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Dall'Istria alla Jugoslavia Agg

Dopo essere entrate a Spalato e a Zara tra il 28 ottobre e il 1° novembre 1944, nella primavera del 1945 le truppe partigiane di Tito fanno il loro ingresso a Pola (il 1° maggio, dove rimangono fino al 12 giugno, data di arrivo in città delle forze anglo-americane), Fiume (il 3 maggio, proclamando attraverso la diffusione di manifesti blilingue l'annessione della città alla Jugoslavia) e nelle principali località dell'Istria. L'immagine dei soldati titini scesi dai boschi nelle città con gli abiti lisi, la barba incolta, le papuze (calzature di lana grezza simili alle babbucce) ai piedi mentre festeggiano ballando il kolo, una danza balcanica i cui ritmi riecheggiano incessantemente nelle vie e nelle piazze, suscita un profondo impatto emotivo e simbolico in gran parte della popolazione italiana, che identifica nei nuovi arrivati i tratti caratterizzanti il futuro potere titino, basato su una volontà di rivalsa in chiave nazionalista e su un duro sistema repressivo che ha nell'OZNA, la temuta polizia segreta successivamente denominata UDBA, il suo principale strumento di applicazione. Un potere temuto e ostile, capace di penetrare in ogni comparto della vita quotidiana, mettendo sistematicamente in campo intimidazioni, violenze generalizzate, pratiche vessatorie ed epurative che scandiscono la quotidianità di gran parte della popolazione italiana.

Un clima che sembra essere ben restituito da un rapporto inviato il 24 febbraio 1946 dal comandante dei Carabinieri di Udine al Ministero dell'Interno e al Comando Superiore dell'Arma, avente come oggetto la "situazione in Venezia - Giulia". Il documento fornisce una dettagliata panoramica di quanto avvenuto in alcune città dell'Istria a pochi giorni dall'arrivo della Commissione Internazionale per la definizione dei confini: a Rovigno la popolazione "vive sotto il terrore delle foibe e del filo spinato", a Isola d'Istria "in previsione dell'arrivo della Commissione", gli abitanti dipingono sui muri cittadini una scritta recitante la frase "vogliamo pace, pane e lavoro", che però, giudicata "reazionaria e fascista" dai dirigenti jugoslavi, viene sostituita "con slogan inneggianti alla federazione jugoslava". E, ancora, a Momiano di Buie d'Istria, nei pressi di Pola "elementi dell'OZNA, arrestano e deportano la gerente postale del luogo perché accusata di sentimenti italiani", mentre nella Zona B, "in previsione dell'arrivo della Commissione interalleata, l'attività propagandistica slovena è aumentata". [PCM, Archivio UZC].

In breve tempo la popolazione italiana vede improvvisamente scorrere davanti ai propri occhi una realtà sconosciuta, dalla quale sperare di liberarsi in fretta e con la quale è impossibile convivere. Un mondo nuovo, che deve fare i conti con l'eredità della guerra che in Istria, così come nel resto della Jugoslavia, lascia una situazione economica desolante fatta di terreni coltivabili gravemente danneggiati, impianti industriali distrutti e infrastrutture demolite. Per una rapida ripresa, il governo di Belgrado mette in campo tutte le risorse disponibili, prima tra tutte il massiccio ricorso alla rebota, il lavoro volontario, da svolgersi nei giorni festivi e attraverso il quale ogni cittadino deve contribuire alla ricostruzione del paese che, contemporaneamente, è al centro di un'imponente riforma agraria basata sulla collettivizzazione delle campagne, e il cui obiettivo è quello di portare la Jugoslavia alla piena autosufficienza in campo agricolo. Gli italiani si trovano così proiettati in un contesto del tutto differente rispetto a quello che ha caratterizzato gli anni precedenti, nel quale le difficoltà sono acuite da una quotidianità scandita da file interminabili nei negozi e nelle botteghe per accaparrarsi generi di prima necessità, da assenza di prospettive per il futuro e da una fame i cui livelli raggiungono quelli degli anni della guerra e alla quale il regime titino cerca di fare fronte attraverso l'introduzione della zimica, una tessera assegnata ad ogni cittadino che, per la bassa quantità dei razionamenti concessi, tanto ricorda la precedente annonaria fascista.

Una situazione delicata, sulla quale irrompe la forza d'urto della politica titina, che attraverso provvedimenti volti a "ridurre ulteriormente il potere economico, sociale, commerciale e culturale della comunità italiana" [M. Orlic, 2008], fa maturare in essa un sentimento di estraneità e spaesamento nei confronti di una terra da sempre considerata come patria, trasformatasi in un luogo distaccato e incompreso, nel quale appare sempre più difficile restare mantenendo la propria identità.

Un vero e proprio processo epurativo coinvolge innanzitutto l'apparato burocratico e amministrativo che vede l'allontanamento della componente italiana, sostituita da un ceto dirigente composto da personale fidato giunto direttamente dalla Jugoslavia, dalle strutture della pubblica amministrazione di ogni grado e livello. Una strategia messa in atto dal governo di Belgrado con il duplice intento di escludere la classe dirigente italiana, e di rafforzare il proprio potere, ponendo in condizioni di non nuocere coloro che sono ritenuti un ostacolo al nuovo corso politico.
Ad essere interessata dalle politiche repressive jugoslave è anche l'identità culturale degli italiani, colpita al cuore attraverso i suoi principali punti di riferimento: gli insegnanti e il clero.

Il punto di rottura per le scuole italiane dell'Istria si registra tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta. Un periodo contrassegnato da due eventi che causano la progressiva chiusura di molti istituti di lingua italiana: il decreto emanato nel 1952 dall'Ispettore generale per la pubblica istruzione jugoslava Anton Perusko, che prevede il trasferimento nelle scuole croate e slovene di tutti gli studenti il cui cognome risultasse, anche vagamente, di origine slava e l'esodo nel 1954 di gran parte del corpo docenti italiano dopo la firma del Memorandum di Londra. Una campagna dai toni altrettanto accesi è diretta verso i sacerdoti italiani che rappresentano per le comunità italiane dell'Istria un importante polo aggregativo. Lo stato jugoslavo interviene sulla dimensione collettiva del culto limitandone la pratica al solo interno della chiesa, eliminando festività religiose molto sentite dagli italiani come la Pasqua e il Natale (proibendone la celebrazione), e abolendo ogni ritualità pubblica, prime tra tutte le processioni e le celebrazioni dei santi patroni.

Un processo di delegittimazione ed eliminazione del mondo precedente che passa anche attraverso la sua negazione nell'espressione pubblica: cambia la toponomastica che ora indica con nomi slavi, subentrati a quelli italiani, vie, paesi e città, nelle quali si assiste alla rimozione e in qualche caso all'eliminazione di opere d'arte e i monumenti, simboli della passata presenza italiana.

Testimonianze

[Quello della foiba] era un racconto di ineluttabile disgrazia. Dicevano: l’han preso e l’han ... [Leggi tutto]
[Quello della foiba] era un racconto di ineluttabile disgrazia. Dicevano: l’han preso e l’han buttato in foiba, ma senza motivazioni. La foiba veniva raccontata come un atto di odio e di eliminazione del nemico. Ci sono vari episodi tragici di famiglia: un cugino di mia madre, che faceva la guardia all’acquedotto ed era vestito con l’uniforme dell’esercito italiano, è stato preso dai partigiani ed è stato buttato nella foiba. Quindi c’è questo episodio familiare proprio di un parente buttato dentro la foiba, nella foiba di Pisino che non è lontano da Montona. [Delle foibe] si sapeva. Il racconto di infoibati era un racconto molto frequente, anche perché moltissime famiglie avevano persone coinvolte in questa disgrazia, per cui si sapeva. Però la foiba era legata all’arrivo dei titini, quindi sono i titini che prendono le persone e le buttano nelle foibe, non sono né i tedeschi né l’esercito italiano. Quindi la foiba è legata esclusivamente a una persecuzione o a un odio o a un’azione - diciamo così - mirata a colpire non so bene se gli italiani o i fascisti, a dir la verità. Anche perché la popolazione era fascista per destino di nascita, non per scelta, perché mica l’aveva scelto, se lo son trovati il regime. Vivevano con quello perché probabilmente pensavano che non ci fosse alternativa a quello, ecco. Quello che più ci ha colpito è la storia di questo nipote di mia madre. Però non è che venivano infoibati qualsiasi, cioè non è che prendevano uno e dicevano adesso lo buttiamo dentro. [Venivano uccisi] quelli che loro ritenevano legati o più legati al nemico, ecco, [come] questo ragazzo, che faceva la guardia, da solo, con un fucile mezzo scarico all’acquedotto, [ed è stato] preso ed infoibato.
Giuseppe M.
[Delle foibe posso dirle] come me l’hanno raccontata: [mi dicevano] questa cosa che la gente ... [Leggi tutto]
[Delle foibe posso dirle] come me l’hanno raccontata: [mi dicevano] questa cosa che la gente spariva all’improvviso. Lo vedevi parlare e poi questo non c’era più. Però tutti stavano zitti, perché o ti mettevi insieme, [però] come facevi a organizzarti che eri sotto questa pressione, che non ti potevi fidare di nessuno? Non sapevi di chi fidarti, quindi ognuno si chiudeva nel nucleo in casa. Ad esempio, c’era una signora che era poi nei campi con noi, che è andata via con due figli. [Era] una donna giovane, il marito glielo hanno preso e glielo hanno portato via. [Cosa c’era] dietro alle foibe io glielo dico chiaramente: è il discorso di Tito, che si è messo con sti serbi e che volevano sta apertura sul mare, e hanno depurato tutta questa gente. Perché noi non siamo italiani, noi siamo gente del posto, eravamo gente pacifica perché diciamo che quelli che erano i fascisti se ne sono andati via subito, non hanno aspettato il ’50 o il ’53 o il ’56 Dalla mia famiglia queste cose [delle foibe] son saltate fuori [dopo]. Che la gente spariva si [lo sapevo], però delle foibe no. L’ho saputo poi qui in Italia. Di gente ammazzata ho saputo, tanta gente ammazzata. Perché non so, è venuto un ragazzo, un vicino [di casa], era un ragazzino che era fascista lì, così, ma ragazzi sbarbatelli...E son venuti e lo hanno ammazzato lì, vicino casa. E questo creava proprio dolore, diceva mia mamma, al di là dell’ideologia: sapere che un ragazzo è stato ammazzato così giovane... E quindi sentivo di gente che veniva trovata ammazzata - [di questo] mia mamma mi raccontava -, che venivano portati via si, però delle foibe io non sapevo nulla.
Rita L.
Ah... Io delle foibe non ho mai voluto sentir parlare, e ne ho sentito parlare per la prima volta ... [Leggi tutto]
Ah... Io delle foibe non ho mai voluto sentir parlare, e ne ho sentito parlare per la prima volta da un mio amico. Noi avevamo una foiba lì vicino per andare a Cantrida, che sarebbe la parte bassa [di Fiume] mentre noi stavamo sopra. C’era una foiba, però non se ne parlava. Però mi son fatto un’idea, [e cioè che] molti son stati innocenti, ma qualcuno è stato toccato perché aveva delle appartenenze, perché questo mio amico mi diceva che all’inizio gli italiani hanno infoibato i croati, e poi c’è stato un seguito, si sono contraccambiati!
Giuliano K.
[Delle foibe] ne avevo sentito parlare da mia nonna, [nei termini] che erano i titini che ci ... [Leggi tutto]
[Delle foibe] ne avevo sentito parlare da mia nonna, [nei termini] che erano i titini che ci buttavano dentro. Cioè, la cosa generale era che cercavano uno, cercavano l’altro... Erano fascisti, però bastava anche essere italiani, era dura. Nel dopoguerra, appena finita la guerra, c’era una paura forse più [grande] di quando c’era la guerra. C’era le rivalse: quello che ho subito, adesso te lo faccio pagare a te cosa significa. Delle foibe se ne parlava, però non in termini che sappiamo oggi che sono a Trieste, Basovizza... Si parlava di qualche cosa lì vicino [come] Montona, Rovigno o quelle zone lì, ecco. Li prendevano di sera: col buio venivano fuori i titini, giravano per le case degli italiani e se vedevano qualcuno che secondo loro era cattivo, oppure anche il figlio [di qualche persona da loro ricercata] ti prendevano e non tornavi più. Quello si raccontava... Si raccontava che venivano anche legati, però nessuno ha visto, c’era [solo la] voce, anche perché tutti avevano paura di parlare, c’era molta paura.[Alla base di questo c’era] la pulizia etnica, non c’era altre cose. Secondo me la colpa era di essere italiani. Poi, [è] chiaro che qualcuno si sarà anche macchiato di nefandezze, perché indubbiamente [ci furono delle nefandezze]. Questo succedeva, però io sinceramente ho vuoti di memoria, non è che sono reticente, [è che] non me ne frega niente dopo sessant’anni!
Guerrino B.
[Delle foibe] è logico che si sapeva. Quando sono venuti i titini han portato via quei quattro ... [Leggi tutto]
[Delle foibe] è logico che si sapeva. Quando sono venuti i titini han portato via quei quattro fascisti che [c’] erano [a Valle] a calci in culo e a botte. Marito e moglie li hanno legati uno con l’altro e li hanno portati via. Non so in che foiba li hanno portati - se a Pisino o dove - ma si sapeva della foibe. Però a Valle erano solo due o tre che li hanno portati via, non erano tanti. [Hanno portato via] proprio i più sfegatati, quelli che erano delle spie sotto i tedeschi, o almeno dicevano così. Io poi queste cose non le so bene, anche perché non ci interessavano neanche.
Pietro S.
Nessuno era a conoscenza [delle foibe]: mancava la gente e non si sapeva dove sono. Il fatto delle ... [Leggi tutto]
Nessuno era a conoscenza [delle foibe]: mancava la gente e non si sapeva dove sono. Il fatto delle foibe è saltato fuori dopo, non si sapeva niente, perché c’era l’occupazione tedesca, e chi sapeva? Si sapeva così, da una voce all’altra: manca il tal, manca il tal. Stanotte sono andati a prendere Giovanni - per dire - Antonio. E dove li portano? Mah? E chi, e come e cosa? Quando è finita la guerra, nel 1945, allora lì si è saputo. [Anche se] c’era chi sapeva che lo facevano, ma anche per paura stava zitto. Ma noi, il popolino, non sapevamo queste cose. Poi son venute fuori, che è stata una botta! Perché li buttavano nelle foibe, c’è poco da dire. [Succedeva] di notte... Io non ho mai visto nessuno che di giorno va in casa di un altro a [prendere le persone]. Se facevano, facevano di notte. E la famiglia, anche, parlava poco. Le milizie slave, di notte. Queste son cose che si sentivano e tutti sapevano, ma stavano zitti. [Le foibe] è una cosa complicata, perché era un odio già fermentato. Ma non è che finita la guerra era finita la guerra, era una rivoluzione dopo, perché se io avevo dato una volta uno schiaffo a lei, lei cercava di darmene dieci, capisce? C’erano dei responsabili, cioè erano fascisti, ma la morte che hanno fatto non se la meritavano. Io so di gente, [che ai] vecchi e [agli] anziani, li davano l’olio di ricino, e in cambio dell’olio di ricino li hanno presi e li hanno ammazzati. E’ stato proprio anche un odio personale. A mio parere.
Gina P.
Alla notte prelevavano della gente, li portavano nei boschi e qualcuno anche lo uccidevano: se uno ... [Leggi tutto]
Alla notte prelevavano della gente, li portavano nei boschi e qualcuno anche lo uccidevano: se uno sapevano che teneva alla parte dei fascisti, allora intervenivano i partigiani perché non volevano, come era da qui. Ne avrà sentito parlare, era come da qui. Le foibe... Specialmente nel mio paese ce n’erano tre, distanti quattro o cinque chilometri dal paese. E c’era ste foibe [che erano] talmente profonde, che se uno andava dentro non tornava più, oppure lo gettavano. [Delle foibe] lo sapevamo, si! C’era i partigiani che gettavano i fascisti, e quando i fascisti capitava, prendevano i partigiani e gettavano i partigiani. Era un cambio così. Nelle foibe ci andavano, ma in quelle foibe di Valle penso di no, perché non c’era gente cattiva, almeno lì in paese tra i valligiani, non c’era gente cattiva. Ma nelle foibe della Jugoslavia si. Ah, lì nelle foibe di Gimino, Pisino, in quelle foibe lì c’è n’era della gente, ma tanta. Almeno dicevano così, poi la gente parlava, la voce correva da uno all’altro: sai lì, nella foiba di Gimino, Pisino, hanno gettato tanti fascisti. Dicevano così.
Giovanni R.
A mio papà gli hanno ucciso dodici parenti, non fratelli, cugini: dodici della famiglia di mio ... [Leggi tutto]
A mio papà gli hanno ucciso dodici parenti, non fratelli, cugini: dodici della famiglia di mio papà, del mio stesso cognome, sono spariti! Una maestra, nostra [parente], la Matilde, lei l’hanno trovata in mare con tutti i vetri [conficcati nella pelle], neh! Buttata in mare e piena di vetri... Tutti i parenti di mio papà sono stati dispersi, non si sa che fine hanno fatto... Li portavano via nella barche. Questa mia cugina maestra, era una maestra che insegnava nella scuola italiana e l’hanno portata via. Una mattina sono venuti a prenderla, l’hanno portata via e non abbiamo più scoperto [nulla di lei]. Dopo qualcuno ha visto che l’hanno trovata in mare. Così, da noi [a Zara] sparivano senza foibe, li portavano via e non si sapeva che fine facevano. Dopo erano morti... [Alla base di tutto] c’era l’odio, perché non volevano avere da fare con gli italiani. Noi eravamo italiani, capisce? A scuola io mi sentivo italiana, io ho sempre parlato italiano e non potevo dire che son slava. Ci sentivamo italiani. Io ho sempre parlato italiano, vado da mia sorella e continuiamo a parlare italiano e coi miei figli parlo croato solo quando devo andare in un negozio, se no, no. E’ rimasto nel mio DNA.
Alma M.
Ecco, un particolare. Noi dove si viveva in periferia, avevamo [vicino] una casa dove vivevano i T. ... [Leggi tutto]
Ecco, un particolare. Noi dove si viveva in periferia, avevamo [vicino] una casa dove vivevano i T. che erano i proprietari e che avevano anche loro la fabbrica di Maraschino e commerciavano in granaglia. E noi si viveva accanto a un magazzino di questi T. E noi quando questi sono andati via, quando son scappati, eravamo come i custodi di questa casa. E la notte sono arrivati i partigiani, coi fucili. Io ero piccolo, avrò avuto sette anni forse. Battevano alle porte, chiedevano chi sei e chi non sei e avevano una lista anche di nomi da verificare. Noi non c’entravamo, però dicevano a mio padre: eh, tu sei il custode... Eh no, io non c’entro niente - diceva lui - io abito solo qui vicino, ma non è mia. E allora in quei termini lì ricordo questi flash, di chi riusciva a scappare... E poi invece di notte andavano a prenderli, e poi non si sapeva che fine aveva fatto la gente, se era riuscita a scappare o meno. E non c’erano le notizie di oggi coi giornali e tutto quanto. Era tutto riportato: mi ha detto quello là, mi han detto questa cosa qui. E allora non si sa la fine che tanta gente ha fatto. E’ sparita: o annegata o col fil di ferro, perché poi li han visti anche legarli col fil di ferro e buttarli a mare. Ecco, di questi che non sono riusciti a scappare...Parecchi invece son riusciti a scappare e han portato via anche i loro beni, e allora poi in Italia hanno ricostruito la loro esistenza.
Rino P.
Mi ricordo delle fucilazioni e che portavano via la gente di notte e che non tornavano più. I ... [Leggi tutto]
Mi ricordo delle fucilazioni e che portavano via la gente di notte e che non tornavano più. I partigiani venivano a prendere quelli che erano contro di loro, e li portavano via e non tornavano più. Di notte, sempre di notte venivano. [Una notte] hanno portato anche via mio padre, e mio padre ha detto a mia madre, che aveva quattro figli: stai tranquilla che a me non mi fanno niente, perché io non sono in quella lista. Non so in che lista era o in che lista non era... Io avevo sette o otto anni, e mi ricordo che lei piangeva. Piangeva [e diceva]: non tornerà più, perché la notte nera l’ha portato via. Invece dodici sono stati tutti fucilati, e mio padre non l’han toccato, perché ha detto che lui non era in quella lista. Questa lista non ho mai capito [cosa fosse], cioè se era dei partigiani o dei tedeschi, ma penso dei partigiani.
Adua Liberata P.
In quel periodo là c’erano le delazioni, [c’era] chi era pro fascisti e non pro fascisti, e allora ... [Leggi tutto]
In quel periodo là c’erano le delazioni, [c’era] chi era pro fascisti e non pro fascisti, e allora nel mucchio parecchi se ne sono andati. O avevano delle colpe perché erano fascisti, ma chi non era [fascista] in quel periodo là? La maggioranza lo era! E [poi c’era] chi non lo era, ma colpivano i vari esponenti [come] il farmacista, il proprietario, i Luxardo, che erano i proprietari della Maraschino, eccetera. Da noi non c’era la storia del Carso e delle foibe, [ma quella dei] massi nel mare: li legavano col fil di ferro e li han buttati nel mare e allora non si sapeva. Poi da noi c’era anche il fatto [di quelli] che scappavano con le barche in Italia: e allora chi riusciva a scappare dava poi notizie della sua riuscita di venire in Italia, [mentre] di altri invece non si sapeva nulla. Sono annegati? Son stati presi e fucilati? Spariti, insomma... E allora tanti anche sparivano. Dicevi: dov’è? Mah, ha cercato di scappare...
Rino P.
La paura c’è sempre stata, perché di notte, quando volevano fare del male, venivano a prendere per ... [Leggi tutto]
La paura c’è sempre stata, perché di notte, quando volevano fare del male, venivano a prendere per le case, li portavano fuori e li mettevano nelle prigioni. Picchiavano [alla porta] da prepotenti, uno andava a vedere chi era e prendevano la persona che gli interessava. [Prendevano] quelli che secondo loro collaboravano con i fascisti o con i tedeschi.
Giovanni R.
Raccontavano che si sentiva che sono entrati di notte a prenderli nelle case e li hanno buttati ... [Leggi tutto]
Raccontavano che si sentiva che sono entrati di notte a prenderli nelle case e li hanno buttati nelle foibe , quello si. [Delle foibe] si è sempre sentito, anche quando eravamo appena venuti [via] si sentiva. Però nessuno ne parlava, nessuno si manifestava su queste cose. Han lasciato morire tutte le persone anziane e poi è venuta fuori la storia dell’Istria, però è venuta fuori troppo tardi! Troppo tardi, perché han lasciato morire quelli che hanno sofferto, perché noi venendo qua, automaticamente siamo andati nel benessere. Non è che abbiamo poi sofferto noi. Hanno sofferto i nostri genitori, poverini: venire via di là, lasciar tutto e ricominciare poi da capo senza avere una forchetta e niente... scherza!
Aldina P.
C’erano dei camion [con] dei giovani che andavano sopra, che andavano via. Poi li hanno portati ... [Leggi tutto]
C’erano dei camion [con] dei giovani che andavano sopra, che andavano via. Poi li hanno portati persino a Trieste o in altri paesi dell’interno, che poi dopo c’erano le foibe. E che anzi mio marito, che aveva diciassette anni, come tutti gli altri giovani era andato nel camion, poi sua mamma che faceva la postina l’ha visto e l’ha fatto venire giù. [Sopra] questi camion c’erano tutti giovani che li portavano via. [Erano] tutti giovani, tutti giovani italiani. Li portavano via quelli che comandavano, i comunisti, subito dopo la guerra. [Delle foibe] ne ho sentito parlare nel ’46. In termini un po’ brutti, perché li han portati via e poi li hanno uccisi tutti, anche tanti di Rovigno.
Eufemia M.
Delle foibe l’ho saputo dopo, quando che ero al centro profughi. Perché [c’] era una signora ... [Leggi tutto]
Delle foibe l’ho saputo dopo, quando che ero al centro profughi. Perché [c’] era una signora proprio di dove che c’erano queste foibe, che mi ha detto che alla sera quelli che non morivano - sa, quelli che cadevano sopra un altro, magari sopra un altro corpo umano e salvava[no] la pelle - ha detto che si sentiva in paese persino, perché l’eco della foiba lo trasmetteva fuori come una tromba direi. Questi lamenti, queste robe. Ma noi delle foibe non abbiamo mai saputo niente, magari mio papà avrà saputo.
Elio H.
Sa come funzionava le foibe? Per esempio, venivano e qualcuno aveva magari un sospetto che uno era ... [Leggi tutto]
Sa come funzionava le foibe? Per esempio, venivano e qualcuno aveva magari un sospetto che uno era fascista, o cosa. Però si, bastava solo che dicevi qualcosa contro il comunismo o ti ungevano bene, ti picchiavano bene, o sparivi. Venivano di notte, andavi via e non sapevi più [niente]. C’era un ragazzo giovane, che mi ricordo che parlava mio padre con suo padre, e mio padre gli aveva chiesto: sai qualcosa di tuo figlio? Gli ha detto: no. E gli sono venute le lacrime a questo pover’uomo. [Però] si, certamente, lo si sapeva che venivano. Si sapeva e si guardava di stare zitti, si guardava di [non] parlare contro. Era proprio una dittatura. Venivano, lo prendevano via de casa e spariva, non si sapeva più niente. [Ad esempio] c’era una signora, era già sposata, era del mio paese, che aveva parlato... Lei era piuttosto più per il re Pietro, perché vivevano su a Maribor e qualcosa avevano detto e, insomma, per poco che non l’hanno buttata in foiba. L’hanno salvata.
Guido C.

