Gina P.
Levigata dal soffio gelido ed impetuoso della bora e bagnata dalle acque turchine dell'Adriatico, la penisola istriana ha visto, per secoli, annodarsi e snodarsi una molteplicità di fili. Uno spicchio di terra segnato da sfaccettature linguistiche e culturali composite e variegate, frutto della presenza, dell'insediamento e dei contatti tra le diverse popolazioni che hanno piantato le loro radici su questi territori. Luoghi nei quali convivono, in uno spazio geografico ristretto, consistenti nuclei di italiani, sloveni e croati, la cui distribuzione insediativa è affidata alla ripartizione città/campagna e fascia costiera/territori interni, che delinea una maggior concentrazione della componente italiana lungo la costa, e di quella slava nelle campagne dell'entroterra. Una definizione che nasconde, tra le pieghe, la demagogica rappresentazione di due mondi: quello italiano, cittadino e costiero, colto ed evoluto, e quello slavo, rozzo, povero e rurale. Una subordinazione di un universo rispetto a un altro, che porterà mondi e culture geograficamente vicini a procedere paralleli lungo un asse sottile, separati da un solco e senza sfiorarsi mai. Due mondi che tracceranno una linea di sofferenze e tensioni che non unisce ma separa, lacera e divide, accompagnando, con intensità crescente, la storia di queste terre. Una storia caratterizzata da equilibri fragili e delicati, destinati ad arrivare a un cortocircuito, le cui radici affondano nella negazione e nell'esclusione dell'altro simboleggiata da una parola, s'ciavo, spesso utilizzata dalla componente italiana per definire, identificare e screditare gli abitanti della regione di origine slava.
Era un rapporto da un lato conflittuale, perché quando c'erano delle feste nazionali italiane, tutti gli italiani andavano lì lungo il muro vicino al canale [accanto alla linea di confine] e urlavano viva l'Italia, abbasso i croati. Non so, urlavano i loro slogan. E gli altri, naturalmente, si incavolavano e rispondevano per le rime. E quando c'erano le feste jugoslave era la stessa scena rovesciata. Quindi, da questo punto di vista c'era nazionalismo: il momento in cui c'era da celebrare la propria italianità o l'essere jugoslavi, questo era sentito, era partecipato. E quindi si urlavano anche ben ben contro. Però dall'altro lato c'erano scambi normali, come in tutte le città di frontiera, assolutamente. Questo rapporto con l'entroterra era semplicemente di scambio. Scambio anche commerciale...Fiume non aveva entroterra, nel senso che l'entroterra era slavo e tutti i prodotti arrivavano dall'entroterra. C'erano le mlekarize, le cicce, i bodoli che venivano a vendere il vino...Io [poi] mi sono resa conto di questo odio tra interno dell'Istria e costa, perché io prima non l'avevo [percepito]. Ma ti dico di più: ero talmente inconsapevole, che iol fatto di andare a Fiume - diventata Rijeka - e vedere gente di tutte le parti della Jugoslavia che conviveva serenamente sotto Tito, mi dava proprio la sensazione di una città multietnica come era sempre stata. Perché Fiume è sempre stata multietnica: slavi ce n'eran per forza, compresi i miei nonni! E poi c'erano ebrei, c'erano tedeschi, cinesi - mi dice mia madre -, c'era gente da tutto il Mediterraneo, è sempre stata una città multietnica. Io quando ho visto quello che è successo alla fine degli anni Novanta dopo la caduta di Tito e la caduta del muro, son cascata dal pero. Non riuscivo a capire... Mi dicevo: ma come, mio nonno nella stanza accanto alla sua aveva una bosniaca che abitava col marito, che lo aiutava tantissimo e lo trattava come un padre... Perché mio nonno ha poi dovuto affittare una stanza dell'appartamento, sennò gliela requisivano. Io ho conosciuto ragazzi di tutta la Jugoslavia [lì a Fiume] nella mia adolescenza, e non capivo... Poi, oltretutto, io come italiana son sempre stata trattata benissimo, e loro anzi erano sempre tutti desiderosi di conoscere l'italiano. E quindi io non capivo, non mi sono resa conto di questi odi, che sono poi esplosi in modo terrificante negli anni Novanta. Ma veramente, io non ho mai colto. E mio padre mi sembrava patetico, pover'uomo, perché lui imprecava contro gli slavi e contro Tito, eccetera. E io gli dicevo: ma se sei sloveno!
Adriana S.