasi tute a far servizio per aiutare le entrate dei mariti, perciò erano rispettate veramente da tutti, ed hanno parlato molto bene delle donne di servizio istriane che avevano le famiglie che potevano permetterselo.
Assunta Z.
Le nostre [ragazze] sono allegre, sono persone che vivono la vita con allegria, e hanno un altro ... [Leggi tutto]
Le nostre [ragazze] sono allegre, sono persone che vivono la vita con allegria, e hanno un altro criterio della vita. Non è che erano musonate o cosa, le piaceva divertirsi. Perché noi quando andavamo a giocare [a calcio], c’erano le ragazze dietro che venivano con noi e facevano il tifo. Ma senza nessuna malizia, perché erano spontanee, le piaceva l’allegria, le piaceva la compagnia e quelle cose lì. Però non è che erano delle persone dai facili costumi, assolutamente. Poi magari può essere che qualcheduna lo fosse, ma come da tutti le parti. Non c’è paese che non ce n’abbiano!
Mario M.
Le dirò un’altra cosa: che sono i profughi quelli che parlavano così. Perché si diceva - ad esempio ... [Leggi tutto]
Le dirò un’altra cosa: che sono i profughi quelli che parlavano così. Perché si diceva - ad esempio - che a Rovigno le ragazze erano piuttosto svegliete - cioè erano un po’ birichine -, quelle di Fiume non ne parliamo perché erano cittadine. Quindi era già la nostra gente che parlava così. Quelle del nostro paese erano sempre le migliori. Infatti io incontro sempre la signora Q., che sua suocera non la voleva perché era di Fiume! Si, anche a Lucca dicevano che quelle del campo erano un po’ così...Ma qualcuna [lo] è stata, qualcuna ha combinato qualcosa, è vero. Scappavano dal campo, e per qualcuna si pigliava tutte. Poi quando ci hanno conosciuto non hanno detto più niente. Cioè questa diceria c’era, però da qualcuno era causata! Vede, ad esempio... E’ come un po’ in tutte le cose, come quando si parla dei rumeni che tutti quanti li vorremo mandare [a casa]. Invece ci sono quelli bravi, che se fossero tutti così! Io ne avevo due che mi guardavano mio fratello, grazie a Dio. Però, per certi pigliano tutti, e così era anche quella volta.
Argia B.
[Ad Altamura], lei pensi la mentalità che abbiamo noi del Nord, da dove venivamo, con la mentalità ... [Leggi tutto]
[Ad Altamura], lei pensi la mentalità che abbiamo noi del Nord, da dove venivamo, con la mentalità loro. [Le racconto] un fatto, una stupidata... Le nostre ragazze, erano libere, come erano abituate da noi, libere. Sono andate in paese da sole, sbracciate. Mia moglie, che allora non era mia moglie, era in gonna e [aveva] un top, una camicetta e basta; e tra puttana e tra questo e quell’altro ha dovuto scappare via. Capisce il concetto che avevan loro rispetto a noi? Ci vedevano male, ecco, finché non ci conoscevano. Tanto che un giorno abbiam dovuto intervenire perché ste ragazze sole sono andate al cinema, e lì le donne al cinema non andavano, capisce? E le molestavano, abbiamo dovuto intervenire noi. Pensi solo il concetto che era della mentalità, tra loro e noi. C’era una grossa masseria vicino al campo, di una contessa, ricca e così via. E han preso un paio di ragazze nostre a raccogliere le noci. Le nostre ragazze le han prese a mangiare a tavola insieme con loro, e le ragazze del posto invece mangiavano nella stalla. E le nostre dicevano: perché questo trattamento? Perché quelle lì vogliono vivere così, non vogliono evolversi, e allora devono essere trattate così. Ecco, vede la mentalità che abbiamo trovato giù nel meridione? Poi dopo si comincia a conoscersi e tutto è andato bene.
Aldo S.
Vedi, le nostre ragazze erano prese per puttane soltanto perché fraternizzavano coi maschi. E’ ... [Leggi tutto]
Vedi, le nostre ragazze erano prese per puttane soltanto perché fraternizzavano coi maschi. E’ soltanto che eravamo amici.
Otello S.
[Le nostre donne] le credevano tutte facili. A me non è capitato, però avevamo due punti che… Sa, ... [Leggi tutto]
[Le nostre donne] le credevano tutte facili. A me non è capitato, però avevamo due punti che… Sa, com’è… Quella là, ah quella là, quella là, come in tutto il mondo. Ma non era proprio secca secca la cosa… Forse sarà fortuna, sarà un punto... Però, qualcosa c’era. Ma la storia più brutta era quella: sei fascista? Sei croata? Sei jugoslava? Ma vai al diavolo, va!
Amedea M.
Io so che la pettinatrice di Noche, [la pettinatrice] di mia mamma ricorda il fatto che [mia mamma] ... [Leggi tutto]
Io so che la pettinatrice di Noche, [la pettinatrice] di mia mamma ricorda il fatto che [mia mamma] fumava. Probabilmente le donne piemontesi, campagnole, non fumavano e questa cosa era strana. Lei mi dice così: mi ricordo perché c’erano questi bambini di queste persone che venivano e la cosa che incuriosiva è che tua mamma fumava, come donna. Diciamo che all’epoca le donne qui non andavano in giro a fumare.
Elvio N.

Stereotipi: "Le nostre donne le credevano tutte facili…"

Non è che [l’accoglienza] sia stata alle stelle! C’ era un po’ di invidia, ma perché c’erano i ... [Leggi tutto]
Non è che [l’accoglienza] sia stata alle stelle! C’ era un po’ di invidia, ma perché c’erano i giovanotti di Aversa… Che lì c’era anche un campo sportivo, e venivano a giocare. Venivano i giocatori a giocare lì, e a volte si innamoravano delle profughe e allora loro [le ragazze] del paese ce l’avevano un po’ per quello, dicevano che gli portavamo via i ragazzi. Ma se no era buono: io andavo anche a imparare come sarta da una di loro, ma ci accoglievano benissimo, c’era solo quella rivalità lì. Che poi si son sposati molti di loro con le profughe.
Adriana D.

Riferimenti archivistici

 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Archivio Ufficio per le Zone di Confine, Sezione II, Sottosezione Profughi Busta 1, Volume II, Fascicolo 72, Novara. Campo profughi, sopralluogo

Riferimenti bibliografici

 A. Anetra, B. Boniciolli, F. Calamia, G. Gatti, Corso Alessandria 62. La storia e le immagini del Campo profughi di Tortona, Microart’s Edizioni, Tortona, 1996
 M. Brugna, Memoria negata. Crescere in un C.R.P. per esuli giuliani, Condaghes, Cagliari, 2002
 L. Ferrari, I problemi dell’inserimento, in C. Colummi, L. Ferrari, G. Nassisi, G. Trani, Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione in Friuli Venezia Giulia, Trieste, 1980
 G. Esposito, V.A. Leuzzi (a cura di), Terra di frontiera. Profughi ed ex internati in Puglia, 1943-1954, Progedit, Bari, 1998
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