Arriva un mondo nuovo: la Jugoslavia

Dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione se n’è andata, sono arrivati da tutte le parti ed è ... [Leggi tutto]
Dopo la seconda guerra mondiale, la popolazione se n’è andata, sono arrivati da tutte le parti ed è successo quello che è successo in tante parti d’Italia, per vari motivi. Cioè è successo magari di gente che ti arrivava nelle case eleganti e usava la stufa come tavolo, la vasca da bagno per piantarci la verdura e faceva, magari, il fuocherello sul pavimento coi mattoni, capisci? Cosa che proprio faceva stringere il cuore ai vecchi abitanti della città perché, ti puoi immaginare, c’erano palazzi elegantissimi dove magari andavano su [per le scale] con le capre e facevano il focolare in mezzo alla stanza. E poi è successo questo, [e cioè] che son state occupate, man mano, tutte queste case della città vecchia da famiglie. Ma loro [le autorità jugoslave] ti mettevano dentro il più possibile: più gente ci stava, più te ne mettevano. Non c’era una famiglia, mettevano più che potevano, perché avevano carenza di alloggi e la città era [stata] chiaramente bombardata. E allora tutta sta gente, che erano inquilini che pagavano pochissimo, non riparava i tetti, capisci? E allora cosa succedeva? Che mano a mano i tetti perdevano, cominciava a piovere all’ultimo piano di queste case storiche veneziane. E l’ultimo piano veniva abbandonato, e abitavano poi soltanto al primo e al secondo. E poi man mano, si spostavano e alla fine la casa veniva distrutta, veniva abbattuta! E buona parte della città vecchia, è scomparsa in questo modo: quello che non ha fatto la guerra, l’hanno fatto nel dopoguerra!
Adriana S.
Le case son state prese prima di tutto dagli slavi che son venuto dal vicinato della nostra zona, ... [Leggi tutto]
Le case son state prese prima di tutto dagli slavi che son venuto dal vicinato della nostra zona, perché a pochi chilometri c’eran gli slavi e son venuti a occupare le case belle di Valle. E quelli erano proprio comunisti, avevano proprio l’idea di mio papà. Poi, in un secondo tempo, sono state occupate dagli intellettuali croati, che son venuti da Zagabria e dall’interno della Jugosalvia. Allora le hanno prese per pochissimo e le hanno occupate e poi le hanno comprate quella gente lì.
Antonietta C.
[Con la Jugoslavia cambia] il modo di vivere. Ma poi vedevo la diversità nella lingua, nel parlare, ... [Leggi tutto]
[Con la Jugoslavia cambia] il modo di vivere. Ma poi vedevo la diversità nella lingua, nel parlare, oramai c’erano più croati. Si è cominciato ad accettare la sua lingua. Però i più vecchi, non l’hanno mai accettata, loro dicono: non capisco niente. Che a te ti viene da dire: ma dai, son sessant’anni che vivi qui e non capisci niente quando parlano?! Proprio non l’hanno accettata la diversità.
Anita B.
Cambiavano tutte le regole. Cambiava tutto il sistema, perché cominciavano a dire che non ci sarà ... [Leggi tutto]
Cambiavano tutte le regole. Cambiava tutto il sistema, perché cominciavano a dire che non ci sarà più la religione - e mia mamma era una donna di chiesa, lei tutte le messe, prime e seconde funzioni e ancora se ce ne fosse stato lei andava -, la gente si è spaventata un po’ per quelle cose anche. Poi anche per le campagne: incominciavano a dire che bisognava mettere tutto per le cooperative e allora uno che aveva tanta roba diceva: possibile, io c’ho la roba dei miei vecchi che non ha niente, e le cooperative... Cioè non entravano ancora nell’ottica che forse con le cooperative si poteva lavorare lo stesso. Cioè, la gente era spaventata anche per quello. Tutte queste cause. Però, sinceramente, non hanno fatto mai niente, non è mai successo niente. Io con le ragazzine lì intorno si giocava, si stava insieme lo stesso, come se non fosse mai successo niente.
Argia B.
Noi come contadini dovevamo dare ancora all’ammasso, alla Jugoslavia, alla cooperativa: si doveva ... [Leggi tutto]
Noi come contadini dovevamo dare ancora all’ammasso, alla Jugoslavia, alla cooperativa: si doveva dare il grano, si doveva dare tutto quanto, tutto l’anno. Perché venivano sulla trebbiatrice, quando si trebbiava: c’era il controllore, segnava quanti quintali di grano avevi fatto e tanto per persona ti spettava e tanto dovevi dare all’ammasso, alla cooperativa. Poi tante bestie avevi, tante le dovevi dare lì ogni anno. Poi cosa c’era ancora? Poi venivano per casa a controllare il vino, tutto dove che c’era il vino. E questo era [succedeva] il tempo dei primi anni di Tito, e allora la gente hanno incominciato a parlare, a dire che qua siamo peggio che il fascismo. Perché prima si, il raduno - lo chiamavano raduno - c’era, cioè il raduno delle bestie che si davano all’ammasso, ma però in questa maniera non c’era, e la gente cominciava a parlare. Ma non si doveva parlare perché c’era pericolo di sparire.
Guido C.
La Jugoslavia è un paese diverso dal nostro... Mi ricordo che diceva un parente, che gli avevano ... [Leggi tutto]
La Jugoslavia è un paese diverso dal nostro... Mi ricordo che diceva un parente, che gli avevano tolto tutte le campagne e gli avevano tagliato gli olivi perché [la sua terra]doveva diventare grano: insomma, hanno fatto dei disastri, e non gli permettevano più nemmeno di essere padroni delle proprie coltivazioni, si vede che gliene prendevano una buona parte. Non so, è stata dura... Per chi è rimasto è stata più dura che per noi: adesso, magari, stanno benino, perché col turismo e con un po’ più di apertura, [però] finché c’era Tudjman era terribile. Attualmente, [invece], vedo che si può parlare di tutto.
Assunta Z.
Son due mondi diversi. Solo che quel mondo del comunismo che conosciamo oggi, non si è manifestato ... [Leggi tutto]
Son due mondi diversi. Solo che quel mondo del comunismo che conosciamo oggi, non si è manifestato subito. Il mondo quando il regime jugoslavo comunista incominciò a fare i primi passi, era fatto di primavere, di scampagnate, di gite, di piante, di alberi, di frutta, di sogni, di amori e di speranze. Il mondo era quello, quella volta. [Il mondo era fatto] di lavoro che c’era per tutti, di sposalizi, di matrimoni. Quando diciamo mondo, attenzione! Parliamo del mondo dell’uomo comune? E’ questo il mondo dell’uomo comune, così incomincia l’uomo comune a vivere. Più tardi il sistema ha costruito il proprio regime, ma noi del regime, gli aspetti più tragici, non li abbiamo mai conosciuti. Perché ci è stato impedito di conoscerli. Quindi quel mondo era sempre presentato nella sua veste migliore, e qua è la beffa, qua è la fregature, eh, eh! [Ad esempio] io delle foibe non ho mai saputo nulla, e neanche del Goli Otok, dopo il Cominform. Ma [ho saputo], molti, molti anni dopo. Probabilmente avrei potuto trovare in Italia dei testi, dei libri che raccontavano la storia, ma, non so, non mi sono mai preoccupato di conoscere. Io non lo sapevo. Quei fatti là erano nascosti, e le vittime stesse che sono finite in foiba non hanno potuto raccontarlo, ma neanche i parenti potevano raccontare le cose. Sia per le foibe del primo periodo del ’43, che del secondo periodo dopo la fine della guerra. E poi a quelli che erano deportati a Goli Otok, era assolutamente proibito di parlare, correvano il rischio di tornarci se avessero raccontato le cose. Per cui, è proprio questa ignoranza dei fatti storici che permette al regime di sopravvivere senza nessun problema. Guarda, io seppi del doppio gioco che Tito ha fatto con l’Istria e con gli istriani, con gli italiani, coi partigiani e con i comunisti italiani, il doppio gioco del comunista per avere il consenso, la fiducia e la fede nel sistema, ed era invece anche nazionalista. Fortissimo nazionalista, al punto che lei lo sa che Miolva Gilas in un suo libro ammette, riconosce e confessa di essere stato mandato lui con Kardelij in persona - che erano bracci destri tutti e due di Tito - in Istria per effettuare la pulizia etnica, con tutti i mezzi più perfidi esistenti.
Claudio D.
Il titino lo ricordo col fucile che girava come ronda, perché ad esempio a una data ora non si ... [Leggi tutto]
Il titino lo ricordo col fucile che girava come ronda, perché ad esempio a una data ora non si poteva andare lì, e quello lo ricordo. Perché la mamma lavorava e noi aspettavamo lei che uscisse dal lavoro sulla scala del teatro Verdi e li ricordo i titini che camminavano con il fucile, con la sua baionetta ben tirata. Sporchi io li ricordo, ecco. Di loro mi ricordo bene. Oppure mi ricordo il 1 maggio o la festa della Repubblica, vedere quei due carri armati che avevano nel corso Italia vicino alla torre di Fiume che passavano e tutti che salutavano. Ecco, quello mi ricordo dei titini, mi è rimasto impresso bene, perché quello non l’ho dimenticato. Anche mia sorella più piccola che ha quattro anni in meno di me se lo ricorda.
Nirvana D.
Ricordiamoci che nella Russia, in cinquant’anni di comunismo, in un alloggio grande stavano anche ... [Leggi tutto]
Ricordiamoci che nella Russia, in cinquant’anni di comunismo, in un alloggio grande stavano anche due o tre famiglie, e loro era questo il sistema che volevano imporre a delle famiglie abituate ad avere la casa di sotto, di sopra le camere e sopra il solaio. Ora, non erano le famiglie dei tuoi vicini, o le famiglie di quello lì che ti è simpatico o antipatico ma che parla come te e che mangia come te, ma erano famiglie di gente che non aveva niente al loro paese, che non era tornata. Erano quelli che erano venuti a cacciarci via, e non potevano tornare a casa loro perché non avevano una casa, un lavoro o un’attività. Non avevano niente, quindi si fermavano nei nostri paesi e si impossessavano delle nostre cose. Quindi già gli dovevi cedere buona parte della casa. Ma non solo, non avendo mai lavorato nella loro vita, non potevano portare in campagna gli animali e accudirli, e lavarli e pulirli e dargli da mangiare: non erano capaci. Un motopeschereccio non lo sapevano pilotare, guidare, non sapevano come buttare le reti e come raccoglierle, non sapevano come alimentare le viti e quando fare il raccolto, dargli zolfo e farlo diventare vino. Questo lo dico perché negli anni successivi al nostro esodo, in Istria per vent’anni praticamente... L’Istria è stata disabitata, deserta e abbandonata. Se noi andiamo oggi in Istria, vediamo che da quindici anni a questa parte, sono state rimesse le colture delle viti, le colture degli ulivi e tutto quanto. E diciamo meno male, perché è una terra bellissima, è la nostra terra, anche se oggi è abitata da altri, resta sempre così.
Fulvio A.
Perché allora il pane si andava a fare nel forno, e lì non lasciavano più cuocere. Avevano chiuso ... [Leggi tutto]
Perché allora il pane si andava a fare nel forno, e lì non lasciavano più cuocere. Avevano chiuso tutto, e mia madre faceva un po’ di pane nella stufa, perché poi ci avevano dato anche i biglietti... Perché , alt, allora non si poteva lavorare, si doveva dare tutto al municipio.
Maria Mn.
[Passare dall’Italia alla Jugoslavia] sicuramente cambia. Addirittura mi hanno chiamato a lavorare ... [Leggi tutto]
[Passare dall’Italia alla Jugoslavia] sicuramente cambia. Addirittura mi hanno chiamato a lavorare in un ufficio, all’Istra Vino, che era la centrale di tutti i magazzini del vino dell’Istria, ed era sopra al grattacielo, al quarto piano sopra lo Standa, in piazza Regina Elena, nell’unico [grattacielo] che c’era. Io ero ragazzina e mi hanno chiamato: io ero di casa, cioè vestita da casa, e mi dicono: senti, sappiamo che tu sei una che sa parlare croato, sai battere anche a macchina? E io le dico: si. E mi dicono: senti, c’è un lavoro per te, vai subito. Mi danno il bigliettino e mi dicono di andare subito. [E io]: un momento, vado a casa, prima di tutto lo dico alla mamma, mi vesto, mi cambio e vado oggi pomeriggio. Va bene. Io sono andata, mi sono presentata e mi hanno preso in questo ufficio, non mi hanno chiesto niente, nessun documento, niente, mi hanno preso. E tutti nell’ufficio avevano paura di me, pensavano che sono dell’OZNA, e questo me l’hanno detto dopo. Ma io mai più, figuriamoci, ero tranquilla! E mi mettono, addirittura, non solo lì a tradurre le cose che bisognava tradurre e tutto quanto, ma mi passano nella stanza dove c’era il responsabile e dove portavano tutti i soldi. Dunque, quest’uomo aveva quarant’anni - io ero ragazzina -, e dovevo addirittura controllare lui e mettere la mia firma dopo la sua. E loro [i colleghi] lì avevano il terrore, [dicevano] questa qui è una di loro, ci spia. E io ero lontana mille miglia da questi pensieri. E un giorno mi danno una traduzione ed era piena di errori: già in italiano era piena di errori, poi figuriamoci. Allora vado in ufficio e all’ufficio c’era il capoufficio e dico: ma chi è quel disgraziato che ha scritto sta roba? E [lui]: ma perché ? Perché è piena di errori, è una cosa incredibile! Ma sono stato io. Ed era un operaio del Siluruficio, che siccome ha fatto il partigiano lo hanno messo capo ufficio lì. Che non capiva niente di italiano! Io mi son messa a ridere e lui: correggi, correggi! Eh, ho corretto e poi ho tradotto, ma era talmente piena di errori che non si poteva neanche tradurre.
Livia B.
Una cosa che mi aveva colpito è che io avevo fatto due anni di commerciali e avevo finito la terza ... [Leggi tutto]
Una cosa che mi aveva colpito è che io avevo fatto due anni di commerciali e avevo finito la terza a Gorizia, perché c’era i bombardamenti. E avevano messo la scuola serale, oltre che la scuola slovena. E io, per curiosità e interesse, ho voluto andarci alla scuola serale, e c’era un insegnante molto brava che però parlava sloveno, e io grazie a dio capivo abbastanza. E quindi, a un certo momento, io che avevo studiato la storia che si partiva da Roma, dai romani e roba del genere, loro partivano che loro erano stati ancora prima dei romani, e allora ho rinunciato e non ho più voluto andare a scuola. Ma come, pensavo, mi sconvolgono tutto?!
Romana B.

Clima politico e penetrazione del regime nella vita quotidiana

[L’OZNA] la si sentiva nell’aria, era una presenza opprimente, perché non eri libero, non eri ... [Leggi tutto]
[L’OZNA] la si sentiva nell’aria, era una presenza opprimente, perché non eri libero, non eri libero. [Faceva] tutto un po’ di nascosto, ma c’era, c’era.
Antonietta C.
Ricordo che mio padre era terrorizzato dall’OZNA. Erano tutti terrorizzati dall’OZNA, perché la ... [Leggi tutto]
Ricordo che mio padre era terrorizzato dall’OZNA. Erano tutti terrorizzati dall’OZNA, perché la gente spariva. Spariva proprio! Ma per dirti, mio padre lavorava Municipio ed era uno di quelli che si magari si arrabbia, si infervorano... Lui aveva un capo che era slavo, però era una brava persona, era molto simpatico, e quando mio padre incominciava a sbraitare contro i titini e contro questi jugoslavi che non capivan niente, l’altro andava a chiudere la porta e gli diceva S. stia zitto, stia zitto. Ovviamente in croato, perché mio padre parlava croato e anche mia madre parlava croato, non hanno mai avuto problemi, erano assolutamente bilingue. [L’OZNA] erano molto presenti... Io mi ricordo che per anni, [anzi] per decenni, mio padre quando passava quel confine tremava come una foglia, non riusciva neanche a firmare [i documenti]. Era tutto sudato e tremava. A lui i drusi, cioè i soldati che salivano sul treno, mettevano un’angoscia terrificante: aveva veramente paura. E l’altro zio - quello che se n’è andato [in Australia] a diciotto anni - è tornato a Fiume solo quando sono morti mio nonno e suo fratello, e quindi eravamo nel ’70-’71. Ti puoi immaginare... Non è mai più tornato, perché diceva: appena metto piede là mi arrestano! Il rapporto era molto duro.
Adriana S.
Era nella polizia, mio papà. Però non era capace a svolgere dei compiti, perché lì, nel ’46-47 era ... [Leggi tutto]
Era nella polizia, mio papà. Però non era capace a svolgere dei compiti, perché lì, nel ’46-47 era dura, la gente andava via, bisognava essere proprio cattivi: si confiscavano i beni. Allora se uno che stava vicino era il compare o, insomma, era un amico così che dovevi andare a casa, le confiscavi a loro o qualche cosa le portavi via... Non era una cosa piacevole, e mio papà questo non lo sapeva fare, e non lo voleva [fare]. E allora si è tirato fuori, ed è rimasto senza lavoro per cinque anni, perché non ha voluto lavorare lì. Bisognava prendere la tessera del comunismo - c’era la stella che mio papà non l’ha voluta - ed era senza lavoro. Poi nel ‘53 mio papà è andato a lavorare in un cantiere navale. Logico, lavoricchiava per qualche contadino - non è che stava senza lavorare -, però assunto come sotto lo stato non c’era possibilità, perché aveva rifiutato di essere [poliziotto]. Insomma, era dura. Eravamo due bambini, e allora era dura vivere con quel poco che si racimolava.
Anita B.
Sotto Tito non vedevano l’ora di andare via, e difatti siam scappati tutti. Siam scappati... Son ... [Leggi tutto]
Sotto Tito non vedevano l’ora di andare via, e difatti siam scappati tutti. Siam scappati... Son scappati loro, i miei.
Giuseppe S.
Era diventato asfissiante il clima politico, nel senso cha a un certo punto, tutto doveva essere ... [Leggi tutto]
Era diventato asfissiante il clima politico, nel senso cha a un certo punto, tutto doveva essere organizzato come voleva il partito. Non c’era una vita sociale autonoma, venivi inquadrato e basta. Il lavoro, si, andava bene, però dovevi stare attento a cosa leggevi, non potevi dire niente, perché a un certo punto incontravi chi riferiva ed era finita. Ma, voglio dire, nella Russia hanno fatto così, non è che ci sia stato molto diverso, eh!
Otello S.
A noi ci avevano dato una bandiera, di loro, di Tito - non so com’era - da attaccare sui vetri e ... [Leggi tutto]
A noi ci avevano dato una bandiera, di loro, di Tito - non so com’era - da attaccare sui vetri e guai se non la attaccavamo, le avevan detto a mia mamma: ti mandiamo all’OZNA, ti fuciliamo. Mia mamma ha detto: ah si? Io non la metto. Loro l’hanno messa, ma mia mamma ha lasciato tutto il tempo la serranda giù, non l’ha mai alzata. Noi avevamo amor di patria: siamo italiani, siamo sempre stati italiani, nelle scuole si parlava sempre italiano. Mia mamma, in più, parlava anche il tedesco - mia mamma era del ’15, eh! -, e quando sono entrati D’Annunzio e tutto, la gente aveva la bandiera italiana, e l’hanno sventolata, l’hanno messa per tappeto a quelli che sono entrati. [La bandiera] venivano loro [i titini] ad attaccartela dentro! E tutti noi della casa della Posta - chi non era ancora andato via - tiravamo giù le serrande. Non le abbiamo alzate, perché noi non siamo croati.
Fernanda C.
Dopo si è cominciato ad ammorbidire: nel ’57-58. Tito ha fatto un po’ più di moderazione, si è ... [Leggi tutto]
Dopo si è cominciato ad ammorbidire: nel ’57-58. Tito ha fatto un po’ più di moderazione, si è associato con tanti stati nel mondo, ha fatto debiti dappertutto, però si viveva meglio: si cominciava a costruirsi le case, si faceva il prestito - costava anche poco - e si è cominciato a vivere un po’ più adeguatamente.
Anita B.
Quando io facevo la prima elementare, quando andavo a scuola, noi quando arrivava Tito eravamo ... [Leggi tutto]
Quando io facevo la prima elementare, quando andavo a scuola, noi quando arrivava Tito eravamo contenti, perché si festeggiava, facevano dei regali. Se lui arrivava a Pola tutta la scuola andava in treno a Pola, aspettavamo che ci fosse la manifestazione, facevamo la ginnastica, come i fascisti! Coi fascisti io non l’ho fatta perché ero piccola, ma con Tito si, e quindi ai ragazzi piaceva! Nelle scuole, per esempio, quando c’era una festa ci si riuniva a teatro, e poi c’era musica. Ed eravamo tutti in divisa per andare alle manifestazioni. [Avevamo], mi pare, la camicia bianca, la gonna blu e il fazzoletto rosso. La bandiera, la bandiera jugoslava! E per esempio ci davano del latte e qualcosa a merenda, a scuola questo. E invece quando c’era il teatro, c’era qualche spettacolo, tutto impostato su Tito e su quello che faceva, sul bene che faceva. E venivano anche i genitori. Mia mamma veniva, mio padre no, perché era anche meno libero. Mia madre veniva sempre, con i bambini, venivano le mamme soprattutto. Poi ci facevano anche qualche regalino.
Adriana S.
[Ricordo] che io ho fatto due o tre mesi di scuole con la bustina bianca [cappellino] e la stella ... [Leggi tutto]
[Ricordo] che io ho fatto due o tre mesi di scuole con la bustina bianca [cappellino] e la stella rossa e ci davano le bandierine da sventolare. Mi ricordo sto fatto del cappellino e di ste bandierine che mi piacevano tanto, e chissà perché .
Bruno D.
Ricordo anche che a Dignano, per farci vedere che portavano l’allegria si mettevano a ballare ... [Leggi tutto]
Ricordo anche che a Dignano, per farci vedere che portavano l’allegria si mettevano a ballare tutti, e il ballo era il ballo del kolo, dove si abbracciavano e si giravano intorno. Boiate, insomma! Ma dico, ma per noi cosa sono ste pagliacciate!? Cioè, noi eravamo abituati a lavorare, e sodo, non a fare queste manifestazioni così, che non avevano nessun senso... C’erano delle adunanze che facevano nelle piazze e facevano dei comizi, dei lunghi comizi, lunghissimi. Li abbiamo visti danzare il kolo, il kolo di Tito lo chiamavano, una cosa pazzesca. Ecco, anche per la dignità che il nostro popolo aveva e ha tutt’ora, a vedere queste cose qui dicevo: ma cosa venite? Ma questa è civiltà?
Luigi D.
Quando sono entrati [i titini a Dignano], io mi ricordo mio papà. Lui era una persona di poche ... [Leggi tutto]
Quando sono entrati [i titini a Dignano], io mi ricordo mio papà. Lui era una persona di poche parole e come ha visto l’andamento dopo quindici giorni [che erano arrivati], che lui andava alle riunioni, ha visto delle cose, anche [da parte] degli stessi paesani che volevano essere un po’ più così [importanti], non è andato più né a vedere né niente. E - mi ricordo questo particolare - uno che era un comandante gli dice: Alessandro, perché Sandro non vieni più su? Ah, no, no, g’ho da far mi, non m’interessa più. Quel che g’ho fatto o fatto, gli ha detto. Non ne ha più voluto sapere niente mio papà. Lui ha aiutato, e dopo quindici giorni ha visto che non era per lui e via.
Olivia M.
Sulla nostra casa [a Parenzo] c’era una scritta [che diceva]: questa è una famiglia italiana e deve ... [Leggi tutto]
Sulla nostra casa [a Parenzo] c’era una scritta [che diceva]: questa è una famiglia italiana e deve andarsene! Questo [che l’aveva scritta] era un signore stalinista al massimo - adesso abita alle Vallette [qui a Torino] - era senza occhio, e mia nonna gli aveva detto: prova ancora a scrivere un’altra scritta così, e io ti cavo anche l’altro occhio! Però quando Tito ha voluto [rompere con Stalin], questo qui se n’è dovuto andare. Quindi vede la varietà di persone? Ma non è vero che noi eravamo una famiglia che dovevamo andare via, è che lui era invidioso. Era invidioso di quello che avevamo.
Rita L.
Sono entrati [a Rovigno] e dicevano compagni. E hanno iniziato a comandare loro. Mio marito l’hanno ... [Leggi tutto]
Sono entrati [a Rovigno] e dicevano compagni. E hanno iniziato a comandare loro. Mio marito l’hanno messo in prigione con altri panettieri perché ha detto che lui non vuole lavorare sotto Tito. L’ha detto dentro al forno, con gli altri operai. Lo hanno portato a Pola, in carcere. E mio cognato non le davano il passaporto: noi avevamo da partire la notte, e alle dieci di sera, c’era una zia di mio marito che era socia con uno del partito, e allora ha detto: è una vergogna metterne uno in prigione e l’altro lasciarlo qui! E alle dieci di sera le hanno dato il passaporto, così siamo venuti via tutti e tre.
Eufemia M.
Quando mi portavano a passeggiare con la carrozzina [sul] lungomare lì a Parenzo, se due o tre ... [Leggi tutto]
Quando mi portavano a passeggiare con la carrozzina [sul] lungomare lì a Parenzo, se due o tre persone parlavano insieme c’erano già tutte le spie. Li chiamavano, l’OZNA, e gli dicevano: cosa vi siete detti, cosa avete fatto... Cioè, hanno creato proprio un regime di terrore. Questo è vero, che c’era proprio questo regime di terrore. Poi la nostra casa l’avevano subito ben adocchiata e quindi siamo poi venuti via. Va beh, ma lei ste storie le sa meglio di me!
Rita L.
La propaganda titina era questa: vedrete, non si pagheranno più le tasse, staremo tutti bene, ... [Leggi tutto]
La propaganda titina era questa: vedrete, non si pagheranno più le tasse, staremo tutti bene, divideremo tutto. Della serie - che è giusto - la terra ai contadini, la fabbrica agli operai, che io lo sostengo, e anche i miei amici, quelli che sono ancora tosti e che non mollano! Si, c’era proprio questa propaganda, c’erano queste riunioni, obbligavano la gente ad andare e parlavano sempre di queste cose, di mettere tutto in comune, che tutti devono avere.
Rita L.
Mi ricordo quella dimostrazione ch’ei facevan. Loro venivano per fare vedere che sono tutti ... [Leggi tutto]
Mi ricordo quella dimostrazione ch’ei facevan. Loro venivano per fare vedere che sono tutti a favore di Tito: andavano con gli striscioni a Buie e Umago, là da noi, [mentre] a Parenzo e Rovigno non so com’era, ma credo che era uguale. E allora si andava con queste manifestazioni che facevano: vogliamo Tito, viva Jugoslavia, l’Istria è croata, vogliamo l’Istria, viva Lenin, viva Stalin. C’erano tutte queste scritte, si doveva scrivere sui muri e ancora adesso si trovano in certe parti queste scritte. Viva la Jugoslavia, viva Stalin, che quella volta c’era Stalin appena uscito. Poi dopo, nel ’48, c’è stato l’Inform Bureau per farlo cadere, per andare contro il regime e quella volta Tito si era messo un po’ staccato.
Guido C.
Non potevi far niente... Non potevi parlare, non potevi dire niente, se chiamavi qualcuno ti ... [Leggi tutto]
Non potevi far niente... Non potevi parlare, non potevi dire niente, se chiamavi qualcuno ti denunciavano, era un sistema di vita.
Giuliano K.
Ai bambini che andavano a scuola li mettevano il berretto con la stella rossa e via...I pionieri ... [Leggi tutto]
Ai bambini che andavano a scuola li mettevano il berretto con la stella rossa e via...I pionieri [li chiamavano]. Poi c’era l’OZNA e sa, dai oggi, dai domani e uno [quelli dell’Ozna] li conosceva: perché se erano croati non li conoscevi, ma se erano paesani poi si sapeva che quello è dell’Ozna, perché poi dopo non è che la cosa è durata un mese!
Gina P.
L’OZNA era la polizia politica che dettava legge, e allora le autorizzazioni, i permessi e l’andare ... [Leggi tutto]
L’OZNA era la polizia politica che dettava legge, e allora le autorizzazioni, i permessi e l’andare fuori città doveva essere autorizzato. Esci a fare cosa? Dove vai? Perché ? Ti chiedevano questo...Dovevi essere autorizzato e l’OZNA era onnipresente nelle fabbriche, nelle ditte...Ovunque c’era questo regime. Ma essendo i miei... Insomma mio padre era nel sindacato, era conosciuto e noi non eravamo oppressi rispetto ad altri che di questa cosa qua non potevano usufruire, ecco.
Rino P.

Episodi contro italiani

Hanno fatto di tutto perché la nostra gente evacui [andasse via], perché volevano impossessarsi di ... [Leggi tutto]
Hanno fatto di tutto perché la nostra gente evacui [andasse via], perché volevano impossessarsi di quei territori, e dovevi stare attento a dire una parola perché eri sempre spiato. Noi italiani siamo stati molto massacrati da questa cosa: io parlo di quelli più anziani, perché io ero una bambina, [anche se] capivo queste cose. Capivo che c’era sempre da stare attenti a una frase o cosa, perché eri sempre spiato da questa gente. E hanno fatto di tutto perché la nostra gente vada via, e son diventati padroni loro. Mia suocera - che era un austro-ungarica e che ha sofferto anche la prima guerra mondiale - diceva sempre che questa gente non aveva rispetto: hanno cambiato subito i nomi dei paesi. L’Austria, invece, era una cosa diversa, aveva più rispetto. Invece questi qui no, hanno proprio fatto di tutto perché la nostra gente andasse via. Secondo noi quelli lì che erano più cattivi erano i serbi, che erano i più caporioni perché erano tutti al potere i serbi. Avevano tutti la seconda casa sulla costa istriana o sulla costa dalmata, e loro hanno fatto di tutto per farla evacuare la nostra gente, per rimanere padroni loro.
Antonietta C.
Nel ’54 quando scoppiò il problema di Trieste e gli jugoslavi esigevano Trieste e la volevano ... [Leggi tutto]
Nel ’54 quando scoppiò il problema di Trieste e gli jugoslavi esigevano Trieste e la volevano incorporare - addirittura dicevano di voler fare una settima repubblica con Trieste capitale della settima repubblica -, fu già nell’ottobre del ’53 che esplose il problema, perché è allora che si firmò il Memorandum a Londra. Mi ricordo, io frequentavo il liceo scientifico, facevo, mi pare, l’ultimo anno, ed ero segretario della gioventù socialista del ginnasio, al liceo. Non so perché mi hanno fatto segretario, mah! Insomma, mi hanno fatto segretario e io accettai l’incombenza. Mi ricordo come oggi: scoppiò il problema [di Trieste], andai a scuola la mattina e trovai i muri dell’edificio del liceo scientifico imbrattati con scritte di colore nero - non so che cosa fosse, vernice nera - che dicevano più o meno così: fascisti tornatevene in Italia, a morte i fascisti, e cose del genere, contro di noi che eravamo rimasti. Ecco il regime, ecco il primo fatto che mi ricordo, veramente, in cui il regime fu un po’scosso nella mia idealità. Alla vista di queste scritte, io sentendomi nella veste di segretario dei miei giovani, responsabile di ciò che avremmo fatto o non avremmo fatto, mi recai nell’ufficio del preside - era il professor defunto Domenico C., bravissimo italianista, latinista perfetto -, e parlai chiaro: signor preside, ha visto le scritte fuori? Dice: si. E lui mi chiese: cosa ne pensi? Beh, intanto io mi sento offeso perché non sono fascista, e poi perché non ho fatto niente di male e voglio bene a questo paese, e terzo perché non ho nessuna intenzione di andare via anche io. E allora, cosa faresti? Se lei mi permette, io faccio una riunione coi miei giovani, e facciamo casino. Facciamo casino! Che casino? Beh, intanto andiamo a cancellare quelle scritte, è il minimo che possiamo fare, e poi vediamo di fare una manifestazione sotto le finestre del partito comunista cittadino. Al che il preside mi disse: Claudio, tu sei troppo giovane, tu non conosci la storia dell’Istria, tu non conosci la storia del fascismo, non conosci la storia del comunismo, non sai nulla della lotta popolare di liberazione di queste terre nella seconda guerra mondiale, e quindi non sai veramente - né tu, né i tuoi compagni - chi è amico del genere umano e chi è nemico del genere umano, chi è amico del popolo italiano e chi è nemico del popolo italiano o del popolo croato o sloveno. Io sono rimasto allibito e dissi: ma perché mi fa questa ramanzina? Per dirti una cosa sola: non muovete un dito, non muovete un dito se volete rimanere vivi. Ecco. Al che io veramente ho preso atto della lezione che mi ha dato, e noi non abbiamo mosso un dito. E quelle scritte son rimaste là finché non le hanno cancellate i croati stessi, non noi. Quando si sono un po’ rabbuoniti. Ma poi è successa un’altra cosa, che quel direttore là, quel preside là, dopo quei fatti non se la sentì più di rimanere con i rimasti, di svolgere il ruolo intellettuale e di dirigente e se ne andò a Zagabria a fare il lettore della facoltà di lettere per rompere tutti i contatti con la politica, benché fosse stato partigiano. Si sentiva, se non l’odio il disprezzo o l’essere messi in secondo piano, l’essere messi da parte, o non essere considerati. Quindi quel nazionalismo era palpabile, le manifestazioni di nazionalismo erano palpabili, ma non arrivavano al punto da mettere in crisi tutta intera la nostra personalità. Anche perché dovendo vivere un’esistenza, avendo una famiglia, avendo un lavoro, eccetera, eccetera, le cose più importanti erano la famiglia, il lavoro, i figli. Più tardi invece, quando scoprii veramente, che si trattava di una tradimento vero e proprio degli ideali più puri del comunismo - ideali che non erano solo quelli di Marx in poi, ma erano quelli della rivoluzione francese in qua: uguaglianza, fratellanza, democrazia, pace, eccetera, eccetera - fu un shock vero e proprio. Una delusione totale, profonda, al punto che io devo dirle, assolutamente, che oggi il comunismo come termine e come concetto è talmente - e devo ripeterlo - vituperato, talmente tradito, talmente sporco per questi doppi giochi che, veramente, non è più spendibile in nessun modo per me.
Claudio D.
La scelta di rimanere là è stata molto discussa nella famiglia tra mio cugino e sua moglie, perché ... [Leggi tutto]
La scelta di rimanere là è stata molto discussa nella famiglia tra mio cugino e sua moglie, perché avevano quattro bambini piccoli, e lui faceva il pescatore. Lui continuava a dire che in qualsiasi parte d’Italia non avrebbe potuto lavorare perché sapeva fare solo il pescatore, e mantenere quattro figli e la moglie... Lì lui aveva la sua barchetta e una barca un po’ più grossa, e lui ha fatto questa scelta. Però lui poi ha visto che non poteva pescare, che non ce la faceva, che non c’erano più neanche gli estremi e le possibilità, perché non li lasciavano più neanche uscire dal porto, perché in post bellico avevano paura e timore di tutto. Si è preso allora una pasticceria di uno di quelli che l’ha abbandonata: è stato bravo, ha lavorato e dopo tre anni che l’ha messa in piedi che funzionava e che si guadagnava lo stipendio gliel’hanno tolta per darla ad un altro. E allora lui, che nel frattempo la pesca si era riaperta, si è impossessato di un motopeschereccio che era di un nostro parente, e che era lì alla fonda che si stava deteriorando come tutte le cose che abbandoni, ha cercato motoristi, ha fatto tutto e ha rifatto ripartire questo motopeschereccio. Aveva la rete per pescare, che si chiamava saccaleva ed era lunga trecento metri e profonda settanta e che portava del pesce. Prima l’hanno obbligato a portare il pesce a chi governava perché lo mandava nella fabbrica del pesce che era lì vicino, e gli davano una giornata come a un lavorante. Poi quando la barca pescava, perché il mare istriano è sempre stato pescoso, gli hanno tolto anche la barca. Lui ha protestato, ha detto: ma io sono qua, vivo qua. Si, ma tu sei un italiano. Questa è stata la motivazione per cui non volevano che nessun italiano avesse nessuna attività di rilievo, proprio perché gli italiani rappresentavamo in quel contesto - cioè quelli che sono andati tutti via - le attività commerciali e il tessuto sociale.
Fulvio A.
Mio cognato era di Livorno, faceva il carabiniere lì [a Dignano] e quando è stato l’8 settembre lui ... [Leggi tutto]
Mio cognato era di Livorno, faceva il carabiniere lì [a Dignano] e quando è stato l’8 settembre lui lo hanno un po’ obbligato, si è messo la divisa fascista e faceva servizio a Pola. Poi quando è entrato Tito lui era lì, e poteva andarsene a casa, poteva andare via tranquillo. E’ arrivato a Trieste e ha detto: ma perché devo andare via, io non ho fatto niente, sono tranquillo. E [allora] è tornato al nostro paese, a piedi. E lì i titini lo hanno preso, e lui ha fatto anche il carcere:ha passato un po’ di cose sotto Tito mio cognato. Poi è uscito, lo hanno lasciato, perché era una persona onesta. E diciamo che lui lasciava qualche munizione a mio papà che poi lui le portava ai partigiani... Poi lui ha preso mia sorella, è partito per Trieste, l’ha portata a Livorno e si son sposati lì. E anche mio cognato, poverino, so che raccontava che quando era prigioniero coi titini non se la passava bene, perché erano sempre calcolati fascisti. [Era prigioniero] a Dignano, nel carcere di Dignano. Poi li hanno portati sempre a Dignano in un magazzino dove c’era le case di grandi possidenti.
Olivia M.
Ricordo [che] prima di andare via, abbiamo fatto le cosiddette votazioni, le opzioni. Ricordo che ... [Leggi tutto]
Ricordo [che] prima di andare via, abbiamo fatto le cosiddette votazioni, le opzioni. Ricordo che quando mio padre doveva votare, c’era questo seggio - chiamiamolo così - che era all’ingresso della pretura, e avevano due cassette con due grandi fori, e davano una pallina di gomma [di un colore diverso] a seconda se eri per Tito o per l’Italia. Allora mio padre doveva andare dentro due volte, nella prima urna e nella seconda, e lasciar cadere la pallina, ma sti disgraziati erano dietro, e quindi sapevano per chi votava e veniva segnalato! E dico: ma cosa, ci prendete proprio per dei cretini! Si votava in questo modo!
Luigi D.
[C’]era a Fasana una fabbrica di sardine, dove lavorava anche mia sorella. Poi i titini ci hanno ... [Leggi tutto]
[C’]era a Fasana una fabbrica di sardine, dove lavorava anche mia sorella. Poi i titini ci hanno fatto la ginestra - una pianta verde che fa dei fiori gialli - hanno fatto una fabbrica di ginestra. E io ho lavorato un anno lì, dai quattordici ai quindici anni, poi però mi hanno licenziato perché ero optante. [Dicevano]: tu non hai diritto di lavorare qua perché hai optato per l’Italia, sei un italiana. E allora ci hanno licenziato, eravamo in tre.
Olivia M.
A scuola era obbligatoria un’ora di croato, noi scappavamo via tutti, non li potevamo vedere, no? ... [Leggi tutto]
A scuola era obbligatoria un’ora di croato, noi scappavamo via tutti, non li potevamo vedere, no? Perché son venuti dentro, ci hanno portato via tutto... Ad esempio in questo corso [di Fiume] c’era una gelateria e questo qui faceva il gelato, era arrivato con il carrettino, e aveva delle ricette buonissime. E piano piano, con la gente che passava, che sapeva che aveva il gelato buono, si era fatto una specie di bar. Sono arrivati loro... Arrivavano e dicevano: da oggi se vuoi stare come operaio, come garzone o come cameriere va bene, d’ora in avanti non è più niente tuo. Questo qui è andato a casa,si è buttato giù e si è ammazzato. Perciò anche mio padre era così, non ha potuto toccar niente, lavorava, doveva star zitto e basta. Entravano così, capito?
Franco S.
Dopo la guerra, lo ricordo bene, a me dicevano: tu sei figlia di fascisti! Per tante cose ci ... [Leggi tutto]
Dopo la guerra, lo ricordo bene, a me dicevano: tu sei figlia di fascisti! Per tante cose ci maltrattavano perché eravamo italiani, ma non tutta la popolazione, quelli che erano nel governo. Io mai dimenticherò... C’era una sorella di una mia zia, una mia zia acquistata [acquisita], che lei mi ha mandato fuori dalla fila, che con la tessera andavo a prendere da mangiare. Mi diceva: tu sei figlia di italiani, via da qua! Non mi davano neanche la tessera a me. Ma quella son gente che sono entrati nella politica durante la guerra, e poi dopo sono italianissimi più di me adesso, perché hanno tutti la pensione italiana!
Alma M.
A me mi è successo che dei parenti, oramai sono morti, mi odiavano - parenti da parte di mia mamma ... [Leggi tutto]
A me mi è successo che dei parenti, oramai sono morti, mi odiavano - parenti da parte di mia mamma - e hanno detto che volevano impiccarmi, sia a me che a mio marito, perché andavo via. Loro erano comunisti, erano comunisti forti, forti, forti! Io, nipote, mi dovevano impiccare in mezzo a piazza perché non ero comunista come loro. Io non ci tenevo.
Eufemia M.
Mio padre era anche di idee un po’ socialiste, ed è stato anche lui nel partito, aveva degli amici. ... [Leggi tutto]
Mio padre era anche di idee un po’ socialiste, ed è stato anche lui nel partito, aveva degli amici. Faceva il macellaio, però avrebbe avuto tutte le possibilità di studiare, perché i suoi avevano una macelleria di proprietà già dal tempo degli austriaci, perché lì, sotto gli austriaci, c’era Dio e Francesco Giuseppe! E lì si sono arricchiti mio nonno e mia nonna. Però mio padre nel frattempo gli avevano socializzato la macelleria, ma lui non aveva problemi, perché era un uomo buono, di idee socialiste. Però poi ha provato a entrare lì nel partito: lui aveva la sua macchina privata, andava nei mercati, sceglieva il bestiame perché poi lo davano alle caserme, ai ricoveri, eccetera. Però poi si è reso conto [delle difficoltà]. Mio padre parlava solo italiano, tra l’altro, e si è reso conto che non si poteva stare lì, perché c’era un regime. Cominciavano già [a esserci] sti capetti...Poi lui che parlava solo italiano, anche se aveva degli amici...Era capitato una volta che dei conti non tornavano, e mia madre mi raccontava che mio padre tremava. Perché lì potevi essere innocente quanto vuoi, ma se qualcuno ti aveva in odio [iniziavano i problemi]. Perché c’erano gli interessi privati sul bene pubblico.
Rita L.
[Con la Jugoslavia] cambia. Cambia che noi non parlavamo il croato e ci disprezzavano, perché noi ... [Leggi tutto]
[Con la Jugoslavia] cambia. Cambia che noi non parlavamo il croato e ci disprezzavano, perché noi italiani eravamo tutti fascisti, per loro. Era un disprezzo! Si andava in fila - perché era tutto tesserato, lo zucchero, questo e quell’altro - e un giorno mi son sentita dire: svinja taliana, porca italiana vai in Italia! Io ho capito, perché qualche volta, non che si imparava il croato perché era una lingua che non mi interessava, dovevo andare via e non mi interessava impararlo, ma le parole più crude rimangono. E io sapevo che svinja vuol dire porca. Allora mi sono rivolta a questa qua e le ho detto: si, io sarò porca italiana, ma andrò in Italia a mangiare e tu starai qua con Tito a crepare! E l’altra [mia amica] dietro di me [mi diceva] sta zitta, sta zitta! Perché poi allora avevano preso le redini in mano, i croati.
Gina P.
[I croati] sotto Tito ci guardavano malissimo, ed è per quello che poi dopo abbiamo dovuto venir ... [Leggi tutto]
[I croati] sotto Tito ci guardavano malissimo, ed è per quello che poi dopo abbiamo dovuto venir via. Ci guardavano male perché il comunismo voleva fare quello che volevan loro e noi non volevamo accettare. I miei genitori non accettavano di essere sotto Tito. Il quadro di Tito lì in casa mia mamma non lo ha mai voluto!
Aldina P.
Noi eravamo visti male: ricordo che dicevano italiano fascista e mi sputavano, i ragazzi. E io cosa ... [Leggi tutto]
Noi eravamo visti male: ricordo che dicevano italiano fascista e mi sputavano, i ragazzi. E io cosa sapevo cos’era il fascismo, chi era fascista? Io ho abitato sempre lì, son nato lì, i miei son nati lì... Ecco, c’era questa cosa qui, questo sistema qui che tutti gli italiani erano visti come fascisti, [mentre] in realtà al fascismo si aderiva perché obbligati o non obbligati. Si credeva in quell’ideologia, come io penso nel resto dell’Italia. Il 90% lo era e volenti o nolenti hanno accettato il regime.
Rino P.
Appena è venuto Tito, in un primo tempo c’erano insegnanti che parlavano un po’ italiano: c’era ... [Leggi tutto]
Appena è venuto Tito, in un primo tempo c’erano insegnanti che parlavano un po’ italiano: c’era qualcuno che è rimasto, perché son scappati via tutti, avevano già paura del comunismo. C’era qualcuno che era rimasto, e mi ricordo che il primo anno che sono andato a scuola era che si parlava ancora italiano, e allora si traduceva dall’italiano al croato. Però noi tutti giovani, il croato non lo sapevamo, perché , come dire, noi eravamo i figli del fascismo, perché sono arrivati nel 1921 e noi eravamo i primi bambini dell’Italia e allora si parlava italiano. Poi a Portole è andata avanti [ancora] per un po’di tempo la scuola italiana, per tre o quattro anni c’era ancora l’insegnante italiano, ma dopo lo han mandato via anche quello.
Guido C.

Fame

Non c’era niente, non c’era niente. Neanche l’ago da cucire. [C’erano] le tessere... Io ricordo le ... [Leggi tutto]
Non c’era niente, non c’era niente. Neanche l’ago da cucire. [C’erano] le tessere... Io ricordo le file. Ricordo le file che andavano alla notte in fila, o la mattina [presto] con il buio. Questa mia sorella più grande di me andava in coda per prendere un po’di stoffa, perché era tutto razionato, tutto razionato.
Antonietta C.
Bisognava andare a lavorare e, naturalmente, era peggio dell’annonaria fascista! Mia madre andava a ... [Leggi tutto]
Bisognava andare a lavorare e, naturalmente, era peggio dell’annonaria fascista! Mia madre andava a fare, poveretta, delle file, e quando lavorava, sul banco non trovava più niente. Non ti dico...
Otello S.
Ma, la povertà! Sono sincero, mi ricordo la povertà. Non c’era da mangiare! Durante l’estate si ... [Leggi tutto]
Ma, la povertà! Sono sincero, mi ricordo la povertà. Non c’era da mangiare! Durante l’estate si andava a raccogliere le spighe in campagna per sopravvivere, per fare quattro cinque chili di grano, per sopravvivere. E come dico, andavamo ad aiutare i contadini che ci davano qualche cosa di farina, lardo, qualche pezzettino di cose per sopravvivere. Io andavo a scuola, e quando andavo a scuola si andava addirittura a raccogliere dei pini. Questo parlo del ’46, che si andava a raccogliere i pini per la semenza, per prendere i semi, che poi li mettevamo nei forni e facevano i semi per piantare poi delle piantine.
Renato L.
Il direttore [dell’ufficio] un giorno mi ha chiamato dentro [in ufficio] - perché lui non parlava ... [Leggi tutto]
Il direttore [dell’ufficio] un giorno mi ha chiamato dentro [in ufficio] - perché lui non parlava italiano - e mi ha detto in croato: perché vuoi andare in Italia? Perché non vedo l’ora di mangiare pane bianco e qualche frutto, qualche banana e qualche arancio, che non ne posso più. Ma si, ne avremo anche noi e stanno ancora adesso aspettando! Gli ho detto no, io non vedo l’ora. Ma si, ma dai, ma resta qui. No, no, mi dispiace ma io vado via. Cinquanta volte me l’ha detto di restare!
Livia B.
Ero piccola, ma dovevo andare a fare la fila per il pane. Eravamo cinque bambini, e mio padre ... [Leggi tutto]
Ero piccola, ma dovevo andare a fare la fila per il pane. Eravamo cinque bambini, e mio padre doveva lavorare in campagna. [A fare la fila] andavo con mia zia, e lei faceva la fila per me, mi teneva il posto. Perché andavo a fare la fila per il pane e per la carne. Perché avevamo delle galline, e mia mamma a fare la fila non andava, perché aveva da fare, e mio padre stava in campagna a lavorare.
Maria Mn.
Noi da Torino dovevamo mandarle di tutto. Perché era rimasta una sorella di mia mamma giù, e ... [Leggi tutto]
Noi da Torino dovevamo mandarle di tutto. Perché era rimasta una sorella di mia mamma giù, e dovevamo mandarle anche gli aghi per cucire, tutto. Perché non c’era niente, per anni è stato così. Per parecchi anni non si trovava niente. Non si trovava niente tranne che i cioccolatini, io ho mai mangiato così tanti cioccolatini! Ah, non lo so [perché ]! Cioccolatini e caramelle. Mi ricordo che allora si sapeva che si doveva venire via, e allora mia mamma mi lasciava più di un soldo e ho mangiato tanti di quei cioccolatini che andavo a comprarli! Ecco, quello c’era.
Argia B.
Ah, mancava tutto! Mancava tutto, non c’era [niente]. [C’era], loro la chiamavano deche. Pigliavano ... [Leggi tutto]
Ah, mancava tutto! Mancava tutto, non c’era [niente]. [C’era], loro la chiamavano deche. Pigliavano col buono, andavi a prendere da mangiare la roba [con la tessera], non potevi comprarla. A Spalato dico a mia mamma: mamma, dammi roba civile. E lei: non ce l’ho, figlio mio. Hanno bombardato una nave, ed era piano di soldati italiani che correvano per strada nudi, e la gente gli dava [roba]. La mia mamma gli ha dato tutta la roba mia e di mio fratello, e allora io dico a mia mamma: come faccio? Ho tolto i gradi - il triangolo qua - e andavo in divisa. E siccome quando sono venuti i partigiani facevano capo case e capo via, una capo via dice a mia mamma: perché suo figlio va in divisa? E lei dice: signora mia, non so cosa dargli. E allora lei - la capo via - le ha dato un buono, un buono di andare a comprare la stoffa per fare un vestito. E difatti io questo vestito ce l’ho ancora in cantina in un cassone! [Però] tutto mancava, tutto mancava, tutto. Se non ti davano il permesso di comprare qualche cosa non potevi comprare. Mangiare c’erano le deche, loro le chiamavano deche, e col buono te andavi a prendere tanto, cioè loro decidevano quanto. Quanti eravate in famiglia [prendevi] tanto pane e altre robe, tutte tessere. Ma poco, poco, mancava. [C’]era fame, eh!
Giovanni R.
Io ricordo ancora che qui in Italia non è che si stesse bene subito dopo la guerra, però mi ricordo ... [Leggi tutto]
Io ricordo ancora che qui in Italia non è che si stesse bene subito dopo la guerra, però mi ricordo i pacchi che mia madre mandava a una sua cugina che stava dall’altra parte, perché non avevano niente. Mi diceva, questa cugina, che la riempiva le magliette, roba usata anche. Le riempiva i taschini delle magliette di filo e di aghi, perché non avevano niente, né ago e né filo, una miseria assoluta c’era in Jugoslavia in quel periodo, ma veramente tanta! Poi la terra che nessuno la lavorava, non c’erano commerci, era tutto nazionalizzato.
Anna Maria P.
C’era un po’ di carestia: insomma, nei negozi non è che trovavi tutto. In più, avevi ancora di ... [Leggi tutto]
C’era un po’ di carestia: insomma, nei negozi non è che trovavi tutto. In più, avevi ancora di queste minacce... Che poi non eran tutti che minacciavano, per l’amor di dio, perché bisogna sempre distinguere tra l’imbecille e quello che è un po’ più imbecille dell’altro. Però noi non ci faceva piacere stare e parlare slavo. Almeno, io parlo per me: a me parlare slavo, proprio non mi è mai andato.
Luigi B.
[Dopo la guerra] peggiorava tutto: non c’era lavoro, non c’era [niente] da acquistare... Mia mamma, ... [Leggi tutto]
[Dopo la guerra] peggiorava tutto: non c’era lavoro, non c’era [niente] da acquistare... Mia mamma, ed è una cosa che ricordo bene, ancora verso il ’49-’50, faceva tutta la notte di coda davanti al negozio per comperare una pentolina; poi magari non riusciva a prenderla perché ce n’erano poche! Mi ricordo mia madre che andava con le amiche, ci avvisava a noi e mio papà: guardate che vado a far la coda lì. Oppure anche per i medicinali, che anche lì bisognava fare la notte per avere qualche medicinale, se si riusciva a prenderlo. Perché c’era poco: e infatti mia madre è anche per quello che ha deciso di partire, era troppo faticoso. Poi ricordo anche] che in quel periodo c’era il contrabbando con Trieste: si andava a Trieste, oppure si passava il confine e si corrompeva qualcuno. Non i miei, perché noi non avevamo soldi, non avevamo denaro, ma chi Si [corrompeva] alla dogana e si poteva portare dentro qualsiasi cosa da Trieste. O portavano dei prosciutti, quelli istriani, che erano e sono rinomati anche adesso, oppure si portavano altre cose che i doganieri lasciavano passare sia all’andata che al ritorno. E quindi si andava sia a vendere che a comprare, uno scambio.
Adriana S.
Fame c’era... Perché c’era la fame? Perché non c’era un’iniziativa privata, e allora una ... [Leggi tutto]
Fame c’era... Perché c’era la fame? Perché non c’era un’iniziativa privata, e allora una cooperativa, o fai dieci o fai niente, ma cosa mi interessa a me? Ulivi, una volta, non c’era in Istria, [mentre] adesso va in Istria e vede ulivi a non finire. Quel che ha lasciato l’Italia è rimasto, ma poi niente. Adesso vede delle distese di viti, di vino, ma prima niente. Non c’era iniziativa privata, perché quelli che lavoravano in cooperativa, lavoravano e basta, avevano il suo stipendio e bom. Non era, insomma, più faccio e più prendo, o faccio o non faccio in negozio. Un negozio che vendeva calze, o vendeva calze o non le vendeva [non interessava]. Calze, maglie, pane, io andavo in negozio e non c’erano. Io andavo in negozio [ e chiedevo] c’ha del pane? Eh no, oggi non ce l’han dato, magari venite domani, andate a vedere in quel negozio. Avete delle uova? Eh, neanche oggi non ce l’han date. In quegli anni non c’era niente, niente. Se lei le diceva che invece qua in Italia c’era la roba, [ti dicevano]: ah, sei un propagandista, fai propaganda per l’Italia! Si doveva star zitti e basta. Mancava tutto, perché non c’era, ripeto, iniziativa privata.
Giuseppe T.
Eh, non c’era mica niente: polenta la mattina, polenta nel baracchino e polenta la sera quando ... [Leggi tutto]
Eh, non c’era mica niente: polenta la mattina, polenta nel baracchino e polenta la sera quando arrivavo, perché non c’era pane, non c’era farina, non c’era niente! E abbiamo tirato avanti così... Ma anche i primi anni che siam venuti via, sa la gente cosa gli [mandava]? Qualsiasi straccio, qualsiasi cosa che riuscivi le mandavi, tutto. Adesso invece stanno da signori!
Olivia M.
C’eran le tessere e gli davano tanti grammi di zucchero, poca pasta, e c’era fame, c’era fame. Mio ... [Leggi tutto]
C’eran le tessere e gli davano tanti grammi di zucchero, poca pasta, e c’era fame, c’era fame. Mio papà la sera, in cantina, si è messo a fare il falegname, solo che non gli davano legname. Lui lavorava in cantiere, e faceva anche lì il falegname, lavorava come riparatore. E dopo il lavoro faceva dei lavoretti, andava per le cascine ad aggiustare le ante e le porte, e guai se lo venivano a sapere, perché per loro era un imprenditore privato, era un nemico del popolo. E allora lì soldi non c’e’ n’erano e gli davano sempre della farina, delle patate e allora se la cavava. Poi dopo ha visto che le cose non andavano più bene e ha dovuto smettere.
Giulio R.
Han portato via tutto, perché loro non erano ancora sicuri di restare lì, e allora noi non ... [Leggi tutto]
Han portato via tutto, perché loro non erano ancora sicuri di restare lì, e allora noi non trovavamo niente: facevi la fila quattro ore per un pezzo di pane, arrivavi lì [ e ti dicevano] che era finito. C’era gente che si alzava alle cinque o alle sei per trovare da mangiare... Niente, non trovavi niente. Mio zio è morto per l’ulcera... Si è fatto operare di appendicite ed è morto dissanguato, perché andavi all’ospedale e non c’era niente: questo qui è morto così, dissanguato. Per un’appendicite!
Franco S.
“[C’era] tanta povertà, non c’era roba, non arrivava la roba! Per prendersi un paio di scarpe da ... [Leggi tutto]
“[C’era] tanta povertà, non c’era roba, non arrivava la roba! Per prendersi un paio di scarpe da ginnastica che arrivavano da Bata si faceva la coda dalle quattro del mattino e poi arrivavi a mezzogiorno e non c’era più il tuo numero! Guardi che ho fatto io la coda! Poi il mangiare... Ancora nel ’57 lo ha visto lui [mio marito], perché arrivava il detersivo e tutti noi dovevamo andare in coda, di fretta, per il detersivo, perché altrimenti non c’era. E allora mia sorella mandava anche le amiche, tutti in coda per un detersivo. Ma questo dopo la guerra, eh... No, no, mancava tutto, mancava tutto! Come le dico, noi eravamo una famiglia che ancora si stava bene: chi aveva terreni, case e poderi se la cavava. Noi non avevamo la terra, avevamo una casa e dietro la casa un giardino come questa stanza e certamente non potevamo coltivare niente. Si beveva acqua e aceto, eh! Questo me lo ricordo... E noi avevamo la radio Marelli, e per avere la radio Marelli, venivano cinque, sei o dieci [persone] di sera ad ascoltare la radio.
Alma M.
Non si trovava roba, logico. Si andava in negozio e se ti volevi un chilo di pane, dovevi portare ... [Leggi tutto]
Non si trovava roba, logico. Si andava in negozio e se ti volevi un chilo di pane, dovevi portare un chilo di farina, [c’] era il cambio tra il pane e la farina, e la gente andava con pochi soldi a comprare sale e pasta, anche se mia madre la pasta la faceva in casa. [Poi] lo zucchero si comprava: mi ricordo che mio padre mi diceva va a comperare un chilo di zucchero. [C’]era miseria, la gente non aveva niente. Non si trovava niente], non si trovava né calze per la gioventù, né maglie né niente. La roba di mia sorella mia madre me l’ha sempre messa: fino a venti anni ho portato sempre la sua roba che era più grande di me. Poi mia sorella era già andata in Italia con l’opzione, io invece con lo svincolo, quindi vede già che differenza [c’era]? Dall’Italia mia sorella poi mandava dei pacchetti per mia madre con un po’ di roba, con un po’ di biancheria, perché lì non si trovava tanta roba, perché i negozi erano vuoti. E questo [è durato] un bel po’ di anni.
Adua Liberata P.
Mi ricordo di Tito, perché sono andato via che avevo dieci anni, e mi ricordo la fame nera che ... [Leggi tutto]
Mi ricordo di Tito, perché sono andato via che avevo dieci anni, e mi ricordo la fame nera che c’era e il sistema. Non mi piaceva il sistema, il regime che regnava e come si stava, perché c’è sempre stata la miseria nera, sotto Tito. La fame me la ricordo, perchè quando sono venuto a Venezia, che avevo uno zio che era capitano di marina, avevo visto dei mandarini sui tavoli, e mi son preso un mandarino, che io neanche sapevo cos’erano i mandarini!
Giuliano K.
[Dopo la guerra] ah, non c’era niente, non c’era niente! Io mi sono sposata nel ’47, e al comune si ... [Leggi tutto]
[Dopo la guerra] ah, non c’era niente, non c’era niente! Io mi sono sposata nel ’47, e al comune si andava a dire che ci sposiamo e che ci diano qualcosa: ci davano dieci metri di tela per far le lenzuola, pagandole, è logico. Perché i negozi erano puliti, pulitissimi, non c’era niente. Uh, mamma mia, mamma mia! Mi ricordo che avevo i bambini piccoli e c’era un parente del mio consuocero che mi diceva: Gina, guarda che s’e arrivà i fidelini - che sarebbero i capelli d’angelo - per i bambini piccoli. E li davano con la tessera, e bisognava fare la fila di modo che quei pochi cercavamo di aiutarci in un certo modo. Però c’era gente che aveva anche fame, perché con un etto di pane al giorno - un etto e mezzo o due - non so se uno poteva andare a zappare la terra, o per lo meno a lavorare, perché la fame è brutta, eh! Era tutto con la tessera: mio marito era R1, lui era R1B e pensi che gli davano anche la cioccolata con la tessera, perché lui faceva un lavoro pesante, era in mare e la gente poi, appunto, [si rivolgeva] alla borsa nera. Poi, tante donne di pescatori, andavano fuori, in campagna, con il pesce e portavano il pesce. Magari questo poverino - dicevano - aveva voglia di mangiare pesce - o che doveva mangiarlo - gli davano il pesce [e lui] gli dava, magari, un chilo di farina. Eh si, come no!
Gina P.
C’era la tessera: davano il pane o qualsiasi cosa ma tutto contato, eh! Io, fortuna, che mio marito ... [Leggi tutto]
C’era la tessera: davano il pane o qualsiasi cosa ma tutto contato, eh! Io, fortuna, che mio marito faceva il panettiere, e non mi mancava. Eravamo fidanzati e mi dava il pane. Però, insomma, a chi le mancava, più che mangiare patate e polenta, perché di altro non si mangiava. Caffé latte d’orzo pranzo e cena, e questo me lo ricordo io. Era una vita molto dura, dovevi vivere male.
Eufemia M.
Venivano [arrivavano] i pacchi di roba, vestiario e queste cose qui. Anche di mangiare... I pacchi ... [Leggi tutto]
Venivano [arrivavano] i pacchi di roba, vestiario e queste cose qui. Anche di mangiare... I pacchi dell’UNRRA. Però, cosa succedeva? Secondo me quella roba là, restava per i militari, perché quando che io ero militare, avevo aperto i pacchi che erano ancora dell’UNRRA americana! Che c’era scritto su: urgente al popolo jugoslavo, era scritto sopra. Pensi lei quanti anni dopo! Io ero militare... I’era [dentro] il formaggio, formaggio giallo, che buono! Quando ero militare, nel ’57, me lo mangiavo, andavo in magazzino a prelevarlo... Che sui sacchi dei pacchi scrivevano urgente al popolo jugoslavo, in aiuto al popolo jugoslavo.
Guido C.
Si vedevano le code nei negozi, le scaffalature mezze vuote di prodotti. [Ti dicevano]: eh, non è ... [Leggi tutto]
Si vedevano le code nei negozi, le scaffalature mezze vuote di prodotti. [Ti dicevano]: eh, non è arrivato niente! E allora ci si arrangiava. Poi c’era il mercato nero: in piazza si nascondevano le cose [sotto la giacca] e poi le facevano vedere a chi le voleva comprare, insomma c’era tutto questo mondo. E si viveva male... Si viveva male rispetto al sistema odierno, era tutta un’altra cosa. Ma noi avevamo sempre [da mangiare], mio papà riusciva sempre a portare a casa la pagnotta ed eravamo dei privilegiati: eravamo vestiti bene - che i vestiti si facevano fare dalla sarta - e anche mangiare. Un mio compagno che è rimasto lì lo ricorda: lui veniva a fare i compiti a casa mia, e facevamo la merenda, pane e marmellata. E chi se lo sognava pane e marmellata! Che quando vado giù [a Zara] lo rivedo, e lui mi dice: ricordo quel pan taiado a fete - che da noi c’era la struza, il pane che si tagliava a fette - che tua mamma mi faceva. Quindi, ecco, la fame noi non l’abbiamo sofferta ma tanta gente intorno si, perché c’era carestia, perché l’industria doveva riprendersi dopo la guerra e i bombardamenti. E chi aveva questa agricoltura che riusciva si, mangiava, ma il cittadino che viveva in città ci ha messo un po’.
Rino P.
[Con il passaggio alla Jugoslavia] non cambia niente da noi in campagna, però manca tutto... Manca ... [Leggi tutto]
[Con il passaggio alla Jugoslavia] non cambia niente da noi in campagna, però manca tutto... Manca zucchero, manca farina... Non potevi avere niente! Non c’era niente, figlio mio! Se avevi casa tua bene, si mangiava, [altrimenti] il caffè non te lo mangiavi perché non c’era zucchero, non c’era caffè, non c’era niente, i primi anni. Ei dava zucchero solo a chi lavorava: gli davan zucchero solo a chi lavorava, però non davano i soldi, dovevano essere i timbri con tutti i numeri, i coupon li chiamavano, cioè i buoni. Ogni buono valeva, mettiamo, un dinaro, perché da noi non i’era ancora i dinari. E allora a chi lavorava gli dava un chilo o due di zucchero. [I negozi] erano tutti vuoti, i’era solo la foto de Tito dentro! Quella i’era sempre! Ma non c’era niente, i’era solo per chi che lavorava.
Guido C.

Ingresso dei titini

Io non mi ricordo tanto l'ingresso dei partigiani [a Pola], perché non eravamo presenti, eravamo a ... [Leggi tutto]
Io non mi ricordo tanto l'ingresso dei partigiani [a Pola], perché non eravamo presenti, eravamo a Buie. Però ricordo un grosso gruppo di partigiani croati - slavi, che son venuti a casa nostra di notte perché avevano fame. E me li ricordo seduti per terra nella cucina - erano sette o otto - e mia madre che dava [loro] quel pochissimo che avevamo da mangiare, perché [di cibo] non ce n'era. E loro si son seduti, dopo aver lasciato fuori le sentinelle. E poi si davano il cambio, entravano e mangiavano un pezzo di pane. Però erano tutti veramente mal combinati, non sembravano militari, per me non lo erano. Si, erano militari perché avevano i fucili e le robe così, le armi, ma quelli che ho conosciuto io erano abbastanza mal combinati, anche al fondo della guerra. Seppure poi pian piano [migliorarono un po'], come ad esempio quelli che scortavano a Buie questi ragazzi nel '45 legati col filo di ferro, che erano ben vestiti. [Poi ricordo che da bambino, alcuni partigiani] mi hanno messo addosso una giacca militare di quel panno pesante. Eravamo a Buie, e loro si erano rifugiati nel sottotetto [della casa] dove abitavamo noi. E io ero ragazzino, avevo sei anni, e li vedevo. Noi però giocavamo, non ci rendevamo conto di niente di strano. Mi ricordo che non ci capivamo, perché loro parlavano slavo e noi italiano, e un giorno mi han preso e mi han portato su sopra questa rampa e lì erano tutti seduti. Tanti ce n'erano otto o dieci, roba così. E io ero un ragazzino e mi han messo addosso questa giacca che mi ricordo era verde, pesante di panno militare, che aveva una bustina con la stella rossa e poi mi han dato sto mitra che pesava moltissimo. Ma lo han fatto per ridere, poi scherzavano, anche se io non so poi cosa dicessero. Io pensavo a sto mitra, perché sto mitra era una cosa che mi dava un po' di soggezione e avevo paura. Però non mi han trattato male, scherzavano.
Gianfranco M.
Semplicemente un giorno hanno visto i partigiani per la strada, e si, [l'impatto] è stato forte. E' ... [Leggi tutto]
Semplicemente un giorno hanno visto i partigiani per la strada, e si, [l'impatto] è stato forte. E' stato forte anche poi soprattutto per questa invasione anche un poco fisica, no? Hanno cominciato a girare per le case e vedere dove che potessero infilarti della gente. E poi per l'atteggiamento, perché erano quasi tutti in buona misura analfabeti, e tanto più arroganti quanto più analfabeti, capisci? Il rapporto che c'era con gli abitanti di Sussak era tutt'altro, perché era gente normale, di normale cultura, di normale istruzione e così via. Il rapporto con questi era [invece] tutto un altro par di maniche: era proprio di arroganza, di prepotenza. E quindi era duro. E poi però quando è arrivato Tito, c'era anche della gente che era contenta.
Adriana S.
Quando, finalmente, è finita [la guerra], mi ricordo che siamo andati in centro a vedere la truppa ... [Leggi tutto]
Quando, finalmente, è finita [la guerra], mi ricordo che siamo andati in centro a vedere la truppa che entrava in città, non lo dimenticherò mai. Pensavamo di vedere chissà che entrava, e sono entrati questi partigiani - questi slavi - e c’era quello col violino, quello con la fisarmonica, quello con quell’altro... Tutti pieni di [barba], che si pulivano, sporchi come non so cosa, con sto modo di suonare...Non era una banda, era una cosa così, [improvvisata], e noi abbiamo perso tutte le forze, c’erano tutti che piangevano! Perché è stata una cosa veramente degradante, allucinante. E siamo scappati tutti a casa. La gente, siamo andati via tutti con la coda tra le gambe. Quando abbiam visto questa entrata così siamo rimasti delusi, siamo andati via tutti con la coda tra le gambe. Era una cosa allucinante vedere una truppa che entrava, tutti sporchi! Va ben, avranno fatto una guerra, d’accordo, [ma era] una cosa veramente brutta da vedere, siamo andati via con la coda tra le gambe, proprio così guardi. Veramente, tutti a casa.
Livia B.
[Quando sono entrati i partigiani a Pola] siamo andati a vederli. Una cosa... Perché forse anche ... [Leggi tutto]
[Quando sono entrati i partigiani a Pola] siamo andati a vederli. Una cosa... Perché forse anche avevamo un po’ quell’idea di una cosa... Eravamo poveri, cioè la vita che faceva mia mamma e che facevo io, anche mio marito con suo padre, cioè, operai, del ceto più basso, gente che lavorava. E dicevamo: ma, cambierà, sarà. Avevamo tutti anche avuto parentele che nel tempo del fascismo avevano quelle idee verso il comunismo o che so mi, e allora siamo andati a vedere sta sfilata. Solo che era una sfilata di poveri disperati scalcagnati, mal conciati e mal messi. Si, si, Zivio Tito, Pola italiana, Pola Tito... Non è stato facile, ci siamo chiusi un po’. Delusi e non delusi, perché appena arrivati - è logico - chi era già su quella strada lì li ha accolti malamente. Perché poi noi siamo rimasti quaranta giorni sotto loro, di cui l’impressione è stata pessima, anche il modo di fare. Che poi erano persone che avevano vissuto in bosco per tanti mesi, sporchi, mal messi. Quando nel palazzo della Banca d’Italia nella vasca da bagno mettevano le galline e coltivavano il prezzemolo, perché non sapevano cos’era un gabinetto, non sapevano cos’era una vasca da bagno, non sapevano cos’era un bidè, beh, lasciamo da parte il bidè che neanche i francesi lo sanno! Poi han cominciato a pestare, picchiare, urlare: è stato un momento non sereno. D’altro canto c’erano due parti completamente diverse, non c’era una via di mezzo, il giorno e la notte, e non era facile.
Maria G.
Noi eravamo a Pola, perché [i titini] sono arrivati a Pola, e tutti quanti dal paese siamo andati a ... [Leggi tutto]
Noi eravamo a Pola, perché [i titini] sono arrivati a Pola, e tutti quanti dal paese siamo andati a Pola ad aspettarli. E tutti gridavano, festa grande, ballavano: tutte le sere ballavano. Ballavano il kolo, e anche in piazza, nella nostra piazza, avevano messo delle luci grosse, e tutte le sere era [una] festa e ballavano tutte le sere. [La popolazione li ha accolti] bene, perché tanti erano anche dei nostri, perché i partigiani quando son venuti, tanti erano anche del paese che per non andare da una parte, andavano dall’altra.
Jolanda T.
Una mattina mi sono alzato e ho trovato i titini, con le mitraglie per la strada, che tu uscivi e ... [Leggi tutto]
Una mattina mi sono alzato e ho trovato i titini, con le mitraglie per la strada, che tu uscivi e andavi direttamente a scuola. La stessa roba quando sono arrivati i tedeschi. Sentivi e vedevi tutti questi con la stella rossa... Noi non abbiamo mai accettato il comunismo di Tito. Poi, è stato il primo ad andare contro Stalin, e se si presentava così, forse non andava via la gente.
Luigi B.
[A Dignano quando sono entrati i titini c’era] festa. Festa nella piazza pubblica che ballavano, ... [Leggi tutto]
[A Dignano quando sono entrati i titini c’era] festa. Festa nella piazza pubblica che ballavano, che suonavano, che ballavano il kolo. Zivio Tito, Tito de qua e Tito da là! Questo me lo ricordo, perché piccola che ero... Nel ’45, che ballavano e che cantavano, solo festa. Suonavano le campane. Io ho detto: qui c’è un’altra guerra, mentre invece era festa. Diciamo [che han fatto festa] quelli che erano comunisti, e che prima erano fascisti. Perché , le dico, prima erano fascisti, poi sono andati in bosco e automaticamente son diventati comunisti. Portavano la stella, la stella rossa, che mio papà non l’ha mai voluta, perciò non aveva lavoro. Bisognava aver lo stemma, eh!
Anita B.
[L’ingresso dei titini a Pola], è stato una roba... Quell’ora del pomeriggio me la ricordo perché è ... [Leggi tutto]
[L’ingresso dei titini a Pola], è stato una roba... Quell’ora del pomeriggio me la ricordo perché è stata sconvolgente. Era i primi di maggio - non mi ricordo più [il giorno] - e siamo arrivati nei pressi dell’Arena, e c’era questi vestiti come potevano - molto, molto divertenti, se vogliamo -, che ballavano il kolo dentro l’arena, sa quei balli che ballano loro. Ah, ah! [La gente] non li accolti bene, no, no. Anche perché è subentrata la paura: c’è gente che è sparita e nessuno sa più niente, capisce? E beh, insomma... Perché al di là delle forze armate, non erano loro il pericolo, il pericolo era la polizia segreta, l’OZNA, quelli che andavano in cerca delle persone per eliminarle.
Otello S.
Son venuti dalle montagne, i primi che son venuti [a Fiume] son loro, non conoscevano neanche il ... [Leggi tutto]
Son venuti dalle montagne, i primi che son venuti [a Fiume] son loro, non conoscevano neanche il bagno. Poi c’era il direttore della posta croato che è venuto a casa nostra e ha detto che dovevamo andare via perché lui doveva requisire il nostro alloggio. Mia mamma ci ha detto: io non vado via fino a che non ho il visto che vado via in Italia. Quando che lo avrò, andrò. E han litigato, no. Lui era una persona, diciamo, istruita, ma quando hanno requisito l’alloggio sopra [il nostro], quelli che son venuti, non sapevano che cos’era il bagno, e hanno piantato la verdura, glielo giuro! Ce l’ha detto quella signora che poi è andata via; dunque venivano dalle montagne, proprio; dal Montenegro, chissà da dove venivano, io non so. Puzzavano! Sono entrati nel ’45. Mi ricordo che sono andata con mia mamma giù, in via Roma, dove c’era la Standa, e quello era il corso principale. E c’era un grosso arco in mezzo al corso - come fosse via Roma a Torino -, con un grosso quadro di Tito. Noi stavamo passando e lui [un titino] ci ha detto di passare [sotto il ritratto], e mia mamma gli ha detto: no, io son fiumana e non passo là. Era un po’ prepotente mia mamma! E non è mai passata di là. C’erano due titini che ti obbligavano a passare, e mia madre ha detto: no, cosa mi vuoi fare? Sei tu venuta a occupare il mio posto. Proprio ti obbligavano...
Fernanda C.
L’ingresso [dei titini] lo ricordo, che sono entrati... Perché Veglia è una cittadina che era ... [Leggi tutto]
L’ingresso [dei titini] lo ricordo, che sono entrati... Perché Veglia è una cittadina che era circondata da mura - e ha ancora adesso delle mura dentro - e c’erano delle difficoltà per entrare, perchè mi sembra che c’erano tre portoni principali, tre ingressi principali. E sono entrati una parte dal fianco delle mura, quando c’è stata la sconfitta dei tedeschi. Sono entrati dalle mura perché , naturalmente, qualcuno conosceva - erano gente del posto - queste scappatoie - magari sono scappati diverse volte da quelle parti lì - e sono entrati dalla parte di là. E c’è stata poi la resa dei tedeschi e, nel ’45, c’è stato il cambio. E gli italiani [li hanno accolti] forse non tanto bene. Perché erano delle gente con delle barbe lunghe e ai giovani hanno fatto impressione. Per lo meno i ragazzi come me si andava a vedere per curiosità, e li vedevamo armati fino ai denti. Sembrava di vedere Che Guevara, quei messicani con tutte quelle bandoliere! E si erano accampati nei giardini, e nei giardini noi giovani - io nel ’45 avevo undici anni - andavamo a vedere sta gente e facevano impressione, avevano ste barbe e sembravano - non so - della gente delle caverne!
Mario M.
Sull’arrivo dei titini [a Dignano] purtroppo posso dirti una cosa: mia madre ha detto che si era ... [Leggi tutto]
Sull’arrivo dei titini [a Dignano] purtroppo posso dirti una cosa: mia madre ha detto che si era spaventata perché aveva visto degli straccioni. E’ l’unica cosa che posso dirti.
Mario B.
Mi ricordo dei drusi, me li ricordo in questa piazza di Valle che si chiamava la Mussa che ... [Leggi tutto]
Mi ricordo dei drusi, me li ricordo in questa piazza di Valle che si chiamava la Mussa che ballavano in un circolo, e questo circolo mi hanno spiegato che si chiamava kolo, e cantavano druze Tito, ohi druze Tito! E questo me lo ricordo bene, e mi ricordo che si correva per andarli a vedere in questo ballo. E sai cosa mi ricordo [anche]? Degli inglesi. Oh, che bello! Una jeep con due militari sopra ci tirava le caramelle che si chiamavano Spolver. Buonissime, mi ricordo ancora il sapore: erano un po’ come le caramelle mou, sa? Ecco, quelle lì, le caramelle spolver. E mi ricordo gli inglesi che ci davano le caramelle da questa jeep che era ferma lì, sempre in sta famosa piazza. Ma non era[no] una truppa: erano due, tre, quattro forse, in una jeep e basta. E non so in quanti c’erano [a Valle].
Anna Maria P.
[A Valle i titini] sono arrivati dopo qualche giorno, non mi ricordo quanti giorni dopo. Io me li ... [Leggi tutto]
[A Valle i titini] sono arrivati dopo qualche giorno, non mi ricordo quanti giorni dopo. Io me li vedo, un pomeriggio. C’era un gruppo di persone, e mi ricordo molto bene un bellissimo ragazzo che parlava italiano, che probabilmente era partigiano di quelli che erano andati con Pino Budicin, che abbiamo anche cantato lì nella piazzetta dove abitavo io Bella Ciao e poi [abbiamo cantato] anche Il partigian del bosco. Però se penso agli altri, all’altro gruppo [di partigiani]! Questo ragazzo qui mi ha fatto risplendere la liberazione, esprimendosi in italiano, eccetera. Però quando vidi al calar del sole quelli che erano musulmani... Mangiavano in una maniera! Io andai a prendere delle posate, ma non le han volute: mangiavano con le mani, non ricordo di preciso, ma gli ho portato i cucchiai e non li han voluti. E poi al calar del sole c’era una specie di portico, e al calar del sole si sono avvicinati a questo portico e sono andati a farsi le preghiere. E allora noi eravamo un po’ sbalorditi. E questo quadro non mi è andato via. Poi, piano piano, son venuti a mettere il comando proprio nella casa in cui eravamo noi, [visto che] l’ultimo piano era rimasto vuoto. E difatti, io ho sempre la visione di questo bel ragazzo giovane, e poi [quella] di quando arriva il comandante, che non parlava italiano. [Era] tutto ben vestito con una bella divisa e diceva: ah, io voglio [quel] posto lì! E lì li abbiamo avuti per alcuni giorni come comando, come presidio, e poi se ne sono andati, piano, piano. Comunque per un po’ di giorni, avere queste persone... Per fortuna che c’erano più entrate: da dietro, di fianco. Loro avevano la loro entrata però, insomma, è stato un impatto forte, molto crudo. Noi aspettavamo gli inglesi, e tutti i gironi si andava alla strada romana da dove dovevano arrivare, e quando son passati e non si son fermati siamo rimasti molto delusi. Ci hanno buttato qualche cioccolata così e sono andati a Pola. Eh, per noi la liberazione è stata dura!
Nives P.
[L’ingresso dei titini a Valle] me lo ricordo si! Porca miseria se me lo ricordo! Venivano a ... [Leggi tutto]
[L’ingresso dei titini a Valle] me lo ricordo si! Porca miseria se me lo ricordo! Venivano a squadre fuori de sti boschi, venivano lì e si impadronivano dappertutto. Può capire, erano armati e comandavano loro... Erano vestiti normali, perché era tutta gente della zona. Sono arrivati e sono andati in comune, sono andati nelle scuole. [E la gente li accolti]... eh, quando vede uno col mitra spianato, bisognava accoglierli per forza bene, eh,eh! Poi no, non è che c’è stato delle guerre tra partigiani e la popolazione, no, no, perché cercavano di andare d’accordo. Anzi, erano tutti contenti perché i fascisti se ne sono andati: tutta la popolazione era proprio contentissima, perché i fascisti erano un po’ bastardi quelli lì, eh!
Giovanni R.
Come sono arrivati giù [a Fiume] questi qui, che questi han vissuto dentro le foreste, non sapevano ... [Leggi tutto]
Come sono arrivati giù [a Fiume] questi qui, che questi han vissuto dentro le foreste, non sapevano cos’era la luce, vedevano il bidè [e dicevano] ma cos’è questo, è acqua? Non sapevano che dovevano pulirsi il culo! E le donne erano più cattive degli uomini: delle donnone [grandi] così che la sera cantavano ciri kolo, ciri kolo. Arrivavano e facevano sparire tutto; arrivavano giù, cattivi da matti, e si sono impossessati della città, di tutto. Noi non eravamo padroni di niente: dovevamo solo stare zitti, cercare di lavorare - che ti facevano lavorare come commesso o così, non eri più padrone di niente, né della casa né di altro - dovevi lavorare per il popolo e loro decidevano cosa fare.
Franco S.
L’ingresso dei titini [a Fiume]... Me lo ricordo si! Vicino a casa nostra, sa che facevano per ... [Leggi tutto]
L’ingresso dei titini [a Fiume]... Me lo ricordo si! Vicino a casa nostra, sa che facevano per accoglierli bene gli archi di trionfo, mi ricordo. E bisognava farli, perché , come dire, ci han liberato. E mi ricordo che sono entrate dentro le truppe. Poi ho visto anche Tito da vicino, io. Quando che poi era finita la guerra e c’era la pace e tutte quelle robe lì, era venuto anche Tito a Fiume, e la scolaresca ti portavano lì. Il preside, tutti dovevamo andare lì ad applaudire.
Elio H.
“[L’ingresso dei titini a Fiume] porca puttana se me lo ricordo! Lì quando sono arrivati, c’erano ... [Leggi tutto]
“[L’ingresso dei titini a Fiume] porca puttana se me lo ricordo! Lì quando sono arrivati, c’erano tutte le strade bombardate [e] allora hanno preso i tedeschi e li mettevano a lavorare. E quelli che erano malati o che non avevano voglia di mettersi lì a lavorare, con il moschetto bum, una bella botta qui sul muso! C’era il quantitativo [di popolazione] più croato che italiano che gli hanno accolti bene, [mentre] quelli italiani come mio padre, e certi d’uni sono scapati.
Ilario B.
No [l’ingresso dei titini a Zara] non l’ho visto, perché quando siam venuti via noi era il ... [Leggi tutto]
No [l’ingresso dei titini a Zara] non l’ho visto, perché quando siam venuti via noi era il pomeriggio del 30 ottobre 1944, loro sono arrivati il giorno dopo. Ricordo questo, che mio padre diceva: domani entrano i titini, abbiamo già concordato coi titini. Perché c’era il trapasso dei poteri e lo avevano concordato, e son rimasti 70 carabinieri più qualche ufficiale dei quali non si è mica più saputo niente. Avevano concordato e avevano garantito l’incolumità di queste persone, ma non si è saputo niente. Son spariti tutti. Questo è stato grave, insomma. E’ un po’ quello che è successo anche in Italia, che si patteggiava di qua e di là e poi puntualmente ammazzavano, li fucilavano e li seppellivano e poi tutto finiva lì.
Sergio V.
Siamo andati per Trieste su due camion militari: siamo arrivati a un certo punto della strada in ... [Leggi tutto]
Siamo andati per Trieste su due camion militari: siamo arrivati a un certo punto della strada in mezzo al bosco, i camion si son fermati e gli uomini sono scesi, perché erano militari e non potevano passare. I partigiani conoscevano, sapevano tutto, e se passavano anche i militari avrebbero fermato i camion, avrebbero sparato. E gli uomini, sapendolo, si son fermati e non potevano venire a Trieste e son rimasti nella provincia di Fiume. Noi invece siamo passati, non è successo niente, e siamo arrivati a Trieste. Siamo arrivati a Trieste e ci han messo in una scuola, alla scuola Cambler - me lo ricordo sempre -, una scuola che era sopra Trieste. Ci hanno messo là in degli stanzoni, mentre mio padre è rimasto dall’altra parte, e gli ultimi giorni della guerra - perché eravamo a metà aprile, era già primavera -, gli ultimi combattimenti li abbiamo visti dalle finestre della scuola. Abbiamo visto le ultime trincee che si facevano, e io poi ho visto nei protoni gente appesa, ammazzata, ho visto i tedeschi e i fascisti che lo facevano, gli slavi e viceversa. E li siamo stati tre giorni senza uscire dalla scuola: c’era questa guerriglia! Eravamo già a fine aprile, e poi sono entrati i partigiani che hanno preso possesso della città. Il 30 di aprile sono entrati dentro, e quindi i famosi quaranta giorni li abbiamo vissuti anche noi. Mi ricordo che una sera - questo quando c’era ancora l’occupazione tedesca - son venuti nella scuola i partigiani. Io avevo dieci anni, ma ero fisicamente già abbastanza formato - anche se poi non son cresciuto più di tanto - ed è arrivato questo qui con sto berretto con la stella rossa. Mi ha scoperchiato e mi ha detto [in croato]: alzati e vieni con noi! E io in croato - perché parlavo croato - ho risposto: ma dove vengo con voi? Ho dieci anni! No, no - dice - tu sei più vecchio! E voleva portarmi con loro. Allora lì c’era mia madre, c’era un’altra signora di Fiume che era con noi e gli ha detto in croato: vergognati, non vedi che è un ragazzo, cosa sei matto a fare queste cose?! E allora poi ha detto: continua a dormire. Magari lo ha fatto solo per spaventarmi, va a sapere. Ecco, ma questo solo per dirti l’impatto che si viveva. E poi dopo mi ricordo quando sono entrati i neozelandesi, che noi si diceva americani, perché non sapevamo se erano inglesi, americani o cosa. E [mi ricordo] piazza Unità tutta sta festa: io ero lì in pantaloni corti, e c’era grande euforia! [Quando invece] sono entrati gli slavi non sono stati accolti bene, perché sui muri, le scritte - che poi si son viste in giro - contro [Tito], e quindi i triestini non l’hanno accettato volentieri. E quindi queste venute alla sera, queste sparizioni di uomini c’erano già prima; ancora con i tedeschi gli uomini sparivano. Quando son venuti nella scuola, c’erano i tedeschi e i fascisti ancora, ma loro di notte venivano, non potevi controllare tutta la città. Ma poi era gente di Trieste magari, slavi che vivevano a Trieste, e quindi conoscevano tutto quanto. Quindi i triestini non è che li hanno accolti con il gonfalone!
Antonio V.
[L’ingresso dei titini a Zara] non lo ricordo, [però] mi ricordo che davanti all’ingresso della ... [Leggi tutto]
[L’ingresso dei titini a Zara] non lo ricordo, [però] mi ricordo che davanti all’ingresso della casa avevamo due bei leoni e sono venuti [i titini] e ce l’hanno martellato e i leoni sono rimasti senza testa, ecco. E in città alle porte di Zara [è accaduto] lo stesso e sono tutti corsi ad andare a vedere che hanno distrutto i leoni della porta centrale.
Alma M.
Io ricordo quando sono arrivati i slavi in città. Ricordo una cosa che mi han fatto vedere, non so ... [Leggi tutto]
Io ricordo quando sono arrivati i slavi in città. Ricordo una cosa che mi han fatto vedere, non so se obbligato o cosa... Son venuti in città e nella piazza dei cinque pozzi - nel centro storico della città - sono arrivati i slavi e ballavano il siri kolo, che era una danza [nella quale stavano] tutti abbracciati, partigiani uomini e donne, e danzavano così, [muovendosi in cerchio] fino a che qualcuno crollava, perché entravano come in trance. Perché , naturalmente, la guerra e tutte ste cose, erano stressati. E per noi, anche se si viveva in periferia, era una cosa strana, una cosa nuova, questi partigiani che venivano a liberare. Perché la città in realtà non è stata liberata, ma gli italiani dopo i bombardamenti [sono andati via]: i tedeschi sono andati via, gli italiani sono andati via e, senza governo, sono arrivati dentro in città gli slavi senza colpo ferire. A Zara, in realtà, è successo questo.
Rino P.
[L’ingresso dei titini a Zara] non lo ricordo, [però] mi ricordo che davanti all’ingresso della ... [Leggi tutto]
[L’ingresso dei titini a Zara] non lo ricordo, [però] mi ricordo che davanti all’ingresso della casa avevamo due bei leoni e sono venuti [i titini] e ce l’hanno martellato e i leoni sono rimasti senza testa, ecco. E in città alle porte di Zara [è accaduto] lo stesso e sono tutti corsi ad andare a vedere che hanno distrutto i leoni della porta centrale.
Alma M.
Io ricordo quando sono arrivati i slavi in città. Ricordo una cosa che mi han fatto vedere, non so ... [Leggi tutto]
Io ricordo quando sono arrivati i slavi in città. Ricordo una cosa che mi han fatto vedere, non so se obbligato o cosa... Son venuti in città e nella piazza dei cinque pozzi - nel centro storico della città - sono arrivati i slavi e ballavano il siri kolo, che era una danza [nella quale stavano] tutti abbracciati, partigiani uomini e donne, e danzavano così, [muovendosi in cerchio] fino a che qualcuno crollava, perché entravano come in trance. Perché , naturalmente, la guerra e tutte ste cose, erano stressati. E per noi, anche se si viveva in periferia, era una cosa strana, una cosa nuova, questi partigiani che venivano a liberare. Perché la città in realtà non è stata liberata, ma gli italiani dopo i bombardamenti [sono andati via]: i tedeschi sono andati via, gli italiani sono andati via e, senza governo, sono arrivati dentro in città gli slavi senza colpo ferire. A Zara, in realtà, è successo questo.
Rino P.

Lavoro volontario (Rebota)

[Mia sorella] andava alla ferrovia, l’hanno costretta ad andare alla ferrovia, [e] a fare ... [Leggi tutto]
[Mia sorella] andava alla ferrovia, l’hanno costretta ad andare alla ferrovia, [e] a fare l’autostrada. Però li prendevano, altro che [lavoro] volontario! La mia sorella tante volte, quando scherza, dice: dovrebbero darmi la pensione, perché io gli ho fatto l’autostrada! Perché lei lavorava in negozio, lavorava in bottega a quattordici anni, e allora doveva andare a fare tutti questi servizi: fare la ferrovia, fare l’autostrada... E mi ricordo una volta che sono scappati a Natale. A Natale sono scappati, son venuti al paese, e poi son venuti a prenderli col camion, li hanno tutti ricaricati sul camion e li hanno portati via. Non era niente volontario. Magari era volontario [per quelli] che erano tutti rossi, rossi, ma io penso che la gioventù nostra erano obbligati ad andare.
Antonietta C.
I prigionieri li hanno costretti a ricostruire il porto, naturalmente, e in più anche gli operai e ... [Leggi tutto]
I prigionieri li hanno costretti a ricostruire il porto, naturalmente, e in più anche gli operai e tutti i nostri lavoratori, dovevano dare un’ora di lavoro gratuito per andare a costruire il porto. Che non c’entravano niente, perché nessuno l’aveva fatto saltare, però tutti quanti dovevano andare gratis un’ora a ricostruire il porto. E lo facevano per il proprio porto e per la propria città. E mi ricordo che un giorno su una strada vicino a casa mia, eravamo diverse ragazze e passa questo gruppo di prigionieri [nel quale] davanti c’era un militare col fucile, in mezzo c’era un altro e dietro una femmina, una donna col fucile. E c’erano sti prigionieri che andavano in fila, ma c’è n’era uno che zoppicava, che era ferito, e non poteva correre, rallentava il passo, era sempre l’ultimo ad arrivare indietro. E questa qui a un certo punto lo sgridava, gli diceva di andare avanti, e a un certo punto gli ha sparato, e non ha più continuato. Noi siamo rimasti [male]: insomma, eravamo ragazzi, avevamo quindici anni, e ti vedi una cosa del genere e resti allibito. Facevano così, le donne soprattutto.
Livia B.
Io ho fatto tre anni sotto Tito: eri militarizzato anche da civile, altro che fascismo! Il fascismo ... [Leggi tutto]
Io ho fatto tre anni sotto Tito: eri militarizzato anche da civile, altro che fascismo! Il fascismo era rosa e fiori, perché io col fascismo potevo anche fare il furbetto e non avere la divisa da balilla e non andare al saggio ginnico, ma tutto finiva là! Invece i sabati eri obbligato ad andare a fare il premilitare, con il fucile di legno - sagome di fucile di legno - e obbedendo a ordini in una lingua che non era la tua!
Otello S.
Poi i ragazzi, crescendo, il sabato e la domenica si doveva fare il [lavoro] volontario. Si andava ... [Leggi tutto]
Poi i ragazzi, crescendo, il sabato e la domenica si doveva fare il [lavoro] volontario. Si andava nelle collinette - che l’Istria non è tanto pianeggiante - e si faceva le buche. Chi faceva le buche, chi metteva la piantina dentro, e si faceva così, il sabato e la domenica. Questo sotto Tito. E poi oltre quello, che in tempo di guerra hanno tanto demolito, c’erano i bombardamenti e i miei fratelli che erano più grandi di me hanno fatto i volontari: facevano le ferrovie, facevano i ponti. Per due mesi, senza pagamento. Io parlo 1946, 47, 48. Anche ’49 e ’50. Ti costringevano, perché venivano lì e ti dicevano: signor L., i figli suoi dove sono? Ma sono qui, sono là, sono in giro. E allora ti dicevano: sabato si devono presentare alla questura o in comune che dobbiamo fare dei lavori. Lavori... Li portavano a fare le ferrovie, per due mesi senza pagamento, senza niente. Per costruire quello che avevano bombardato gli inglesi, gli americani o non so chi. Lì era un partito solo, passava la polizia, adesso non mi viene il nome... L’OZNA, passava nei bar e se trovavano i ragazzi giovani ti prendevano - ti dicevano vieni un po’ qui - e ti portavano a pulire le macerie, a costruire, a pulire. Fare, fare! Non eri lì a giocare a biliardo o alle carte, purtroppo! E così han costruito parecchie cose, han fatto.
Renato L.
Ah, poi, tra le altre cose in quel periodo là, la prima cosa quando sono arrivati [è stata che] ... [Leggi tutto]
Ah, poi, tra le altre cose in quel periodo là, la prima cosa quando sono arrivati [è stata che] ogni settimana, al venerdì, raduno al Fronte Popolare, perché il Fronte Popolare in ogni - come si dice- rione, borgo, aveva la sua sede, no? E ogni casa aveva - come dire - il responsabile di partito che controllava che tutti facessero questo, facessero quest’altro, andare alla riunione, andare a fare il lavoro volontario, a tirare sassi di qua e metterli dall’altra parte. Là, se non facevi quello che ti dicevano, cominciavano a guardarti [male].
Otello S.
Appena finita la guerra, alcuni giovani, erano stati mandati a lavorare in ferrovia. Cioè stavano ... [Leggi tutto]
Appena finita la guerra, alcuni giovani, erano stati mandati a lavorare in ferrovia. Cioè stavano costruendo una ferrovia a Monte Maggiore e io mi ricordo, anche tra i miei parenti, che molti [per] tre mesi, quattro mesi, sei mesi, li prendevano e li portavano lì, senza essere pagati e senza nulla, solo il mangiare avevano. E si lamentavano che era duro quel lavoro lì, perché lavoravano parecchie ore. Io non so esattamente per quale motivo [li portassero lì] , non avevo mai parlato con i miei di questi qua che lavoravano lì, so solo che questo fatto era successo, soprattutto ai giovani.
Adriana S.
I più grandi venivano presi e portati al lavoro - che lo chiamavano lavoro volontario - che si ... [Leggi tutto]
I più grandi venivano presi e portati al lavoro - che lo chiamavano lavoro volontario - che si andava proprio lontano, in Jugoslavia, a mettere su la ferrovia Samak-Sarajevo. Io ricordo i più grandi che andavano a lavorare: lavori forzati, altroché ! [Infatti] non passavano assolutamente niente, e quindi le nostre mamme dovevano arrangiarsi, peggio che in tempo di guerra. Questo era il cosiddetto lavoro [volontario] e poi, chi non andava, oppure chi non rispettava le regole, veniva chiamato nemico del popolo.
Luigi D.
[Al lavoro volontario] andavano i compagni, proprio quei là che erano veramente compagni: sa, ... [Leggi tutto]
[Al lavoro volontario] andavano i compagni, proprio quei là che erano veramente compagni: sa, [erano] ragazzi giovani, la nuova patria, per carità, non si possono biasimare! E’ andata la Lidia, una mia parente, che dev’essere morta adesso. E lei era giovane, era compagna e mi contava che aveva fatto due o tre mesi giù in Bosnia. E mi diceva: sai, a noi andava tutto bene, eravamo giovani, si cantava, si beveva, non è che ci ammazzavano di lavoro, eh! Comunque, esperienze... Io penso che le donne gli preparavano il mangiare, mentre i ragazzi facevano le linee o andavano ad aggiustare. E mi sembra che era un mese all’anno che dovevi fare volontariato; però penso che non dovevi essere sposato, cioè dovevi avere certe prerogative, era volontariato. Anche se però, se non lo facevi ti guardavano un po’ di malocchio. Però diciamo che in certe categorie o in certi lavori non ti mandavano. Come quelli che lavoravano nei cantieri navali, li volevano lì, non li mandavano in altri posti.
Giulio R.
Mi ricordo che dovevamo andar tutti quanti, alla domenica, a fare la strada del popolo. C’era il ... [Leggi tutto]
Mi ricordo che dovevamo andar tutti quanti, alla domenica, a fare la strada del popolo. C’era il capocasa, veniva lì col camion, ci prendevano e ci portavano sulla strada e noi andavamo con le cariole a portare la ghiaia e così... E noi andavamo tutti lì, figurati... Eri obbligato... E questa era la strada del popolo, ci sarà ancora...
Franco S.
C’era il lavoro volontario, ma questa è una cosa che si è diffusa anche dopo... A me piaceva molto ... [Leggi tutto]
C’era il lavoro volontario, ma questa è una cosa che si è diffusa anche dopo... A me piaceva molto collaborare, ma questo [succedeva anche] dopo, quando siamo venuti via. Mia zia mi diceva [ad esempio] che loro non erano tanto contenti, ma quando c’era un’opera da fare il [governo jugoslavo] coinvolgeva tutta la popolazione.
Rita L.
Io non sono mai andata perché ero bassa e non avevo forza, ma a far le strade e una cosa e ... [Leggi tutto]
Io non sono mai andata perché ero bassa e non avevo forza, ma a far le strade e una cosa e un’altra, allora dicevano il lavoro volontario, ma era obbligatorio. E questo, però, succedeva a chi lavorava nelle fabbriche, che erano un po’ più osservati, diciamo. [La cosa era]: domani si fa il lavoro volontario, e andavano! E certo che non potevi non andare. Nella mia famiglia questo non era mai successo, perché mio papà aveva un’età che non poteva lavorare e mio marito lavorava in mare e diceva che lui andava in mare: prendevano la barca e andavano e fuori e al lavoro volontario vada chi vuole! Però si, questa cosa c’era, come no. E c’è n’erano tanti che andavano, anche chi lavorava in Manifattura [Tabacchi]. Ed erano osservati, poi: perché non sei venuto, come mai... sa com’è... l’Ozna...
Gina P.
“[Il lavoro] era volontario, però i’era forzato! [Se non partecipavi] i’eri mal visto che ... [Leggi tutto]
“[Il lavoro] era volontario, però i’era forzato! [Se non partecipavi] i’eri mal visto che non vuoi andare ad aiutare! Rifacevano il palazzo grande, dove che pensavano che doveva venire l’ammasso [che doveva essere sede dell’ammasso] e c’era un magazzino e allora sto magazzino bisognava farlo. E all’epoca soldi non c’era, e allora loro venivano per la case a domandare chi voleva andare a fare il volontariato. Si, questo c’era. E uno era spinto ad andare, perché [ti dicevano]: perché ti non te vole andar? Allora sei contrario, allora sei contrario a questo regime, e quindi si andava. Si andava un giorno, la domenica o il sabato mattina fino a mezzogiorno. Poi, per andare ai lavori... Se dovevano fare una ferrovia da Luculliano ad Albona, si doveva fare una ferrovia perché ad Albona c’era una miniera di carbone e volevano fare sta ferrovia, portarla sulla linea principale del treno. E allora là portavano via gente, li venivano a prendere e li portavano lì che lavorano a gratis. Ha visto?
Guido C.

Lingua

Io quello che sentivo dentro è stato questo cambiamento delle vie, dei nomi...Questo è stato ... [Leggi tutto]
Io quello che sentivo dentro è stato questo cambiamento delle vie, dei nomi...Questo è stato pesante per me. Per me personalmente - va bene che ero una bambina - è stato pesante questo cambiamento.
Antonietta C.
[Con il passaggio alla Jugoslavia] per i ragazzi come ero io è cambiato. Perché prima di tutto le ... [Leggi tutto]
[Con il passaggio alla Jugoslavia] per i ragazzi come ero io è cambiato. Perché prima di tutto le scuole italiane non esistevano più, e nel ’45 o nel ’46 ci hanno fatto ci hanno fatti andare nelle scuole jugoslave. Pertanto lì ombre: era una lingua sconosciuta per noi. E facevo niente, cosa vuole fare? Se non si capisce cosa parlano, cosa si può fare? Io mi sentivo italiano, non sapevo una parola di slavo. Niente, niente, niente! Io, malgrado avessi frequentato dei ragazzi che giocavamo a pallone e facevamo delle cose insieme, di slavo non sapevo niente. Né mio fratello che era del ’28, né mia madre che era del ’06: nessuno sapeva parlare [slavo], si parlava solo italiano.
Mario M.
La quinta elementare a scuola, era venuta una maestra che parlava croato, e ci ha detto: noi abbiam ... [Leggi tutto]
La quinta elementare a scuola, era venuta una maestra che parlava croato, e ci ha detto: noi abbiam detto che non ci interessa il croato, e lei ha detto che dovevamo imparare il croato e noi non ascoltavamo. Ah si? E mi ha dato zero nella pagella. A Fiume la maestra ci obbligava a parlare croato, proprio ci hanno obbligato. Perché era una dittatura propriamente!
Fernanda C.
Poi è finita la guerra, e si doveva andare a scuola. Io ho fatto la scuola italiana, in seconda ... [Leggi tutto]
Poi è finita la guerra, e si doveva andare a scuola. Io ho fatto la scuola italiana, in seconda classe, e dovevo andare a scuola croata, in prima. Mio padre diceva: ma non scherzare! E’ già in seconda! Ero in seconda italiana, e dovevo andare a fare la prima in scuola croata. Che alla scuola croata si doveva studiare in cirillo [cirillico], come in Russia. In serbo! Ce l’avevano con noi che siamo nati sotto l’Italia, e tutt’ora ce l’hanno con noi. Adesso se vado lì, guai se gli dico che sono ex istriano, non ti danno retta, non ti danno retta! Non devi dire di che nazionalità sei. Sono italiano e bom, perché altrimenti noi siamo puniti. Non eri tanto ben visto. Perché l’Istria si trova sulla frontiera: la voleva l’Austria, poi Tito e siamo sempre stati bersagliati da tutti.
Renato L.
[Anche a scuola] eravamo guardati male. Mi ricordo che un giorno mia sorella è venuta a casa ... [Leggi tutto]
[Anche a scuola] eravamo guardati male. Mi ricordo che un giorno mia sorella è venuta a casa piangendo; lei non era una grande studentessa, era più brava come pratica, a lavorare, però lei è venuta a casa che aveva preso un brutto voto e il professore l’aveva sgridata - faceva le medie allora - perché le ha detto che non sapeva pronunciare com’era [come si diceva] gallo [in croato]. Non sapeva che il gallo era kokot come chiamano in croato e, poverina, è venuta a casa piangendo [dicendo] che le hanno dato un brutto voto e l’avevano maltrattata perché non sapeva la lingua. Ma noi parlavamo sempre italiano a casa.
Alma M.

Religione

[Loro] facevano queste feste collettive ed erano tutti, come dire, non ordinati. Non ordinati, ... [Leggi tutto]
[Loro] facevano queste feste collettive ed erano tutti, come dire, non ordinati. Non ordinati, diversi da noi. Ballavano il kolo, eh! Eh, Tito kolo, me lo ricordo che ballavano il Tito kolo. E Natale e Pasqua non si festeggiava più, anche perché proprio in quei giorni facevano dei lavori volontari: andavano a tagliare le ginestre, i giovani e proprio nelle feste più belle. Poi c’era il 29 novembre che ah, [era] festa grande! Bandiere a tutto andare! Poi facevano da mangiare, la gioventù andava a tagliare le ginestre e poi rientravano coi carri pieni di ginestre. E c’erano delle donne al paese - mia mamma non se ne occupava - che facevano questo lavoro: uccidevano, magari, due o tre pecore, e queste cose qui, e preparavano da mangiare per tutti. E tutti andavano a mangiare: noi no, stavamo a casa nostra! Ma mio papà era in mezzo a questo... Ah, lui si, lui si! Era un organizzatore di queste cose.
Antonietta C.
Era duro: in chiesa non si poteva andare perché il comunismo non [lo permetteva]. Le feste, ad ... [Leggi tutto]
Era duro: in chiesa non si poteva andare perché il comunismo non [lo permetteva]. Le feste, ad esempio. Le feste come natale, pasqua e quando andavi a scuola, la domenica, ti portavano a piantare gli alberi per non andare in chiesa. La domenica, che la pasqua veniva in domenica, ma natale veniva infrasettimanale, per non farci andare a messa, ci facevano andare a scuola a impiantare qualche cosa; la festa era così. Anche la domenica che c’era pasqua, per non andare a messa, perché il natale si doveva andare a scuola, non era ferie, era giorno feriale normale, ma a pasqua che era in domenica, si poteva stare a casa, si poteva andare a messa? No! Ci portavano fuori a piantar alberi: la pineta che è giù per l’acquedotto, mi ricordo che ho piantato anche io pini, lì! Che ci portavano col trattore. Per non farci andare in chiesa. Io però in casa le feste le sentivo, perché mia mamma faceva i dolci. Nel periodo pasquale quel tipo di dolci, le pinze, poi a natale si facevano i busoladi - una specie di pasta di pinze, rotondi, da inzuppare nel vin santo -, poi si facevano i crostoli, le frittole, e mia mamma le ha sempre trattenute queste tradizioni. Questi che erano comunisti, facevano le pinze a maggio, per il primo maggio e per non farle a pasqua, ma mia mamma le faceva. Mia mamma non aveva paura di nessuno: se c’era lì Tito presente con mia mamma, lei gliene diceva trentaquattro, non aveva paura del giusto, sinceramente. La gente doveva fare sotterfugi per sposarsi in chiesa - andava a sposarsi di notte -, era proprio un regime duro. La gente aveva paura, perché chi era sul lavoro avrebbe perso il lavoro facilmente, perché è logico, le spie ci son state da sempre e ci sono ancora adesso. Se uno andava a fare questo e questo, che veniva riferito al comune, quello lì se lavorava era licenziato in tronco.
Anita B.
Non avevi tutta la libertà di andare in chiesa. A Pola in chiesa hanno messo balle di fieno e ... [Leggi tutto]
Non avevi tutta la libertà di andare in chiesa. A Pola in chiesa hanno messo balle di fieno e paglia e mucche dentro. Poi tutte le chiese, e allora è già tutto detto. Loro non volevano vedere. E poi quanti preti han fatto fuori! Anche i preti erano comunisti, però dicevano noi abbiamo la nostra religione, ma a quei tempi lì era così. Se tu non cambiavi l’idea o ti facevano fuori o se riuscivi a scappare scappavi.
Renato L.
Lo spavento di Tito, noi avevamo anche spavento de lori. Come per esempio andare a scuola: noi ... [Leggi tutto]
Lo spavento di Tito, noi avevamo anche spavento de lori. Come per esempio andare a scuola: noi eravamo di chiesa, e togliere via il Gesù e tutto quanto e mettere Tito lì, e a scuola anche! Uno spavento che non glielo so spiegare... E parlare subito il croato. Io non ho imparato una parola, perché poi siamo andati via!
Maria Mn.
[Con la Jugoslavia] è cambiato decisamente tutto. Anche quando siamo venuti via, quello che ... [Leggi tutto]
[Con la Jugoslavia] è cambiato decisamente tutto. Anche quando siamo venuti via, quello che sapevamo è che non potevano più andare in chiesa, non potevano più parlare di politica tra di loro, non potevano più [fare] tante cose: è cambiato proprio il modo di vivere del paese. Ma anche il fatto che non si potevano più sposare in chiesa... La chiesa era proprio una cosa sprangata e chiusa quasi, cioè si andava di straforo. In paesi [come] il nostro abituati a vivere per la comunità della chiesa, devono avere avuto un bel colpo. Poi avevano licenziato i maestri, cioè avevano cambiato proprio decisamente... Cioè il popolo che lavorava presso il comune, presso le scuole, insomma credo che è stata dura per chi è rimasto, eh!
Assunta Z.
A un certo punto non si poteva neppure andare in chiesa, frequentare la chiesa. Si frequentava di ... [Leggi tutto]
A un certo punto non si poteva neppure andare in chiesa, frequentare la chiesa. Si frequentava di nascosto. Mi ricordo mia zia Lina che lo diceva. Io non lo ricordo personalmente, perché noi non frequentavamo, non eravamo tipi [di chiesa], anche i miei. Però, ad esempio, fino a pochi anni fa. non si poteva [celebrare] il Natale, però lo facevamo di nascosto, la messa si faceva, andavano lo stesso, però senza pubblicizzare.
Adriana S.
Dovevano fare dei processi eclatanti, per far vedere che il clero erano tutti spie e così via. Non ... [Leggi tutto]
Dovevano fare dei processi eclatanti, per far vedere che il clero erano tutti spie e così via. Non so come è stato, ma qualcuno ha nascosto una radio trasmittente nella chiesa dei frati francescani lì a Sant’Antonio [una chiesa di Pola], l’avevano nascosta, e uno di quei frati l’ha trovata. E c’era sempre - mi raccontavano - uno slavo là che andava a chiedergli ai frati questo e quell’altro, per spiare. Al momento giusto han fatto intervenire la polizia jugoslava, e hanno accusato tutti di spionaggio. E gli han fatto il processo e volevano fucilarli, tutti quanti. Hanno messo, mi han detto, tutti altoparlanti in tutta la città, in lingua italiana. Cioè il processo è stato fatto in lingua italiana, mi hanno detto, [cosicché ] tutta la popolazione e anche la stampa internazionale seguisse questa vicenda. E dopo son stati forse condannati a carcere duro, non son stati poi fucilati, e dopo son stati scambiati con altri prigionieri.
Giulio R.
Tito, praticamente, voleva annientare non solo la gente italiana, ma anche la tradizione, la ... [Leggi tutto]
Tito, praticamente, voleva annientare non solo la gente italiana, ma anche la tradizione, la lingua, il dialetto, tutto, anche la religione, perché bisogna dire che il popolo istriano era prettamente religioso: quasi tutti i contadini in casa loro, compreso mio padre, avevano un piccolo altarino e cioè una mensola con l’icona di Gesù e due candele. Questo, diciamo, era un segno di religiosità. Tanto per dire una cosa... Mio padre sotto l’occupazione di Tito - e siamo intorno al ’45-’46 - aveva [a Dignano] questo negozio di barbiere e un giorno doveva passare la processione... Ebbene per aver chiuso la bottega è stato denunciato e a momenti andava in prigione: [della religione] non volevano saperne! Chi non rispettava le regole, veniva chiamato nemico del popolo: mio padre, perché aveva chiuso il negozio nel periodo della processione gli è stato detto nemico del popolo. La processione passava e lui ha chiuso bottega, ma solo nel momento del passaggio e l’hanno richiamato subito.
Luigi D.
C’è anche da dire che c’erano due tipi di battesimi là [in Jugoslavia]: sotto la bandiera rossa èil ... [Leggi tutto]
C’è anche da dire che c’erano due tipi di battesimi là [in Jugoslavia]: sotto la bandiera rossa èil primo], e poi mia mamma mi ha portato in chiesa, perché davanti ai compagni se lo andavi a fare rischiavi grosso.
Giulio R.
[A Zara] dopo la guerra,vicino a noi, hanno costruito tante case per gli ufficiali dell’aviazione e ... [Leggi tutto]
[A Zara] dopo la guerra,vicino a noi, hanno costruito tante case per gli ufficiali dell’aviazione e c’era una nostra amica, una maestra, zaratina, che ha sposato un ufficiale mussulmano e aveva due belle figlie, e lei a me pregava sempre di portargliele in chiesa. Suo marito era in missione a Londra. Io avevo dodici anni e mi diceva: me la porti Alma in chiesa? E allora io le portavo le bambine in chiesa, qualcuno lo ha scoperto e ha detto che io portavo queste bambine in chiesa. E allora mi hanno chiamato, una settimana, sempre l’Udba - avevo dodici o tredici anni - e volevano sapere da me, bambina, se sono loro, i genitori, che mi impongono di portare le bambine in chiesa, oppure se sono io [a volerle portare]. Insomma, volevano sapere e mi ricordo che sa quando fanno quelle interrogazioni [interrogatori] alla televisione? Mi davano un bicchiere d’acqua e continuavano a tormentarmi e mio papà era fuori. E volevano sapere. E io dicevo: no, no, sono io... Lei è una nostra amica d’infanzia, le bambine vengono a casa nostra e le bambine [in chiesa] le porto io, nessuno mi dice di portarle. E’ andata bene che mi hanno creduto, ma tutta la settimana ogni giorno mi chiamavano lì e fare queste interrogazioni e mi domandavano come fossi una da andare in carcere, una delinquente, perché portavo le bambine in chiesa. Eh si, la chiesa era un problema. [Ad esempio] mia sorella si è sposata in chiesa, però si è sposata di nascosto, perché lui [suo marito] era nel partito...Mio cognato è andato militare, e lui essendo militare era nel partito comunista. Perché anche se uno non voleva, quando entravi a fare il servizio militare dovevi iscriverti al partito comunista. Mio cognato era iscritto e lui non poteva sposarsi in chiesa, perché se no perdeva il lavoro, e allora mia sorella si è sposata di nascosto. E poi ha avuto i bambini e li ha battezzati sempre [di nascosto]: [quel giorno] c’era un vento che portava via, la bora, e noi siamo andati di nascosto in chiesa a battezzare i bambini, perché non si poteva. Ma dopo... Adesso vanno troppo, adesso son diventati all’estremo!
Alma M.
Mia mamma era religiosa, aveva molti parenti anche preti, e lei mi diceva che i comunisti venivano, ... [Leggi tutto]
Mia mamma era religiosa, aveva molti parenti anche preti, e lei mi diceva che i comunisti venivano, entravano in chiesa, portavano via sti preti e gliene facevano di tutti i colori... Quindi c’era questa politica contro la chiesa, contro i preti che comunque... Va beh, alcuni saranno stati fascisti, però... Questo per dirle che mia mamma aveva quest’odio
Rita L.
Io son sempre andata in chiesa perché avevo la chiesa vicino, ho fatto la comunione come tutte. ... [Leggi tutto]
Io son sempre andata in chiesa perché avevo la chiesa vicino, ho fatto la comunione come tutte. [Andarci] non era proibito, no. Solo [che] , è logico, chi era comunista interno non poteva sposarsi in chiesa, oppure [lo faceva] di nascosto, come mio cognato: lui era capitano di lungo corso, ma quando è ritornato si è sposato, e quando si è sposato si è sposato in Municipio. Ma poi è andato a sposarsi a Fiume in chiesa di nascosto.
Adua Liberata P.
Mio padre, quando si è sposato con mia madre, questi del partito gli hanno detto: noi ti paghiamo ... [Leggi tutto]
Mio padre, quando si è sposato con mia madre, questi del partito gli hanno detto: noi ti paghiamo macchine, ristorante, ricevimento se tu non ti sposi in chiesa. Mio padre ha detto: io non posso, io non mi sposerei in chiesa, ma mia moglie è talmente [credente]... Lei [se non mi fossi sposato in chiesa] non mi avrebbe mai sposato, e quindi mio padre si è sposato in chiesa. Io son nata nel ’50 e mi hanno anche battezzato. E lì battezzarsi, in quel periodo, era molto [difficile]. E in quel periodo, anche, cosa succedeva? Mia madre quando c’erano questi figli di questi capoccioni [del partito] che non volevano far battezzare i figli, d’accordo tante volte con le mamme, li portava di nascosto in chiesa a farli battezzare. Infatti mia mamma mi raccontava che un grosso capoccia - era un militare - una volta le ha messo [puntato] la pistola [alla tempia] e le ha detto: se io sapessi che hai fatto battezzare mia figlia, io ti sparo all’istante. E questo era amico di mio padre... E in effetti l’avevano fatta battezzare, solo che sta creatura non stava bene e nella notte è morta. Quindi, vede, ci sono queste vicende, erano momenti così.
Rita L.
Era dura, molto dura. Ci odiavano tutti, era una vita da cani. Ad esempio uno con l’altro bisognava ... [Leggi tutto]
Era dura, molto dura. Ci odiavano tutti, era una vita da cani. Ad esempio uno con l’altro bisognava stare attenti anche di uscire. Poi quando che han saputo che gli italiani vogliono andare via, allora c’era un odio tremendo. Poi non si poteva più andare in chiesa: sposarsi in chiesa significava che non si poteva più andare a lavorare sotto di loro. Che io per esempio ho dei cugini che si sono sposati in comune, ma non in chiesa. Battezzare...Io son stata madrina di un bambino e a porte chiuse, di nascosto, siamo andati a battezzarlo, se no [erano problemi] Che il padre era comunista, ma la madre voleva battezzarlo. E allora lì non si poteva andare in chiesa.
Eufemia M.
Dunque, guardi, io mi sono sposata al mattino in anagrafe e al pomeriggio in chiesa, perché mia ... [Leggi tutto]
Dunque, guardi, io mi sono sposata al mattino in anagrafe e al pomeriggio in chiesa, perché mia mamma, cioè tutti, non si concepiva un matrimonio o un convivere come adesso, perché i tempi sono cambiati. E [per] i miei, come [per] tutti noi che eravamo lì, la chiesa era la chiesa... Però chi andava in chiesa a sposarsi non è che gli davano [fastidio], non potevano fargli niente, però dicevano: ah, quello lì si è sposato in chiesa, capisce? Però quello che voleva andare a messa andava, anche se c’erano tanti che evitavano [di andarci]. Non erano guardati bene, però non era proibito perché , torno a ripeterle, io mi sono sposata in chiesa.
Gina P.
Ah, la religione... Chi era in partito comunista, non doveva andare a messa, prima di tutto: né ... [Leggi tutto]
Ah, la religione... Chi era in partito comunista, non doveva andare a messa, prima di tutto: né preti, né niente. Ma anche chi che non era iscritto, chi lavorava, chi era direttore e queste cose qui, senza che gli dice nessuno niente lui non andava a messa, non parlava coi preti, non doveva andare. Ad esempio, se un ragazzo chiamava altri ragazzi per andare a messa, tante volte lo chiamavano su alla polizia e lo mettevano anche dentro, si. C’è un mio paesano che abita a Torino anche lui, che lui era un po’ più di chiesa [di me] e gli avevano detto: tu non devi tanto chiamare gli altri per venire a messa. Chi vuole va. Ma solo chi vuole. E lui gli ha detto: io vado sempre da solo e non chiamo nessuno.
Guido C.

Riferimenti archivistici

 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Archivio Ufficio per le Zone di Confine, Sezione II, Sottosezione Profughi, Busta 1, Volume 1, Fascicolo 31, UAIS, Unione Antifascista Italo-Slovena, attività

Riferimenti bibliografici

 E. Miletto, Istria allo specchio. Storia e voci di una terra di confine, Franco Angeli, Milano, 2007
 N. Milani, A. M. Mori, Bora, Frassinelli, Como, 1998
 N. Milani, Di passaggio, in Racconti di Guerra, Il Ramo d’oro/Edit, Trieste-Fiume, 2008
 G. Musetti, S. Lampariello Rosei, M. Rossi, D. Nanut, Donne di frontiera. Vita società cultura lotta politica nel territorio del confine orientale italiano nei racconti delle protagoniste, vol. II, Il Ramo d’Oro Editore, Trieste, 2007
 G. Nemec, Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio: Grisignana d’Istria 1930-1960, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 1998
 G. Paiano, La memoria degli italiani di Buie d’Istria. Storia e trasformazioni di una comunità contadine tra il 1922 e il 1954 nelle testimonianze dei “rimasti”, Centro di ricerche storiche di Rovigno, Unione Italiana di Fiume, Università Popolare di Trieste, Rovigno-Trieste, 2005
 R. Pupo, Il lungo esodo. Istria: le persecuzioni, le foibe, l’esilio, Rizzoli, Milano, 2005
 M. Orlic, La creazione del potere popolare in Istria (1943-1948), in L. Bertucelli, M. Orlic 8° cura di), Una storia balcanica. Fascismo, comunismo e nazionalismo nella Jugoslavia del Novecento, Ombre corte, Verona, 2008
 E. Miletto, L'esodo giuliano-dalmata: itinerari tra ricerca e memoria, in E. Miletto (a cura di), Senza più tornare. L'esodo istriano, fiumano, dalmata e gli esodi nell'Europa del Novecento, Seb 27, Torino, 2012
 M. Orlic, Dalla memoria alla storia. I difficili percorsi storiografici sul "confine orientale", in E. Miletto (a cura di), Senza più tornare. L'esodo istriano, fiumano, dalmata e gli esodi nell'Europa del Novecento, Seb 27, Torino, 2012
 R. Spazzali, Memoria e storia dell'esodo, in E. Miletto (a cura di), Senza più tornare. L'esodo istriano, fiumano, dalmata e gli esodi nell'Europa del Novecento, Seb 27, Torino, 2012

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